Tesina di
maturità - di Luigi
Boncristiano
Classe VB - Liceo
scientifico statale E. Curiel - Anno
scolastico 2010/2011
Dieci
anni
dopo
l’11 settembre
il “film”
che ha
sconvolto il mondo intero
Giugno
2011
Indice
Prefazione
..………………………………………………………………………………….…… 3
Introduzione
.………………………………………………………………………………….….. 5
Parte 1 I
precedenti storici ..……………………………………………………………………… 6
1.1
La
guerra ispano-americana .………………………………………………………………..... 6
1.2
La
prima guerra mondiale ..…………………………………………………………………... 7
1.3
La
seconda guerra mondiale .…………………………………………………………….…… 8
1.4
La
guerra in Vietnam ..……………………………………………………………………….. 10
1.5
L’operazione Northwoods ..………………………………………………………………….. 11
1.6
Il Pnac (Project for the New American
Century) ..………………………….………………. 12
Parte 2 La
Pearl Harbor del XXI secolo ..……………………………………………………….. 15
2.1
Introduzione ..………………………………………………………………………………… 15
2.2
Il
Pentagono ..………………………………………………………………………………… 15
2.3
Il
“quarto aereo” ..……………………………………………………………………………. 17
2.4
Il World Trade Center ..……………………………………………………………………… 19
2.5 I
terroristi ..…………………………………………………………………………………… 21
Parte 3 Le
utili stragi ..…………………………………………………………………………… 23
3.1
Introduzione ..………………………………………………………………………………… 23
3.2
La
guerra in Afghanistan ..…………………………………………………………………… 23
3.3
La
guerra in Iraq ..……………………………………………………………………………. 24
Postfazione ..………………………………………………………………………………………
27
Note ..……………………………………………………………………………………………..
28
Bibliografia ..……………………………………………………………………………………...
33
Prefazione
Il corso della storia segue l’andamento di una spirale, i
cui
cerchi rappresentano un’intera epoca storica, formata da
singoli avvenimenti coerenti fra loro che tendono a costruire una
struttura logica, compatta e unita. L’uomo non ha la capacità
di cogliere il significato dell’epoca in cui vive fino alla sua
conclusione; solamente allora potrà voltarsi indietro e tirare
le fila, azione che gli permetterà di accedere ad un panorama
chiaro e trasparente del periodo passato, che lo
condurrà finalmente a giudicare con spirito critico
assente da ogni tipo di pregiudizio.
È la visione della storia che emerge dal pensiero del
filosofo
tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda, 1770 –
Berlino, 1831), secondo cui l’uomo comune, dal momento che non
comprende le contraddizioni e i meccanismi che innescano il principio
e la fine della sua epoca, si trova a disagio in essa e
quindi soffre; ma ciò non
importa, perché ogni persona fa parte di un disegno più
grande ed è solo una piccola componente del progetto disegnato
dallo Spirito, il quale si realizza attraverso la storia.
Ogni epoca, tuttavia, come il corso degli eventi ci
insegna, ripete
se stessa. Cambiano i popoli, i falsi profeti, gli usurpatori, le
vittime, gli Stati, le culture, le tecnologie,
ma una cosa resta immutabile: lo
scheletro e le fondamenta alla base degli avvenimenti. Ci saranno
sempre potenti e deboli, vincitori e vinti, ricchi e poveri. Ci
saranno sempre le guerre, non perché sono intrinseche alla
natura dell’uomo, ma perché soddisfano i
disegni politico-economici di pochi a spese dei
molti. Ci saranno sempre false ideologie e religioni,
potenti
strumenti di controllo delle masse utili
a non farle pensare e a
sfruttarle.
Cosa può fare il singolo per difendersi? Quali sono i
suoi
mezzi a disposizione? Tutti noi abbiamo
una sola arma nella nostra vita: la conoscenza. Senza di essa si è soggetti al dominio di chi sa
di più, in altre
parole si è schiavi. Dal momento
che i potenti temono cultura e intelligenza,
a meno di non farne prostitute del
potere, lasciano volontariamente i popoli nell’ignoranza:
pertanto nessuno è realmente libero.
Il gravame della nostra
epoca è
la totale assenza di criticità circa gli scenari
internazionali sviluppatisi negli ultimi sessanta anni, e in
particolar modo negli ultimi dieci. Questa mancanza di
analisi critica è essenzialmente frutto dell’utilizzo
perverso dei mass media, televisioni in testa, argomento meritevole
di attenzione in uno specifico contesto, differente, seppure
complementare, a quello che stiamo sviluppando.
Chi ha vissuto gli ultimi decenni è stato testimone di
innumerevoli eventi, ma raccontati da un unico punto di vista, quello della civiltà Occidentale, tra i
cui interessi non vi è certamente quello di fornire ai
cittadini una rappresentazione bilaterale delle vicende.
A testimonianza di ciò, si immagini durante la Guerra Fredda
che opinioni potevano avere rispettivamente il popolo russo e quello
americano a partire dalle notizie
pilotate dei giornalisti russi, che
erano
le uniche a trapelare nell’ex-regime Sovietico, e
dalla propaganda statunitense contro il pericolo rappresentato dal
comunismo.
In tale contesto, è
credibile
affermare che i media e gli storici siano riusciti a studiare e
rappresentare la storia recente in maniera assolutamente oggettiva e super-partes?
