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  Civiltà Ebraica

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Re: Civiltà Ebraica
#481
Sono certo di non sapere
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In data 25 Novembre 2011 il Daily Mail ha riportato una notizia, con a corredo numerose foto, a dir poco imbarazzante, dal titolo: "Coins from 17AD found under Jerusalem's Western Wall hints sacred site NOT built by Herod", ovvero "Monete del 17 d.C. trovate sotto il muro del Pianto dimostrano che non fu costruito da Erode". L'articolo, segnalatomi dal caro S. Pasquino (gestore del sito Famiglia Cattolica), confermerebbe l’idea di "quell’archeologo americano – Ernest Martin – per cui il Muro del Pianto era in realtà un contrafforte romano, sopra il quale non c’era il tempio, bensì il litostroto, ossia il grande cortile e i quartieri dove era stanziata la Legione X", così come afferma Maurizio Blondet. Secondo l'articolo pubblicato dal Daily Mail e tradotto in italiano da Lorenzo de Vita per EFFEDIEFFE.com, "La storia di uno dei luoghi più sacri del mondo – sacro per ebrei e musulmani – dovrà essere riscritta", infatti, "archeologi israeliani hanno dichiarato ...

... che il recente ritrovamento di alcune monete trovate sotto muro occidentale di Gerusalemme, potrebbe cambiare l’accettata credenza circa il periodo di edificazione del complesso".

"L’incredibile scoperta dimostrerebbe che il muro è stato infatti edificato molto più tardi ".

"È usanza attribuire la costruzione del complesso – noto agli ebrei come Monte del Tempio e ai musulmani come il Nobile Santuario – a Erode, morto nel 4 avanti Cristo".

"Gli archeologi, insieme all’Israel Antiquities Authority, dichiarano di aver trovato alcune monete sotto le massicce fondamenta del muro occidentale, coniate da un procuratore romano 20 anni dopo la morte di Erode", "ciò starebbe a significare che Erode non avrebbe eretto il muro – parte del quale è venerato come luogo sacro dell’ebraismo – e che la costruzione del complesso non fosse perlomeno completa quando morì".

"Il co-direttore dello scavo, Eli Shukron, afferma che: la scoperta cambia il nostro modo di valutare l’edificazione del muro, e la data più in là di quanto originariamente creduto".

Se queste scoperte saranno confermate, sinceramente me lo auguro, non solo la figura di storico ed archeologo del defunto Ernest Martin (1932 - 2002) sarà riabilitata, ma ebrei ortodossi e mussulmani dovranno contendersi un altro pretesto per "scannarsi" vicendevolmente.

Si sappia che, traendo informazioni da stampa di settore, emerge la notizia (non nuova) che è intenzione di numerosi gruppi ebraico ortodossi la distruzione della grande Moschea Al-Aqsa e della Moschea d’Oro (detta di Omar), per ricostruirvi il Tempio e ripetere il "sacrificio dell'agnello" mediante sgozzamento. Questo gesto, secondo gli ebrei zeloti, cotituirebbe il momento di ricongiungimento dell'antica Alleanza con YHWH. Da qui il motivo principale per cui i "custodi" della zona sono in conflitto perenne con gli arabi (palestinesi).

E se questa scoperta desse l'input ad un reale processo di pace? Penso che tutta l'umanità lo desideri.

Carlo Di Pietro (M.S.M.A.)

Fonte:
http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-2065254/Coins-Jerusalems-Western-Wall-hints-sacred-site-older-Herod.html

Fonte tradotta in italiano:
http://www.effedieffe.com/index.php?
Inviato il: 23/12/2011 20:39
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  •  sitchinite
      sitchinite
Re: Civiltà Ebraica
#482
Sono certo di non sapere
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Edo permettimi una osservazione: chi ha mai detto che il muro del pianto sia stato costruito da Erode?
E' fin troppo risaputo che il muro del pianto risale al II tempio, VI secolo a.C.
Il tempio fu distrutto nel 70 a.C. ed Erode ne fece solo una ristrutturazione e un ampliamento, a partire dal 19 a.C.
Inviato il: 24/12/2011 10:18
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Re: Civiltà Ebraica
#483
Sono certo di non sapere
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Video ecco che accade a un ebreo che manifesta contro israele.
Inviato il: 30/12/2011 19:07
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  •  sitchinite
      sitchinite
Re: Civiltà Ebraica
#484
Sono certo di non sapere
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Inviato il: 30/12/2011 19:27
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Re: Civiltà Ebraica
#485
Sono certo di non sapere
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2011: 'Centinaia le case demolite, decine di migliaia gli ettari di terra palestinese confiscati da Israele'

Scritto il 2012-01-02 in News

Ramallah - InfoPal. In un rapporto del Centro di ricerca palestinese (al-Ard/Terra) si legge: "Nel 2011, Israele ha abbattuto centinaia di abitazioni palestinesi, ha confiscato con la forza 11mila ettari di terra di proprietà palestinese in Cisgiordania e ad al-Quds (Gerusalemme). Ha preso d'assalto 23 moschee, con incendi, atti di vandalismo e altro".

Sono stati oltre 500 gli ordini di demolizione e le operazioni portate a termine nel 2011, contro complessi residenziali palestinesi, centinaia di strutture o impianti, garage o stabilimenti, attraverso una politica unilaterale con la quale le autorità d'occupazione israeliane dichiarano illegali tali costruzioni, dopo anni di diniego della licenza edilizia a favore dei palestinesi.

Nel 2011, Israele ha occupato 12mila ettari di terra palestinesi, oltre 2mila gli ettari agricoli confiscati illegalmente dagli israeliani.

Oltre 20mila gli alberi danneggiati del tutto o in parte. Tra i danni si annoverano anche le azioni di vandalismo e di inquinamento deliberati su terra e risorse palestinesi.

3.408 gli attacchi ai danni di uliveti palestinesi: 1.800 alberi d'ulivo sono andati persi, e non si contano gli assalti dei coloni israeliani contro i cittadini palestinesi impegnati nel raccolto delle olive, terminato da poche settimane.

Sono poi raddoppiati gli attacchi nella Valle del Giordano, dove Israele sta conducendo un piano di pulizia etnica.

Nel Negev: ripetutamente Israele ha condotto demolizioni tra le comunità beduine, come è accaduto ad 'Araqib, abbattuto più di 40 volte. Ogni volta, i suoi residenti lo hanno ricostruito.

Gerusalemme: Oltre 3.158 ettari di terra sono stati derubati da Israele intorno a Gerusalemme. 40 abitazioni sono state abbattute: 282 sfollati, 177 sono bambini.

Altre 134 case sono minacciate di imminente demolizione, comprese 56 strutture di uso diverso da quello residenziale e altre 17 tra garage e depositi.

Nella Città Santa, sono stati sradicati e bruciati 1.098 alberi, 880 dei quali sono andati completamente persi.

Si legge infine nel documento: "Detti attacchi a Gerusalemme sono materiali, ma sono soprattutto un'aggressione all'identità collettiva nazionale, contro storia e patrimonio dei palestinesi".

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Inviato il: 3/1/2012 15:08
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  •  Pispax
      Pispax
Re: Civiltà Ebraica
#486
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Non seguo abitualmente questo thread.
Parla di cose che mi interessano, ma lo fa in un modo talmente tanto partigiano e orientato da renderne completamente inutile la lettura. Figuriamoci poi l'idea di intervenire.


Però mi chiedevo come mai nessuno abbia commentato MAI, né qui né altrove, una notizia bruttacchiola assai che riguarda la "civiltà turca".
Proprio quella Turchia che è stata osannata come "Paladina della Libertà" per l'invio della Freedom Flottilla.
Il Nano (Turchia, 79.000.000 abitanti, PIL=1.189.994 M$) che osa ergersi contro il Gigante (Israele, 7.600.000 abitanti, PIL=200.630 M$).


Raid aereo in Kurdistan Uccisi 35 civili
Proteste a Istanbul




«Secondo le prime informazioni quelle persone erano contrabbandieri e non terroristi», cioè ribelli separatisti curdi del Pkk, ha detto Huseyin Celik, vicepresidente dell'Akp, il partito per la Giustizia e lo sviluppo islamico conservatore. «Se c'è stato un errore, una sbavatura, la questione non verrà insabbiata» ha detto Celik, affermando che sembra si tratti di un «incidente operativo» militare. Secondo le autorità locali le vittime, per la maggior parte tra i 16 e i 20 anni, facevano contrabbando di sigarette con muli e asini tra la Turchia e l'Iraq, ha detto Celik, invitando l'opinione pubblica ad attendere le indagini sull'incidente. Circa 2.000 curdi hanno manifestato a Istanbul contro il governo dopo il raid aereo.


Sono morti 35 civili. Una "sbavatura"?

In ogni caso capisco perfettamente come la storia dei "Bambini palestinesi svegliati nella notte e fotografati dai soldati israeliani" possa e debba suscitare uno sdegno maggiore.
Certo.






EDIT:

A propristo: prima che qualcuno si premuri di farmelo notare, vorrei sottolineare che
Citazione:
Questo forum si propone di raccogliere gli elementi che possano rendere, più realsticamente possibile, l'immagine d'Israele nei suoi equilibri interni e nei suoi rapporti con il resto del mondo.


E quindi la notizia non è per niente OT.
Inviato il: 3/1/2012 22:25
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Re: Civiltà Ebraica
#487
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Un bambino palestinese di 6 anni tra gli arresti delle ultime ore

Scritto il 2012-01-04 in News

Al-Quds (Gerusalemme) - Ma'an, InfoPal. Un bambino palestinese di 6 anni è stato sequestrato e trattenuto per alcune ore dalle forze israeliane sotto copertura, secondo quanto raccontano i parenti.

