Lo stupro è una violazione sostanziale dell’integrità psico-fisica di una donna. Si tratta di un evento di violenza e drammaticità estreme, che può anche condurre alla disintegrazione psichica della persona che la subisce: se allo stupro consegue una gravidanza, essa va inquadrata a partire da questa consapevolezza. Lo stato individuale della vittima di uno stupro si può considerare, se del caso, come uno stato di malattia grave, e si può valutare che il portare a termine la gravidanza rappresenti per essa un compito troppo arduo da sostenere. Può essere considerato come uno di quei casi in cui la gravidanza mette a rischio la sopravvivenza della madre (in questo caso, la sopravvivenza “psichica”). Si tratta di uno di quei casi, drammatici, in cui due “diritti” alla vita entrano in conflitto. Lo stesso sentimento di salvaguardia che mi spinge ad evitare che il bambino sia abortito, mi spinge anche a salvaguardare la sopravvivenza, non semplicemente biologica, della madre. Ma si tratta di casi estremi, casi in cui si ritrova quella controparte altrettanto fondamentale dell’atto di abortire che dicevo. Sono due cose, tragiche e smisurate, a confronto. Dovendo scegliere, la mia coscienza mi porta a scegliere la salvaguardia della madre. Ma è una scelta sofferta, comunque dolorosissima. Dilaniante. E però è uno strazio a cui non si deve (con l’odierna ributtante piccineria umana travestita da equilibrata ragionevolezza) cercare opportunisticamente di sottrarsi tramite l’impersonalità di comode regolette ufficiali su “quando un feto diventa un individuo” e puttanate simili. Siamo nel cuore dell’essenza umana, e l’essenza umana è, al fondo, di fronte ad eventi primari come quelli in discussione, intrinsecamente incerta e drammatica; ma in tali incertezza e drammaticità c’è il valore più vero che possiamo trovare in noi stessi, perché è quella la fonte del nostro coinvolgimento nelle cose. Senza, ci rimane solo il ruolo di tiepidi spettatori di eventi tutto sommato futili. Ancora una volta, in culo a questo mortifero approccio di merda.
Altro approccio di merda è quello sulla pretesa insindacabilità delle scelte individuali, la cui rivendicazione per gli altri rispecchia solo la pretesa di permanente assoluzione preventiva per sé stessi, qualunque cosa si possa mai fare, in un’ottica di totale deresponsabilizzazione personale perfettamente in linea con il capriccioso infantilismo di tanta parte degli “adulti” contemporanei; “adulti” che, piuttosto di farsi carico di un impegno vincolante nei confronti di chicchessia, di assumersi dei (orrore!!!) doveri, sono tranquillamente disposti a calpestare il mondo intero. Un infantilismo che, col suo feroce egocentrismo, impedisce anche la costruzione di qualunque vera socialità, visto che, rifiutando al proprio prossimo la facoltà di giudicare legittimamente gli atti individuali, rifiuta di fatto la base stessa della socialità: la comune, almeno sugli assunti e sui valori fondamentali, visione delle cose, e il reciproco impegno su tale base. Alla fine dei conti, è nient’altro che il rifugiarsi in un misero, meschino solipsismo esistenziale, rivendicando invece ridicolmente di passare per Ricercatori dell’Autenticità. E via a cianciare di Vita felice, di consapevolezza, di libertà, di Etica. Ma vaffanculo! Adoratori del Proprio Ego, ecco cosa. Il resto è bella retorica.
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