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   Scienze Economiche
  scusate la presunzione ma questa è la mia teoria

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  •  a_mensa
      a_mensa
scusate la presunzione ma questa è la mia teoria
#1
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 12/6/2009
Da roncello (mi)
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Teoria monetaria
Nei vari dibattiti che si sono succeduti , qui, su LC, su temi economici, mi sono accorto solo ora di aver postato seguendo il mio pensiero, che però, non risponde a nessuna scuola economica.
La austriaca, ad esempio, mi sembra che non tratti adeguatamente il collegamento tra quella che chiama inflazione monetaria (aumento della massa monetaria, che sia M1, M2 o M3), con le conseguenze sui prezzi e quindi sulla svalutazione della stessa.
Mande, mi ha rimandato a Pascucci e ad Auriti, ma come ho cominciato a leggere quanto sostenevano, hanno cominciato ad evidenziarsi le obiezioni.
Molto presuntuosamente ho quindi cominciato a pensare che i pensieri a cui faccio riferimento, e che mi sembrano di una banalità lapalissiana, costituiscano una nuova teoria economica.
Forse non sono sufficientemente colto in materia per capire se effettivamente sto parlando di una novità o se sto ritritando concetti già espressi e magari sorpassati, quello che però mi si evidenzia è che facendo riferimento ad essi trovo immediatamente quanto negli altri scritti si allontani dalla realtà riscontrabile in ogni momento di un giorno qualsiasi.
Porto ad esempio quanto sostiene, ed ha sostenuto in tribunale Auriti, che non si sa di chi sia il denaro, mentre dovrebbe essere del popolo che lo usa.
Per prima cosa non è indispensabile sapere di chi sia un bene per usarlo, basta pensare all’aria o all’acqua (di quest’ultima NON viene fatta pagare l’acqua, ma il servizio relativo all’acqua di portarla fin dentro casa, di filtrarla, di garantirne un certo grado di purezza, ecc…).
Di un bene occorre conoscere l’eventuale proprietario solo nel caso che questi pretenda un pagamento per l’uso che ne faccio. Quindi se nessuno mi chiede un pagamento per usarlo o tenerlo, ma solo per il servizio di rendermelo disponibile, di controllarne la quantità per preservarne il valore (non riuscendovi ovviamente) ecc… al limite potrei reclamare perché mi fa pagare un servizio che non mi da, o mi da male, ma non per la proprietà, in funzione della quale nessuno mi ha mai chiesto nulla.
Il denaro deve essere del popolo …. Ma niente di più facile, basta non mettere la data sugli assegni, non indicare i trasferimenti, ed è già possibile che il popolo emetta moneta.
Quanto pensate che reggerebbe un sistema nel quale ognuno è libero di emettere la propria moneta ?
E poi allora che fa, conia i simec d’argento, gli imprime un valore facciale di 200.000 simec su un pezzo d’argento del valore di qualche euro, e poi pretende di cambiarlo con 200 euro.
Altro buco, perché se prima non si da un valore all’argento e poi a cosa posso comprare con tale moneta, ho solo creato una fonte enorme di signoraggio alternativo e privato.
Quindi ho smesso di leggere, perché non sono interessato a trovare le magagne nei ragionamenti altrui, preferisco dedicarmi a trovarle nei miei, ma su tanto che ci abbia provato, sul seguente non riesco a trovarne. Mi aiuta qualcuno ?
Il punto di partenza attorno a cui tutto mi pare ruoti senza ne contraddizioni ne carenze, è il valore.
Ho definito il valore come quell’attributo personale, che ogni persona da ad un bene (o servizio) in un certo ambiente (luogo e tempo), e che esprime la desiderabilità che la persona ha per tale bene.
Il concetto di valore, ho detto in una occasione, comincia a crearselo il poppante in relazione al seno materno.
Definito questo, è chiaro che ogni bene potrà avere un valore diverso a seconda di chi ne viene in relazione.
Se io possiedo un bene che non mi serve più, e vengo in contatto con una persona che cerca da tempo proprio quella cosa, verranno a confronto due valori molto distanti tra loro, e, se lo cederò, lo cederò ad un valore che sarà sicuramente compreso tra il mio e il suo. Più sarò bravo nel cederlo, più tale valore di scambio risulterà vicino a quanto lui era disposto a dare, mentre invece se sarà lui ad essere un ottimo acquirente tale valore di scambio sarà vicino al valore da me attribuito.
Prezzo, quindi non è altro che il valore al quale si effettua uno scambio.
Con una simile definizione appare evidente che è troppo difficile confrontare, o peggio ancora, misurare il valore.
Riporto per chiarezza la definizione del verbo misurare che non significa altro che confrontare una certa grandezza con un’altra dello stesso tipo, assunta come campione. La caratteristica essenziale del campione consiste nel conservare la propria grandezza costante nel tempo, nel luogo e nella condizione.
Ma iniziamo prima a vedere come confrontare il valore che attribuiamo ad un certo bene.
Niente di più facile che girare lo sguardo intorno e confrontare il valore che ha per noi tale bene col valore che hanno, sempre per noi altri beni.
Solo così potrò cominciare a pensare che, il bene in questione varrà per me come 1 chilo d pane, oppure come 200 caramelle, oppure poter guardare un film, ecc …. Con più beni lo confronterò e più precisa sarà la mia valutazione.
La persona con la quale potrei scambiare il bene in questione, potrebbe dare valutazioni diverse, magari per lui il chilo di pane vale come 300 caramelle, e magari i films non lo interessano per nulla, ecc…
Quindi pur avendo ognuno dei due ben chiaro qual è il valore dell’oggetto e quale sarebbe il valore al quale faremmo lo scambio, la scelta del “con cosa” scambiarlo, potrà essere oggetto di ulteriore trattativa, ricercando ovviamente il bene che permette il maggior vantaggio per entrambi.
In teoria.
In pratica non accade così.
Ma solo perché abbiamo assunto una unità di misura del valore.
In effetti l’unità di misura del valore, essendo il valore un qualche cosa di strettamente personale, non può essere che arbitraria.
Ed anche se si è cercato di relazionarla a beni rari e non deteriorabili come l’oro, o a beni di largo consumo come il pane, o certi generi alimentari, tale unità di misura resta e sempre resterà arbitraria, e questa è la ragione per cui un certo bene, a cui è stato messo un certo prezzo di vendita in tale unità, ad una persona potrà apparire a buon prezzo mentre ad un’altra molto cara in funzione, oltre che della differente valutazione del valore del bene, anche della differente valutazione del valore dell’unità di misura nella quale è espressa.
Ma tant’è, ed ormai ci siamo abituati al fatto di esprimere il valore di un bene in tale unità, relazionando tale unità al valore di tanti altri beni, soprattutto di larga diffusione e consumo.
Il definire la valutazione di un bene, in tale unità, equa oppure no, è poi la risultante personale delle due valutazioni, del bene e dell’unità di misura.
Assumendo quanto detto come realtà, tutto il resto diventa poi estremamente semplice.
