Da un po' di tempo si parla spesso di moneta.
Gli oppositori della
fiat money, come ad esempio Ron Paul, sostengono che per eliminare i danni prodotti dalle varie Banche Centrali, che hanno in facoltà la
potenziale capacità di stampare moneta senza freno, occorre introdurre uno "standard", cioè bisogna legare la moneta a un bene che esista in quantità non illimitata.
In molti propongono l'oro (il "gold standard"); altri invece non affrontano il problema in termini così specifici ma parlano di una generica "moneta-merce".
In questo modo, sostengono in molti, verrà spostata verso il basso la sovranità monetaria eliminando il ruolo monopolistico delle Zecche di Stato.
Per dire, se l merce su cui si basa la moneta sono le barbabietole, allora basta piantare in giardino un po' di barbabietole per eliminare anche tutte le perversioni legate al "corso legale" della moneta imposta dallo Stato.
Il ragionamento si complica un po' se come standard prendiamo i minerali: in quel caso perlopiù servono proprio le miniere. Però possiamo tranquillamente ipotizzare degli standard legati a minerali diversi dall'oro: sul rame, sullo zinco, sull'alluminio ecc.
Il ragionamento che sta alla base di ognuno di questi discorsi è che quando parliamo di moneta-merce allora il focus si sposta dalla moneta in sé alla merce su cui è basata.
E c'è un ragionamento abbastanza sottinteso, ma sempre molto ben presente, che "la merce" ha delle caratteristiche di maggior "democrazia" rispetto alla moneta normale. Non ha un "potere statale" che la sostiene ma è governata solo dal Libero Mercato;
potenzialmente è disponibile per tutti (si può sempre scoprire un filone di zinco in giardino) e soprattutto ha caratteristiche enormi di minor monopolio rispetto alla moneta "statale".
Insomma: Moneta Fiat = Banche; Banche = Poteri Forti; Poteri Forti = indebito arricchimento di alcuni rispetto a tutti gli altri.
Questo
mantra sta circolando da tempo.
I vari tam-tam su cui viene suonata questa musica battono spesso il ritmo che la "moneta-merce", rendendo nei fatti molto meno importante il denaro, porterà all'inevitabile caduta dei Poteri Forti.
Ma è vero davvero?
Oggi la politica monetaria la dettano le varie Banche Centrali, che hanno l'assoluto monopolio sulla moneta e quindi possono decidere se stamparne di più o ritirarla dal mercato, e in che misura fare tutto questo. In caso di moneta-merce le politiche monetarie verranno - inevitabilmente - stabilite da chi controlla la merce.
Per capirci, se c'è uno che controlla le miniere d'argento e che ha interesse a far aumentare il valore delle banconote "silver-standard" (magari perché con il fatto di controllare l'argento ha anche um sacco di banconote, e sta pensando di comprarsi il Belgio), gli basta ridurre di un po' la quantità d'argento venduta dalle sue miniere, e il valore delle banconote "silver standard" aumenterà di conseguenza.
(Oppure gli Stati ridurranno la convertibilità, inflazionando: ma in questo caso con il valore della banconote va in pari; in compenso gli aumenta il valore dell'argento che si è conservato nei magazzini,
più quello che estrae ogni giorno)
Per verificare questo teorema della "moneta-merce Libera & Democratica" basta allora controllare il grado di monopolio delle "merci" possibili. Se il grado di monopolio è basso, allora le eventualità descritte dai sostenitori della moneta-merce possono essere plausibili; se invece il grado di monopolio è alto, l'unico effetto che si ottiene utilizzando moneta merce è la sostituzione di un Potere Forte (le banche) con UN ALTRO Potere Forte (chi controlla il bene). Cambia nome e anche genere: ma sempre Potere Forte rimane.
Questa riflessione è maturata leggendo un articolo de
Il Sole 24 Ore:
Le misteriose regine del trading. Un pugno di società controlla mille miliardi di materie prime
Il merger dell'anno è ancora appeso agli incerti umori degli azionisti. Ma se i termini della fusione da 90 miliardi di euro fra Glencore, la seconda trading house del mondo, e Xstrata, un colosso minerario, potranno forse essere rivisti, nessuno dubita che i rispettivi amministratori delegati – Ivan Glasenberg e Mick Davis, entrambi sudafricani – abbiano la ferma intenzione di condurre in porto il mega-affare. Gli azionisti di Xstrata contestano il prezzo, giudicato troppo basso. «Dobbiamo agire in fretta – ha detto Davis ai grandi soci, durante una riunione alla City di Londra – perché dovremmo perdere questa opportunità?».
