AFGHANISTAN ieri e oggi INTRODUZIONE L'esperienza dei sovietici Su un articolo di Le Monde del 22 settembre 2001, mentre gli americani si organizzavano per attaccare l'Afghanistan, il colonnello russo Iouri Shamanov, veterano della guerra in Afghanistan (persa dai russi 12 anni prima), dichiarava: "Se gli americani entrano in guerra, provo pietà per questi ragazzi, per le loro madri, le loro sorelle e i loro fratelli. Sarà dieci volte peggio del Viet-Nam." E poi: "Facendo soffrire la popolazione civile, i Russi divennero dei nemici per gli Agfhani. Gli americani dovranno evitare di ripetere i nostri errori." Alle sue parole si aggiungevano quelle del generale russo Boris Grumov, che raccomandava agli americani la lettura del testo "Afghanistan" di Fredrich Engels, scritto oltre un secolo prima, in relazione alle tre disastrose guerre Anglo-Afghane, nelle quali inutilmente la Gran Bretagna aveva cercato di impadronirsi del terrotorio afghano. "Se i membri del Politburo avessero letto questo libro - diceva Grumov nell'articolo - è altamente improbabile che avrebbero preso la decisione di intervenire [in Afghanistan] nel 1979." Come nacque il testo di Engels La critica al colonialismo, soprattutto inglese, costituisce naturalmente uno dei filoni principali del discorso politico della coppia Marx-Engels, a metà del XIX secolo. Partendo da un sunto che aveva fatto del libro di John W. Kaye, "History of the War in Afghanistan", nel 1857 Friedrich Engels scrisse un piccolo saggio, intitolato "Afghanistan", che analizzava il tentativo britannico di utilizzare i conflitti interni del paese per imporre il proprio dominio; tentativo che, come è noto, fallì miseramente. Nelle parole di Engels, che ci aiutano anche a comprendere le tipiche caratteristiche del popolo afghano, troviamo impressionanti analogie con la storia dei giorni nostri. Le lotte interne tribali, l’impossibilità di controllare centralmente da Kabul tutto il territorio afghano e soprattutto la determinazione degli afghani a non farsi sottomettere da alcun esercito straniero – i persiani nel ’700, gli inglesi nell’800, i sovietici alla fine del ‘900 e la NATO oggi – hanno sempre fatto parte del patrimonio storico afghano. Ma in questi ultimi giorni anche gli stessi combattenti, soprattutto di nazionalità uzbeca, che i mainstream media danno come legati ad Al-Qaeda, sono in guerra aperta con le milizie tribali del Sud Waziristan - quella terra di nessuno a cavallo tra Pakistan e Afghanistan - guidate proprio da persone che fino a ieri sarebbero state chiamate talebani e con cui erano un tempo alleati nella lotta contro l’esercito pachistano, ora invece alleato delle tribù in guerra contro i miliziani uzbechi. |
AFGHANISTAN - Di Friedrich Engels Afghanistan: vasto paese dell'Asia, a nord-ovest dell'India. In una direzione si estende tra la Persia e le Indie, nell'altra tra l'Hindukush e l'Oceano Indiano. In passato comprendeva le province persiane del Khorasan e del Kohistan, oltre che le regioni di Herat, Belucistan, Kashmir, Sind e una considerevole porzione del Punjab. All'interno dei suoi attuali confini probabilmente non vi sono più di 4 milioni di abitanti. La superficie dell'Afghanistan è molto irregolare - elevati altipiani, grandi montagne, profonde vallate e gole. Come tutti i paesi tropicali montagnosi, presenta ogni varietà di clima. Nell'Hindukush la neve copre le alte cime per tutto l'anno, mentre nelle vallate il termometro arriva fino a 130°F (54°C, ndt)... Sebbene la differenza tra temperature estive e invernali, e tra temperature diurne e notturne, sia alquanto pronunciata, il paese è generalmente