Perché siete sempre in crisi?
Un'ora di filo diretto a Radio Popolare Gabriele Polo risponde ai lettori-ascoltatori
Manuela Cartosio
Milano
Nel momento del bisogno la porta di Radio Popolare è sempre aperta per noi del manifesto. Tra poveri e liberi ci si capisce al volo e la solidarietà viene naturale. Ieri mattina l'emittente milanese ha sottoscritto a modo suo per questo giornale: un'ora di filo diretto con gli ascoltatori, in studio Gabriele Polo e Massimo Rebotti, direttore di Radiopop (che quest'anno compie trent'anni). In via Tomacelli hanno un problema, riassume Rebotti, per risolverlo s'impone una «manovra correttiva» da 4 milioni e mezzo di euro entro la fine dell'anno, e un milione e mezzo va trovato entro settembre. Gabriele preferisce chiamarla una «tassa sulla libertà», «un referendum in cui si vota pagando». Spiega che questa crisi è più «cattiva» delle precedenti perché «tutto attorno a noi è peggiorato». Dal sistema dell'informazione alle banche, dallo stato di salute della sinistra allo scarso appeal tra i giovani della carta stampata.
Poi una raffica di mail e di telefonate, tutte di lettori-ascoltatori. Una sola voce femminile, Emanuela, ed è la più critica: «Il giornale mi piace sempre meno. Lo vorrei più snello e coerente». Propone una terapia d'urto, «dimezzare le pagine e i lavoratori». Un giornale a 4-6 pagine funzionava negli anni Settanta, replica Gabriele, «quando si aveva un'idea in testa e si era sicuri che fosse quella giusta». Quanto ai lavoratori, «tagli ne abbiamo sempre fatti, altri ne faremo, ma concordati perché siamo un luogo e un collettivo solidale».
Andrea si impegna a comprare il manifesto tutti i giorni, anche se spesso ha tempo di leggere solo la prima pagina e nonostante l'ultima «buia riforma grafica» non lo stimoli. Per conquistare nuovi lettori, soprattutto giovani, occorre «un prodotto più aperto, luminoso, bello visivamente». Dopo l'estate, promette il nostro direttore, cercheremo di migliorare la grafica, «la pessima carta e il pessimo inchiostro» sono scelte obbligate per risparmiare.
Da Como telefona Antonio. Elenca tutte le sue medaglie: lettore dal primo numero, azionista, 15 copie da 50 mila lire comprate e rivendute «forzosamente» a parenti ed amici. Trova «spaventosa» l'ipotesi che «il mostro» sparisca dalle edicole. Darà anche questa volta ma, dio buono, «Radiopop è più brava a maneggiare i soldi, perché il manifesto ogni due anni è con l'acqua alla gola?». Alla domanda che si affaccia in tutti gli incontri di questi giorni Gabriele risponde con voluta «sfrontatezza»: l'esistenza del manifesto sarà sempre a rischio, le crisi periodiche accompagneranno sempre la vita di un quotidiano che ha come unici padroni i lettori e la cooperativa che lo edita. «C'è una tassa da pagare per la libertà. Significa che tutti dobbiamo metterci del nostro. Noi, con gli stipendi bassi. Voi, comprandoci in edicola e sottoscrivendo».
Come in tutti i microfoni aperti, la telefonata di chi vorrebbe «abolire» Alias suscita quella di chi grida «guai a voi se lo fate, io vi compro solo al sabato». Il nostro direttore lo tranquillizza: grazie al traino di Alias il sabato è il giorno in cui vendiamo più copie, «però vedi di comprarci tutti i giorni». Tremila copie in più non ballerine e il manifesto avrebbe risolto i suoi problemi. «Ma allora ho ragione io», interviene un ascoltatore, «è Liberazione a far fallire il manifesto. Quando smetterà la sinistra di farsi concorrenza?». Siamo due quotidiani diversi, replica il direttore, c'è spazio per entrambi, «il nostro problema è che non riusciamo a essere indispensabili per i tanti che ci leggono saltuariamente».
Arrivano consigli: le copie che tirate e non vendete regalatele alle scuole, così i giovani imparano a conoscervi. Gli organi d'informazione in cooperativa facciano «cartello» per ottenere un legge sull'editoria «pulita» che non regali soldi a chi già ne ha tanti con la pubblicità e i gadget. Il direttore di Radiopop si riserva l'ultima domanda: «Puntate sui soldi dei lettori, temendo che quelli di partiti, sindacati, associazioni vi condizionerebbero?». No problem, risponde Gabriele, «noi chiediamo soldi a tutta la sinistra dicendo in anticipo che non daremo nulla in cambio». Salvo continuare a esistere.
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Dal
Il ManifestoCiao,
Stefano