L'opportunità è quella di diventare giganti in un momento in cui la fame planetaria di materie prime, dopo aver già regalato un decennio d'oro ai grandi trader, promette un'altra lunga galoppata sulle praterie della globalizzazione. Secondo l'Agenzia internazionale dell'energia, il fabbisogno di carburanti per il trasporto aumenterà dell'80%, da qui a fine secolo. Secondo la Fao, la produzione alimentare dovrà crescere del 70%. E le incertezze che punteggiano il mondo sono sempre lì pronte ad offrire quel che agognano i grandi trader: la volatilità dei prezzi, il sale e il pepe della speculazione. Anche se nel 2011, questo va detto, i profitti di alcuni (inclusa Glencore) sono scivolati.
Questi gruppi, tutti dotati di potenti trading desk, ma anche di magazzini, flotte e stabilimenti sparsi per il mondo, sono grandi per davvero. Glencore controlla il 55% dello zinco e il 36% del rame mondiale. Nel 2010, Vitol e Trafigura – due trading house con sede in Svizzera – hanno venduto mediamente 8 milioni di barili di petrolio al giorno, più delle esportazioni dell'Arabia Saudita. E le cosiddette ABCD – ovvero le americane Adm, Bunge, Cargill e la francese Dreyfus – tengono in pugno le commodities alimentari: controllano fra il 75 e il 90% dei cereali mondiali.
Secondo i calcoli della Reuters, nel 2010 le prime dodici trading house del mondo hanno fatturato mille miliardi di dollari, dopo quasi dieci anni di crescita, spinta dai consumi di Cina, India e Brasile. «La maggior parte dei trader prende il prezzo che trova», commenta Chris Hinde, direttore della rivista Mining Journal. «Ma le grandi trading house hanno la capacità di fare il prezzo. E questo le mette in un'invidiabile posizione di forza».
Della Glencore si è saputo qualcosa dallo scorso maggio, quando la compagnia – sin lì poco incline alla trasparenza – ha aperto le porte e i libri quotandosi a Londra e regalando nottetempo 10 miliardi a Glansenberg. Ma se i nomi di questi colossi non sono noti al grande pubblico come ExxonMobil o Nestlè, non è tanto per la lontananza dai consumatori finali. Quanto per una deliberata scelta di segretezza. «Prima di portare la mia azienda in Borsa, devono camminare sul mio cadavere», ha dichiarato più volte Charles Koch, che col fratello David controlla la quasi centenaria Koch Industries.(testi correlati, entrambi MOLTO interessanti:
la Top 12;
Bce: prodotti energetici e alimentari trainano i rincari dei prezzi in Eurolandia )
Di conseguenza il ragionamento si sposta su QUALE merce debba eventualmente fare da "standard": perché se andiamo a vedere bene, praticamente tutte quelle più importanti sono già in stato di monopolio.
Se parliamo per esempio di "oil-standard" di fatto saranno gli arabi a governare la
nostra economia nel
loro esclusivo interesse; e dove si fermano i produttori del petrolio la
nostra economia viene governta da entità come
Vitol e
Trafigura, che detteranno le
loro politiche mometarie nell'interesse dei
loro consigli di amministrazione.
E siccome in questo caso lo standard scelto è il petrolio, basta uno spostamento anche piccolissimo per avere un impatto enorme con tutta l'economia.
Perché a noi il petrolio
serve per vivere.
Questo ragionamento può essere fatto per qualunque "merce" si decida di utilizzare come "standard": mentre il denaro è una semplice unità di misura che definisce la convertibilità di un bene in un altro bene, la "merce" costituisce un business
di per sé, cioè una roba che a sua volta genera altro business.
E questo vale dall'oro (materia prima utilizzata nell'elettronica, tanto per fare un esempio) in giù.
Tocca avere una certa cautela allora nel parlare di "moneta-merce", che la cura può essere di gran lunga peggiore del male. Passare da un'entità convenzionale di misura a un materiale più
core invece di alleggerirle rischia di appesantire le nostre catene.
A seconda del bene scelto ("grain standard", per dire; "corn standard"; "copper standard"; il già menzionato "oil standard" o anche un prossimo e prevedibile "drinkable water standard") può appesantirle anche parecchio.
E mentre le varie multinazionali che controllano le materie prime si stanno concentrando in un numero di mani sempre minore, e stanno aumentando esponenzialmente il loro potere da anni, noi possiamo sempre distrarci con tutte le farlocchissime discussioni sull'"impossibilità di ripagare il debito", fingendo che il problema alla base di tutto siano le banche.