Il nonno, Daoud Dirbas, riferisce all'agenzia Ma'an che durante il raid israeliano a al-'Essawiyah, i giovani del luogo hanno scagliato pietre per respingere i militari.
L'anziano palestinese ha aggiunto che suo nipote, Mohammed 'Ali Dirbas, è stato fermato dall'esercito israeliano mentre si dirigeva in un negozio ed è stato portato alla stazione di polizia, dove è stato interrogato per quattro ore.

Al rilascio, il piccolo Mohammed ha detto che gli ufficiali hanno tentato di spaventarlo "ma io non ho paura di loro, sono loro che devono lasciare la nostra terra".

I residenti di al-'Essawiyah hanno poi continuato il racconto su come le forze israeliane e la polizia sotto copertura abbiano attaccato la città, lanciando granate e gas lacrimogeni, perseguitando e arrestando i più piccoli.
A luglio, agenti israeliani in borghese avevano arrestato alcuni ragazzini palestinesi mentre giocavano a pallone a Gerusalemme Est.

Ieri, a Qalqiliya, i militari d'occupazione hanno arrestato una ragazza palestinese di 19 anni presso il checkpoint d'ingresso alla città palestinese. Maha Ghazi Barham stava rientrando da una visita al fratello, detenuto in una prigione israeliana.

Sempre ieri, in tutta la Cisgiordania 14 cittadini palestinesi sono stati sequestrati dagli israeliani.

(Nella foto: Mohammed 'Ali Dirbas. Ma'an).

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Inviato il: 4/1/2012 13:54
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Re: Civiltà Ebraica
#488
Mi sento vacillare
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Pispax, di regimi infami ce ne sono molti.
Ma ti sfugge (ti vuole sfuggire) sempre il punto fondamentale.
Israele lì non ci doveva stare e nulla potrà sanare questo peccato
originale.
Inviato il: 4/1/2012 14:24
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Re: Civiltà Ebraica
#489
Sono certo di non sapere
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Angela Merkel e il doppiopesismo sulle riparazioni di guerra.
Michael Hoffman scriveva, sul suo blog, della “ mentalità talmudica incentrata sull’eccezionalismo della vittima giudaica”. Questa mentalità, posta a fondamento della nazione-guida del cosiddetto “Occidente”, è stata interiorizzata da tutti i capi di Stato dell’Occidente medesimo, a cominciare dai governanti tedeschi.
A chi avesse ancora dei dubbi, suggerirei di confrontare la disparità di trattamento riservata dai detti governanti, da un lato, alle richieste di risarcimenti – per le vicende della seconda guerra mondiale – provenienti dalle organizzazioni giudaiche e dallo Stato d’Israele e, dall’altro, alle analoghe richieste provenienti dallo Stato italiano. Prima però ricordiamo, per sommi capi, di cosa stiamo parlando. Su cosa si fonda la dottrina del predetto eccezionalismo? Sulla (presunta) differenza tra l’”anima israeliana” e l’”anima di tutte le altre nazioni”. In cosa consiste tale differenza? Lo enuncia il rabbino Avraham Kook, citato tempo fa da Salman Masalha: “La differenza tra l’anima israeliana, la sua indipendenza, il suo intimo desiderio, la sua aspirazione, le sue caratteristiche e il suo temperamento, e l’anima di tutte le altre nazioni, è più grande e profonda della differenza tra l’anima di un essere umano e l’anima di una bestia. D’altra parte, puntualizzava nel 1965 il mensile “Alliance d’Abraham”, “Israele non è un essere quantitativo ma qualitativo. È letteralmente NON NUMERABILE. Assassinare un ebreo che vive secondo la volontà dell’ETERNO, studiando e praticando la sua religione di giustizia, vuol dire assassinare tutto un popolo santo , vuol dire assassinare tutta un’umanità, vuol dire distruggere tutto un universo poiché il giusto è la base del mondo. Ora, tale postulata differenza si rispecchia puntualmente nell’abisso di considerazione che separa, nel mondo di oggi, le vittime giudaiche della seconda guerra mondiale dalle vittime non giudaiche (e, in particolare, dalle vittime italiane). Confrontate l’interminabile sequela di risarcimenti che la Germania ottempera, dal 1945, nei confronti delle organizzazioni giudaiche e di Israele, con l’atteggiamento opposto dalla medesima Germania (e dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aja) al recente ricorso italiano vòlto ad ottenere analoghi indennizzi. Il 3 maggio 2007, sul sito di lingua inglese dello “Spiegel Online International”, un articolo di David Gordon Smith da Berlino segnala che, secondo Ingeburg Grüning, portavoce del ministero tedesco delle Finanze e responsabile delle riparazioni pagate ai sopravvissuti dell’Olocausto, il governo tedesco, che ha già versato un totale di circa 64 miliardi di euro ai sopravvissuti dell’Olocausto.Dal sito dell’ANPI della Lombardia, apprendiamo che:
La Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha respinto il ricorso presentato dall’Italia che chiedeva alla Germania indennizzi alle vittime italiane dei crimini compiuti dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Il ricorso è stato respinto con 13 voti su 14. Per i giudici internazionali la richiesta italiana ‘è irricevibile’. A questa sentenza l’Italia potrà fare appello entro il 14 gennaio prossimo. La Germania di fatto, ha ottenuto un grosso successo in quanto si era rivolta alla Corte ONU nel 2008 dopo che una sentenza della Corte di Cassazione italiana, nello stesso anno, aveva riconosciuto ai familiari di alcune vittime il diritto a ottenere indennizzi individuali da parte della Germania. In particolare ai familiari di alcune vittime di una strage compiuta il 29 giugno 1944 quando 203 civili vennero massacrati dai soldati dell’esercito del Terzo Reich, a Civitella in Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio, in Toscana. L’Alta corte italiana aveva quantificato. l’indennizzo a circa 800mila euro. La cancelleria tedesca sulla base di un accordo del 1961, ha versato all’Italia un risarcimento per i danni di guerra una tantum pari a 40 milioni di vecchi marchi. Dopo di che ha negato ogni ulteriori indennizzo. Capito l’antifona? Solo 40 milioni e fateveli bastare! … Senza contare che la Germania deve pagare altri paesi oltre agli ebrei (per esempio, la Grecia…) Un atteggiamento sintetizzabile in una parola sola: “IRRICEVIBILE”.

estratto da:
http://olo-truffa.myblog.it/angela-merkel/
Inviato il: 6/1/2012 19:54
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Re: Civiltà Ebraica
#490
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ISRAELE: no a nuove cittadinanaze per i palestinesi

di Michele Giorgio



Senza risultato le proteste dei centri per i diritti umani per la decisione della Corte Suprema di convalidare la legge che dal 2003 impedisce ai palestinesi dei Territori Occupati sposati con israeliani di ottenere la cittadinanza e le residenze permanenti.

“E’ un giorno buio per la protezione dei diritti umani, e per la Corte Suprema israeliana che non è riuscita a difendere un diritto fondamentale dalla tirannia della maggioranza alla Knesset, il parlamento di Israele. Si colpisce la vita di tante famiglie il cui unico peccato è di avere nelle vene sangue palestinese”. Così gli avvocati dell’Associazione per i Diritti Civili in Israele (Acri), Dan Yakir e Oded Feller, hanno commentato la decisione della Corte Suprema che mercoledì sera ha respinto, con sei voti contro cinque, i ricorsi presentati dalla parlamentare Zehava Galon, dall’Acri e da due organizzazioni per i diritti umani, Adalah e Hamoked, contro gli articoli della Legge sulla Cittadinanza che dal 2003 negano agli sposi palestinesi di cittadini israeliani il diritto a diventare cittadini o residenti permanenti in Israele.

E’ un divieto che non può esistere in uno Stato democratico, perché nega il ricongiungimento familiare su base etnica. Il solo fatto di essere palestinese fa venire meno il diritto. Eppure i giudici della Corte Suprema, interpretando evidentemente il sentire di un paese sempre più spostato a destra e che si sente sempre più libero da vincoli internazionali, lo ritengono invece un divieto legittimo, perché impedisce che il conferimento della cittadinanza a migliaia di palestinesi dei Territori occupati metta a «rischio», tra decenni, la maggioranza ebraica di Israele.
«I diritti umani non sono una ricetta per un suicidio nazionale», ha scritto nella sentenza il giudice Asher Grunis, che prenderà presto il posto di Dorit Beinish (che mercoledì sera si è trovata in minoranza proprio su questa sentenza) alla presidenza della Corte Suprema. La sconfitta della Beinish conferma che i massimi giudici israeliani si stanno piegando sempre più spesso alle pressioni di stampo ultranazionalista che giungono dalla Knesset. «La Corte ha dato legittimità a una legge che attua una discriminazione grave su base etnica. Tutto ciò non ha nulla in comune con la democrazia e il diritto perché rientra nelle politiche che attuano gli Stati autoritari», ha detto l’ex ministro dell’istruzione Yuli Tamir.

La modifica della Legge sulla Cittadinanza fu presentata nove anni fa come «provvisoria», volta unicamente a impedire che l’ottenimento del passaporto israeliano o della residenza permanente offrisse a militanti di organizzazioni armate il modo per entrare nel paese e compiere attentati. Ora emerge il suo intento discriminatorio. In base alla legge, la cittadinanza israeliana può essere concessa a un palestinese soltanto in pochi casi. I più colpiti sono gli arabi israeliani, cioè palestinesi con passaporto israeliano (circa il 20% degli oltre 7 milioni di cittadini di Israele) che corrono il rischio di dover emigrare per poter tenere unita la famiglia. Un «transfer» silenzioso che potrebbe riguardare in modo particolare migliaia di donne arabe costrette a lasciare Israele e a trasferirsi nei Territori occupati per poter vivere, con i figli, assieme ai mariti. Avranno vita più facile i palestinesi collaborazionisti dei servizi di sicurezza israeliani. La legge infatti afferma che il ministero dell’interno è autorizzato a concedere la cittadinanza se il richiedente dalla Cisgiordania si identifica con lo Stato di Israele e che lui o suoi familiari hanno cooperato o dato un contributo alla sua sicurezza.