salubre. Le principali malattie che si contraggono sono febbri, catarro e oftalmia. Occasionalmente si diffondono devastanti epidemie di vaiolo. Il suolo manifesta una fertilità esuberante. Le palme da dattero crescono rigogliosamente nelle oasi dei deserti sabbiosi; la canna da zucchero e il cotone nelle calde vallate; le frutta e gli ortaggi europei prosperano lussureggianti sulle terrazze dei fianchi montani fino a un'altitudine di 6.000 o 7.000 piedi. Le montagne sono coperte di splendide foreste abitate da orsi, lupi e volpi, mentre il leone, il leopardo e la tigre si trovano nelle regioni più adatte alle loro caratteristiche. Né mancano gli animali utili per l'uomo. Si alleva una bella varietà di pecora di razza persiana, o con la coda lunga. I cavalli sono di buone dimensioni e razza. Come bestie da soma si usano il cammello e l'asino, e si trovano capre, cani e gatti in notevole quantità. Oltre all'Hindukush, che costituisce una prosecuzione dell'Himalaya, nella parte sud-occidentale si erge la catena dei Monti Sulaiman e, tra l'Afghanistan e Balkh, quella del Paropamiso (...). I fiumi scarseggiano: i più importanti sono l'Helmand e il Kabul, i quali nascono entrambi dall'Hindukush. Il Kabul scorre verso oriente e si immette nell'Indo nelle vicinanze di Attock; l'Helmand scorre verso occidente e, dopo aver attraversato il distretto di Sistan, sfocia nel lago di Zirrah. (...) La cartina originale pubblicata nel 1857: notare il modo "inglese" (Cabool) in cui è scritto il nome della capitale. Le città principali dell'Afghanistan sono: Kabul, la capitale, Ghazni, Peshawar e Qandahar. Kabul è una bella città, situata a 340° di latitudine N e 60° 43° di longitudine E, sull'omonimo fiume. Gli edifici sono costruiti in legno, sono puliti e spaziosi, e la città, essendo circondata da bei parchi, ha un aspetto molto gradevole. Nei suoi dintorni sorgono diversi villaggi, nel mezzo di un'ampia pianura attorniata da basse colline. Il monumento principale è la tomba dell'imperatore Babur. Peshawar è una grande città, con una popolazione stimata intorno ai 100.000 abitanti. Ghazni, centro di antica fama, un tempo capitale del gran sultano Mahmud, ha subito un notevole declino ed è attualmente un povero villaggio. Nelle sue vicinanze è sepolto Mahmud. La fondazione di Qandahar è relativamente recente e risale al 1754. La città sorge sulle rovine di un antico insediamento e per qualche anno fu capitale; nel 1774 la sede del governo fu trasferita a Kabul. (...) Nei pressi si trova la tomba dello Shah Ahmed, fondatore della città, un luogo talmente sacro che neanche il re può ordinare la cattura di un criminale che si sia rifugiato tra le sue mura. La rilevanza politica La posizione geografica dell'Afghanistan e la particolare natura del suo popolo conferiscono al paese una rilevanza politica che, nell'ambito degli affari dell'Asia centrale, non sarà mai troppo sottolineata. La forma di governo è la monarchia, ma l'autorità di cui il sovrano gode sui suoi turbolenti e focosi sudditi è di tipo personale e molto indefinito. Il regno è diviso in province, ciascuna controllata da un rappresentante del sovrano, il quale raccoglie le tasse e le invia alla capitale. Gli afghani sono coraggiosi, intrepidi e indipendenti; si occupano esclusivamente di pastorizia e agricoltura, rifuggendo il commercio e gli scambi che sdegnosamente lasciano agli indù e ad altri abitanti delle città. Per loro la guerra è un'impresa eccitante e una distrazione dalla monotonia delle abituali attività. Gli afghani sono divisi in clan, sui quali i vari capi esercitano una sorta di supremazia