Il "vuoto" non è "altrui" perché è di tutti in generale e di nessuno in particolare...
Ma voi due (anzi voi tre, con Fini), secondo voi, avreste una visione generale della societa', concretamente legata alla sua realta', o vi limitate a decifrare e trarre conclusioni dai risultati ottenuti da questa stessa societa'?
I risultati ottenuti sono corrotti da altri interessi. Cio' che si manifesta nella societa' moderna, io sostengo sia, non la concretizzazione dei voleri della popolazione, e nemmeno dell'attuazione dei suoi idealismi, ma l'affermazione di modelli di omologazione.
Inoltre, ho come la sensazione che voi stiate valutando la percezione, del tutto influenzata dal come viene presentata e letta e non per come davvero e' vissuta, della concezione di societa'.
La perdita dei valori e' contestabile in generale, si, ma e' una prevaricazione della realta' il valutarla definitivamente e diffusamente cosi'. E' in questi termini che va letto il commento " Non ci si puo' deprimere per il "vuoto" altrui".
E poi: C'e' differenza tra il valutare le azioni di qualcuno che opera consciamente secondo i propri ideali e colui che operi, costretto dagli eventi, nella direzione opposta ai suoi, o no?
Questo affermavo.
Se si sta affermando che i valori guida della nostra attuale cultura sono forzati da altri interessi e sono lontani da quelli che si affermerebbero in assenza dell’azione di tali interessi ristretti, posso serenamente concordare.
Se si sta invece affermando che tale forzatura non comporti una assunzione e interiorizzazione di tali valori - tale da trasformare in profondità e saldamente chi vi è assoggettato - allora non ci siamo. Attualmente i voleri della popolazione - di una sua vasta e preponderante fascia - coincidono a perfezione con gli obiettivi che le sono stati proposti attraverso i suddetti “modelli di omologazione”, e tale parte di popolazione è agente convinto e attivo nel sostentamento dello status quo (e nel suo ulteriore deterioramento).
Pensare la situazione come se l’identità della popolazione sia equivalente ad una palla tenuta a forza sotto la superficie dell’acqua - e che quindi possa riemergere sostanzialmente integra e invariata non appena cessi la forza che la costringe - è una stupidaggine. L’identità - collettiva, ma anche individuale - é semmai più simile ad una spugna, e quindi assai sensibile a cị in cui é immersa, che assorbe e di cui gradualmente si satura. E nessuno - neanche i qui presenti, per quanto svegli e acuti - é immune. Qualche post fa, in questa stessa discussione, ho paragonato il contesto sociale ad un brodo in cui si cuoce: ogni ingrediente che vi cuocia - per quanto all’origine del tutto estraneo alla natura del “brodo” - ne assume in misura più o meno profonda l’aroma e il sapore, e cambiarglieli, laddove non sia ormai semplicemente impossibile, di sicuro non è impresa facile.
Teniamo poi presente che nel contesto sociale si impara - cioè ci si struttura! ci si fonda! - assai più attraverso la condivisione di pratiche che attraverso la - sopravvalutatissima, attualmente - speculazione intellettuale.
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