Ad esempio il denaro, assunto per volere dello stato, come unità di misura, verrà valutato da ogni persona in funzione del valore che gli attribuisce.
E da esso deriverà ogni altra valutazione.
Non stupisce quindi anche il fatto che tale valutazione possa cambiare, in funzione del tempo , del luogo, ma anche del rapporto con altri beni.
Tenendo presente che in tutto ciò che è implicata una valutazione personale, non esiste l’oggettività, ma al massimo una valutazione media, ne deriva che si potrà dire che “il pane è diventato più caro” se solo il prezzo del pane è salito, ma se anche il prezzo di molti altri beni è salito in proporzione, sarà anche più corretto affermare che è il denaro che vale di meno. E se tale valutazione è fatta da un solo individuo mentre per gli altri non percepiscono differenza, sarà ancora più corretto affermare che è lui a guadagnare meno, o comunque avere minori disponibilità.
Ecco così che anche il denaro smette di essere un punto di riferimento assoluto ma diventa relativo, pur mantenendo la funzione di unità di misura del valore.
Valore, relativo ai beni o anche ai servizi, è un attributo estremamente volatile e cangiante.
Oggi anche considerando solo una persona, una pagnotta ha un certo valore, domani un altro, una abitazione potrà avere un valore oggi ed un altro domani, sarà comprensibilissimo parlare di valore monetari ma anche di valori reali, ecc..
Tenendo presente che, negli scambi, che sono le uniche operazioni che continuamente ci costringono a dare un valore sia ai beni che al denaro, ciò che si scambia effettivamente è il valore, ovvero è l’unica grandezza sulla quale i partecipanti hanno trovato l’accordo.
Così ogni bene diventa un “contenitore”di valore, se scambio una mela con una pera, non è la mela che vale come la pera, ma è il valore della mela, che reputiamo entrambi equivalente a quello della mela.
Perché se fosse vera la prima affermazione, l’indomani dovrebbe ancora esser valida, se fosse la mela a valere come la pera, mentre se l’una è maturata troppo mentre l’altra è ancora perfetta, sarà il loro valore ad esser cambiato, non la loro essenza, identità, o come volete chiamarla.
Quando verso una banconota sul mio conto corrente, pur aumentando il saldo del mio conto, non aumenta M1, il che vuol dire che non conteggio più la banconota, pur essendo ancora perfettamente esistente ed usabile. È il suo valore che non conteggio finché non viene prelevata e torna quindi a far parte del “circolante”. Fintantoché è stata nel forziere della banca, essendo stato, il suo valore, trasferito sul mio conto, non ha più avuto valore. Così come se la metto sotto il materasso, oltre al pezzo di carta, metterò via il suo valore, magari accumulandolo ad altre banconote, ma facendo la stessa identica cosa che farei depositandola sul mio conto.
Ogni oggetto, quindi, diventa mezzo di trasporto ma anche riserva di valore.
Una riserva che in tempi più o meno corti può aumentare o anche diminuire, e questo non solo in funzione di eventi esterni ma anche personali, ma in ogni momento avranno associato a se un certo valore.
Parlare di valore, quindi, e non di moneta o denaro, riporta quindi ogni discussione nei termini di ciò che effettivamente si scambia.
Ma soprattutto riporta ad un concetto intuibile il “cosa” si produce. Infatti se mediante il lavoro produciamo scarpe, o grano, o un servizio, questi assumono un significato solo se li compariamo con il denaro, ma se ciò che produciamo è valore, associato alle scarpe, o al grano, o al servizio, diventa più chiaro con che cosa dobbiamo confrontarlo.
Non è il denaro che svaluta eventualmente il lavoro, ma il valore assegnato a tale lavoro se confrontato con il valore assegnato ad altri lavori.
L’operaio quindi non guadagna poco perché prende 1200 euro al mese, ma prende poco perché ad un parlamentare ne danno 17.000, o a un dirigente 500.000.
È confrontando il valore di un lavoro, con il valore di altri lavori che ci si rende conto che l’operaio è pagato poco, non perché prende 1200 euro al mese.
Se la banca centrale stampa denaro, ma resta nelle casseforti delle banche, non c’è valore aggiuntivo in circolazione, pertanto non c’è svalutazione di quelle circolanti, pur essendo le nuove perfettamente uguali alle altre.
Io credo che portando l’attenzione sul valore, quindi , e non su qualsiasi altro bene, sia naturale parlare ma anche pensare in termini relativi, e non assoluti, relatività che può essere continuamente aggiornata a piacere, senza cambiare null’altro che il valore dei beni interessati.

Sono pronto a rispondere ad ogni dubbio o osservazione in merito, come sono pronto a riconoscere di essermi sbagliato in tutto o in parte, se solo me lo si dimostra, ma questo mi pare un modo molto più efficace per scoprire immediatamente le magagne nei ragionamenti altrui, quando la teoria si dimostri discostarsi dalla realtà.
_________________
non vorrei mai appartenere ad un club che avesse me come socio.
Inviato il: 21/11/2009 19:09
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  •  a_mensa
      a_mensa
Re: scusate la presunzione ma questa è la mia teoria
#2
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 12/6/2009
Da roncello (mi)
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Dalla teoria alla pratica.

Ora che ho esposto quello che ritengo il centro del discorso, ovvero il valore, a prescindere dal mezzo impiegato per rappresentarlo, provo ad analizzare le conseguenze di tale spostamento di attenzione a quanto accade tutti i giorni nella vita reale.
Abbandonando il discorso sul signoraggio e dintorni, visto che:
verissimo che la banca centrale “crei” valore, che lo conceda alle banche in prestito, sotto forma di banconote o solo di annotazione, ma che il credito così creato non sia cedibile, pertanto non trasformabile in ragione di scambio (è come uno che abbia i milioni chiusi in cassaforte e non possa aprire la cassaforte),
che sulla base di quel credito chiede alle banche un interesse, che rappresenta l’ “entrata” della banca centrale, il qual guadagno lordo, defalcate le spese, lo distribuisce alle banche centrali dei “partecipanti” in proporzione alle loro quote, i quali, pagate le loro “spese” versano la rimanenza al tesoro (almeno la Banca d’Italia fa così), pertanto non mi pare il caso di discutere tanto su di esso, passo allo passaggio successivo.

Altro falso obiettivo sono le banche (almeno quello che è più noto circa ad esse).
Esse operano col meccanismo dei depositi frazionati, e pertanto “creano” valore.
Verissimo, però non bisogna nemmeno dimenticare che tale valore, che sia concesso sotto forma di banconote o che sia concesso sotto forma di annotazione (un accredito in conto corrente è una annotazione, nel senso che aumenta la mia disponibilità, e dipende poi da me prelevare banconote, fare bonifici, o assegni, o quale mezzo scelgo poi per spendere tale disponibilità), è comunque dato in prestito, e che quindi dovrebbe (salvo incidenti) tornare alla banca.
Per inciso faccio notare che un credito non rimborsato, causa una perdita, che la banca ripiana con i “mezzi propri”.