feudale. Soltanto un odio irriducibile per l'autorità e l'amore per l'indipendenza individuale impediscono loro di diventare una nazione potente; ma questa stessa irregolarità e incertezza nell'azione li rende dei pericolosi vicini, capaci di essere sballottati dai venti più mutevoli o istigati da politici intriganti che eccitano astutamente le loro passioni. Le due tribù principali sono i durrani e i ghilzai, sempre in lotta l'una con l'altra (entrambe di etnia pashtun). I durrani sono i più potenti e, in virtù di tale supremazia, il loro amir o khan si è proclamato re dell'Afghanistan. Il suo reddito è di circa 10 milioni di dollari. Gode di autorità suprema solo all'interno della sua tribù. I contingenti militari sono forniti principalmente dai durrani; il resto dell'esercito è composto da membri degli altri clan o da soldati di ventura che si uniscono alle truppe sperando nella paga o nel bottino. Nelle città la giustizia è amministrata dai cadì, ma gli afghani raramente ricorrono alla legge. Le sanzioni decretate dai khan si estendono fino al diritto di vita e di morte. La vendetta di sangue è un dovere familiare; tuttavia, si dice che gli afghani siano un popolo liberale e generoso quando non vengono provocati, e che i diritti di ospitalità siano a tal punto sacri che se un nemico mortale riesce, anche con uno stratagemma, a mangiare pane e sale del suo ospite, egli diventa inviolabile, e può perfino pretendere la protezione di quest'ultimo contro ogni altro pericolo. Di religione sono maomettani sunniti, ma non intolleranti, e le alleanze tra sciiti e sunniti non sono affatto infrequenti. L'Afghanistan è stato soggetto alternativamente al dominio dei moghul e dei persiani. Prima che gli inglesi si insediassero sulle coste indiane tutte le invasioni straniere che spazzarono le pianure dell'Indostan provenivano immancabilmente dall'Afghanistan. Seguirono quella via il sultano Mahmud il Grande, Gengis Khan, Tamerlano e Nadir Shah. Nel 1747, dopo la morte di Nadir, Ahmed Shah, che aveva appreso l'arte della guerra al comando di quell'avventuriero, decise di liberarsi dal giogo persiano. Sotto il regno di Ahmed l'Afghanistan raggiunse l'apice della grandezza e della prosperità in tempi moderni. Ahmed apparteneva alla famiglia dei suddosi, e la sua prima azione fu quella di impadronirsi del bottino che il suo defunto capo aveva raccolto in India. Nel 1748 riuscì a cacciare il governatore moghul da Kabul e Peshawar e, dopo aver attraversato l'Indo, conquistò il Punjab. Il suo regno si estendeva dal Khorasan a Delhi, ed egli incrociò le armi anche con i potenti marathi. Tutte queste grandi imprese non gli impedirono tuttavia di coltivare alcune arti parifiche ed egli fu anche apprezzato poeta e storico. Morì nel 1772 e lasciò la corona al figlio Timur, che però non si dimostrò all'altezza del gravoso compito. Dissensi fra le tribù Abbandonò la città di Qandahar, che era stata fondata dal padre ed era diventata in pochi anni una città ricca e popolosa, e trasferì la sede del governo a Kabul. Durante il suo regno ripresero vigore i dissensi tra le tribù, in passato repressi dalla mano ferma di Ahmed Shah. Timur morì nel 1793 e gli successe Siman. Questo principe accarezzava l'idea di consolidare il potere maomettano in India e il suo progetto, che avrebbe potuto mettere in serio pericolo i possedimenti britannici, fu considerato così rilevante che Sir John Malcolm raggiunse la frontiera con il compito di tenere gli afghani sotto controllo nel caso in cui avessero effettuato qualche movimento; al tempo stesso vennero avviate trattative con la Persia in modo da stringere gli