L’anno scorso solo 33 delle 3mila domande di cittadinanza presentate sono state approvate, ha rivelato l’avvocato Sawsan Zaher, che aveva presentato ricorso a nome del gruppo Adalah. Sarebbero oltre centomila invece i palestinesi che negli ultimi venti anni si sono visti accordare i permessi permamenti di residenza e la cittadinanza.

(Fonte:NenaNews)
Inviato il: 14/1/2012 21:11
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Re: Civiltà Ebraica
#491
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La Palestina e i centouno permessi israeliani

di Emma Mancini



Centouno differenti permessi per regolare, gestire e ostacolare la libertà di movimento dei palestinesi residenti in Cisgiordania. Ad emetterli è l’Amministrazione Civile israeliana, autorità responsabile di rilasciare il via libera al movimento all’interno dei Territori e verso Israele.

Un potere unilaterale che permette a Tel Aviv di regolare la vita quotidiana di oltre due milioni di palestinesi. Permessi di lavoro, permessi medici, permessi religiosi, permessi per lavorare la propria terra. Permessi per partecipare ad un matrimonio, permessi per andare ad un funerale e permessi per prendere parte ad un processo. Permessi per entrare con l’ambulanza nella “seam zone” (zona cuscinetto tra il confine ufficiale della Linea Verde e il percorso del Muro di Separazione), permessi per costruire una casa nella propria terra.



Centouno diversi documenti, triplicati negli ultimi anni tanto da creare un sistema burocratico inestricabile, volutamente lento e inefficiente. Dietro, a regolare il tutto, c’è l’Amministrazione Civile, il braccio di Tel Aviv in Cisgiordania. Autorità creata nel 1981 per gestire ed amministrare la vita civile nei Territori occupati militarmente dallo Stato di Israele, opera attualmente sotto l’ombrello del Ministero della Difesa israeliano.



Un sistema, quello dei permessi, che Israele giustifica da decenni come necessario a garantire la sicurezza dei propri cittadini, ma che ha portato molti osservatori e organizzazioni internazionali a parlare apertamente di regime di apartheid nei confronti della popolazione palestinese. Il report dell’agenzia delle Nazioni Unite OCHA ha stimato che il 20% dei giorni lavorativi dei dipendenti di Ong o associazioni umanitarie viene sprecato dietro le pratiche e le attese per ottenere un permesso.



Ecco i tipi di permessi più comuni e le storie di palestinesi costretti a convivere con un sistema burocratico messo in piedi nell’intento di rendere la vita della popolazione impossibile.

PERMESSI DI LAVORO:

11 maggio 2011: 2410 persone sono passate stamattina al checkpoint di Betlemme in due ore e tre quarti, dalle 3.55 alle 6.40. “Una buona media rispetto al solito”, racconta all’AIC un volontario dell’associazione Ecumenical Accompaniment Programme in Palestine and Israel (EAPPI), che monitora il checkpoint due volte a settimana. “A volte restiamo qui fino alle 8 per lo stesso numero di lavoratori”.
Ogni giorno circa 2500 persone si recano in Israele a lavorare, ogni giorno impiegano almeno due ore per attraversare il Muro dell’apartheid che separa Betlemme da Gerusalemme.


Il checkpoint apre alle 4 ma già dalle 2 di notte ci sono centinaia di persone in attesa, soprattutto coloro che lavorano in luoghi lontani come Tel Aviv ed Haifa. Arriviamo al checkpoint alle 4.45, quando è ancora buio, quando Betlemme e Beit Sahour sembrano dormire tranquille. Già da lontano sentiamo le urla degli uomini, urla di un’umanità sfinita, che provengono dalla gabbia in cui vengono quotidianamente chiusi i palestinesi. Sono principalmente persone che lavoravano in Israele già prima della costruzione del Muro di Separazione e che hanno mantenuto il loro permesso di lavoro. Si tratta di permessi della durata di pochi mesi e validi dalle 5 alle 19; ogni ingresso o uscita dopo questi orari è vietato, pena il ritiro permanente del permesso (da “Alba al checkpoint di Betlemme insieme ai lavoratori” – Alternative Information Center).



Sono oltre 70mila i palestinesi che ogni giorno attraversano il Muro di Separazione per recarsi al lavoro in Israele, la metà di coloro che possedevano un permesso di lavoro prima della Prima Intifada. “Prima della Seconda Intifada – spiega Amira Mustafa dell’associazione DWRC – la forza lavoro palestinese era per lo più impiegata in Israele nel settore delle costruzioni o in Cisgiordania in agricoltura. La terra ha da sempre rappresentato la nostra maggiore ricchezza. Con lo scoppio della Seconda Intifada nel 2000 e la reazione violenta israeliana, tutto è cambiato in peggio. Le autorità israeliane hanno chiuso la Cisgiordania, hanno costruito il Muro di Separazione e hanno compiuto arresti indiscriminati” (da “Crisi in Cisgiordania tra lavoro nero e disoccupazione” – Alternative Information Center).



PERMESSI DI PREGHIERA:



5 agosto 2011: Primo venerdì di Ramadan. Al tragitto solito del checkpoint che divide Betlemme da Gerusalemme, alle grate di ferro e alle lamiere, sono state aggiunte delle nuove barriere: due fila di mura in cemento separano gli uomini dalle donne. All’ingresso un cartello ricorda che, su ordine delle autorità israeliane, possono recarsi a pregare nella Moschea di Al-Aqsa (il terzo luogo sacro dell’Islam) solo gli uomini sopra i 50 anni, le donne sopra i 45 e chi ha ottenuto un permesso d’ingresso permanente in Israele.



A vigilare ci sono i poliziotti palestinesi, donne e uomini in divisa, che in una scioccante e preoccupante atmosfera di normalizzazione del conflitto comunicano serenamente con gli omologhi israeliani dall’altra parte. Durante il Ramadan saranno le forze di polizia dell’Autorità Palestinese a fare da cani da guardia, a controllare quei documenti che di solito sono controllati da giovani soldati israeliani, a decidere chi può passare e chi no, in un’atmosfera surreale che sa di complice accettazione.



Al di là del checkpoint ad attendere i fedeli musulmani ci sono i soldati di Tel Aviv con metal detector portatili. Molti quelli che tentano di passare comunque, consapevoli che senza permesso Gerusalemme resterà un miraggio, e allora restano là in piedi, di fronte ad checkpoint invalicabile. Un uomo sulla quarantina scoppia in lacrime in faccia ai poliziotti palestinesi, “Voglio solo pregare ad Al-Aqsa, voglio solo poter pregare liberamente” (da “Venerdì di Ramadan: al checkpoint 300 è la polizia palestinese a fare il cane da guardia” – Alternative Information Center ).





PERMESSI PER LAVORARE LA TERRA:



Dopo la costruzione del Muro di Separazione, moltissime terre agricole di proprietà palestinese sono rimaste “intrappolate” al di là della barriera di cemento e filo spinato. In alcuni casi, le autorità israeliane hanno proceduto alla confisca diretta delle terre ormai irraggiungibili per i legittimi proprietari. In altri casi, permette l’accesso ai contadini palestinesi dietro ottenimento di un permesso.



Permesso che garantisce al contadino palestinese proprietario di un appezzamento di terra tra il Muro e la Linea Verde di lavorare la sua terra, tramite l’attraversamento ogni giorno di checkpoint controllati dall’esercito israeliano. In alcuni casi, come nel villaggio di Falamya nel distretto di Qalqiylia, il gate agricolo resta aperto al transito dei contadini dalle 5 del mattino alle 5 del pomeriggio. In altri casi, come nel vicino gate di Jeius, l’apertura è molto limitata: dalle 5.30 alle 6.30, dalle 12 alle 13 e dalle 15 alle 16. Si entra e si esce solo in questi lassi di tempo.



A rilasciare i permessi di lavoro agricolo è l’Amministrazione Civile. Si tratta di permessi temporanei, della durata variabile: a volte di 3 mesi, a volte di sei, altre di un anno. Per ottenere l’agognato permesso, il proprietario palestinese della terra “intrappolata” deve presentare all’Amministrazione Civile la carta d’identità, il documento che attesta la proprietà della terra e un certificato del tribunale che dimostra che la terra in questione si trova al di là del Muro di Separazione.



Dopo il decimo anno di età, ogni uomo e ogni donna palestinese deve richiedere tale permesso. Per coloro che hanno trascorso del tempo in una prigione israeliana o sono stati arrestati dalle forze di occupazione, la loro probabilità di ottenere questi permessi sono sostanzialmente inesistenti.


Secondo i gruppi per i diritti umani, circa 700 minori palestinesi vengono arrestati e portati davanti ai tribunali israeliani ogni anno. Ciò significa che la prossima generazione avrà ancora più difficoltà nel lavorare le terre dall’altra parte del Muro di Separazione. Come le autorità israeliane hanno dimostrato più e più volte, ogni scusa è buona per confiscare le terre solo apparentemente abbandonate (da “La lotta dei contadini di Qalqilya, al di là del Muro di Separazione” – Alternative Information Center).





PERMESSI DI COSTRUZIONE:



16 novembre 2011: Trenta mezzi blindati e più di cento soldati si sono presentati ieri mattina nell’area di Ein al-Duyuk al-Taht, vicino alla città vecchia di Gerico e, dopo aver dichiarato l’area zona militare chiusa, hanno dato il via alle demolizioni. Con il pretesto che le costruzioni edilizie mettevano in pericolo l’adiacente sito archeologico.



Un portavoce dell’autorità israeliana ha dichiarato che le quattro strutture “erano state costruite senza permesso su terra statale destinata all’agricoltura”. Permessi di costruzione che sono praticamente impossibili da ottenere, soprattutto nei territori dell’Area C, il 61% della Cisgiordania.
La struttura responsabile del rilascio dei permessi è l’Amministrazione Civile Israeliana. Secondo i dati della stessa autorità israeliana, dal 2001 al 2007 il tasso di approvazione delle richieste di costruzioni presentate dai palestinesi è stato del 5,5%, mentre il tasso di rifiuto è stato del 94,5% (da “Jericho: demolite 4 case palestinesi” – Alternative Information Center).