Il guadagno che la banca ricava da tale servizio è l’interesse che riscuote, col quale paga le proprie spese, le tasse, e il rimanente lo distribuisce ai proprietari (gli azionisti).
Ora , chiariti e sottolineati questi punti, vorrei affrontare il discorso “inflazione”.
Se prendo per buona la definizione che ne danno gli “austriaci” la sola stampa del denaro o la concessione di credito tramite “nota” della banca centrale, è inflazione.
È inflazione pure il credito concesso dalle banche mediante i depositi frazionati, in quanto crea nuovo denaro senza sottostante.
Ma se il tutto si ferma li, siamo ben lontani da quella che comunemente è definita inflazione, ovvero svalutazione della moneta e conseguente aumento dei prezzi.
E spiego perché.
La disponibilità “creata” dalla banca centrale finisce alle banche, o, al massimo , con operazioni a “mercato aperto” al tesoro, ovvero allo stato.
Quello che finisce alle banche, permette loro o di aumentare il proprio capitale di garanzia, oppure il tetto degli impieghi (tetto stabilito sulla base sia del capitale di garanzia, sia del totale dei depositi, più altre piccolezze).
Ma la cosa importante è capire che comunque, tale denaro è dato in prestito,e, quindi se in un certo momento entra nel mercato, successivamente ne esce per tornare alla banca.
Questo fatto, però detto così, crea una impressione errata.
Supponiamo che in un certo momento la banca abbia “in essere” (ovvero che li abbia concessi in passato e nel momento considerato non siano ancora stati resi) 1000 prestiti da 1.000.000.
Se è vero che nel momento in cui tali prestiti sono arrivati sul mercato, hanno rappresentato un vistoso aumento del circolante, e quindi, abbiano provocato una certa svalutazione del circolante del momento, è altrettanto vero che, se a fronte della restituzione di 10 prestiti, ne vengono concessi altrettanti, la massa monetaria non aumenta più.
E che se per caso, pian piano venissero restituiti tali prestiti, la massa monetaria diminuirebbe.
Pertanto non è l’emissione dei prestiti a causare eventuale svalutazione, ma il suo aumento.
Solo se aumenta la massa di denaro imprestato, e tale massa venisse continuamente alimentata con maggiori valori imprestati a fronte di quelli rimborsati, che si avrebbe un aumento della massa monetaria.
Ecco quindi che, a prescindere dal fatto che siano banconote o annotazioni (denaro elettronico o virtuale), l’eventuale ciclo svalutazione/aumento dei prezzi puo’ solo essere alimentato da un aumento della massa di denaro imprestato.
E questo, tanto per dire, porta l’attenzione a quanto avviene oggi, che, a fronte di una continua immissione di denaro da parte delle banche centrali i prezzi non aumentano e il circolante non si svaluta.
Ecco quindi come portando l’attenzione sul valore, e non sulle banconote, si vede chiaramente come stiano le cose.
Ma allora, questa maledetta svalutazione, da chi o da cosa è causata ?
Se tutti coloro che usufruiscono dei prestiti bancari si comportassero come farebbe ciascuno di noi, cioè avuto il prestito lo impiegasse, e poi pian piano lo rimborsasse, la dinamica sarebbe quella descritta.
Ovvero se la massa di denaro imprestata restasse pressoché stabile, questo non porterebbe ad alcuna conseguenza.
Ma c’è un richiedente credito molto importante, e soprattutto in grado di influire parecchio sul mercato, e questi è lo stato.
Teoricamente lo stato, se fosse condotto seriamente, dovrebbe presentare bilanci in pareggio, ovvero richiedere in tasse esattamente quanto spende.
Ma così i politici avrebbero troppo poco margine per “comprare il consenso”, e, inoltre non avrebbero margini per rispondere alle “emergenze”, pertanto si indebitano.
Si indebitano mediante i titoli del tesoro che per noi sono i BOT, i BPT, i CCT, ecc… diverse denominazioni per indicare diversi tipi di indebitamento e diverso modo di pagare gli interessi, ma comunque tutti rappresentanti un debito che lo stato contrae nei confronti di chi gli impresta tale denaro.
Ora, sino a che a comprare tali titoli sono i cittadini o società private, o comunque entità private, tali acquisti non cambiano sostanzialmente la massa monetaria,in quanto vengono imprestati allo stato soldi precedentemente “risparmiati” (difficile che vengano aperti prestiti per comprare titoli che pagano meno di quanto costino i prestiti) e dato che lo stato si fa imprestare denaro per spenderlo, non per tenerlo in cassaforte, per il valore diventa una partita di giro, ovvero lo stato rimette in circolazione risorse precedentemente drenate al mercato stesso.
Valore viene risparmiato, e prestato allo stato il quale lo spende, riportandolo sul mercato.
Un pò diverso invece il discorso se a comprarli sono le banche, sia se li acquistano sul mercato sia direttamente dallo stato.
Esse possono utilizzare tali titoli al posto di denaro nel capitale di garanzia.
Già ho spiegato a cosa serva tale capitale delle banche, è una “riserva di valore” che permette loro di operare secondo le regole vigenti, e tale riserva deve essere in asset non soggetti al mercato, ovvero il cui valore sia garantito (tripla A o titoli di stato). Se viene preso del denaro (liquidità) per acquistarli, in effetti il valore precedentemente tolto al mercato, in tal modo ci ritorna (incasso valore con gli interessi, lo metto a riserva, e quindi esce dalla circolazione, con esso compro titoli di stato, e tramite lo stato torna in circolazione).
Ma la banca può anche acquistarli facendo un “prestito” ovvero creando valore col solito sistema delle riserve frazionate, ed allora, in tal caso, sarà valore che verrà aggiunto, sempre tramite lo stato, alla massa monetaria.
Tramite tale sistema, quindi, la massa monetaria aumenterà con l’aumentare del debito pubblico.
E questa azione, se è conveniente per le banche (a patto di non avere impieghi migliori per raggiungere il loro “tetto” agli impieghi), permette di tenere gli interessi dei titoli stessi bassi (essendoci capitali disponibili al loro acquisto), assume però una valenza nell’aumento della massa monetaria, sostituendo i privati nel richiedere quelle risorse che le banche avrebbero potuto imprestare per aumentare la capacità produttiva, e quindi creare ricchezza, portandole semplicemente sul mercato, a carico del debito pubblico.
Questa azione, è comunque la vera responsabile dell’aumento della massa monetaria, e quindi dell’aumento dei prezzi.
Un altro discorso ancora è da fare riguardo alle “riserve di valore”.
Ho detto e torno a dire che l’unico modo di creare valore, in modo definitivo, è il lavoro.
Il valore lo si raccoglie, e conserva, lo si scambia con le “riserve di valore”.
Riserva di valore può essere il denaro, ma anche un’automobile o una bicicletta o una mela, o una lezione di inglese.
Quello della lezione di inglese si azzera con la fine della lezione stessa, quello della mela dopo qualche giorno, o quando si mangia la mela o quando marcisce e la si butta. Quello della bicicletta o dell’auto dura di più, decade più lentamente, ma decade anch’esso con l’uso e il tempo.