La
risposta naturalmente è orientata più
in senso negativo che affermativo. La mancanza
di un riferimento storico-culturale corretto, il cui ruolo è
stato malamente rimpiazzato da un falso giornalismo sia cartaceo che
televisivo, ha condotto le ultime generazioni a pagarne lo
scotto di crescere senza spirito
critico, scaraventati in una società
di cui riescono a vedere solamente la carrozzeria, e non il motore
interno che la mette in moto.
In conseguenza di ciò, troppe persone sottovalutano o dimenticano l’impatto
storico che hanno avuto gli
attentati terroristici dell’11 settembre 2001, al di là dell’orrore e del
dolore dei morti di quel giorno. Gli attacchi
alle torri
gemelle
hanno scombussolato
permanentemente le politiche internazionali
e
la
storia
del mondo. Ma
da una
lettura
scorretta
di questa giornata storica non può che
conseguirne un’interpretazione
errata dei suoi effetti: è per
questo motivo che, anche a dieci anni di distanza, è
assolutamente fondamentale capire chi ha organizzato quegli attentati
e a quale scopo.
Senza troppe ricerche e troppi indugi i media, a poche
ore di distanza dagli attacchi,
avevano già scelto: i soli
responsabili erano diciannove arabi, affiliati dell’organizzazione
terroristica denominata “al-Qaida”, che avevano preso
parte all’orribile piano architettato dal loro capo, tale Osama
bin Laden. Questa chiave di lettura spiegherebbe e giustificherebbe
la guerra al terrorismo che è stata portata avanti dagli Usa e
dai suoi alleati nei paesi del Medio Oriente. Tuttavia, col passare del tempo, la versione ufficiale degli
eventi dell’11 settembre ha creato non poche polemiche:
infatti, anziché fornire un quadro credibile degli
avvenimenti, ha fatto sorgere pesanti dubbi sull’accaduto.
Le valutazioni critiche si sono lentamente accumulate nella rete
informatica, con una tale mole di notizie e informazioni discordanti
dalla versione ufficiale, da dare vita al movimento per la verità
sull’11 settembre1, la cui nascita ha generato sul
web decine di altri movimenti2, riportati da innumerevoli
altri siti di controinformazione3. Questo flusso
inarrestabile di rapporti, dati, idee e opinioni ha consentito a
molti l’ascolto di ipotesi discordanti da quelle ufficiali,
stimolando l’interesse ad essere informati in dettaglio sulle
vicende dell’11 settembre, attraverso l’utilizzo di fonti di pubblico
dominio.
Ci proponiamo, nel seguito, di porre all’attenzione,
attraverso un percorso rigidamente coerente dei fatti
incontrovertibili sin qui riscontrati, e quindi senza sposare alcuna
tesi preconcetta, le principali discrepanze fra le versioni ufficiali
ed i fatti in questione sino alle loro logiche deduzioni e
conseguenze.
Introduzione
In una società come la nostra dove gli strumenti di
persuasione di massa sono a completa disposizione dei potenti che
pilotano l’informazione in base ai loro interessi è
difficile distinguere le notizie “vere”, quelle
corrispondenti alla realtà dei fatti. Consentire alle masse di
accedere alle verità nascoste rappresenta un dovere morale
anche se tale impresa risultasse ardua, o quasi impossibile.
Tra i mezzi di informazione alternativi, oggi è
sicuramente
Internet quello che maggiormente consente una libera comunicazione
globale, che sostiene la ricerca della verità agevolando lo
scambio di informazioni.
Prima di cominciare è necessario stabilire una
metodologia di
corretto utilizzo di tale strumento. Dal momento che la rete è
accessibile a tutti coloro che possiedono un computer e un fornitore
di servizi di rete, ed è possibile a chiunque vi acceda
scrivere ed inserire ciò che desidera, è spesso oggetto
di controversia l’affidabilità e l’attendibilità
delle informazioni reperibili in essa.
In primo luogo non è corretto estendere il giudizio di
inattendibilità a tutte le informazioni che si trovano su
Internet solo poiché una parte di tali informazioni sono
frutto di opinioni personali anziché di fatti oggettivi;
questa illogica deduzione comporterebbe uno scenario totalmente
irreale in cui ogni persona sulla Terra è in malafede o
bugiardo. Ciò non toglie ovviamente che è possibile
imbattersi in notizie inaffidabili di ogni genere, pertanto occorre
definire i criteri che consentano di rintracciare sul web le
informazioni utili. In secondo luogo si deve comprendere che navigare
sulla rete è molto più difficile di quel che si crede,
specialmente se si è alla ricerca di notizie non trasmesse in
televisione, motivo per cui bisogna essere dei bravi internauti, il
che significa non dar retta a personaggi che fanno affermazioni senza
fornire fonti o bibliografie. Criteri di affidabilità
consistono piuttosto nel visitare siti web gestiti da giornalisti,
non utilizzare come fonte sempre lo stesso sito, non fermarsi nella
ricerca sulla prima fonte della notizia che si stava cercando, ma
continuare a esplorare altre pagine web che la confermino.
Alla fin fine, i requisiti minimi per fare un buon uso di
Internet è
essere persone valutative e accorte in grado di diffidare dai siti
contenenti notizie false ed appositamente divulgate a scopo di
disinformazione. Ha scarso fondamento, pertanto, la critica a tale
strumento soprattutto quando proviene da personaggi che si fidano
ciecamente dei telegiornali i quali spesso utilizzano fonti non
confermate o verificate o, peggio, non utilizzano alcuna fonte oltre
quelle istituzionali, operando una, cosciente o meno, ma reale
disinformazione1.