PERMESSI MEDICI:



I principali servizi medici specialistici sono concentrati a Gerusalemme Est, tuttavia sono inaccessibili per la maggior parte della popolazione palestinese. Le restrizioni di accesso alla città santa sono iniziate ben prima la costruzione del Muro di Separazione. Già a partire dal 1993 tutti i palestinesi che non avevano la cittadinanza israeliana o la residenza a Gerusalemme Est erano obbligati a chiedere un permesso speciale per accedere alla città. E la stessa cosa valeva per i permessi sanitari. Un sistema lungo e complesso per vedere il proprio diritto alla salute riconosciuto. Spesso i permessi non venivano concessi agli uomini di età compresa tra i 15 e i 30 anni, “per motivi di sicurezza”. E anche chi riusciva ad ottenerlo poteva stare a Gerusalemme per un periodo molto limitato di tempo, e spesso i familiari non avevano il permesso di accompagnarlo.

La situazione è precipitata a partire dal 2007, dopo la costruzione del Muro intorno a Gerusalemme: ora l’accesso alla città santa, e quindi alle cure mediche, è molto più limitato e anche per i pochi fortunati che lo ottengono, le file ai checkpoint sono interminabili, specialmente di mattina. Secondo i dati della Società della Mezzaluna Rossa Palestinese (PRCS), nel 2009 sono stati registrati 440 casi di ritardo o di blocco delle ambulanze presso i checkpoint dei Territori Palestinesi Occupati - e due terzi sono avvenuti presso i posti di blocco che conducevano a Gerusalemme (da “Nati e morti ai check-point militari israeliani” – Alternative Information Center).



L’Amministrazione Civile israeliana ha l’autorità di rilasciare i permessi per motivi di salute e anche in questo caso sa bene come rendere difficile la vita dei palestinesi dei Territori. E in alcuni casi con questa vita, ci gioca. Come successo alla nonna di Bilal, giovane palestinese del campo profughi di Aida a Betlemme, la cui casa è rimasta intrappolata nella cosidetta “seam zone”, tra il Muro e la Linea Verde. Né in Cisgiordania né in Israele.



Una zona grigia che ha assunto una tinta tragica quando due anni fa la nonna di Bilal è stata colpita da un attacco di cuore. Era la proprietaria della casa di famiglia, finita sette anni fa oltre il Muro, e ha sempre rifiutato di lasciarla. Quando ha detto di sentirsi male, la famiglia Jadou ha chiamato un’ambulanza israeliana. Gli israeliani hanno risposto che non erano autorizzati ad entrare in quell’area e hanno suggerito di contattare i servizi di emergenza palestinesi, al di là del Muro di Separazione.



“L’ambulanza palestinese ha dovuto attendere al checkpoint mentre noi provavamo ad ottenere un permesso per farla passare dall’esercito israeliano. Durante quella lunga attesa, circa tre o quattro ore, le condizioni di mia nonna peggioravano”, ricorda Bilal.



Nel disperato tentativo di ottenere assistenza medica per sua nonna, Bilal e la sua famiglia l’hanno legata alla schiena di un asino e hanno attraversato così il checkpoint. “È morta in ambulanza, mentre andavamo in ospedale” (da “Vita e morte nella seam zone” – Alternative Information Center).



(Fonte:Alternative Information Center)
Inviato il: 14/1/2012 21:12
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Re: Civiltà Ebraica
#492
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L'esercito israeliano chiude l'accesso alla Scuola di Gomme

di Vento di Terra (ONG)



La ong Vento di Terra, che ha costruito la struttura, ha chiesto che siano garantiti i diritti dei beduini. Da oggi, oltre alle minacce di demolizione, la scuola elementare realizzata nel deserto per la comunità beduina Jahalin utilizzando 2.100 pneumatici dovrà affrontare il totale isolamento.


È la denuncia dell’Ong italiana Vento di Terra che nel 2009, grazie anche al contributo della Cooperazione Italiana e della CEI, ha realizzato il progetto della “Scuola di Gomme”, un’opera diventata simbolo per il piccolo villaggio palestinese di Khan al Akhmar, in Cisgiordania.

Lo scorso 9 gennaio, su disposizione dell’Amministrazione civile israeliana, l’esercito ha bloccato l’ accesso del villaggio alla Highway che collega Gerusalemme a Gerico con un guardrail ed alcuni blocchi di cemento.

«Quello che sta accadendo in questi giorni fa parte di una strategia più ampia di pressioni politiche nei confronti delle comunità beduine palestinesi, per costringerli ad abbandonare i loro luoghi di vita», sostiene Massimo Annibale Rossi, presidente di Vento di Terra ONG. Il piano delle autorità israeliane prevede il trasferimento forzato delle comunità beduine palestinesi che vivono sulle colline ad est di Gerusalemme, nella valle del Giordano e a sud di Hebron, in quella che è stata classificata “Area C” dagli accordi di Oslo. «Quanto più la pressione militare aumenta tanto più diventa difficile difendere i diritti della popolazione beduina ed in particolare quelli dei bambini», aggiunge Rossi.

L’unico collegamento attualmente percorribile ad Khan al Akhmar è una strada non asfaltata di circa due chilometri e mezzo, piena di buche e praticabile unicamente dai fuoristrada. La chiusura dell’accesso alla “Highway1” comporta gravi ripercussioni per la comunità Jahalin che verrà isolata quasi completamente da ospedali, strade, scuole superiori e centri urbani.

Gli enti locali italiani a sostegno del progetto, Unicef, Unrwa ed Amnesty International si sono attivati in difesa della Scuola di Gomme e del diritto allo studio dei circa 100 piccoli beduini che la frequentano.

Vento di Terra ONG continuerà ad operare a fianco delle comunità locali cercando di alleviare le ripercussioni sulle condizioni di vita e si unisce alla loro richiesta di garantire al più presto una strada alternativa ed adeguata per il villaggio e la sua scuola.


(Fonte: Alternative Information Center)
Inviato il: 14/1/2012 21:13
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Re: Civiltà Ebraica
#493
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Israele, il rifugiato diventa criminale

di Giorgia Grifoni



Il Parlamento israeliano ha approvato con maggioranza di due terzi alcuni emendamenti alla legge anti-infiltrati. Gli immigrati illegali potrebbero andare in carcere per un tempo indeterminato e senza alcun processo.

I perseguitati non sono benvenuti in Israele. Lunedì scorso, la Knesset ha approvato, con soli otto contrari su 45, un emendamento al disegno di legge sulla cosiddetta “infiltrazione”, ovvero l’immigrazione illegale nel paese. Si rivolge principalmente ai migranti provenienti dall’Africa che varcano la frontiera nel Sinai e fuggono da regimi dittatoriali, come Sudan ed Eritrea. D’ora in poi, se catturati, potranno passare in carcere dai 3 anni in su, a seconda del loro paese d’appartenenza: ad esempio, i profughi che vengono dal Sudan -considerato come un paese nemico- potrebbero restare in prigione per un tempo indeterminato. Coloro che invece aiutano i migranti a entrare nel paese o peggio, li impiegano in nero per lavorare, rischiano fino a 15 anni di prigione e multe salatissime. E senza alcun processo: tutto, pur di non minare la maggioranza ebraica dello stato di Israele.

Chiamati indistintamente “infiltrati”, sono più di 1200 –secondo le stime del Governo- i migranti africani che ogni mese varcano la frontiera col Sinai. Molti di loro potrebbero ottenere asilo politico, mentre altri cercano un lavoro e migliori condizioni di vita. La legge israeliana, che non faceva alcuna distinzione tra il richiedente asilo o meno, non ne farà nemmeno ora che è previsto il carcere: finora le autorità di frontiera non si sono mai preoccupate di verificare lo status del migrante, il che ha generato una moltitudine di persone rilasciate nelle grandi città israeliane senza diritti né identità. Molti di loro bivaccavano nei giardini pubblici dei quartieri sud di Tel Aviv in attesa di essere reclutati per qualche lavoro, con il rischio di non venir pagati perché inesistenti. Adesso quella fiumana inonderà le prigioni e il richiedente asilo diventerà un criminale a tutti gli effetti.

Questo tipo di misure era nell’aria già da tempo: le dichiarazioni allarmanti del sindaco di Tel Aviv Ron Huldai, che si lamentava dei cambiamenti e del degrado della città dovuti, secondo lui, alla massiccia presenza di immigrati “non ebrei”, avevano riportato la questione sui banchi della Knesset lo scorso dicembre. Il primo ministro Netanyahu aveva dichiarato la rinnovata necessità di difendere “i propri confini e la sicurezza dei cittadini”. A questo proposito, un muro lungo circa 240 chilometri che separa Israele dall’Egitto cresce al ritmo di 800 metri al giorno e dovrebbe tenere a bada le masse migranti già verso la metà del 2012.

La legge anti-infiltrati non è l’ultima di una serie di provvedimenti varati dal governo Netanyahu che hanno come obiettivo gli immigrati “non ebrei” nel paese: un paio di mesi fa è passata una legge che limita i finanziamenti esteri alle ONG definite “politiche”, quindi anche a quelle che si occupano dei diritti dei rifugiati. Una legislazione che sconcerta israeliani e stranieri, considerata inumana e antidemocratica dai media e dagli attivisti per i diritti umani. Senza contare poi che viola la Convenzione sui Rifugiati del 1951, di cui Israele è firmatario, che vieta la detenzione o l’espulsione dei soggetti che godono di protezione internazionale. Dulcis in fundo, evidenzia il crescente razzismo della società israeliana nei confronti degli immigrati africani dovuto, tra le altre cose, allo spauracchio di finire in minoranza in uno Stato costitutosi appena 60 anni fa. Uno Stato costruito da immigrati che, per conservare il suo carattere ebraico, deve fare tutto quello che può: anche incarcerare gli immigrati che non sono ebrei.