afghani tra due fuochi. Queste precauzioni non furono comunque necessarie; Siman Shah era più che occupato dalle cospirazioni e dai disordini in patria, e i suoi grandi progetti furono stroncati sul nascere. Il fratello del re, Mohammed, si gettò su Herat con l'intenzione di costituire un principato indipendente, ma, fallendo nel suo tentativo, fuggì in Persia. Nel 1809 Napoleone aveva inviato in Persia il generale Gardanne, nella speranza di indurre lo scià a invadere l'India; il governo indiano da parte sua aveva inviato un rappresentante alla corte di Sujah Shah per creare un fronte di opposizione contro la Persia. Fu in quest'epoca che Ranjit Singh acquistò potere e fama. Era un capotribù sikh e, grazie al suo genio, guadagnò al suo paese l'indipendenza dagli afghani e fondò un regno nel Punjab, assumendo il titolo di maharaja e conquistandosi il rispetto del governo anglo-indiano. L'usurpatore Mohammed, tuttavia, non era destinato a godere a lungo della sua vittoria. Il vizir Futteh Khan, che, spinto dall'ambizione o da interessi contingenti, aveva oscillato continuamente tra Mohammed e Sujah Shah, fu catturato da Kamran, figlio del re, accecato e quindi crudelmente assassinato. La potente famiglia del vizir ucciso giurò di vendicare la sua morte. Di nuovo fu avanzata la candidatura del fantoccio Sujah Shah e decretato l'esilio di Mohammed. Ma poiché Sujah Shah si rese responsabile di un'offesa, fu immediatamente deposto e al suo posto fu incoronato un fratello. Mohammed fuggì a Herat, di cui mantenne il possesso, e alla sua morte nel 1829 il figlio Kamran gli successe al governo di quel distretto. La famiglia dei Barakzay, conquistato il potere supremo, divise il territorio tra i propri membri i quali, secondo l'abitudine nazionale, continuarono a litigare tra di loro riunendosi soltanto di fronte a un nemico comune. Uno dei fratelli, Mohammed Khan, ricevette la città di Peshawar, per la quale pagava un tributo a Ranjit Singh; un altro ebbe Ghazni e un terzo Qandahar, mentre a Kabul dominava Dost Muhammad, il più potente della famiglia. Nel 1835 - in un periodo nel quale Russia e Inghilterra ordivano intrighi reciproci in Persia e in Asia centrale - presso Dost Muhammad, dominatore di Kabul, fu inviato come ambasciatore il capitano Alexander Burnes. Burnes presentò l'offerta di un'alleanza che Dost sarebbe stato lieto di accogliere, ma il governo angloindiano pretendeva tutto e non era disposto a dare niente in cambio. Nel frattempo, sostenuti e consigliati dai russi, i persiani posero l'assedio a Herat, città chiave per l'Afghanistan e per l'India; giunsero a Kabul un agente persiano e uno russo, e Dost, constatato il continuo rifiuto da parte dei britannici di prendere impegni concreti, fu infine praticamente costretto ad accettare le proposte dell'altra parte. Burnes lasciò Kabul e Lord Auckland, allora governatore generale dell'India, influenzato dal proprio segretario W. Macnaghten, decise di punire Dost Muhammad per ciò che egli stesso lo aveva obbligato a fare. Stabilì di detronizzarlo e di sostituirlo con Sujah Shah, che ormai si trovava sul libro paga del governo indiano. Fu così concluso un trattato con Sujah Shah; questi cominciò a radunare un esercito, pagato e comandato dai britannici, e una forza anglo-indiana fu concentrata sul Sutlej. Macnaghten, con Burnes come suo vice, doveva accompagnare la spedizione in qualità di delegato per l'Afghanistan. Nel frattempo, però, i persiani avevano tolto l'assedio a Herat e così venne a mancare l'unica valida ragione per intervenire in Afghanistan; nel dicembre del 1838, l'esercito marciò quindi sul Sind, regione che fu costretta all'obbedienza e al pagamento di un tributo in favore dei sikh e di Sujah Shah.