Un pò decade anche quello del denaro, con la svalutazione.
Le banche lo creano ma solo provvisoriamente, dura cioè fintanto che dura il prestito.
Valore quindi se ne crea e se ne azzera in continuazione. Quanto ce ne sarà in circolazione in un dato momento è prevedibile solo con una certa approssimazione.
Valore usato per gli scambi o per accumularlo.
Che io riempia il granaio o che metta un pò di banconote sotto il materasso, ciò che ho fatto non è altro che aumentare la mia riserva di valore.
La riserva di valore è la ricchezza di una persona.
A meno che non scatti la sindrome dell’accumulo, per cui nessun livello di riserva è mai sufficiente, la propensione alla spesa di una persona è, se non proporzionale, almeno direttamente influenzata dal suo livello di ricchezza.
Ma è necessaria ancora una premessa relativa alla distribuzione della ricchezza.
Se la disponibilità immessa sul mercato viene intercettata da classi ricche, l’unico fenomeno che si verificherà sarà aumentare la quota di risparmio, in quanto tali classi già possono procurarsi sul mercato dei beni di largo consumo tutto quanto serve loro.
E la sensazione di aumento dei prezzi, e quindi della svalutazione del denaro, deriva proprio da questo mercato.
Quando la destinazione di risorse si concentra su una tipologia di beni, difficilmente si avrà tale sensazione, ma più facilmente il gonfiarsi di una bolla.
Ricordiamo quindi bene che per avere la sensazione e la verifica della diminuzione del potere d’acquisto del denaro, occorre che denaro affluisca alle classi più disagiate, le quali sono le uniche a variare i consumi in funzione del reddito disponibile. O della sensazione di ricchezza.
Tutto questo discorso per illustrare un fenomeno diffusissimo, almeno ai nostri tempi.
Il come la creazione di una bolla finanziaria sia responsabile di una svalutazione monetaria.
Prendiamo ad esempio la bolla immobiliare.
Ad essa hanno partecipato attivamente a crearla proprio le classi meno abbienti, quelle che la casa non l’avevano ancora, ma è apparso loro possibile averla grazie a mutui fallimentari, dai subprime agli ARM, organizzati proprio in modo da spingere a contrarli, proprio coloro che in condizioni normali non avrebbero mai dovuto averne.
Questo ha spinto la costruzione di nuovi immobili, distribuendo ricchezza per ripagare il lavoro (di edificazione), ma indebitando in modo assurdo gli acquirenti.
Il sistema messo in piedi, permetteva però un continuo rifinanziamento dovuto proprio solo all’aumento dei valori degli immobili.
Dimentichi del fatto che un investimento equivale a ricchezza solo quando lo si rende liquido, altrimenti resta solo un valore ipotetico, tale crescita di valore scatenò un’euforia da ricchezza, ovvero contribuì non poco a dare la sensazione di avere elevate disponibilità, spingendo a spendere quel poco risparmiato sino ad allora e, non paghi, ad indebitarsi ulteriormente con carte di credito e prestiti personali.
Oltre a costituire garanzia per i debiti, però, un bene come la casa, costituisce ricchezza spendibile solo quando la si vende, non quando solo la si possiede e soprattutto la si usa.
Questo abbaglio è il maggiore responsabile della situazione americana, e non solo, attuale.


Il giochino americano (e non solo).
La concessione di mutui inaffidabili, il loro impacchettamento nei derivati, la classificazione con tripla A di tali derivati, l’immissione di tali derivati nel capitale di garanzia delle banche stesse, aveva portato una grande parte dei capitali di garanzia stessi, nel mercato, ma non nel commercio dei beni di largo consumo, ma appunto nel mercato immobiliare, creando la grandiosa bolla.
Scoppiata tale bolla, la prima conseguenza è stata che le banche soprattutto, si sono trovate “scoperte” nel loro capitale di garanzia, per il semplice fatto che non venendo rimborsati i mutui, i derivati costruiti su di essi perdevano valore.
L’azione della FED, associata al tesoro, è stata quella di ricapitalizzare le banche comprando a prezzo nominale titoli spazzatura. E questo a carico del tesoro.
Ma l’accordo consisteva nel fatto che la FED avrebbe chiuso un occhio se non due sull’eventuale sforamento del tetto agli impieghi (abbassatosi drammaticamente grazie alla perdita del capitale di garanzia), e le banche avrebbero impiegato le possibilità di leva (creando prestiti) da impiegare nell’acquisto di quei titoli di stato che sarebbero stati emessi per coprire tale operazione.
In tal modo, se è vero che il mercato ha subito una contrazione dei prestiti (diminuendo così la massa monetaria) ad esso dedicati, è anche vero che l’aumento del debito statale non è finito sul mercato delle merci di largo consumo, cosa che avrebbe accresciuto la svalutazione della moneta con l’aumento dei prezzi.
Apparentemente tutto bene quindi, salvo il fatto che il tutto si è tradotto in un aumento del debito pubblico spaventoso, mentre il sistema bancario, dopo essersi liberato dei titoli tossici del loro capitale, ci hanno anche lucrato gli interessi comprando i titoli del tesoro.
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non vorrei mai appartenere ad un club che avesse me come socio.
Inviato il: 25/11/2009 8:36
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  •  effeviemme
      effeviemme
Re: scusate la presunzione ma questa è la mia teoria
#3
Mi sento vacillare
Iscritto il: 28/6/2006
Da
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a_mensa cit.:

Oltre a costituire garanzia per i debiti, però, un bene come la casa, costituisce ricchezza spendibile solo quando la si vende, non quando solo la si possiede e soprattutto la si usa.
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Considerando l'aspetto "risparmio nelle spese senza rientro", come lo consideri l'acquisto
della casa da parte di chi paga l'affitto per una casa che non sarà mai sua?
o non trovi attinente al tuo attuale discorso questa considerazione?
grazie, ciao
effeviemme
_________________
Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera - S. Quasimodo.
Inviato il: 25/11/2009 22:05
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  •  a_mensa
      a_mensa
Re: scusate la presunzione ma questa è la mia teoria
#4
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 12/6/2009
Da roncello (mi)
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@ effeviemme
l'aspetto risparmio c'è senz'altro, e penso che ogni persona di buon senso auspichi ad abitare in abitazione di sua proprietà.
detto questo, facendo un discorso puramente economico, non posso inserire l'abitazione come una "necessità vitale".
non prenderla come una bestemmia, ma un uomo, anzi una famiglia, possono vivere anche senza un tetto (dillo ai vari homeless californiani che viviono in auto, o ai rom che vivono in roulottes, ecc...).mentre senza mangiare, o bere, o abiti adeguati al clima, può soccombere.
detto ciò, che poi la casa rappresenti il miglior investimento, visto che poi ci si abita pure dentro, non lo metto in dubbio.
