mi sembra di essere un onanista del forum !!!
ma nessuno è interessato alla guerra usa-iran?
comunque
conoscete le teorie di Emmanuel Todd?
stavo cercando dei libri su di lui se qualcuno sapesse qualcosa mi farebbe piacere scambiare due opinioni
Emmanuel Todd, antropologo e demografo all’Institut national des études démographiques di Parigi, sta per pubblicare in Italia Dopo l’impero. La dissoluzione del sistema americano, Marco Tropea editore, che sarà in libreria a maggio(2003)
. Nel 1998 aveva pubblicato L’illusione economica, sulla crisi dei Paesi sviluppati. Questa intervista in cui spiega quelli che, a suo avviso, sono i motivi del declino degli Stati Uniti, è stata pubblicata sul settimanale svizzero L’Illustré il 5 febbraio di quest’anno. È stata dunque realizzata quando la guerra non era ancora né decisa, né, tantomeno, cominciata e dunque alcuni dei riferimenti qui contenuti sono stati poi superati dagli eventi.
D.L’impero americano scomparirà: è la tesi del suo ultimo libro. Siamo dunque tutti ciechi?
R. Spesso si verifica un tal guazzabuglio di interpretazioni e teorie che ci impediscono di guardare alla realtà. Quando ho scritto il mio libro, eravamo ancorati all’idea della superpotenza di un’America che, senza più avversari, poteva fare ciò che voleva. Oggi, molti cominciano a intuire la verità: quando si sa che gli Stati Uniti hanno 500 miliardi di dollari di deficit commerciale, che fanno una guerra dall’altro capo del mondo senza alleati di peso, si capisce che non hanno i mezzi finanziari che possano sostenere la loro politica.
D. Quali sono i soggetti che percepiscono la debolezza americana?
R. Innanzitutto le élite economiche e finanziarie che cominciano a dubitare del dinamismo dell’economia americana. Vedono che il denaro inviato negli Stati Uniti non è stato investito ma sperperato, poiché serve ai consumi correnti degli Americani e a finanziare il debito commerciale che si misura sulla caduta del dollaro. In secondo luogo se ne accorge la Germania che, insieme alla Francia, sta per segnare una storica svolta opponendosi a questa guerra. Sta per riemergere l’alleanza francotedesca. La verità è che i vertici americani muoiono di paura all’idea di andare a fare dall’altra parte del pianeta una guerra contro un nano militare, certamente ma a un costo enorme, senza alleati e senza contributi finanziari.
D. Senza alleati… Ma otto dirigenti europei hanno appena firmato una lettera di appoggio a Bush!
R. Questa defezione non è che un episodio che non potrà compensare il rifiuto francotedesco. Ma d’altra parte ben dimostra come la vera posta in gioco sia il fronteggiamento tra Europa e Stati Uniti. Se si guarda da antropologi a questa defezione, si osserva che il continente europeo vive una fase di emancipazione e che la posizione di questi otto Paesi è la manifestazione ben conosciuta del conservatorismo delle zone periferiche, scombussolate dalla rapidità del centro. Quando si renderanno conto di essere delle pedine degli americani, torneranno indietro.
D. L’Europa è veramente così potente?
R. L’Europa è assai più potente degli Stati Uniti sul piano industriale! Se volesse potrebbe comprare ogni cosa e costruire in una dozzina d’anni un apparato militare superiore a quello americano. Di più, non rischia niente poiché implicitamente è sotto l’ombrello nucleare russo. L’America invece è diventata economicamente dipendente, obbligata a importare beni e capitali e diventando un Paese insieme predatore e mendicante, anzi lo Stato più mendicante che si sia mai visto. Finora il mondo era generoso con gli Stati Uniti perché gli era riconoscente per i servizi resi. L’obiettivo degli Stati Uniti è dunque di continuare a far credere che sono indispensabili. Lo fanno gesticolando con le armi e denunciando l’asse del male costituito da Paesi deboli e ciò è ridicolo.
D. Questa guerra non avrebbe dunque nulla a che fare con il petrolio iracheno?
R. Indirettamente. La realtà del dibattito è che l’Iraq e il Golfo Persico producono il petrolio necessario agli europei e ai giapponesi e non agli americani. Questi ultimi, nel tentativo di imporsi militarmente e in maniera durevole in questa regione, vogliono conservare il controllo dei loro protettorati europei e giapponesi. Vediamo allora crescere l’antagonismo transatlantico tra un’America commercialmente deficitaria e un’Europa che acquista fiducia e che non ha bisogno di esercizi diplomatici o militari per pagare le proprie importazioni di petrolio.