E’ stata cura e puntiglio dello scrivente, verificare
l’attendibilità di ciascuna fonte web utilizzata, sia
per prassi di coerenza, sia per sottrarsi ad infondate accuse di
superficialità od inattendibilità dei fatti che si
vanno ad esporre.
Parte 1
I precedenti
storici
1.1 La guerra
ispano-americana
1.1.1
Il
contesto
storico
Alla fine dell’Ottocento, mentre Stati Europei come Gran
Bretagna, Francia, Germania, Portogallo, Italia e Belgio si
spartivano il territorio africano per colonizzarlo, la Spagna
attraversava una fase di decadenza. Le erano rimaste poche ed antiche
colonie, conquistate durante il suo periodo d’oro, risalente
all’immediato periodo successivo alla scoperta dell’America:
Cuba, Puerto Rico e le Filippine. A Cuba, in particolare, le
condizioni di vita erano precarie a causa del colonialismo spagnolo,
il che accese nel 1895 una rivolta popolare repressa violentemente
dal governatore Valeriano Weyler, che aveva successivamente inviato
in campi di concentramento non solo gli insorti, ma anche la parte di
popolazione che simpatizzava per essi1.
Di fronte alle atrocità perpetrate, il governo
statunitense
inviò una dura nota di protesta alla Spagna che sollevò
il governatore dal suo incarico. Nel febbraio del 1898 venne inoltre
mandata una corazzata del tipo pre-dreadnought: la
USS Maine (ACR-1), che si ancorò poco
a largo dalle coste cubane col preciso scopo di proteggere i
cittadini americani ivi residenti, in pericolo per via dei frequenti
scontri tra la popolazione insorta e l’esercito spagnolo.
1.1.2
L’affondamento
della
USS
Maine
Il 15 febbraio 1898 alle ore 21:402 la
corazzata USS
Maine affondò nelle acque cubane in seguito ad una forte
esplosione trascinando con sé la vita di circa 254 marinai3.
Secondo i testimoni presenti ci furono due esplosioni a breve
distanza: la prima è a tutt’oggi di origine sconosciuta,
descritta dai testimoni dell’epoca simile a un forte sparo, che
innescò la seconda, più intensa, riconducibile agli
scoppi delle munizioni all’interno del magazzino che si trovava
in prossimità dei depositi di carbone della sala macchine.
Gli spagnoli vennero immediatamente additati come
responsabili
dell’incidente, apparentemente causato da una loro mina navale.
Senza che si aprisse un’indagine ufficiale per approfondire le
esatte dinamiche circa l’esplosione, e dopo che alcuni giornali
importanti (come il “New York Journal” di William
Randolph Hearst, coadiuvati dai primi cinegiornali dell’epoca
che mostravano la nave semi-affondata e i funerali dei marinai
rimasti uccisi) contribuirono a fomentare l’indignazione già
preesistente dei cittadini americani4; il presidente
McKinley si convinse infine ad
intervenire militarmente contro gli spagnoli, sebbene
questi, fin da
subito, si fossero dichiarati completamente estranei ai fatti, e
nonostante che gli stessi insorti cubani, che stavano conducendo
vittoriosamente la loro guerra di indipendenza, non avessero alcun
bisogno dell’aiuto degli Stati Uniti. D’altro canto la Spagna non
poteva neanche permettersi le spese di una guerra che
avrebbe combattuto da sola contro gli Usa, e probabilmente perso.
1.1.3
Le
indagini
La prima commissione d’indagine fu nominata
mentre era
ancora in carica il presidente McKinley. Dopo aver ascoltato i
testimoni e studiato l’incidente, essa concluse che la nave era
stata affondata da una mina esterna. Più tardi però,
nel 1911, in occasione di una seconda indagine, i sommozzatori non
riuscirono a trovare possibili ubicazioni delle mine, allontanando
così definitivamente l’ipotesi dell’aggressione
spagnola; oltre a questo, non fu scoperta la causa della prima
esplosione. Verso la metà degli anni settanta, dopo una terza
ed ultima indagine, gli esperti che ipotizzavano l’affondamento
della Maine a un incidente interno, indicarono che l’origine
del primo scoppio poteva essere localizzato nel deposito di carbone,
luogo poco distante da dove si trovavano le munizioni5.
Nel 1987, infine,
una
commissione speciale d’inchiesta americana riconobbe
che
gli spagnoli non erano in alcun modo responsabili dell’incidente,
ma che
l’esplosione del Maine avvenne “a causa di esplosivi stivati troppo vicino
alle
caldaie”6.
Dalle vicende
che emergono
da
questo conflitto ispano-americano circa le cause dell’affondamento
del Maine,
si deducono due fatti: in primo luogo che gli Stati Uniti avevano una
gran fretta di fare guerra alla Spagna, infatti non attesero che
fossero chiarite le circostanze dell’incidente, dalle quali si
è poi appurato che lo stato Iberico non c’entrava nulla
e che non avrebbe quindi dovuto subire quell’intervento armato;
in secondo luogo, dal momento che è prassi molto strana
ubicare degli esplosivi “troppo vicini alle caldaie”, è
quanto meno lecito ipotizzare uno scenario in cui gli Usa si siano
auto-inferti un tale danno, per avere un legittimo pretesto (giacché
la propaganda non era sufficiente di per sé) per attaccare la
Spagna.