è quando si parla di "investimento" che bisogna stare attenti, molto attenti, perchè una parte del valore dell'investimento (e a volte una parte anche preponderante) è costituito dalla sua "liquidità" ovvero la facilità di essere scambiato (venduto).
quando poi si parla di "riserva di valore" occorre stare ancora più attenti, perchè non posso pagare il dentista con la casa, ad esempio, e, benchè il valore della casa di proprietà faccia parte della "ricchezza" di una persona, è anche vero che è una ricchezza molto particolare, ovvero non spendibile, se non vendendola per intero, o affittandola.
ecco, ciò a cui voglio mettere in guardia, cosa che non hanno fatto gli americani negli ultimi anni, è pensare :" con questi risparmi mi compro l'auto nuova, tanto per gli eventuali imprevisti, ho la casa."
questo ragionamento, se non fatto con le dovute cautele, può rivelarsi estremamente pericoloso.
_________________
non vorrei mai appartenere ad un club che avesse me come socio.
Inviato il: 26/11/2009 13:45
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  •  a_mensa
      a_mensa
Re: scusate la presunzione ma questa è la mia teoria
#5
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 12/6/2009
Da roncello (mi)
Messaggi: 3180
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L’aumento dei prezzi.
La sensazione che il denaro perda valore la si ricava quando le merci che acquisto abitualmente le devo pagare di più.
Gli enti di rilevazione tendono a generare un indice generale dei prezzi, rilevando il prezzo di una certa quantità di beni e servizi valutati di “largo consumo” e facendone una media ponderata.
Verrà fuori un numero che però ha il grave difetto di non tenere conto delle classi di spesa.
Così un aumento del pane potrà essere compensato da un calo del costo del biglietto aereo, senza riguardo al fatto che coloro che hanno il problema della quarta settimana non prendono mai l’aereo, ma in compenso mangiano tanto pane.
E come al solito quindi, quando si parla di medie, inevitabilmente si commettono errori anche grossolani, ma dato che non sono qui a scrivere un trattato sul come raggiungere l’equità sociale, tale indicatore mi va benissimo.
Piuttosto ho l’attenzione sulle motivazioni che portano al fenomeno dell’aumento dei prezzi.
Coloro che stabiliscono i prezzi dei beni e dei servizi, hanno due criteri guida:
a ) riversare sul prezzo i costi
b) massimizzare i guadagni
vi sono poi dei beni, ma soprattutto dei servizi, il cui prezzo non viene stabilito dal mercato ma deriva da considerazioni politiche, e che normalmente vanno “finanziati” in quanto il ricavo non copre i costi.
Tali costi aggiuntivi ricadono quindi sulla fiscalità generale, ma lo si fa perché considerati “essenziali” ovvero legati alla persona in quanto tale, e quindi al suo diritto all’esistenza.
Non sono questi, comunque, quelli di cui mi occuperò qui, anche se possono avere una parte essenziale nella percezione generale dell’aumento dei prezzi. Resta il fatto che tali prezzi siano stabiliti per decisione politica, con tutte le conseguenze del caso, ma che il mercato c’entri poco o punto su di essi.
Invece è più interessante analizzare la formazione dei prezzi “liberi” ovvero soggetti solo al mercato.
È ovvio che il prezzo di vendita di tali beni debba coprire i costi ( se si eccettuano casi di lancio di nuovi prodotti o comunque di incentivazioni ), almeno nel lungo periodo.
Se ciò non accade semplicemente la merce non viene più fornita perché sul mercato non operano le buone fatine, ma operatori che vogliono guadagnarsi da vivere.
Beni di largo consumo hanno poi, come caratteristica, una gamma di prodotti simili ma di qualità e prezzo diversi . Oltre offrire una scelta più parcellizzata, ovvero più rispondente alle necessità dei vari acquirenti, tale caratteristica permette di valutare più efficacemente le tendenze degli acquirenti.
Se i beni di maggior successo saranno quelli verso la gamma alta, vorrà dire che su quel prodotto non vi è troppa cura del prezzo quanto invece dell’originalità, o della qualità, mentre se il mercato tende a premiare quelli a basso costo, l’indicazione precisa sarà che per tale prodotto il mercato cerca prodotti meno costosi, e comunque non è disposto a sacrifici in funzione di esso.
Ma l’importante è distinguere se gli aumenti di prezzo sono concentrati su alcuni beni (azioni, immobili, automobili, ecc..) oppure se investono appunto i beni di largo consumo.
Perché sono proprio questi che determinano, nella quasi totalità dei casi, l’innesco delle spirali aumento dei prezzi / aumento dei costi.
Vorrei far notare qui, però un particolare che a volte sfugge e avvalora come verità delle grosse menzogne.
Mentre in un servizio diretto (parcella di avvocato, lezione di inglese, ecc..) il lavoro del prestatore d’opera costituisce la quasi totalità del prezzo, in molti altri casi il lavoro di chi produce il bene è un’infima percentuale del prezzo finale.
Se le zucchine al supermercato costano 2 € al kg, al produttore vengono pagate 10-15 cent. al kg.
Poi vengono trasportate, immagazzinate, selezionate, ecc… e quando arrivano al supermercato hanno passato 6/10 mani.
E ognuno di quei passaggi ha costituito un incremento del valore delle zucchine.
Ora siamo all’assurdo che il produttore deve produrne e venderne più di 10 kg per avere di che comprarne 1 kg.
È da notare inoltre, che tutti coloro che manipolano quelle zucchine, sono liberi di imporre i loro prezzi ( non come un dipendente che deve contrattare con il datore di lavoro la sua paga ), e, mentre il verduraio corre il rischio di avere merce invenduta e deteriorata da buttare, gli intermediari in genere manco hanno tale problema.
Penso che una organizzazione capace di decuplicare il valore di una merce, senza aggiungere nulla ad essa, sia destinata a soccombere, prima o poi, perché troppe persone, troppe organizzazioni poggiano sull’unico produttore della vera ricchezza, al quale, peraltro arrivano solo le briciole del valore di quanto produce.
Per questa ragione, infine, il costo di chi produce il bene, influisce ben poco sul prezzo finale, mentre, purtroppo, tutti gli intermediari sono praticamente liberi di “aggiornare” i loro incrementi di valore.
Il paradosso è che infine, se il prezzo finale del prodotto raggiunge un livello tale, per cui il mercato comincia a rifiutarlo diminuendo gli acquisti, a rimetterci saranno per piccola parte tutti gli intermediari (per cosa riguarda le quantità in loro mano) ma soprattutto il produttore, che è quello che necessita di maggior tempo di “programmazione” (dalla semina al raccolto), pur essendo quello che alla fine incassa di meno.
Ma l’importante è notare come tutti coloro che possono aggiornare il valore delle loro prestazioni, ai primi sintomi di aumenti dei prezzi, lo facciano immediatamente, ed anzi, a volte in misura maggiore, scontando già un ulteriore futuro aumento, mentre coloro che offrono lavoro dipendente, siano vincolati nell’aggiornamento dei salari, da contratti, scadenze, ecc… tutte cose che pur frenando la dinamica delle spirali prezzi/costi ne riversano le conseguenze sulle fasce più deboli, ovvero coloro che producono i beni.