D. Lei non scivola così nell’antiamericanismo?
R. No. D’altra parte solo qualche anno fa io non ero proeuropeo perché non avvertivo la minaccia americana. Anche se l’America ha fallito in alcune cose, ho sempre pensato che avesse una potenza egemonica benefica, che fosse il grande regolatore mondiale, il Paese che ha avuto ragione nel ventesimo secolo, avendo sviluppato una sorta di specializzazione militare di difensore della democrazia di fronte a serissimi avversari, prima il nazismo, poi il comunismo. All’indomani dell’affondamento dell’Unione Sovietica, credevo ancora nella natura intrinsecamente buona ed equilibrata della società americana. È il suo comportamento disordinato e pericoloso che ha fatto di me, a ragione, un europeo.
D. Pensa che l’Europa, per trovare la propria giusta collocazione, abbia bisogno della Russia?
R. Dipende. La sola cosa di cui sono certo è che l’America non vincerà la partita. L’ipotesi ottimista è che gli Americani arretrino davanti all’emergere dell’accordo francotedesco sia per razionalità che per benefica vigliaccheria. L’amministrazione viene allora ridicolizzata, i democratici tornano al potere e il mondo torna a essere multipolare e più tranquillo, apparentemente senza la partecipazione della Russia. Secondo scenario: l’emergere dell’Europa non basta a fermare gli Stati Uniti, fanno la guerra, gli europei hanno una fifa blu e così il ravvicinamento esplicito tra europei e russi diventa necessario. In questo caso gli americani vengono battuti in un altro modo, sulla base del disordine economico. In un modo o nell’altro, sostengo che gli Stati Uniti hanno già perso.
D. Lei non vede nella Russia un altro pericolo?
R. Siamo molto ingiusti con la Russia. Senza volerne dare una visione troppo rosea, noto semplicemente che c’è una stabilizzazione della società e un inizio di ripresa economica. Beninteso, la democrazia russa non è di tipo occidentale ma alla fine Putin è stato eletto, c’è un Parlamento, si vanno stabilendo degli equilibri. È vero, la stampa non è completamente libera, ma è quasi paragonabile alla situazione della Francia all’inizio del gollismo. Il grande errore dei russi è stato di aver voluto entrare di colpo in democrazia e nel libero mercato, errore che i cinesi non hanno commesso.
D. C’è motivo di temere la crisi del mondo musulmano?
R. Io vorrei denunciare questo mito del terrorismo universale. Certamente oggi la maggior parte dei fenomeni di violenza sono legati al mondo musulmano. Perché? Perché quel mondo sta per fare il grande salto, passare da una società tradizionale e analfabeta a una società moderna, alfabetizzata, con una natalità in ribasso. E ciò implica, come ogni progresso umano, uno sradicamento mentale che provoca violenza. Ma la transizione del mondo musulmano ha fatto meno morti di quella del mondo cristiano! E come demografo, osservo che il pianeta sta per raggiungere l’alfabetizzazione universale, cinquemila anni dopo l’invenzione della scrittura. È un bel risultato ed è questo che dovremmo celebrare.
D. Lei è inguaribilmente ottimista!
R. Incorregibile. Sono una vecchia bestia progressista. Il periodo che stiamo per vivere sarà stupefacente. L’analisi della lunga durata non esclude vi siano momenti in cui il mondo cambia di direzione. E io credo che ci siamo. Ho passato la mia giovinezza in un mondo abbastanza inerte, fino all’affondamento del comunismo. Era ben segnalato, c’erano delle ideologie che si distruggevano, ma si sapeva dove ci si trovava. Mentre adesso siamo davanti all’emergere di forme sconosciute.
D. Se lei fosse stato invitato al Forum di Davos, ci sarebbe andato?
R. Sono stato già invitato e ho rifiutato. Non mi interessa. Ciò che succede in riunioni del genere non è che il pallido riflesso dello stato delle cose.
D. No global, Porto Alegre… Lei pensa che stiamo assistendo al risveglio di un movimento che potrebbe cambiare la direzione di marcia?
R. Non ne sono così sicuro. Affinché la contestazione del sistema arrivi alla rottura, bisogna per prima cosa che aumenti la rabbia dei giovani dei Paesi sviluppati che subiscono l’abbassamento dei salari e del tenore di vita dovuti all’aumento delle diseguaglianze della mondializzazione. Bisogna anche che l’unità dei potenti si incrini, con le élites americane da una parte e quelle europee e giapponesi dall’altra. Nel momento in cui queste ultime non trovassero più il loro tornaconto, si può sognare che insieme, questa forze possano far invertire la direzione di marcia. Perché, nella storia, non vi sono esempi di cambiamento degli equilibri di classe che non siano stati almeno un po’ attivati dai conflitti internazionali. Difficile immaginare insomma la rivoluzione russa senza la Prima guerra mondia