1.2 La prima
guerra mondiale
1.2.1
Il
contesto
storico
Fin dallo scoppio della prima guerra mondiale
gli Stati
Uniti, in accordo con la dottrina Monroe risalente al 1823, si
dichiararono neutrali, tuttavia concessero in segreto ingenti
capitali a Francia e Inghilterra per aiutarle a trionfare sul comune
nemico, la Germania.
Nonostante le speranze della Germania, riposte nella
“guerra-lampo”,
il conflitto si tramutò dopo pochi mesi in una logorante e
sanguinosa guerra di posizione combattuta nelle trincee. Gli Usa
capirono che, senza un loro intervento diretto, il rischio che la
Triplice Intesa venisse sconfitta si sarebbe concretizzato e ciò
avrebbe significato la perdita di tutto il denaro prestato. D’altro
canto gli aiuti statunitensi non erano solo economici ma anche
concreti: materiale bellico veniva trasportato clandestinamente verso
l’Europa attraverso le stive di navi mercantili o addirittura
civili, come nel famoso caso del transatlantico Lusitania.
1.2.2
L’affondamento
del
Lusitania
Il 1° Maggio 1915 il transatlantico Lusitania, a bordo
del quale
vi erano in parte cittadini americani, partiva da New York verso
Liverpool. Nonostante il giorno prima l’ambasciata tedesca si
fosse premurata di avvertire i passeggeri con annunci sui giornali
che il Lusitania, entrando in acque ostili come quelle Inglesi,
sarebbe stato affondato, l’annuncio non fu preso molto sul
serio e non produsse quindi particolari effetti1.
Il 7 Maggio, ormai prossimo alla meta, la nave venne a
conoscenza
della presenza di un sommergibile tedesco. Il capitano Turner
ritenette di essere abbastanza lontano dal U-20 tedesco, e così
continuò verso Liverpool; ma circa alle 14:10 un siluro colpì
il Lusitania e al primo colpo seguì una grande deflagrazione,
causata dall’esplosione dei depositi di carbone, e nel giro di
meno di mezz’ora la nave venne inghiottita dal mare2.
Dei circa 2000 passeggeri ne morirono 1198, tra cui 144 di
nazionalità americana.
1.2.3
Le
reazioni
e
l’entrata in guerra degli Stati Uniti
L’affondamento del Lusitania gettò l’opinione
pubblica Americana in un forte sentimento di indignazione e di
sconcerto, tanto da mutare la maggioranza neutralista in
interventista; ne seguirono le campagne di arruolamento militare. Più
o meno un anno dopo, il 24 Marzo 1916, avvenne un incidente simile:
fu affondato il piroscafo Sussex, che trasportava presumibilmente
anche materiale bellico, oltre che cittadini americani3.
L’episodio della Sussex non fu il solo, e di fronte a
queste,
che considerava provocazioni, il governo Tedesco lanciò un
monito indiretto agli Usa dichiarando il 1° febbraio 1917 che la
guerra sottomarina sarebbe stata intensificata in maniera
indiscriminata. Due giorni dopo gli Usa ruppero le relazioni
diplomatiche con la Germania finché non si giunse alla
dichiarazione di guerra del 6 aprile4.
Tra lo sdegno delle masse americane per gli attacchi
subiti
passarono inosservate le responsabilità del governo
statunitense circa l’affondamento del Lusitania. Prima di tutto
la nave trasportava un carico di munizioni destinate ad essere
impiegate contro la Germania, come confermato nel 2005 dallo stesso
governo americano5, in secondo luogo gli Stati Uniti non
potevano dichiarare la vita dei cittadini americani protetta e al
sicuro a bordo di una nave belligerante (considerata tale dal momento
che la Gran Bretagna aveva soppresso la distinzione tra navi da
guerra e navi mercantili) in acque pericolose, e, in ultimo, gli armatori del
“Lusitania” avevano violato le
disposizioni riguardanti le navi da passeggeri, contenute nella
legislazione marittima degli stessi Stati Uniti6. A conti
fatti appare verosimile l’ipotesi secondo cui l’affondamento
del Lusitania sia stato strategicamente sfruttato per manipolare
l’opinione pubblica in senso interventista. D’altronde,
un presidente pacifista come lo era Woodrow Wilson non avrebbe potuto
in nessun’altra maniera giustificare al suo popolo l’entrata
in guerra, necessaria per proteggere i fondi concessi in precedenza
alla Francia e all’Inghilterra.
1.3 La seconda
guerra
mondiale
1.3.1
Il
contesto
storico
La prima fase della seconda guerra mondiale
era stata
condotta con successo dalle armate tedesche che indussero addirittura
l’Italia a entrare in guerra. La Francia aveva capitolato,
l’Inghilterra resisteva, ma era soggetta a massicci
bombardamenti tedeschi, mentre veniva stipulato nel settembre del
1940 il patto tripartito tra Italia, Germania e Giappone. Alla fine
del 1941 l’Asse possedeva o assoggettava l’intera Europa
continentale.
