pispax:
Se gli ebrei/sionisti/israeliani ponessero la questione RAZZIALE i primissimi sui quali agire insieme ai palestinesi sarebbero per l'appunto proprio i loro concittadini arabi; che, insomma, sono più di un milione.
Però non lo fanno.
Anzi.
shm:
La prima notizia capitata sottomano...
Contro la discriminazione degli arabi israeliani, la battaglia di Sawt el-Amel
“In Israele un cittadino su cinque è un arabo palestinese, tra questi sono quasi 1,4 milioni i cittadini esclusi dai benefici della cittadinanza e dell'economia nazionale”.
Wehbi Badarni, è il leader di Sawt el-Amel (“La voce dei lavoratori”), un giovane sindacato che opera all’interno dei territori occupati dallo stato di Israele, fondato nel 2000 dai lavoratori arabi di Nazareth per difendere e promuovere il diritto al lavoro e alla sicurezza sociale.
E il lavoro non manca, vista “l’estrema povertà e le innumerevoli difficoltà che incontriamo a causa della forte discriminazione operata dallo Stato d’Israele”, afferma Badarni.
“Tra i lavoratori palestinesi il tasso di disoccupazione è elevatissimo, senza contare che i cittadini arabi vanno incontro a enormi difficoltà e restrizioni per accedere agli aiuti previdenziali pubblici”.
Per esempio “nell’eventualità in cui un disoccupato venga sorpreso a guidare un’automobile, i sussidi vengono immediatamente annullati e c’è l’obbligo di restituire per intero tutte le somme già ricevute, oltre al pagamento di una multa”.
Il governo ha istituito perfino un’unità di polizia con l’obiettivo dichiarato di controllare i disoccupati e le loro infrazioni.
Secondo Badarni il movimento sindacale ha bisogno di un maggior sostegno e solidarietà perché “c’è troppa poca attenzione rispetto alle condizioni dei lavoratori palestinesi in Israele”, ma la questione tuttavia non è legata solo ed esclusivamente al movimento sindacale. “Abbiamo bisogno di una nuova leadership che si faccia carico delle speranze e del futuro del Paese e solo la classe media può farlo”.
Nel frattempo le voci di una terza intifada si rincorrono nei media internazionali, ma - secondo il sindacalista palestinese - “non c’è ancora unità d’intenti tra sindacati e partiti palestinesi sugli obiettivi e le forme di protesta da mettere in campo”.
http://www.osservatorioiraq.it/modules.php?name=News&file=article&sid=9107e l'intervista:
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=31792EDIT
ma anche:
Arabi israeliani tra lealtà e identità
Vi è qualcosa di non detto, in tutta la discussione in corso in Israele sul problema degli arabi israeliani. Lieberman, il leader di Yisrael Beiteinu che ha ottenuto il più forte successo alle ultime elezioni arrivando ad essere il terzo partito del paese con 15 seggi, ne ha fatto uno dei temi centrali della sua campagna elettorale, con lo slogan ”No citizenship without loyalty”, niente cittadinanza senza lealtà. Egli reclama una sorta di giuramento di fedeltà allo Stato ebraico da parte di questi cittadini che ebrei non sono; sostiene che tutti debbano fare il servizio militare, arabi e religiosi ortodossi compresi, che oggi ne sono esentati; propone lo scambio tra i territori israeliani più densamente popolati dagli arabi, come la Galilea e il cosiddetto Triangolo, con le aree della Cisgiordania ove sono stati costruiti i maggiori insediamenti ebraici. Questo anche per garantire il carattere ebraico di Israele, risolvendo così la sfida demografica che il più alto tasso di natalità della popolazione araba pone.
Ma le risposte finora date al leader della destra laica si sono rivelate insufficienti. Ci si limita ad affermare la necessità di assicurare pari diritti a tutti i cittadini, in nome della democrazia, superando le discriminazioni e le disuguaglianze di cui soffrono gli arabi, come unica strada possibile per assicurarne la lealtà allo stato. Ma come si può chiedere agli arabi israeliani di essere leali ad uno Stato ebraico che sostanzialmente misconosce la loro esistenza come minoranza?