Come ho già accennato, coloro che sono liberi di aggiornare i prezzi a loro insindacabile giudizio, hanno un unico limite, e questo limite è la capacità del mercato (inteso come l’insieme dei compratori ) di rifiutare il bene stesso, creando dell’invenduto.
Ecco allora che questo fatto, ed unicamente lui, è in grado di calmierare gli appetiti di coloro che liberamente possono agire sui prezzi, modificando a loro vantaggio il valore della loro prestazione.
Ecco quindi che torniamo al concetto di valore.
Ogni attore, nella formazione del prezzo finale di vendita di un bene o servizio, esprime nell’aumento di valore della merce al suo passaggio, il valore della sua prestazione, ovvero il valore del lavoro che svolge.
Così l’ora del coltivatore, avrà un valore che si riflette sul prezzo alla fonte della zucchina, il valore di quella del trasportatore si rifletterà sull’aumento dopo quel passaggio, e via dicendo.
In teoria, un passaggio che si dimostrasse particolarmente lucroso, potrebbe scatenare la nascita di entità concorrenti atte a svolgere la stessa funzione, ma purtroppo non sempre è così grazie a leggi, regolamenti, e a volte anche la malavita organizzata, che in certe funzioni si sostituisce allo stato stesso.
Resta il fatto che comunque si tenderà a stabilizzare i prezzi su valori in cui il prodotto quantità x prezzo, sia il massimo possibile, ripartendo poi a cascata guadagni e oneri su tutta la catena che interviene per rendere quel bene disponibile all’utente finale.
Ma cosa c’entra tutto ciò con la creazione di denaro ?
Ipotizziamo che in un certo paese circolino solo 5 monete.
È ovvio che l’acquisto di ogni tipo di merce verrà “serializzato”, ovvero quando io incasso , immediatamente dopo posso spendere, e così per ogni abitante del paese, a meno di non reintrodurre il baratto (e quindi scambiarsi merce senza bisogno del denaro, oppure facendo gli scambi a credito, da saldare quando sarà disponibile almeno una moneta.
Pertanto da questo caso limite, si comprende cosa significhi quantità di denaro insufficiente ( per chi è abbastanza vecchio, basta che ripensi all’epoca in cui la zecca fu spostata, e quindi per circa 1 anno non coniò monete. Si giunse quasi subito ad una carenza di monete da 50, 100, 200, 500 lire che rese difficoltoso fare le operazioni più semplici come comprare il giornale o prendere il tram o l’autobus.
Intervennero immediatamente le banche stampando i famosi miniassegni, che erano, pur nella dimensione ridotta, degli assegni circolari ), ma anche che, il primo sintomo di tale fenomeno è un aumento di velocità di circolazione del denaro.
Oltre però una certa soglia, soglia alla quale gli scambi possono avvenire tutti contro denaro, per cui per ogni utente è garantita una riserva di valore in denaro sufficiente a coprire tutte le sue necessità di spesa, dicevo ,oltre tale soglia, più denaro a disposizione aumenta solo altre forme di riserva di valore, che possono essere una riserva in conto corrente, oppure investimenti abbastanza “liquidi” (ovvero vendibili ad un valore poco variabile e con grande facilità, vedi titoli di stato, obbligazioni, ecc…).
Interviene a quel punto solo più un fattore molto personale e indiretto, ovvero la “sensazione di ricchezza”
alimentata a volte anche dai beni sotto espansione da bolla (vedi immobili, azioni, ecc..) che purtroppo danno questa sensazione senza che tale ricchezza sia propriamente disponibile, quindi molto falsa, oppure dall’accumulo di “riserve di valore” sotto forma di denaro, di conti correnti, ma anche di beni come francobolli, opere d’arte, ecc…
in conclusione, la strada attraverso cui un aumento di massa monetaria, causerà aumento di prezzi generalizzato, e quindi perdita di valore del denaro stesso, non sempre è diretta ma nemmeno scontata.
Certo che se l’aumento di massa monetaria si riversa in una maggiore disponibilità dello stato che paga più stipendi o prestazioni, tale collegamento apparirà praticamente immediato e consequenziale, ma se tale aumento si ferma alle banche, che al limite lo indirizzano su specifici settori, allora si avrà la creazione di una bolla, in cui si vedrà lievitare il prezzo di tali beni, pur causando minime conseguenze sulla generalità degli altri.
Notare che se una bolla si forma in modo sufficientemente lento da consentire che il prezzo di tali beni venga assimilato dal resto del mercato, questa sarà nuovamente una condizione per innescare spirali di aumenti di prezzi/ costi. Quindi una bolla che gonfi rapidamente è destinata a scoppiare, mentre (dato che comunque ogni tipologia di beni fa parte del mercato), aumenti lenti, anche solo di pochi beni, possono innescare tali spirali anche se in misura molto contenuta.
Un attore capace di innescare violentemente tale spirale è lo stato, quando la differenza tra entrate e spese assuma valori significativi. Dato che tutta la liquidità assorbita dallo stato, essendo ormai perennemente in deficit, viene immediatamente riportata sul mercato, essa partecipa attivamente a tale innesco.
Ultima considerazione in merito.
Vi sono persone il cui lavoro, per molte cause che non sto a trattare ora, da loro una disponibilità talmente bassa che continuamente devono rinunciare a fare spese che farebbero se invece ne avessero la possibilità.
Tali persone, se ricevessero un aumento delle entrate, esse si riverserebbero immediatamente sui consumi, creando anche tensioni sui prezzi per eccessiva domanda.
Al contrario, se una parte di ricchezza viene intercettata da persone sufficientemente ricche, che già possono permettersi praticamente tutto ciò che desiderano, allora aumenti di ricchezza per loro si risolverebbe unicamente in un aumento dei loro risparmi, ma tali aumenti non arriverebbero nemmeno a sfiorare i mercati.
Pertanto , in tali casi, il controllo della massa monetaria è praticamente inefficace, mentre efficace sarebbe una azione di redistribuzione della ricchezza da parte dello stato mediante la leva fiscale, che togliesse della riserva di valore a chi non la utilizza, per consegnarla a chi invece saprebbe molto bene come utilizzarla.


ps. in questo mio ho omesso la condizione di aumento o calo dei prezzi in conseguenza diretta del livello di domanda, che tratterò in seguito.
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Inviato il: 28/11/2009 23:40
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Re: scusate la presunzione ma questa è la mia teoria
#6
Sono certo di non sapere
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Sembra un’eresia.
Quanto vado ora ad illustrare ha il sapore dell’eresia, in quanto nella forma appare molto simile a quanto sinora è stato oggetto dei miei strali, ma nella sostanza, se avrete compreso quanto ho sinora cercato di esprimere, capirete che è molto diverso.
La prima affermazione è che quasi tutto il denaro in circolazione è frutto di un prestito.
Vorrei ricordare l’affermazione che feci in uno degli scritti precedenti, e cioè che se io do una mela in cambio di una pera, in effetti io scambio IL VALORE della mela con IL VALORE della prera, che in quel momento decidiamo che si equivalgano.