Gli Stati Uniti avevano compreso con largo anticipo che
la guerra
avrebbe preso una piega favorevole agli obiettivi di Hitler e
Mussolini e che avrebbe messo alle strette gli alleati. Non
bastarono, come avvenne durante la prima guerra mondiale, i soli
aiuti economici per volgere in loro favore gli esiti della guerra. La
loro conclusione verso la fine del 1940 fu infatti “che c’era
poco che potessero fare in quel momento per aiutare la Gran Bretagna
che non fosse già stato fatto”1.
1.3.2
Il
giorno
dell’infamia
All’alba del 7 dicembre 1941, una serena
domenica, 350
aerei partiti dalle portaerei giapponesi affondarono quattro delle
otto corazzate ancorate alla base di Pearl Harbor, nelle isole
Hawaii, mentre le rimanenti subirono gravissimi danni provocando la
morte di circa 2400 militari.
Il Ministero degli Esteri giapponese inviò lo stesso
giorno
la dichiarazione di guerra alla Segreteria di Stato americana alle
ore 13 di Washington, corrispondenti alle 7 e 30 delle isole Hawaii.
In realtà, per una serie di contrattempi ed a causa delle
lentezze imposte dal sistema di decrittazione della dichiarazione di
guerra, il documento ufficiale riuscì a essere consegnato alla
Segreteria di Stato solo alle 14 e 20, ora di Washington, quando le
bombe degli aerosiluranti e dei bombardieri giapponesi cadevano già
da oltre mezz'ora sulle navi americane ancorate a Pearl Harbor.
L’indomani l’attacco a sorpresa, non provocato, spinse
il presidente Roosevelt a pronunciare un discorso al congresso per
chiedere di dichiarare lo stato di guerra con il Giappone facendo
passare alla storia il 7 dicembre 1941 come il giorno dell’infamia2.
1.3.3
Un
disastro
da
non evitare
Grazie al Freedom of Information Act
del 1966,
voluto
dall’ex-rappresentante della California John E. Moss, oggi sono
consultabili negli archivi di stato degli Usa una ingente quantità
di documenti risalenti alla seconda guerra mondiale che spiegano
passo passo i retroscena politici dell’amministrazione di
Roosevelt nel periodo che va dall’ottobre 1940 fino al 7
dicembre 1941.
Un
sondaggio realizzato nel settembre del 1940 rivelava che l’88%
della popolazione americana era contraria a mandare i loro figli in
guerra3, e d’altronde, Roosevelt in persona promise
che non lo avrebbe mai fatto4, di conseguenza
non avrebbe mai potuto dichiarare guerra senza l’appoggio del
popolo e quindi del congresso. Il 7 ottobre 1940, dieci giorni dopo
la stipula del famoso Patto Tripartito tra Germania, Italia e
Giappone, veniva presentato sul tavolo del presidente il piano
McCollum che prende il nome dal suo ideatore. Questo piano consisteva
in una serie di misure da attuare col preciso scopo di provocare il
Giappone che, in tal modo, avrebbe attaccato gli Usa. L’attacco
avrebbe indignato l’opinione pubblica che si sarebbe finalmente
convinta ad entrare nel conflitto mondiale. Il piano McCollum
declarava i seguenti 8 punti:
A. Accordarsi con la Gran Bretagna per utilizzare le
basi
inglesi
nel Pacifico, soprattutto Singapore.
B. Accordarsi con l’Olanda per utilizzare le
attrezzature
della base e poter ottenere provviste nelle Indie orientali olandesi
(oggi Indonesia).
C. Dare tutto l’aiuto possibile al governo cinese di
Chiang
Kai.shek.
D. Mandare in Oriente, nelle Filippine o a
Singapore, una
divisione di incrociatori pesanti a lungo raggio.
E. Mandare due divisioni di sottomarini in Oriente.
F. Spostare la flotta principale degli Stati Uniti,
di routine
nel
Pacifico, nei pressi delle isole Hawaii.
G. Insistere con gli olandesi perché rifiutino di
garantire
al Giappone le richieste per concessioni economiche non dovute,
soprattutto petrolio.
H. Dichiarare l’embargo per tutti i commerci col
Giappone,
parallelamente all’embargo simile imposto dall’impero
britannico.5
Dopo la messa in pratica di alcuni dei punti succitati il
Giappone
sembrava già intenzionato ad attaccare, e più
precisamente a Pearl Harbor6. Ciò nonostante,
all’ammiraglio Husband E. Kimmel, comandante in capo della
flotta del Pacifico, che venne poi usato barbaramente come capro
espiatorio, non furono mai passate queste informazioni (e di ciò
si lamentò quando fu processato, senza tuttavia essere preso
sul serio). È documentato che circa due settimane prima
dell’attacco erano stati decrittati messaggi giapponesi
importanti che ordinavano alla 1° flotta aerea di prendere il
volo il 26 novembre dalla base di Hitokappu per dirigersi in acque
Hawaiiane e attaccare così la flotta americana all'ancora di
Pearl Harbor. Furono precisate addirittura latitudine e longitudine
della rotta da percorrere7.
Quando vennero aperte le prime indagini nella commissione
d’inchiesta
del 1946, fu esclusa ufficialmente qualsiasi responsabilità
diretta di F. D. Roosevelt; tuttavia, oggi è scientificamente
dimostrato che il presidente conosceva il piano McCollum che aveva
lui stesso approvato: sono state rilevate, infatti, le sue impronte
digitali su ciascun foglio che componeva il documento8.