Una "mappa" aggiornata dei nuovi "warlords" che controllano oggi l'Afghanistan
L'esercito passa l'Indo Il 20 febbraio 1839, l'esercito britannico passò l'Indo. Era composto di circa 12.000 soldati, con un seguito di oltre 40.000 persone, oltre alle nuove truppe di Sujah Shah. In marzo fu attraversato il passo di Bolan; iniziò ad avvertirsi la mancanza di provviste e foraggio: i cammelli cadevano a centinaia e gran parte del bagaglio andò perduta. Il 7 aprile l'esercito arrivò al passo di Kojuk, lo attraversò senza incontrare resistenza e il 25 aprile entrò a Qandahar, che i principi afghani fratelli di Dost Muhammad avevano abbandonato. Dopo una sosta di due mesi, il comandante Sir John Keane avanzò verso nord con il corpo principale dell'esercito, lasciando a Qandahar una brigata al comando di Nott. Ghazni, la roccaforte inespugnabile dell'Afghanistan, fu conquistata il 22 luglio, dopo che un disertore ebbe informato i britannici che la porta di Kabul era l'unica a non essere stata murata; di conseguenza la città fu presa d'assalto in quel punto. Dopo questa disfatta l'esercito raccolto da Dost Muhammad sbandò immediatamente, e il 6 agosto si aprirono anche le porte di Kabul. Sujah Shah fu insediato nella sua carica, ma la vera direzione del governo rimase nelle mani di Macnaghten, il quale pagava anche tutte le spese di Sujah Shah attingendo alle casse indiane. La conquista dell'Afghanistan sembrava compiuta, e così gran parte delle truppe fu rispedita indietro. Ma gli afghani non erano affatto contenti di essere governati dai Feringhee Kaffirs (infedeli europei) e nel corso di tutto il 1840 e del 1841 le insurrezioni si susseguirono in ogni parte del paese. Le truppe anglo-indiane erano sempre all'erta. Tuttavia, Macnaghten dichiarò che per la società afghana si trattava di una situazione normale e inviò dispacci affermando che tutto procedeva bene e che il potere di Sujah Shah si stava consolidando. Fu vano ogni ammonimento dei militari e dei rappresentanti politici. Dost Muhammad, che si era arreso ai britannici nell'ottobre del 1840, fu tradotto in India; tutte le insurrezioni dell'estate del 1841 furono represse con successo e verso il mese di ottobre Macnaghten, nominato governatore di Bombay, si preparò a partire per l'India con un altro contingente militare. Fu allora che scoppiò la tempesta. L'occupazione dell'Afghanistan costava alle casse indiane 1.250.000 sterline all'anno: si dovevano pagare 16.000 soldati, tra anglo-indiani e truppe di Sujah Shah, di stanza nel paese; poi c'erano altri 3.000 uomini nel Sind e al passo di Bolan; gli sfarzi regali di Sujah Shah, i salari dei suoi funzionari e tutte le spese della corte e del governo, erano coperti dal denaro indiano e, inoltre, da questa stessa fonte si sovvenzionavano, o meglio si corrompevano i capi afghani affinché si tenessero fuori dalla mischia. Essendo stato informato dell'impossibilità di proseguire su questi livelli di spesa, Macnaghten tentò di arginare le uscite, ma l'unico modo praticabile sarebbe stato quello di tagliare gli appannaggi dei capi locali. Il giorno stesso in cui il tentativo fu messo in atto i capi ordirono una congiura diretta allo sterminio dei britannici e, di conseguenza, fu proprio Macnaghten a causare la concentrazione delle forze insurrezionali che fino ad allora avevano lottato isolatamente, senza unità né accordo, contro gli invasori. Tuttavia, è anche certo che, a quel punto, tra gli afghani l'odio per la dominazione britannica aveva raggiunto il suo apice. A