(Fonte: NenaNews)
Inviato il: 14/1/2012 21:15
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Re: Civiltà Ebraica
#494
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I sei luoghi comuni sbagliati su Gaza da lasciare al 2011

da Gisha



Con l’inizio del nuovo, è tempo di lasciare indietro alcuni luoghi comuni sulla Striscia di Gaza, spesso ripetuti dal governo israeliano e dai più importanti media.

Al sesto posto: “La chiusura di civili non esiste più, restano solo restrizioni per la sicurezza”.

Gaza non è isolata dal resto del mondo come lo era qualche anno fa, ma continua ad essere tagliata via dalla Cisgiordania ed è difficile trovare delle ragioni di sicurezza convincenti. Ad esempio, Israele proibisce agli studenti di viaggiare da Gaza alla Cisgiordania – i controlli di sicurezza individuali non sono nemmeno contemplati perché il divieto è assoluto. Israele non autorizza che beni prodotti a Gaza siano venduti in Israele e in Cisgiordania, mentre allo stesso tempo l’export di beni da Gaza all’Europa è possibile solo attraverso aeroporti e porti israeliani. Inoltre, impone restrizioni all’importazione di materiali di costruzione nella Striscia di Gaza.

L’impatto è sentito in maniera più forte dalle organizzazioni internazionali, piuttosto che dal governo locale, che importa il cemento, la ghiaia e l’acciaio di cui ha bisogno attraverso i tunnel con l’Egitto. Le attuali restrizioni rendono difficile per l’economia di Gaza recuperare terreno, dividono le famiglie e impediscono ai residenti l’accesso ad un’educazione alta e all’opportunità di ottenere una formazione in diversi campi di estrema necessità.

Al quinto posto: “Israele fornisce a Gaza denaro, elettricità e acqua”.

Vero, Israele fornisce i residenti di Gaza di acqua ed elettricità. Ma per “fornire” si intende “vendere”. Israele inoltre non dà denaro ai palestinesi della Striscia, ma trasferisce le tasse pagate a Gaza e raccolte dalle autorità israeliane, in genere con grande ritardo.

Al quarto posto: “Il rapporto Palmer ha concluso che l’assedio è legale”.

La Commissione Palmer ha stabilito di non esaminare la legalità dell’assedio totale della Striscia di Gaza e ha soltanto affermato che il blocco navale imposto a Gaza è legale. Nel suo report, la Commissione ha incluso la raccomandazione ad Israele a ridurre le restrizioni al movimento “al fine di terminare l’assedio e di alleviare l’insostenibile situazione umanitaria ed economica della popolazione civile”.

Al terzo posto: “Gaza confina con l’Egitto, per cui sono gli egiziani a doversi prendere cura della Striscia”.

Sei mesi fa, abbiamo elencato i dieci principali motivi per cui l’apertura del confine di Rafah non serve. La lista è valida tuttora, ma va aggiunto che, anche se l’Egitto aprisse completamente Rafah al transito di beni e persone, questo non eliminerebbe il problema delle restrizioni al movimento tra Gaza e la Cisgiordania. Il desiderio di spingere Gaza verso l’Egitto, e quindi di tagliare via la Cisgiordania da Gaza, è comune, ma la sua implementazione strangolerebbe Israele legalmente e politicamente.

Al secondo posto: “Israele non occupa più militarmente Gaza e quello che ha ottenuto sono i missili Qassam”.

Lanciare missili Qassam contro civili è un ingiustificabile crimine di guerra. Questo è chiaro. Dovremmo ricordare che i missili non sono cominciati dopo il disimpegno da Gaza e che quattro anni e mezzo di assedio non sono serviti a ridurre la minaccia del lancio di missili da Gaza a Israele.

Con il disimpegno, Israele ha rimosso le installazioni militari permanenti e le colonie civile dalla Striscia di Gaza, ma il controllo israeliano sulla Striscia è davvero finito? Provate a chiedere ad un palestinese di Gaza se ritiene che Israele se ne sia davvero andato dalla sua vita. Non ci penserà due volte prima di rispondere di no. Israele controlla la sua capacità di andare a studiare in Cisgiordania, di esportare beni, di pescare, di coltivare la terra e di visitare i familiari. Vero, è difficile immaginare che il controllo di un territorio si possa esercitare senza presenza militare permanente sul terreno, ma è proprio questa la situazione unica che Gaza vive oggi.

E al primo posto: “Gli abitanti di Gaza hanno votato per Hamas, quindi se la sono voluta”.

La vittoria di Hamas alle elezioni parlamentari del 2006, poco dopo il ritiro israeliano dalla Striscia, ha sorpreso molti. Il disimpegno non ha sostenuto il processo di pace come molti in Israele si attendevano. Oggi, più di cinque anni dopo le elezioni, usano ancora la vittoria di Hamas come giustificazione all’assedio.

Prima di tutto, è importante sottolineare che il diritto internazionale proibisce punizioni collettive di una popolazione civile. L’esperienza passata insegna che i civili, a prescindere dalle loro convinzioni politiche, devono rimanere intoccabili. Questo principio deve essere applicato a Gaza, in Israele e in ogni luogo del mondo scosso da un conflitto.

Qui si sta parlando di elezioni che, per essere precisi, non si sono tenute solo nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Dopo un anno dal voto, nel giugno 2007, Hamas ha preso il controllo della Striscia.

Nessuna elezioni si è tenuta a Gaza dal 2006 e il dibattito tra le varie fazioni politiche continua. Un modo per seguire questo dibattito è attraverso i sondaggi, come quelli pubblicati dal Palestinian Center for Policy and Survey Research. Ad esempio, un sondaggio del dicembre 2011, mostra che se le elezioni per il Consiglio Legislativo Palestinese si tenessero oggi, Hamas otterrebbe il 35% e Fatah il 43%.

Vale la pena ricordare che oltre la metà della popolazione di Gaza è sotto l’età legale per avere diritto di voto. Come possono i bambini essere puniti per i risultati di elezioni a cui non prendono parte?

Questo articolo è apparso su Gisha’s Gaza Gateway (http://www.gazagateway.org/2012/01/six-common-misconceptions-about-gaza-that-are-so-2011/) ed è stato pubblicato su permesso.

(Fonte: Alternative Information Center)
Inviato il: 14/1/2012 21:15
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Re: Civiltà Ebraica
#495
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Yehoshua e l'arroganza coloniale

di Michael Warschawsk



La teoria esposta dal famoso autore israeliano A.B. Yehoshua contro uno stato bi-nazionale puzzava di colonialismo e di razzismo. Accusava i palestinesi, che lottano in maniera forte e chiara per la libertà, di incoraggiare l'occupazione. Esattamente in nome di chi parla Yehoshua, l'autore nazionale di Israele?


Venerdì scorso, l'autore israeliano A.B. Yehoshua ha pubblicato una risposta ad un articolo di Avraham Burg, il quale affermava che le politiche dei governi israeliani potrebbero aver ucciso in maniera definitiva la soluzione dei due stati, e che per questo è necessario prepararsi all'opzione di un stato bi-nazionale. La discussione riguardo ad uno stato bi-nazionale non è del tutto nuova - Meron Benvenisti l'aveva già sollevata nel 1980, paragonando Israele e i Territori palestinesi ad un uovo strapazzato che non può essere decifrato e separato. Mentre Benevenisti è stato attaccato per la sua posizione, il recente articolo di Burg suggerisce come il tema sia ormai diventato mainstream. Burg, dopo tutto, è un principe del sionismo - un ex membro della Knesset, e un ex capo dell'Agenzia Ebraica per Israele.

Yehoshua freme alla possibilità di una stato bi-nazionale, nella consapevolezza che le politiche di Israele hanno distrutto la possibilità di una divisione in due stati, e se la prende con le vittime, coi palestinese, per il fatto che questa stessa occupazione coloniale continua da più di 40 anni. Egli scrive: "I palestinesi guardano passivamente l'accelerata costruzione delle colonie; e con la loro sub-conscia pazienza, loro (ci tengo a sottolineare) ci trascinano verso uno stato bi-nazionale".

Incredibile. I palestinesi - che hanno pagato con migliaia di morti la loro opposizione all'occupazione israeliana e al progetto di colonizzazione della loro terra - sono accusati da un autore israeliano di essere passivi, di non aver fatto abbastanza per porre fine all'occupazione e alla colonizzazione, al furto di terra e acqua, e all'espropriazione della loro terra. Io non conosco nessun colonialista inglese o francese che sia arrivato fino a questo punto pur di giustificare il colonialismo del suo paese e pur di pulirsi la coscienza, trasformando la vittima in colpevole. Spesso ci imbattiamo in questo tipo di argomentazioni quando si parla di una donna che è stata violentata.

Yehoshua continua: "Dobbiamo renderci conto che uno stato bi-nazionale non è solamente il risultato delle azioni di Israele, ma che la sua creazione sarebbe anche favorita dalla silenziosa cooperazione dei palestinesi, sia in Israele che oltre i suoi confini”. La stragrande maggioranza dei palestinesi dichiara di voler porre fine all'occupazione e di volere la soluzione dei due stati. Inoltre, l'uso di parole come "sub-conscio" e "silenzioso" suggeriscono che, mentre Yehoshua non può dimostrare la sua affermazione, egli, come israeliano, sa quello che i palestinesi pensano e vogliono nella realtà.

Oltre alla sua posizione coloniale e alla sua arroganza razzista, Yehoshua pretende di opporsi ad uno stato bi-nazionale anche per conto di tutti gli israeliani i quali “ si rendono conto e capiscono che uno stato bi-nazionale nella Terra di Israele è una possibilità pericolosa e sfavorevole, sia nel breve sia (soprattutto) nel lungo termine”. E chi sono questi israeliani nel nome dei quali l'autore afferma di parlare? Essi non fanno parte del "partito religioso (a causa della struttura della sua identità religiosa), né della destra laica ed estremista (a causa della violenza delle sue fantasie), né della sinistra post-sionista (a causa della sua visione umanitaria-cosmopolita)” - Secondo Yehoshua, fuorchè tutti questi gruppi, tutti gli israeliani capiscono che la soluzione bi-nazionale è un disastro.