1.4 La
guerra in
Vietnam
1.4.1
Il
contesto
storico
Sulla fine della seconda guerra mondiale
avvenuta nel
1945 il
mondo era spaccato in due grandi blocchi, rispettivamente controllati
dalle due maggiori potenze mondiali dell’epoca che erano gli
Stati Uniti e l’URSS (Unione Repubbliche Socialiste
Sovietiche).
Dopo che nel corso degli anni cinquanta il Vietnam
riuscì ad
ottenere con la forza l’indipendenza dalla Francia, gli Usa
manovrarono per ottenere il controllo sul Sud del paese, zona
considerata altamente strategica. Allo scopo, il governo statunitense
si intromise nella politica interna del Vietnam creando movimenti
secessionisti, finanziando il Sud per eliminare la componente del
Nord, e aizzando le due parti l’una contro l’altra
giocando sulle differenze culturali finché non venne
instaurato nel Sud un governo filoamericano.
In questo momento storico, battezzato poi come “Guerra
Fredda”, in cui Stati come la Cina, la Corea del Nord, il Laos
e la Cambogia erano sotto l’influenza sovietica, per gli Stati
Uniti era fondamentale arginare il dilagare del comunismo nel Sud-est
asiatico, e si dà il caso che il Vietnam univa un’importante
cerniera geopolitica composta da Birmania, India, Giappone,
Filippine, Laos e Cambogia.
1.4.2
L’incidente
del
Golfo
del Tonchino
L’evento che fece entrare in guerra gli Stati
Uniti
contro il Vietnam del Nord fu l’incidente del Golfo del
Tonchino. La versione ufficiale di quell’evento vuole che la
marina nord-vietnamita abbia attaccato senza alcun motivo particolare
le navi americane il 2 Agosto 1964; due giorni dopo i
cacciatorpediniere U.S. Maddox e Turnerjoy si
imbatterono in uno scontro a fuoco. Tale avvenimento autorizzò
il presidente Lyndon Baines Johnson a fare grande dispiegamento
dell’esercito che fu impiegato sul luogo nei mesi a seguire.
Un rapporto del comandante in capo delle forze armate
del Pacifico
divulgò il 3 agosto la notizia secondo cui i nord-vietnamiti
avevano attaccato. Contemporaneamente però, i nord-vietnamiti
facevano sapere da Hanoi che il 1° agosto, senza preavviso,
quattro cacciabombardieri americani avevano bersagliato alcuni posti
di frontiera e villaggi1.
Per quanto riguarda l’attacco del 4 agosto si è
scoperto solo recentemente grazie al freedom of information act che
la
National Security Agency aveva deliberatamente
manipolato le informazioni circa l’aggressione della U.S.
Maddox prima di inoltrarle al presidente Johnson2. Da
tali informazioni si evinceva infatti che non era avvenuto alcun
attacco da parte delle navi nord-vietnamite, e che anzi, i
cacciatorpediniere americani avevano ricevuto preciso ordine di
sparare su bersagli fantasma, come confermò il comandante di
squadrone James Stockdale3. E così, grazie a questa
clamorosa messa in scena, ebbe inizio una guerra inutile e vergognosa
che sparse il sangue di 60.000 soldati statunitensi, circa 260.000
sud-vietnamiti e di 1.100.000 di nord-vietnamiti, senza contare i
feriti, ma soprattutto le tre milioni di vittime fatte tra i civili
innocenti e tuttavia protagonisti di questa strage4.
1.5
L’operazione
Northwoods
1.5.1
Il
contesto
storico
Nel bel mezzo della guerra fredda l’America
assisteva,
a seguito della rivoluzione di Fidel Castro, alla formazione di uno
stato di stampo socialista proprio di fronte alle sue coste.
L’amministrazione Kennedy, che allora presiedeva la Casa
Bianca, decise, in un mare di dubbi e controversie, di organizzare
una rivolta a Cuba, condotta da esuli cubani emigrati finanziati
dalla CIA, per rovesciare il governo castrista che minacciava di
aggregarsi agli stati centro e sud-americani con la conseguente
sovietizzazione dell’America latina. L’operazione sarebbe
passata alla storia come “l’invasione della Baia dei
porci” per via del nome geografico dell’insenatura dove
sarebbe avvenuto lo sbarco. Il conflitto, tuttavia, non ebbe gli
effetti sperati dal momento che fu un vero e proprio fiasco.
Le conseguenze furono pesanti: da un lato
l’amministrazione
americana e la CIA perdevano credibilità di fronte agli occhi
del mondo, dall’altra invece ci fu solidarietà per Cuba
e un avvicinamento politico e strategico dell’isola con l’Urss.
1.5.2
L’operazione
Northwoods
Per fronteggiare questa disfatta politica alti dirigenti
del Ministero della Difesa statunitense
stilarono la cosiddetta “Operazione Northwoods” che aveva
il preciso scopo di suggestionare l’opinione pubblica interna
ed internazionale affinché fosse giustificato un intervento
militare contro il regime di Castro. Il piano, risalente al Marzo del
1962, prevedeva una serie di opzioni tra le quali compaiono incidenti
militari, uccisione di innocenti, ondate di terrorismo, dirottamento
di aerei, ecc…1
Passando in rassegna le pagine di questo documento
storico si può
avere un’idea concreta dei possibili piani che avrebbero potuto
essere attuati.