Kabul gli inglesi erano comandati da Elphinstone, un anziano generale gottoso, irresoluto e molto confuso, i cui ordini erano perennemente in contraddizione l'uno con l'altro. Le sue truppe occupavano una sorta di accampamento fortificato, talmente esteso che i soldati della guarnigione riuscivano a malapena a coprirne il perimetro, e men che meno avrebbero potuto distaccare qualche unità per il combattimento sul campo. Assurdità militari Come se non bastasse, l'accampamento si trovava praticamente a tiro di schioppo dalle alture circostanti e, per coronare l'assurdità di una simile disposizione, tutto il materiale di approvvigionamento e quello sanitario erano depositati in due forti distaccati, a una certa distanza dall'accampamento, al di là di giardini cinti di mura e di un altro fortino non occupato dagli inglesi. Baia Hissar, la cittadella di Kabul, avrebbe potuto offrire all'intero esercito un acquartieramento invernale splendido e sicuro, ma per compiacere Sujah Shah, gli inglesi non ne presero possesso. Il 2 novembre 1841 ebbe inizio l'insurrezione. L'abitazione di Alexander Burnes, nel centro della città, fu assaltata e lui stesso assassinato. Il generale britannico non si mosse e la rivolta crebbe vigorosa grazie all'impunità. Elphinstone, assolutamente incapace di reagire, e in balia dei consigli più contrastanti, fece ben presto precipitare la situazione in quello stato confusionale che Napoleone descriveva con tre parole: ordre, contreordre, désordre. Si continuò a non occupare Baia Hissar. Contro le migliaia di insorti furono mandate alcune compagnie che, naturalmente, furono battute; ciò rese gli afghani ancora più intraprendenti. Il 3 novembre essi occuparono i fortini nei pressi dell'accampamento. Il giorno 9 conquistarono il forte del commissariato, riducendo gli inglesi alla fame. Il 5 Elphinstone aveva già parlato di negoziare un pagamento per lasciare il paese. Verso la metà di novembre la sua indecisione e la sua incapacità avevano talmente demoralizzato le truppe che né i soldati europei né i sepoy (truppe mercenarie indiane comandate da inglesi, ndt) erano ormai in grado di affrontare gli afghani in campo aperto. Quindi iniziarono le trattative, durante le quali, nel corso di una riunione con i capi afghani, Macnaghten fu assassinato. La neve cominciò a cadere, le provviste scarseggiavano. Il 1° gennaio si giunse alla capitolazione. Tutto il denaro, 190.000 sterline, doveva essere consegnato agli afghani, oltre a 140.000 sterline in promesse sottoscritte di pagamento. L'artiglieria e le munizioni, a parte 6 pezzi da sei libbre e 3 cannoni da montagna, dovevano essere lasciate in loco. Tutto l'Afghanistan doveva essere evacuato. I capitribù, da parte loro, promisero un salvacondotto, rifornimenti e bestiame per il trasporto. Il 5 gennaio gli inglesi si misero in marcia con 4.500 soldati e un seguito di 12.000 persone; una marcia durante la quale sparirono anche gli ultimi residui di ordine, con militari e civili che si confondevano in maniera irreparabile rendendo impossibile qualsiasi tipo di resistenza. Il freddo e la neve, e la mancanza di cibo, agirono come durante la ritirata di Napoleone da Mosca. Ma invece che dai cosacchi che si mantenevano a debita distanza, gli inglesi furono incalzati dai furibondi tiratori scelti afghani piazzati su ogni altura e armati con fucili a miccia a lunga gittata. I capi che avevano firmato la capitolazione non potevano né volevano tenere sotto controllo le tribù montane. Il passo di Kurd-Kabul divenne così la tomba di quasi tutto l'esercito, e i pochi superstiti (tra cui meno di 200 europei) caddero