La cosa più contraddittoria è che molti esponenti arabo-israeliani esitano a chiedere questo riconoscimento, perché temono così di aumentare la diffidenza della maggioranza ebraica e di danneggiare quindi la lotta per l’uguaglianza. Certo, la questione esiste. I comuni arabi hanno meno finanziamenti di quelli ebraici a parità di popolazione, e il mancato assolvimento del servizio militare crea una serie di svantaggi, nell’accesso ad esempio all’edilizia popolare, all’università, al pubblico impiego...
Il problema si è andato acuendo negli ultimi anni: il punto di crisi può essere individuato nella cruenta repressione delle manifestazioni dell’ottobre 2000, con l’esplodere della seconda intifada, quando 13 arabi israeliani vennero uccisi dal fuoco della polizia, facendo esplodere il crescente sentimento di angoscia, frustrazione e collettiva alienazione di quei cittadini rispetto allo Stato e alla maggioranza ebraica. Ma ancora in tempi recenti si sono verificati gravi incidenti, come i gravi scontri tra arabi e ebrei, verificatisi ad Acco durante la festa del Kippur dell’anno passato, o anche le tensioni registratesi in occasione delle ultime elezioni.
Come conseguenza, le posizioni delle organizzazioni più rappresentative di questa minoranza hanno avuto una forte radicalizzazione, arrivando a chiedere il superamento della stessa concezione fondativa di Israele in quanto Stato ebraico ed auspicando la creazione di uno Stato di tutti i cittadini, su basi di piena uguaglianza, senza distinzioni religiose o etniche. Ma ciò porterebbe alla fine dell’unico Stato ebraico esistente, e questo può essere difficilmente accettato dalla maggioranza ebraica del paese. Parallelamente, quegli avvenimenti hanno provocato una crescente sfiducia e diffidenza da parte di quella maggioranza, dando forza alle proposte e ai pronunciamenti antiarabi di Lieberman.
Il forte scontento dei palestinesi israeliani deriva in realtà da un coacervo di fattori: essi rappresentano il 20% della popolazione israeliana, e sono a tutti gli effetti una minoranza etnica, parte di una popolazione originaria preesistente alla stessa nascita dello Stato. Ad essi, in quanto individui, è riconosciuta una uguaglianza teorica, lungi peraltro dall’essere assicurata. Ma non è riconosciuta una identità complessiva. Ciò è sicuramente una causa non secondaria nel rafforzamento, al loro interno, delle componenti più dure. La situazione ricorda, paradossalmente, quella degli ebrei all’epoca della Rivoluzione Francese: “tutti i diritti agli ebrei in quanto individui, nulla in quanto popolo”. Gli arabi israeliani - o per meglio dire i palestinesi israeliani come oramai scelgono di chiamarsi - sono, e si sentono, parte del popolo palestinese, e della sua storia tormentata.
Se il problema della loro esistenza, in uno Stato che si definisce ebraico, passa per il loro riconoscimento come minoranza etnica, tutelata da diritti collettivi, la loro aspirazione nazionale in quanto popolo può essere soddisfatta attraverso la creazione di uno Stato palestinese, fuori di Israele, a cui tuttavia essi possano guardare: così come gli ebrei della diaspora possono essere cittadini leali dei loro Paesi, e guardare a Israele come riferimento per le loro aspirazioni nazionali in quanto popolo. E’ questa l’unica soluzione intermedia percorribile, se si vogliono evitare improbabili tentativi di assimilazione forzosa, ancor più pericolose derive fondamentalistiche o l’affermarsi della proposta di uno Stato israeliano di tutti i cittadini, privo di caratteristiche ebraiche, se non di uno Stato unico binazionale su tutta la Palestina storica. La maggioranza ebraica e la sua leadership, tuttavia, sono ancora ostili a tale riconoscimento, perché temono che ciò possa costituire un indebolimento dello Stato e della sua unità.