Essendo il valore un attributo immateriale, esso, in quel momento, viene associato alla mela da una parte ed alla pera dall’altra. Mela e pera sono quindi veicoli di ciò che in effetti si sta scambiando, che cioè è il valore.
Così abbiamo visto che le banche creano valore e lo imprestano col sistema delle riserve frazionate, e per farlo uscire dalla banca lo associano a del denaro (banconote o notazione).
Una volta uscito dalla banca, quel denaro comincerà a “trasportare” valore creato dal panettiere, dal fruttivendolo, dal sarto, ecc…. e rientrerà probabilmente in banca per trasportare il valore che compenserà il debito, e ne uscirà nuovamente come per trasportare il valore che verrà scambiato con l’operaio che imbiancherà la banca, o l’impiegato che ci lavorerà dentro, o la ditta che costruirà il bene che la banca acquisterà come “implemento del suo capitale di garanzia.
Spero, con quanto scritto nel mio primo, di aver fatto capire come il denaro sia come un autobus mentre i passeggeri sono il valore. Non occorrerà mai un autobus per ogni passeggero, ma lo stesso autobus, facendo corse diverse, trasporterà diversi passeggeri.
Pertanto per far uscire il valore dalla banca è necessario del denaro, ma una volta fuori, entrato in circolazione, permetterà molti altri scambi di valore, valori creati con il lavoro dalle persone.
È giusto anche affermare che il denaro è generato a credito.
Il generare denaro, metterlo in circolazione per facilitare gli scambi, è una delle ragioni di esistere del sistema bancario.
In cambio di tale servizio incassano, come compenso l’interesse sul denaro generato.
Attenzione che quando si definisce usurario il guadagno delle banche, non si fa altro che definire usurario un ricavato ottenuto in clima monopolistico.
Qualsiasi altro bene prodotto in ambiente di monopolio, difficilmente viene compensato con un valore deciso dal mercato. Potrà avere un prezzo politico, magari più basso del dovuto, oppure più alto del dovuto, mai comunque stabilito in base alla legge della domanda e dell’offerta.
E l’offerta di denaro, non fa eccezione. Se il “guadagno” del sistema bancario appare sproporzionato ai vantaggi che crea alla comunità, non è tanto con le banche che bisogna prendersela ma con il sistema che ha assegnato loro il monopolio di tale servizio.
Denaro quindi dato in prestito dal sistema bancario alla popolazione per facilitare sia gli scambi che l’accumulo di riserva di valore, e valore incassato dalle stesse come compenso per tale servizio.
In clima di monopolio.
Pertanto non confondere mai il valore con il denaro. Essi coincidono solo in alcune occasioni, ma non sempre. Il denaro è il veicolo più usato e più facile da usare per “trasportare” valore, ma non è il valore stesso. Riserva di valore è un appartamento, un’auto, una bicicletta ma anche una mela dato che ognuno di questi beni “trasporta” un valore, e per essi si è vero che il valore rappresentato non lo abbandonano mai, fino ad azzerarlo nel momento della loro distruzione o comunque nel momento in cui non sono più desiderati da alcuno.
Per le banconote, invece, pur essendo una forma di denaro, perdono il valore entrando in banca (depositate) e lo riacquistano nel momento in cui escono (prelievi).
Le annotazioni (quanto definito nel saldo del conto corrente) è invece valore puro, che non ha bisogno di alcun supporto, finché resta nella banca o si sposta per via elettronica, causando una sottrazione da un numero e una addizione su un altro.
Si potrà discutere ora se il servizio bancario è compensato (interessi riscossi) troppo o troppo poco, come si potrebbe discutere di qualsiasi compenso ottenuto in regime monopolistico.
Ma ora vorrei affrontare un altro tema spinoso, e sul quale tante discussioni hanno mosso l’aria senza dare una ragione a quanto accade.
Ovvero perché il sistema bancario tende a governare la circolazione monetaria in ambiente di “contenuta inflazione” ?
Ricordo, perché espresso già in un mio precedente, che la quantità di denaro, necessaria ad un regime di scambi, senza tensioni, è una quantità tale per cui nessun acquisto deve venir rimandato o peggio soppresso in funzione della disponibilità di denaro.
Sotto tale quantità si avranno sia difficoltà negli scambi che tendenze deflazionistiche (proprio per i rinvii o le rinunce), mentre sopra tale quantità potranno aversi tendenze inflazionistiche quando la popolazione, in conseguenza del fatto di aver maggiore disponibilità di denaro si illudesse di avere a disposizione anche più valore.
Ma per attuare tale controllo il sistema bancario dispone di due mezzi essenziali, il tasso di sconto e la quantità di liquidità.
Riguardo al tasso di sconto, mi pare ovvio che un tasso alto ottenga due scopi:
a) favorire il risparmio, perché lo compensa maggiormente
b) disincentivare la richiesta di prestiti, perché più costosi (maggiori interessi richiesti)
riguardo invece alla liquidità è importante ricordare come il controllo operato dalla banca avvenga solo in una direzione, ovvero trattenendo le richieste di prestiti, ma che senza richieste nessuna banca potrà mai fare prestiti, quindi “spingere”. Come con un guinzaglio si può trattenere ma non spingere.
Ora spiego perché”contenuta inflazione”.
Chi ha una cultura meccanica o fisica sa che un servomeccanismo può operare solo con un fattore di correzione inferiore ad 1.
Scusate se ricorro a tale metafora ma è perché penso sia più comprensibile.
Il fattore di correzione è il rapporto tra quanto fornito dal servomeccanismo, a favore o contrario al fenomeno rispetto all’intensità del fenomeno stesso.
Innanzitutto è favorevole quando deve aiutare a far svolgere il fenomeno, contrario quando deve cercare di azzerarlo.
Faccio un esempio con un servofreno.
Se io voglio che sulle ganasce dei freni venga esercitata una forza di 1 kg, per ottenere una certa frenata, il servosterzo potrà al massimo fornire 0,99… ma mai 1 o addirittura più di 1.
Proprio perché deve aiutare, non sostituirsi ad esso.
Quindi è necessario che almeno una piccola parte di quell’uno richiesto, venda fornito a discrezione dell’autista.
Altrettanto quando il servomeccanismo agisce per contrasto, dato che comunque interviene DOPO lo stimolo, creerebbe una risposta superiore allo stimolo stesso che verrebbe interpretata in un tempo appena successivo, come uno stimolo di senso opposto di ampiezza uguale alla differenza tra lo stimolo creato e quello originario.
Ma tale differenza sarebbe interpretata come uno stimolo a sua volta, al quale verrebbe creata una reazione superiore ad esso, creando così una oscillazione tra un senso e l’altro, ma di ampiezza crescente.
Anche con un fattore uguale a uno entrerebbe in oscillazione ma di ampiezza costante.
Torniamo ora al sistema bancario.
Se il maggior intervento è dato dal controllo della quantità di liquidità, è necessario che però ci sia sempre una richiesta non evasa, perché proprio dosando tale quantità evasa posso controllare la quantità di liquidità in circolazione.