all'ingresso del passo di Jugduluk. Un solo uomo, il dottor Brydon, riuscì a raggiungere Jalalabad e a raccontare ciò che era accaduto. Molti ufficiali, tuttavia, erano stati catturati dagli afghani e fatti prigionieri. Jalalabad era presidiata dalla brigata di Sale. Gli fu intimata la resa, ma egli rifiutò di abbandonare la città; lo stesso fece Nott a Qandahar. Ghazni era caduta; in città non c'era nessuno che s'intendesse di artiglieria, e i sepoy della guarnigione avevano ceduto a causa delle condizioni climatiche. Nel frattempo, appena venute a conoscenza della disfatta di Kabul, le autorità britanniche di stanza lungo la frontiera avevano concentrato a Peshawar alcune truppe destinate a portare soccorso ai reggimenti in Afghanistan. Ma mancavano i mezzi di trasporto e i sepoy caddero ammalati in gran numero. In febbraio il comando fu assunto dal generale Pollock, il quale ricevette nuovi rinforzi alla fine di marzo del 1842. Egli quindi si aprì la strada attraverso il passo di Khaybar e puntò su Jalalabad per andare a soccorrere Sale. Riguadagnare l'onore nazionale Lord Ellenborough, nuovo governatore generale dell'India, ordinò l'immediato ritiro delle truppe, ma sia Nott sia Pollock addussero come scusa la mancanza di mezzi di trasporto. Infine, ai primi di luglio l'opinione pubblica in India costrinse Lord Ellenborough a prendere provvedimenti per riguadagnare l'onore nazionale e il prestigio dell'esercito britannico; egli quindi autorizzò l'avanzata su Kabul da Qandahar e da Jalalabad. Verso la metà di agosto Pollock e Nott si accordarono sui rispettivi movimenti e il giorno 20 Pollock mosse verso Kabul; raggiunse Gundamuk, sbaragliò un corpo di afghani il 23, superò il passo di Jugduluk l'8 settembre, sconfisse le truppe nemiche riunite a Tezin il 13 e si accampò il 15 sotto le mura di Kabul. Nott nel frattempo aveva lasciato Qandahar il 7 agosto, dirigendosi a Ghazni con tutti gli uomini a sua disposizione. Dopo alcuni scontri di minore entità, sgominò un notevole contingente di afghani il 30 agosto, prese possesso il 6 settembre di Ghazni, che era stata abbandonata dal nemico, distrusse le fortificazioni della città, sconfisse nuovamente gli afghani nella loro roccaforte di Alydan e il 17 settembre giunse nei pressi di Kabul, dove si mise in contatto con Pollock. Sujah Shah era stato assassinato già da tempo da un capotribù e, da quel momento in poi, l'Afghanistan non aveva avuto alcun governo regolare, anche se nominalmente il re era Futteh Jung, il figlio di Sujah Shah. La distruzione del bazar di Kabul fu decisa come atto di ritorsione e in tale circostanza i soldati saccheggiarono parte della città e massacrarono numerosi civili. Il 12 ottobre i britannici lasciarono Kabul e marciarono, attraverso Jalalabad e Peshawar, in direzione dell'India. Futteh Jung, disperando per la sua sorte, si unì a loro. Dost Muhammad fu liberato e fece ritorno nel suo regno. Così si concluse il tentativo dei britannici di creare con le loro mani un sovrano per l'Afghanistan. Friedrich Engels
Scritto nel mese di luglio e nella prima decade di agosto del 1857. Pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. I, 1858. Il testo inglese con annotazioni. (Purtroppo non è stato possibile risalire al nome del traduttore in italiano, che ci impegnamo a citare non appena ci venisse comunicato). Il testo originale in tedesco. Il sunto di Engels del libro di John W. Kaye, "History of the War in Afghanistan", su cui ha basato questo saggio. Gli altri lavori di Marx-Engels sul colonialismo inglese. L'introduzione è di Enrico Sabatino (Torna all'articolo per i commenti) |