Ma andiamo a contare: il partito religioso rappresenta circa il 25 per cento della popolazione di Israele, il gruppo secolare della destra è un altro 25 per cento, e la “pazza” sinistra post-sionista è, diciamo, il cinque per cento. Yehoshua opportunamente dimentica i cittadini palestinesi d'Israele, che costituiscono un altro 20 per cento della popolazione di Israele. Nel migliore dei casi l'Israele che Yehoshua rappresenta, le persone “sane” che si oppongono all'incubo dello stato bi-nazionale, è meno della metà dei cittadini del paese. Tutto il resto, secondo il nostro autore nazionale, non appartiene al "popolo sovrano". Con una definizione così limitata di ciò che significa essere israeliano, non c'è da sorprendersi quindi che alcuni potrebbero desiderare uno stato bi-nazionale.

( Fonte: Alternative Information Center )
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Re: Civiltà Ebraica
#496
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Commissione Affari Esteri francese: ‘Israele usa l’acqua come arma razzista contro i palestinesi’
Evidenza - 17/1/2012

Parigi/Ramallah (Palestina) – InfoPal. Un documento del parlamento francese condanna l’utilizzo da parte israeliana dell’acqua come “arma razzista” contro il popolo palestinese.

E’ la relazione della Commissione Affari Esteri francese a puntare il dito contro le politiche di Israele per lo sfruttamento delle risorse idriche, strategicamente dirette a derubare l’acqua ai palestinesi, a estendere il massimo del controllo israeliano sull’acqua e, questa è anche la funzione del Muro d’Apartheid.

“E’ in atto una sorta di Apartheid dell’acqua”, si legge nel rapporto francese dal quale emerge anche come la specificazione di Stato ebraico sia una logica “dell’Apartheid delle risorse idriche” e tale segregazione va intesa esclusivamente nei confronti dei palestinesi.

Il quotidiano israeliano Yediot Aharonot ha riportato lo sconcerto dell’ambasciata israeliana a Parigi “ignara del documento redatto dal parlamento francese”, definito dalla rappresentanza diplomatica israeliana “politicamente scorretto”.

Da parte palestinese si commenta con un “nessuna novità il rifiuto israeliano ad accogliere le raccomandazioni di questo documento. Questa prassi fa parte della pratiche razziste di Israele, che ha sempre respinto le critiche sul furto dell’acqua mosse da organismi internazionali come Amnesty International, Banca Mondiale e B’Tselem.
Così ha riferito Shaddad al-‘Atli, direttore per l‘Autorità palestinese per l’acqua.

“Siamo di fronte a un rapporto redatto da una commissione specializzata e competente. Parlamo di acqua garantita ai coloni israeliani in Cisgiordania e nessun diritto per gli oltre 2milioni di palestinesi qui”.

Sono 9mila i coloni israeliani che sfruttano 1/3 dell’acqua che di diritto spetta ai 2,5milioni di palestinesi.

Non a caso, la questione dell’acqua non fu affrontata durante gli Accordi di Oslo, aspetto che, insieme a rifugiati, al-Quds (Gerusalemme), confini e destino delle colonie israeliane in terra palestinese, fu rinviata a negoziati sullo status finale, mai affrontati fino ad oggi.
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© Agenzia stampa Infopal
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Inviato il: 17/1/2012 22:14
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Re: Civiltà Ebraica
#497
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RISVEGLIO MORALE DI UN MATURANDO
Postato il Venerdì, 20 gennaio @ 13:55:00 CST di supervice

Israele / Palestina DI GILAD ATZMON
Dissident Voice

Questa settimana, Jesse Lieberfeld, un adolescente ebreo americano ha vinto il Martin Luther King, Jr. Writing Awards del Dietrich College per aver composto un bel pezzo sul suo proprio risveglio morale e sul suo allontanamento dal Giudaismo.

"Ho appartenuto a una religione meravigliosa. Ho fatto parte di una religione che permette, a coloro che vi credono, di sentire che siamo il più grande popolo al mondo, e allo stesso tempo di dispiacersi di noi stessi”, ha detto il giovane Jesse. Comunque, sembra che non ci sia voluto troppo tempo prima che Jesse abbia scoperto di qualcosa che non era né lusinghiero, né glorioso.

L'indottrinamento culturale tribale ebraico è un processo inteso e omnicomprensivo: "Anche se sono stato abbastanza fortunato da avere genitori che non hanno cercato di obbligarmi verso un insieme di credenze, essere ebreo non rende assolutamente possibile eludervi quando si cresce”, ha detto Jesse: "Ero sempre stimolato in ogni festa, in ogni servizio e ad ogni incontro assieme ai miei parenti."

L’amor proprio è inerente alla cultura e al suo mantenimento: "Mi veniva sempre ricordato quanto fosse intelligente la mia famiglia, quanto fosse importante ricordarsi da dove eravamo venuti ed essere orgoglioso di tutte le sofferenze che il nostro popolo aveva patito per poter alla fine realizzare il sogno della società perfetta di Israele."

La programmazione ideologica e culturale ebraica è piuttosto sofisticata. È un modello dinamico molto particolare, praticato sia a livello collettivo che individuale. Ma quelli che portano il messaggio non sono pienamente consapevoli del loro ruolo all'interno dell'ideologia tribale che vogliono mantenere.

È ovvio che gli ebrei abbiano credenze variegate, e persino contraddittorie. Ma per quanto possano essere diversificati i loro punti di vista, quelli che sono identificati politicamente come ebrei si uniscono sempre contro ogni tentativo di criticare i fondamenti ideologici e culturali dei loro obblighi tribali. Il giovane Jesse è chiaramente consapevole di questo. In superficie, sono i crimini contro i palestinesi ad aver stimolato il suo senso etico. "Crescendo ero sempre più preoccupato. Sentivo continuamente parlare di uccisioni di massa senza motivazioni, attacchi su strutture mediche e altre allarmanti violenze di cui non riuscivo a comprenderne la ragione. 'Genocidio' mi sembrò essere il termine più adatto, anche se nessuno di quello che conoscevo si sarebbero mai sognato di descrivere il conflitto in questo modo; parlavano sempre della situazione in termini scandalosamente neutrali."

Uno degli aspetti tribali più sofisticati del mantenimento della cultura ebraica è il modo graduale con cui le critiche vengono messe a tacere: "Ogni qualvolta ne parlavo, mi veniva sempre data la risposta che le responsabilità erano su tutti e due i fronti, che nessuno doveva essere incolpato e che era semplicemente una ‘situazione difficile’." Questo comune argomento di Hasbara in superficie sembra ragionevole, ma ignora il fatto che nel conflitto israelo-palestinese c’è una chiara distinzione tra l'aggressore e la vittima. Gli israeliani sono quelli che fanno pulizia etnica e sono gli occupanti. I palestinesi, dall’altro lato, sono gli espulsi, i razzialmente discriminati, i deprivati, i confinati dietro ai muri e al filo spinato nelle prigioni a cielo aperto e, in qualche caso, gli affamati.

Ma Jesse sembra essere fatto di onestà. Diversamente da alcuni ebrei di sinistra che presentano un argomento pseudo-moralista solo per guadagnare credibilità così da porre il veto al discorso, il giovane Jesse è andato oltre, strappandosi di dosso ogni traccia di elitarismo e di eccezionalismo. "Avevo appena finito la seconda superiore quando compresi a pieno da che parte stavo. Un pomeriggio, dopo che, sul tram che ci riportava a casa, fu annunciata una nuova serie di omicidi, chiesi a due dei miei amici che sostenevano attivamente Israele cosa pensassero. ‘Noi dobbiamo difendere la nostra razza’, mi dissero: ‘È il nostro diritto’".

Il "dobbiamo difendere la nostra razza" è una scusa comune che gli attivisti ebrei usano fra di loro. Anche se gli ebrei non formano una razza, la politica identitaria ebraica è ancora apertamente razzista. Infatti, tutte le forme di politica identitaria secolare ebrea hanno un volano razziale e sono alimentati dall’esclusivismo razziale. Questo non si riferisce solo agli ebrei pro-Israele, ma sfortunatamente ai gruppi ebraici 'anti'-Sionisti.

Credo che sia ovvio il punto di arrivo di Jesse. Lui chiaramente ha notato un continuum ideologico tra il movimento dei diritti civili in America e la lotta di liberazione palestinese. Nelle due lotte, c’è chiaramente un oppressore razzialmente guidato e una vittima collettiva, e Jesse ne ha tratto la conclusione necessaria, "mi sentii inorridito avendo capito che ero per natura dal lato degli oppressori. Ero raggruppato ai suprematisti razziali. Facevo parte di un gruppo che uccideva lodando la propria intelligenza e il proprio raziocinio. Ero parte di un inganno."

Jesse ha evidentemente identificato la politica ebrea e la cultura di cui era parte come una forma di “supremazia razziale”. Non ha mai menzionato il Sionismo e, infatti, la parola “Sionismo” non viene mai citata nel suo sincero post che ha scritto dopo aver ricevuto il premio. Ha parlato semplicemente della sua educazione ebraica, della cultura e dell'ideologia.

Il giovane Jesse già ha compreso che un appello rivolto ai suoi amici ebrei non porterà da nessuna parte. Scrive: "Decisi di fare un ultimo appello alla mia religione. […] La volta successiva, presenziai a un servizio, c'era una sessione aperta di domande e –risposte sui temi della nostra religione. Quando finalmente mi fu data l'opportunità di fare una domanda, chiesi, 'Io voglio sostenere Israele. Ma come posso quando lascia che il suo esercito commette così tanti omicidi?' Mi furono puntati addosso una serie di sguardi focosi e adirati da alcuni degli uomini più anziani, ma fu il rabbino a rispondermi. ‘È una cosa terribile, non è vero?', disse. 'Ma non c'è niente che possiamo fare. È solo un fatto della vita.' Sapevo, naturalmente, che la guerra non è una cosa semplice, e che noi non ammazzavamo per gioco, ma descrivere le nostre migliaia di uccisioni come un 'fatto della vita' era per me semplicemente troppo per essere accettato."