Quando si azzerasse la richiesta di denaro alle banche, esse non potrebbero più operare alcun controllo, proprio perché non possono forzare tale richiesta che nasce solo nel pubblico quando si crea un “sentiment” favorevole all’indebitamento.
Mentre i tassi di sconto agiscono come spinta o trattenitore all’indebitamento e al risparmio, ma solo entro un certo limite.
Non esiste, ad esempio che si possa scendere sotto lo zero.
Già zero interesse è un non senso, perché significherebbe che il servizio del debito non ha alcun valore, come non ha senso alzarli oltre un certo limite, senza causare movimenti sociali, dovuti alla difficoltà dei salariati e di coloro che hanno un reddito fisso, a seguire tali andamenti se troppo alti e veloci.
E infatti, proprio in questa crisi si è visto come le misure “standard” non abbiano avuto alcun effetto, proprio perché la liquidità non è stata richiesta da un pubblico spaventato e soprattutto il cui reddito è stato messo in discussione (vedi licenziamenti), e gli interessi portati praticamente a zero, non hanno influito sul “sentiment” come normalmente sarebbe accaduto in condizioni normali.

E con questo, mi riservo di fare ulteriori trattazioni, nel momento in cui mi accorgessi che degli argomenti di un certo rilievo non sono stati trattati, o come risposta ad eventuali dubbi o osservazioni.
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Inviato il: 29/11/2009 15:13
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Re: scusate la presunzione ma questa è la mia teoria
#7
Sono certo di non sapere
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Inflazione e svalutazione.

Prendendo per buona la definizione di inflazione degli “austriaci” che indicano con tale termine l’aumento di massa monetaria, vorrei qui fare considerazioni sul collegamento innegabile tra inflazione e svalutazione della moneta, ma che reputo ne diretto ne tantomeno totale ed esclusivo.
Per far ciò ricordo alcuni passaggi ampiamente illustrati sopra e cioè differenza tra denaro e valore, meglio riserva di valore.
Benché il denaro sia senz’altro una riserva di valore, non è l’unica.
Per rendersene conto basta guardarsi attorno e cercare di fare una valutazione di tutto quanto sia riserva di valore oltre al denaro (immobili, parco auto, ecc…) per appurare che i due concetti non coincidono.
Un altro concetto che tendo a sottolineare è che se si può dire che tutto il denaro è nato a credito, non tutto il denaro circolante è a credito.
Ricordo la differenza tra banconote e denaro, in quanto il secondo include tutto quanto è nella disponibilità immediata della persona per essere usato come ragione di scambio (pertanto anche i conti correnti).
Mentre è verissimo che tutte le banconote sono a credito.
Ricordo inoltre quanto ho insistito per tenere distinti i concetti di valore e di denaro, quando il secondo è solo uno dei possibili veicoli per scambiarsi valore (fare un acquisto è scambiare il valore della merce con il valore del denaro col quale la pago, è il valore che è equivalente, mentre la merce è una cosa diversa dal denaro).
Un altro punto fermo sta nel discorso che buona parte della massa monetaria sia costituita da un prestito “in essere”, pertanto per aumentarla è necessario aumentare entità e numero dei prestiti. Se tale prodotto resta costante anche la massa monetaria resta costante.
Non dimentichiamo che tra i richiedenti prestito c’è lo stato, con il suo debito pubblico, il quale aumento sicuramente porta in circolazione ulteriore denaro, visto che quanto si fa prestare è per essere speso, non certo accantonato.
Ho poi cominciato ad analizzare come bolle o comunque aumento di riserve di valore, effettive o fittizie, agiscano sul comportamento della maggior parte delle persone, per le quali una maggior sensazione di ricchezza invoglia i consumi.
Ho accennato inoltre come la formazione dei prezzi liberi (non dei beni in clima di monopolio) sia una continua ricerca, da parte dei singoli operatori che agiscono su ogni prodotto, del miglior compromesso tra prezzo finale e quantità venduta.
Pur tenendo conto di tutte le non linearità di tale influenza, è innegabile che a lungo andare un aumento eccessivo dei prezzi provocherà una contrazione dei consumi, almeno fino a che la disponibilità economica degli acquirenti non sia cresciuta abbastanza da tornare ad rappresentare la stessa ( o simile) percentuale di valore disponibile rispetto a tale merce.
Questo fatto è però esattamente cosa si intenda per perdita di valore della moneta.
Quindi una svalutazione che parte da maggior massa valutaria, genera maggior sensazione di ricchezza (sempre che non venga intercettata interamente o quasi da persone già ricche ), che si trasforma in maggior propensione alla spesa, inducendo gli operatori a constatare maggior disponibilità e quindi innalzare i prezzi.
Un innalzamento dei prezzi porta gli ultimi della catena economica a rivendicare maggiori entrate, le quali si riversano subito (o quasi) sui consumi riportandoli ai livelli precedenti, con l’unico risultato di stabilizzare poi tutto il sistema con livelli di prezzi più alti, ovvero svalutazione della moneta.
Aumento delle entrate che scaricandosi poi sui prezzi di beni e servizi, ne fanno lievitare ulteriormente i prezzi, fino ad un limite al quale si ritrova un nuovo equilibrio (ricordo che il lavoro, è solo una componente, e sovente nemmeno la maggiore, nella formazione dei prezzi)
È ovvio che in tale catena si può inserire una qualsiasi altra causa che scatena la reazione degli altri attori, come un aumento delle materie prime, che agirà direttamente sui prezzi e provocando per reazione l’adeguamento di tutti gli altri, ecc..
In questi fenomeni, quello che tende a restare immutato è il valore relativo del lavoro, dei beni, delle riserve di valore che, a meno di sconvolgimenti nella composizione sociale, riprendono il loro peso relativo.
È l’organizzazione sociale, soprattutto con la distribuzione del carico per il mantenimento dei servizi pubblici, che invece cambia radicalmente il rapporto tra il valore del lavoro e quello dei beni e dei servizi.
Se 50 anni addietro un operaio, col suo lavoro, senza la proprietà della abitazione, riusciva a mantenere la propria famiglia, e magari far anche studiare i figli fino a prendere una laurea, pur nella ristrettezza di un bilancio famigliare molto “tirato”, oggi due coniugi, lavorando entrambi, con magari anche l’appartamentino in proprietà ( grazie ai risparmi dei nonni e dei genitori) arrivano a stento a mantenere la loro famiglia che comprende anche due figli.
Questo significa che il loro lavoro si è svalutato molto di più rispetto a tutto quanto hanno intorno e che costituisce le loro “necessità”.
Quindi, anche se è vero che il denaro si è svalutato enormemente in tale periodo di tempo, è altrettanto vero che il lavoro si è svalutato molto di più, nonostante la produttività sia aumentata enormemente.
Quello che è enormemente aumentato sia in termini unitari, che in termini percentuali, rispetto ad ogni altro bene, è la quantità di capitali, che cercando un impiego redditizio, stanno sconvolgendo le economie.
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