Vi sono tuttavia esperienze nel mondo che dimostrano che questa è una via percorribile e funzionale. Mi riferisco al caso della minoranza tedesca in Alto Adige, che è riconosciuta collettivamente dallo Stato italiano come minoranza linguistica, non solo con uguali diritti rispetto agli altri italiani, ma con specifici diritti a loro tutela in quanto minoranza: un’ampia autonomia finanziaria, la proporzione nel pubblico impiego, l’uso della lingua, la gestione delle scuole. Un riconoscimento concordato con l’Austria, che di quella minoranza costituisce storicamente nazione di riferimento. Negli anni ’60 in Sud Tirolo ci furono bombe e attentati per chiedere la secessione, mentre oggi la situazione è calma. Italiani e tedeschi non si amano, ma convivono in pace. Nel maggio scorso una qualificata delegazione di esperti israeliani, arabi e ebrei, è venuta in Alto Adige, su iniziativa del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO) e su invito della Provincia di Bolzano, e ha concluso che lo studio di tale esperienza può essere di grande utilità anche per Israele.
Concludendo, se la maggioranza di quel paese vuole conservare il carattere di Stato ebraico dello Stato, l’unica via realistica pare quella di riconoscere e tutelare la sua minoranza araba in quanto tale e, insieme, di procedere speditamente sulla via della pace, accettando la creazione di uno Stato palestinese al suo fianco.
http://www.cipmo.org/1501-indice-editoriale/arabi-israeliani-identita-lealta.htmlnell'edilizia...
estratti:
Lavoratori arabi in Israele – Discriminazione istituzionale
Il fatto che il Cancelliere desideri ostacolare o addirittura fermare completamente l’attività di Wac non è un caso eccezionale nei rapporti governativi con la minoranza araba e le organizzazioni che la rappresentano. Wac è minacciato di chiusura non perché abbia infranto una qualunque legge e non perché non stia riuscendo a raggiungere gli obiettivi per cui è stato creato, piuttosto è vero il contrario: funziona sistematicamente contro la discriminazione dei lavoratori arabi ed è riuscito a mettere la questione dei lavoratori arabi in Israele all'ordine del giorno. Israele non dà ai suoi cittadini arabi uguali diritti (si noti che usiamo la frase “cittadino arabo” per distinguerli dai “palestinesi nei territori occupati” benché entrambi facciano parte dello stesso popolo) e anche se - per la legge - ogni cittadino arabo ha diritto allo stesso budget per sviluppo, occupazione e formazione, gli arabi in Israele soffrono di una discriminazione per motivi etnici.
L'economia israeliana è quindi sviluppata in modo tale da escludere gli arabi dai settori centrali nell'economia: nel suo saggio sull'economia araba in Israele, il dottor Aziz Haidar ha concluso che – dalla costituzione dello Stato d’Israele nel 1948 – la comunità araba ha perso la maggior parte delle sue risorse territoriali a causa di una sistematica espropriazione, mentre non può ottenere i permessi per lo sviluppo industriale. In tre decenni, questi due fattori hanno trasformato una società agricola in una di lavoratori nelle zone industriali ebraiche. (Aziz Haidar, Gli arabi nell’economia israeliana.) Secondo la legge israeliana per le pari opportunità, i cittadini arabi dovrebbero avere un trattamento di parità nel mercato del lavoro, ma in realtà le “ragioni di sicurezza” sono usate spesso senza validi motivi per escluderli dai lavori migliori. Secondo il dottor Haidar i lavoratori arabi “presentano forti somiglianze con i lavoratori migranti”: occupano le posizioni più basse in tutti i settori del mercato del lavoro, le loro condizioni di lavoro sono peggiori di quelle degli ebrei e sono molto più vulnerabili alle fluttuazioni economiche.
Il risultato di tutto questo è una bassa percentuale di partecipazione al mercato di lavoro e alti livelli di povertà. Fra i cittadini arabi in età di lavoro, soltanto il 39% ha un’occupazione (Statistiche anno 2003), rispetto al 57% di tutto Israele. Per quanto riguarda le donne, lavora soltanto il 17,1% delle arabe, contro il 53,8% delle ebree (Statistiche anno 2003). Negli ultimi dieci anni la disoccupazione si è trasformata nel problema maggiore per i lavoratori arabi in Israele. In molte città, il tasso di disoccupazione raggiunge il 20% o più. L’Adva center, un istituto di ricerca israeliano, ha indicato che in Israele lo stipendio lordo medio nelle città ebraiche è quasi due volte quello delle comunità arabe. Il reddito mensile medio nel settore ebraico è di 9,363 nis (circa 1.700 euro), mentre quello nel settore arabo è 5,252 nis. (Dal sito Adva.)