Sembra che Jesse abbia il coraggio per riscattare la sua anima: "Lo ringraziai (il Rabbino) e feci poi una breve camminata. Non ho mai fatto ritorno. […] Se non altro, posso almeno tentare di liberarmi dal fardello di una credenza di cui non potevo avere una coscienza chiara. […] Non ho intenzione di proseguire a sentirmi uno del Popolo Eletto, identificandomi in un gruppo a cui non appartengo."

Sorprendentemente, Jesse non fu costretto a scusarsi per aver detto la verità. Non ha dovuto ritrattare per aver spiegato le cose come sono. Infatti ha vinto il premio umanistico più prestigioso per il suo saggio. Ma mi chiedo quanto tempo ci vorrà prima che Abe Foxman di ADL e l’infame sostenitore della pulizia etnica Alan Dershowitz lancino una campagna l’istituto che lo ha premiato.

Essendo una persona che oscilla continuamente tra essere un “ex ebreo” e un “orgoglioso ebreo che odia sé stesso”, abbraccio il giovane Jesse e lo tengo vicino al cuore. Mio caro giovane gemello, non voler essere un eletto è una lotta che dura vita. A volte ti potrai sentire solo, ma non lo sarai mai. L’umanità e l'umanesimo sono al tuo fianco, per sempre.

**********************************************

Fonte: Moral Awakening of an 11th-grader

19.01.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE
Inviato il: 20/1/2012 21:56
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Re: Civiltà Ebraica
#498
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Doveva curarsi in un ospedale in Cisgiordania: Israele arresta un palestinese malato
Evidenza - 21/1/2012

Gaza – InfoPal. E’ stato arrestato dai militari israeliani un cittadino palestinese della Striscia di Gaza sofferente (ex ferito) mentre si recava in Cisgiordania per curarsi. E’ accaduto ieri, 20 gennaio, presso il valico di Eretz (Beit Hanoun), a nord di Gaza.

Ashraf al-Qaddourah, portavoce del ministero della Salute di Gaza, ha riferito l’accaduto ai danni del 25enne Bassam Rihan, residente a Jabaliya.

“Rihan era in possesso di tutti i permessi per recarsi in un ospedale in Cisgiordania attraverso il valico di Beit Hanoun, al confine tra Gaza e Israele (Territori palestinesi occupati nel ’48, ndr)”.

Bassam era stato ferito tre anni fa nei giorni della guerra israeliana su Gaza, e già era stato curato in una clinica egiziana, mentre tutto era stato predisposto, tra palestinesi e israeliani, per il suo trasferimento in un ospedale della Cisgiordania.

Parla di “sequestro” al-Qaddourah, e “di violazione ai Diritti Umani, così come definiti dall’Onu e dalle numerose leggi internazionali”.

“Per Israele, tutto questo sembra non avere un valore per i pazienti palestinesi”, ha commentato il responsabile del ministero di Gaza.

Proprio presso il valico di Eretz si registra un’alta casistica di episodi di questo tipo, con minacce e persecuzioni, abusi psico-fisici e sequestri come quello di Bassam.

Per questa situazione al-Qaddourah ha rivolto un appello a tutte le organizzazioni sanitarie del mondo perché denuncino, nei fori internazionali, le pratiche israeliane: l’oltraggio alle leggi internazionali è motivo di instabilità regionale.

Tra le parti invitate a intervenire, anche il Comitato Internazionale per la Croce Rossa (Icrc), affinché si attivi per la liberazione del palestinese arrestato ieri a Gaza.
Bassam Rihan non riesce a deambulare, fu ferito alle gambe nella guerra “Piombo Fuso”, e sono stati seriamente compromessi i nervi degli arti inferiori.
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Inviato il: 22/1/2012 20:11
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Re: Civiltà Ebraica
#499
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Inviato il: 27/1/2012 8:24
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Re: Civiltà Ebraica
#500
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Pulizia etnica nella Valle del Giordano sul 95% delle proprietà palestinesi
Evidenza - 27/1/2012

Jenin – Pal-Info. Le forze d’occupazione israeliane hanno consegnato ai residenti palestinesi del villaggio di ‘Aqabah, nel nord della Valle del Giordano, 17 avvisi di demolizione edilizia.

Già nel mese in corso, erano state consegnate otto notifiche di questo tipo, sempre ad ‘Aqabah.

Al-Hajj Sami Sadeq, a capo del consiglio dei villaggi nella regione, ha riferito che gli otto avvisi consegnati a gennaio colpiscono famiglie palestinesi le cui abitazioni erano state demolite da Israele a più riprese.

Tra i cittadini che hanno ricevuto le ultime comunicazioni: Akram Mohammed Saleh ‘Abdelkarim, Ma’moun Moustafa Dabak, Ahmed Mahmoud Taleb, i due fratelli Khaled e Eiyad Fayyad Dabak, Deifallah ‘Odeh e Na’el Mohammed ‘Abdelkarim.

Sadeq ha chiesto che i propri concittadini vengano protetti e ha promesso che tutti resisteranno contro questa politica israeliana.

“Nel nord della Valle del Giordano, il 95% delle case e delle strutture edilizie in generale, sono a rischio di demolizione, strade e moschea compresi. Israele sostiene che siano troppo vicini alle proprie aree militari. Ricadono nell’area C, sotto pieno controllo israeliano”.

“Sono manovre che giungono dopo una serie di proteste e iniziative contro l’ebraicizzazione promosse dal Comitato per la difesa della terra di ‘Aqabah e dal Comitato popolare di resistenza non-violenta per la protezione della terra”, rivela Sadeq.

Viene poi lanciato un appello alle istituzioni locali e internazionali per i Diritti Umani, affinché garantiscano protezione per questi cittadini. “Essi chiedono solo di restare sulle proprie terre orignarie, di vivere in pace e serenità”, aggiunge il responsabile palestinese.

Dal 1967 la popolazione palestinese della Valle del Giordano è stata sottoposta alle peggiori politiche israeliane: morti e feriti (50), terra devastata e campi dati alle fiamme, chiusura e restrizioni alla libertà di movimento.

Hanno perso la casa 700 palestinesi, essi non usufruiscono più dei servizi di base, quindi fondamentali, licenze edilizie, né acqua potabile.

Contadini e pastori vengono arrestati, mentre, come avviene per le loro abitazioni, anche altre strutture di loro proprietà come magazzini, capannoni e depositi vengono distrutti da Israele.
Per due volte, nel 1999, Israele ha distrutto rete telefonica, rete elettrica e cisterne d’acqua per uso agricolo.
Inviato il: 27/1/2012 20:56
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Re: Civiltà Ebraica
#501
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Israele e la libertà di ricerca: studente palestinese arrestato. La sua tesi lede la sicurezza
Evidenza - 30/1/2012

Nablus – InfoPal. Le forze d’occupazione israeliane hanno arrestato uno studente universitario palestinese in Cisgiordania, al termine degli studi.

Il pretesto adottato da Israele per giustificare l’arresto è stato che l’oggetto di ricerca prescelto dallo studente “mette a repentaglio la sicurezza di Israele”.

Tadamon International, Fondazione per i Diritti Umani, ha reso noto il caso di Majid Taqatqah, 20enne, studente di ingegneria all’Università Khudouri a Tulkarem (Cisgiordania Nord).

Majid aveva progettato un modello di aereo senza pilota per la realizzazione del quale aveva svolto una ricerca approfondita sul Web.

Arrestato lo scorso 4 gennaio, Majd è stato rilasciato due giorni fa a condizione che cambi l’oggetto di ricerca.
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tag: arresti. sicurezza israeliana, Diritti allo Studio

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Inviato il: 30/1/2012 20:30
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Re: Civiltà Ebraica
#502
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Trattamento speciale per i palestinesi: Israele introduce cibo avariato in Cisgiordania e a Gaza
Evidenza - 1/2/2012

Ramallah – InfoPal. La Società palestinese per la tutela dei consumatori ha scoperto la pratica israeliana dell’introduzione di cibo avariato sul versante palestinese, sia in Cisgiordania sia nella Striscia di Gaza.

‘Azmi ash-Shyouki, presidente dell’organo di controllo palestinese, ha parlato di 70 tonnellate di pesce andato a male scaricate nei porti israeliani, importate dall‘estero.

Il responsabile si dice certo che prodotti alimentari come carne surgelata, cibi in scatola, dolciumi, succhi di frutta, biscotti e formaggi che arrivano dall’estero nei porti israeliani, non vengono sottoposti ai controlli dovuti nel caso in cui siano destinati al mercato palestinese. I controlli si fanno, invece, quando vanno in Israele.

“Semplicemente Israele rimuove la data di scadenza dei prodotti dai contenitori cargo”.
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tag: cibo avariato, importazioni, Società per la tutela dei consumatori

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Inviato il: 1/2/2012 22:16
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Re: Civiltà Ebraica
#503
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Giustizia israeliana al servizio del progetto coloniale in Palestina
Apartheid e pulizia etnica Evidenza - 2/2/2012

Al-Khalil (Hebron) – InfoPal. La Corte Suprema israeliana ha respinto l‘appello del comune di al-Khalil (Hebron) contro l’esproprio di terreni palestinesi da parte israeliana allo scopo di realizzare un progetto per la costruzione di una rete stradale di collegamento tra l‘insediameto di Kiriyat Arba’ e la moschea al-Ibrahimi.
Il progetto israeliano si chiama “Raccordo di Dana”.