2.
Sarà pianificata una serie di incidenti ben coordinati a
Guantanamo, apparentemente condotti da forze cubane
nemiche.
a. Ipotesi di incidente per rendere credibile un attacco (non in
ordine cronologico):
[…]
6.
Incendiare
un
aereo sulle piste (sabotaggio).
7.
Colpire
la
base dall'esterno con colpi di mortaio con alcuni danni
alle installazioni.
[…]
10. Sabotare una nave nel porto con fiamme e incendi.
11.
Affondare una nave accanto alla bocca del
porto. Simulare funerali di finte vittime
(possibilmente una decina). […]2
3.
Un
incidente sullo stile del "Maine" potrebbe
essere organizzato in vari modi:
a. Si potrebbe far esplodere una nave americana a Guantanamo e
incolpare Cuba.
[...]3
8.
È
possibile provocare un incidente che dimostri in modo convincente che
un aereo cubano abbia attaccato e abbattuto un velivolo charter
civile […].
a. Un aereo della base aerea di Eglin AFB verrebbe riveniciato
e rinumerato come un duplicato esatto di un aereo civile. […]
Al momento previsto, il duplicato sostituirebbe l'aereo
originale e vi sarebbero imbarcati i passeggeri prescelti, tutti con
identità opportunamente preparate. L'aereo duplicato
sarebbe un drone.
b. Gli orari di decollo del velivolo radiocomandato e di quello reale
verrebbero sincronizzati […]. Giunto sopra Cuba, il
drone trasmetterebbe […] il segnale di "MAYDAY",
dichiarandosi sotto attacco da parte di un MiG cubano. La […]
distruzione del velivolo sarebbe innescata da un
radiosegnale. […]4
Questa operazione, pur avendo l'approvazione per
iscritto del Capo e
di tutti i membri degli Stati Maggiori Riuniti degli Usa, non fu
messa in atto perché, a seguito della crisi dei missili di
Cuba della fine del 1962, mancò la firma del presidente
Kennedy, il quale, per risolvere la disputa in modo diplomatico aveva
assicurato che non avrebbe più provato ad attaccare il regime
di Castro.
Il collegamento di questo documento, più unico che raro,
con i
fatti dell’11 settembre 2001 è lampante. L’operazione
Northwoods senz’altro non dimostra che gli attentati
terroristici di quel giorno siano stati pianificati dal governo Usa,
ma, se da una parte permette di comprendere con quali persone
incapaci di pensare in termini di umanità si ha a che fare,
dall’altra si prende coscienza del fatto che atti così
spaventosi possano essere presi in considerazione anche da grandi
democrazie quali l’America nonostante la pretesa di farsi
portabandiera della libertà dei popoli.
1.6
Il
PNAC (Project
for the New American Century)
1.6.1
I
Neocons
Dopo la caduta dell’Unione sovietica avvenuta verso la
fine
del 1991, gli Stati Uniti uscivano vincitori dalla guerra fredda
rimanendo così l’unica superpotenza al mondo. Nel
frattempo si era sviluppata in America una corrente di pensiero
neoconservatrice nata dagli scritti del filosofo Leo Strauss che
aveva trovato seguaci (i cosiddetti neocons) in personalità
come Richard Perle, Paul Wolfowitz, Donald Rumsfeld e Dick Cheney, e
uno sbocco pratico in alcune presidenze come quella di Nixon. La
realizzazione del programma neocon restava tuttavia bloccata
dalle politiche estere distensive di Henry Kissinger. Durante la
presidenza Ford, con la nomina a ministro della difesa di Donald
Rumsfeld con Dick Cheney Capo di gabinetto della Casa Bianca, e di
seguito durante la presidenza di Ronald Reagan, che vedeva Paul
Wolfowitz come capo dell’ufficio relazioni estere della casa
bianca e Richard Perle come vice-ministro della difesa, e infine in
quella di George W. Bush, che vedeva la Casa Bianca ancora una volta
occupata da Donald Rumsfeld in qualità di ministro della
difesa, Paul Wolfowitz come suo vice e Dick Cheney come
vice-presidente, il modello di potere insito nel programma neocon
trovava pieno sviluppo ed applicazione.
1.6.2
Il
pensiero
neoconservatore
Il neoconservatorismo nacque grazie al forte contributo
del filosofo
tedesco Leo Strauss, fuggito dalle persecuzioni razziali della
Germania hitleriana per poi trasferirsi negli Stati Uniti. Strauss
poneva una forte critica sia all'ideologia democratica, sia
all'ideologia liberale le quali, favorendo, a suo modo di vedere,
l'insorgere di un completo disordine sociale e ostacolando invece il
formarsi di oligarchie illuminate, si mostravano strutturalmente
inadeguate.
Durante gli anni sessanta si era assistito ad una
trasformazione
sociale fino a qualche tempo prima impensabile: era l’epoca
dei figli dei fiori, delle lotte per i diritti civili, per le libertà
sessuali e per le libertà individuali. Secondo il pensiero di Strauss,
queste libertà portavano a conflitti, sia di natura
individuale che sociale, che minavano alle fondamenta le capacità
di sviluppo e di crescita della nazione.