Contro disoccupazione e discriminazione
Wac è stata fondata nella metà degli anni Novanta per iniziativa di Oda, partito di sinistra, socialista, i cui iscritti includono cittadini israeliani sia arabi che ebrei, per due fattori concomitanti, il primo politico (gli Accordi di Oslo) e il secondo economico (la globalizzazione), che hanno annunciato una nuova era per Israele, ma per i palestinesi dei territori occupati e per la popolazione araba in Israele hanno significato chiusura e disoccupazione.
È stato presto evidente che usando come leva l'accordo artificiale di pace con i palestinesi, l'istituzione economica in Israele stava cercando di rivoluzionare lo status di Israele nel mondo: i lavoratori palestinesi sono stati confinati nei territori, apparentemente per motivi di sicurezza, e industrie come quella tessile e alimentare sono state smantellate e spostate verso gli Stati arabi e l'Asia orientale. Israele ha aperto i propri mercati alle importazioni e per alzare i profitti ha esportato molto capitale negli Stati vicini.
Questo processo ha dato un colpo mortale ai lavoratori arabi di Israele. L’industria tessile, che impiegava principalmente donne arabe, è stata liquidata creando molta disoccupazione femminile. Per quanto riguarda l'agricoltura e l'industria edilizia, un’altra fonte vitale di occupazione per gli arabi, il governo ha deciso di utilizzare lavoratori stranieri per sostituire la forza lavoro palestinese. Inizialmente sono stati più colpiti i palestinesi dei territori occupati, ma successivamente 35.000 lavoratori arabi, cittadini di Israele, si sono trovati senza lavoro non perché non ce ne fosse, ma perché i costruttori hanno preferito mano d’opera debole e schiava. In pochi anni il numero di lavoratori stranieri è aumentato drasticamente: nel 2000 erano 75.000 solo nell'industria edilizia (fra loro circa 45.000 con il permesso e gli altri 30.000 che lavorano illegalmente).
C’era un altro fattore importante in questo processo. Nel 1994, l’Histadrut ha subìto un cambiamento strutturale significativo. Al centro di questo cambiamento c’era la spaccatura fra il Fondo per la sanità e la sezione sindacale dell’Histadrut, per cui dal 1995 in poi soltanto quelli che lavoravano dove c’era un accordo con l’Histadrut erano suoi membri e dal momento che la maggior parte dei lavoratori arabi non lavoravano nei posti dove c’era un accordo, il numero di iscritti di Histadrut dal settore arabo è sceso in quegli anni da 280.000 a 50.000.
Oda guardava con preoccupazione a questi processi politici ed economici e nel 1998 ha deciso di dare un indirizzo alle decine di migliaia di lavoratori arabi recentemente disoccupati che erano stati espulsi dal paradiso illusorio del “nuovo Medio Oriente”: questo indirizzo era Wac. Vale la pena ricordare che l’allora Cancelliere delle associazioni senza scopo di lucro, noto per le sue simpatie di destra, rifiutò di registrarlo e i fondatori di Wac sono così ricorsi al tribunale, che nel 2000 ha costretto il Cancelliere a registrarlo. Tuttavia, da quel momento, il Cancelliere ha cercato i modi per tramare contro Wac e interferire nel suo lavoro.
La maggior parte delle attività di Wac durante quegli anni hanno riguardato i disoccupati: a Nazareth si sono trasformati in una presenza permanente nell'ufficio di collocamento cittadino, fornendo consulenza, e il fatto di occuparsi di centinaia di disoccupati lottando collettivamente contro l'arbitrarietà del sistema hanno fatto guadagnare a Wac la reputazione di un’organizzazione che difende seriamente i diritti dei lavoratori. Nell’estate del 2000, Wac ha anche aperto una sezione a Gerusalemme est per aiutare migliaia di disoccupati a ottenere i loro legittimi diritti.
http://www.workersadvicecenter.org/Notizie-Int1.htm