Strauss concepiva la società come un organismo solido e
compatto, i cui componenti dovevano sublimare le proprie ambizioni
personali alla causa della Nazione, favorendo la ricchezza del Paese
la cui missione era l’assunzione della leadership del
mondo intero. L’unico modo di perseguire questi obiettivi era
convincere il popolo della presenza di un oscuro e spaventoso nemico,
la cui sola esistenza potesse mettere a repentaglio la sopravvivenza
della stessa nazione americana. Per tutto il corso della guerra
fredda questo avversario fu impersonato dalla Russia, grazie anche al
contributo di neoconservatori come Richard Pipes, Wolfowitz e
Rumsfeld che manipolarono deliberatamente le informazioni provenienti
dalla CIA al fine di enfatizzare il pericolo russo.
1.6.3
Un
nuovo
nemico
Da sempre nella logica del potere assoluto,
essere
padroni
del mondo significa dominare le riserve energetiche del pianeta
affinché nessuno possa essere economicamente, e quindi
realmente, indipendente. In tale ottica, essendo oggi il petrolio
imprescindibile fonte di energia, la politica di dominio delle fonti
petrolifere era prioritaria nelle agende dei presidenti USA. Da qui,
la necessità di impadronirsi dei maggiori pozzi petroliferi, i
quali, per usare le parole di Dick Cheney, si trovano in Medio
Oriente perché “Il buon Dio non ha pensato di mettere
petrolio e gas solo dove ci sono regimi amici degli Stati Uniti
eletti democraticamente.” Poi aggiunge: “Occasionalmente
dobbiamo operare in posti in cui, tutto sommato, uno non sceglierebbe
normalmente di andare”1.
I neocons, dopo la battuta d’arresto avuta con
l’elezione del democratico Bill Clinton, si ripresero con
l’elezione di George W. Bush che avrebbe ultimato il lavoro già
iniziato dal padre (prima guerra del golfo). Per giustificare, agli
occhi degli americani, i conflitti con i paesi mediorientali non si
poteva più fare leva sullo spauracchio russo, ma serviva un
nuovo nemico da abbattere: trasversale, feroce e inafferrabile che
fosse dappertutto e in nessun luogo, in grado di spaventare gli
americani a tal punto da sopportare uno sforzo bellico di dimensioni
globali.
Gli unici nemici con i suddetti requisiti potevano essere
rappresentati soltanto dai terroristi. Per raggiungere i loro scopi,
infatti, i neocons avevano bisogno di adattare la figura del
“nemico” all’esigenza di influenzare l’opinione
pubblica attraverso una iconografia di spietatezza che ben si
adattasse all’immaginario collettivo americano. Tale
iconografia ben coincideva con terroristi provenienti dai paesi
mediorientali. Poiché la religione principale di questi paesi
è l’Islam, i terroristi dovevano anche essere
integralisti islamici ed identificabili, per comodità
divulgativa, in un’associazione chiamata al-Qaida, fondata da
Osama bin Laden.
1.6.4
Il
documento
Il documento che meglio riassume il progetto per il nuovo
secolo americano (Project for the New American Century), piano
dell’ideologia neoconservatrice, indicando le effettive
finalità pratiche di tale progetto risale al settembre del
2000 e si intitola “Rebuilding American’s Defenses”.
Saranno citati di seguito alcuni passaggi esplicativi.
“Al
momento
attuale
gli
Stati Uniti non hanno rivali a livello globale.
La principale strategia dell’America dovrebbe puntare a
preservare ed estendere questa posizione di vantaggio il più
possibile nel futuro.2
[…] gli
Stati
Uniti devono mantenere forze sufficienti capaci di
essere disposte rapidamente e di vincere simultaneamente più
guerre su vasta scala […]3
Bisogna
riposizionare
le
forze
statunitensi per rispondere alle realtà
strategiche del XXI secolo spostando le truppe su basi permanenti nel
Sud-est europeo e nel Sud-est asiatico […]4
[…] il
budget
annuale dell’esercito deve crescere fino a un
livello di $90 o $95 miliardi di dollari per finanziare le attuali
missioni e la trasformazione a lungo termine dell’esercito.5
[…] questa
trasformazione
dell’esercito deve essere considerata
un obiettivo tanto urgente quanto quello di prepararsi ai potenziale
scenari bellici di oggi […]6
Gli
Stati
Uniti
non
possono semplicemente dichiarare una “pausa
strategica” mentre sperimentano nuove tecnologie o concetti
operativi. Né possono perseguire una trasformazione strategica
che disaccoppierebbe gli interessi americani e degli alleati. Una
strategia di trasformazione che puntasse esclusivamente alle capacità
di progettare tecnologie militari, per esempio, e sacrificasse tutto
in installazioni di basi, sarebbe in contraddizione con i più
grandi obiettivi politici e molesterebbe gli alleati americani.
Inoltre,
il
processo
di trasformazione, anche se porta un cambio radicale, è
destinato a durare a lungo, a meno che non intervenga un evento
catastrofico e catalizzante – come una nuova Pearl Harbor.7”
Di
seguito, una tabella riassuntiva delle guerre americane:
* La Costituzione americana non prevede che il presidente
abbia la
capacità di dichiarare guerra poiché questo potere è
conferito al solo Parlamento. Perciò i presidenti hanno dovuto
far sempre ricorso ad un incidente di tipo militare per indignare
l’opinione pubblica a sufficienza per poi presentarsi al
Congresso a chiedere lo stato di belligeranza.
|