“La rivendicazione dell’esercito israeliano su queste terre è motivata da ragioni di sicurezza - così ha commentato la Corte la propria decisione, aggiungendo - pertanto non si comprende la necessità di restituire questa terra ai palestinesi”.

Il legale palestinese che ha seguito il caso, Samer Shehadah, la giudica “una decisione illecita e un altro atto che smaschera la complicità tra apparato giudiziario, esercito e coloni israeliani”.

“Con questa decisione la magistratra israeliana si riconferma un braccio della politica di colonizzazione di Israele”, ha aggiunto l’avvocato.
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tag: Al-Khalil (Hebron), colonizzazione, giustizia israeliana, insediamento Kiriyat Arba', magistratura israeliana, moschea al-Ibrahimi, Raccordo Dana

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Inviato il: 2/2/2012 21:07
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Re: Civiltà Ebraica
#504
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Dal Sudafrica: ‘Più sostegno alla Palestina e più sanzioni verso Israele’
Apartheid e pulizia etnica Boicottaggi Evidenza - 7/2/2012

Memo. Il governo sudafricano è impegnato ad aumentare il livello del proprio supporto verso la Palestina.

Durante una conferenza stampa svoltasi la scorsa settimana a Pretoria, il ministro per la Cultura e l’Arte, Paul Mashatile, ha reso noto l’accordo raggiunto con una delegazione palestinese, alla presenza del suo omologo, Siham Barghouti.

Nell’incontro con i rappresentanti del governo sudafricano è stato firmato un accordo di natura culturale tra i due paesi. I progetti per la futura cooperazione comprendono scambi letterari, mostre, programmi per lo sviluppo linguistico e iniziative per la tutela del patrimonio culturale.

Parallelamente alla promozione di una maggiore cooperazione con la Palestina, il governo sudafricano sta valutando anche la possibilità di aumentare le sanzioni nei confronti di Israele.

“Vogliamo migliorare il nostro sostegno ai palestinesi e stiamo valutando diverse modalità per farlo”, ha dichiarato la scorsa settimana Mashatile al quotidiano New Age Newspaper. “Non abbiamo alcun problema a sostenere la campagna per il Boicottaggio, il Disivestimento e le Sanzioni (Bds) contro Israele”.

Ciò non sorprenderà certo coloro che conoscono bene la posizione da tempo assunta dal partito al governo in Sudafrica, l’African National Congress (Anc), nei confronti della Palestina.

“L’Anc sostiene i palestinesi nella loro lotta per la libertà e l’indipendenza da molti anni – spiega Mashatile - poiché li considera alla stregua dei patrioti che combatterono per la liberazione nazionale sudafricana”.

Era il 1997 quando il leggendario leader del partito, Nelson Mandela, dichiarò: “Ora che abbiamo ottenuto la libertà corriamo il rischio di lavarcene le mani di fronte alle difficoltà altrui. Se dovesse accadere questo, allora vorrà dire che abbiamo perduto la nostra umanità”.

Il movimento Bds riuscì a liberare il Sudafrica dall’Apartheid del governo di minoranza. E sono stati in molti, tra personalità sudafricane illustri, ad aver risposto alle sollecitazioni del Bds contro Israele. Tra loro anche l’arcivescovo Desmond Tutu, l’ex ministro ed l’ex combattente per la libertà Ronnie Kasrils.

La delegazione palestinese ha espresso apprezzamento per il sostegno sudafricano.

“Siamo grati al governo sudafricano per il suo appoggio ai nostri sforzi tesi ad ottenere il totale riconoscimento della Palestina come membro della comunità internazionale – ha dichiarato Bargouthi in conferenza stampa -. Prendiamo voi sudafricani come esempio nella lotta che stiamo portando avanti”.
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tag: Apartheid, bds, Nelson Mandela, sanzioni, Sudafrica

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Re: Civiltà Ebraica
#505
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Yoav Shamir, regista Israeliano, in seguito ad accuse di antisemitismo rivolte
al suo primo film, ha deciso di affrontare il tema dedicato nel suo secondo documentario
“Defamation”.


http://lalternativaitalia.blogspot.com/2012/02/defamation-documentario-da-non-perdere.html

Durata un’ora e mezza circa. Ben spesa.
Inviato il: 9/2/2012 18:17
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Re: Civiltà Ebraica
#506
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‘La Grande Israele’, eminente rabbino: ‘Occupare Gaza e al-’Arish, parte della Grande Israele’
Evidenza - 9/2/2012

An-Nasira (Nazareth) – Infopal. Il rabbino Shmuel Shapiro, eminente leader spirituale di Israele, ha chiesto pubblicamente di occupare la Striscia di Gaza e al-‘Arish, località egiziana nel nord della penisola del Sinai.

“Sono due territori parte integrante della Grande Israele, come si legge nei testi sacri, dove si descrivono i confini della terra di Kan’an. Tutta la costa ad ovest di Gaza (fino al a-‘Arish) e fino al fiume Eufrate lo sono”.

A questo annuncio si aggiunge la notizia, secondo la quale anche il ministero per l’Istruzione israeliano avrebbe dato il via libera ad adottare la propaganda della “Grande Israele” nelle proprie scuole.
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tag: al-'Arish, Eufrate, Gaza, Grande Israele, rabbino Shmuel Shapiro

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Inviato il: 9/2/2012 21:07
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Re: Civiltà Ebraica
#507
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Almeno 9 bambini palestinesi perdono la vita in un incidente: l’euforia israeliana dilaga sul web
Evidenza - 16/2/2012

Ramallah – InfoPal. Mentre tra i media italiani imperava il silenzio assoluto sul grave episodio, sul web impazzava l’euforia di attivisti filo-sionisti per la morte di numerosi bambini palestinesi.

La notizia: dieci studenti palestinesi hanno trovato la morte questa mattina, e altri venti sono rimasti feriti, otto dei quali in pericolo di vita, in un incidente tra un pulmann scolastico e un camion.

L’incidente è avvenuto vicino al check-point israeliano nel villaggio di Jaba’, tra Ramallah Sud e Gerusalemme Nord.

Tra le vittime, nove bambini palestinesi hanno perso la vita. Avevano tra i 10 e i 16 anni d’età.

Il vice presidente dell’Autorità palestinese (Anp) ha indetto tre giorni di lutto nazionale.

La Mezzaluna Rossa palestinese ha reso noto che il proprio staff è ancora alla ricerca dei corpi carbonizzati all’interno del pulmann andato in fiamme nell’incidente. Fino ad ora, sono stati prelevati dieci cadaveri.

Il Dipartimento per le relazioni con il pubblico della polizia di Ramallah fa sapere di non disporre ancora dei dati definitivi sull’incidente, mentre si invitano i cittadini alla prudenza a causa delle persistenti difficili condizioni meteo.

Alcuni dei commenti di israeliani alla notizia iniziale: ‘Grave incidente vicino a Gerusalemme: un autobus che trasportava bambini si è schiantato contro un camion ed è precipitato’

- Tranquilli: si tratta di bambini palestinesi.
- Pare che siano bambini palestinesi….grazie a Dio..
- Grazie a Dio, sono palestinesi
- Grande! Terroristi in meno!!!!!!!!!
- Coinvolti solo bambini palestinesi, circa dieci
- Grazie a Dio (si tratta) di palestinesi. Spero che ci possano esssere incidenti di questo tipo ogni giorno.
- Aliya A’mrani: Tranquilli, si tratta di un autobus che trasportava bambini palestinesi…Pregate che ci siano morti, o almeno feriti gravi…E’ una grande notizia per iniziare la settimana.

Intanto, un episodio del tutto simile accadeva a Betlemme. Feisal Khalil Hasasna, palestinese di 15 anni è morto schiacciato mentre andava a scuola, questa mattina, ad al-‘Ubaidiyah.

In una dichiarazione, la polizia ha segnalato che un camion è andato fuori strada, nei pressi di Dir Ibn ‘Ubid, sulla discesa di via Wadi Annar, travolgendo e uccidendo all’istante il giovane Hasasna. Il suo cadavere è stato trasportato all’ospedale di Beit Jala e l’autista è stato arrestato.

Altre fonti:

PressTv


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tag: euforia israeliana sul web, incidente autobus, muoiono nove bambini palestinesi

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Inviato il: 17/2/2012 21:28
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Re: Civiltà Ebraica
#508
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Khader, il «Bobby Sands» dei palestinesi: da 63 giorni in cella senza cibo

Indignazione cresce in Cisgiordania. Abu Mazen e Catherine Ashton (Ue) chiedono: rivedete il caso. Senza processo come migliaia di prigionieri nelle carceri israeliane da ieri in sciopero della fame. Da oltre due mesi ha intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione amministrativa. Sta morendo. Il suo nome è Adnan Khader e nei Territori è diventato il «Bobby Sands» palestinese.

Ha deciso di usare il suo corpo come strumento di denuncia. Fino all’estreme conseguenze. Il suo nome è Adnan Khader. È il «Bobby Sands» palestinese. Due mesi dopo aver intrapreso uno sciopero della fame per protesta contro il suo arresto, lo sceicco Khader Adnan, un militante della Jihad islamica, è in condizioni gravissime, in pericolo di vita.

SIMBOLO

L'avvertimento è giunto dalla organizzazione dei Medici per i diritti umani, che lo ha vistato cinque volte durante la sua detenzione in Israele. Un appello urgente è stato sottoposto alla Corte suprema di Israele, affinché ordini la sua immediata liberazione. Adnan è stato arrestato a Jenin (Cisgiordania) il 17 dicembre e successivamente una Corte militare ha stabilito nei suoi confronti quattro mesi di «arresti amministrativi», per ragioni di sicurezza che non sono state illustrate all'interessato. Malgrado l'uomo fosse in condizioni fisiche molto degradate, gli arresti sono stati confermati una seconda volta il 7 febbraio scorso. In questo periodo Adnan (33 anni) ha perso 30 chili. Secondo la organizzazione Medici per i diritti umani, «tutti i suoi muscoli, compreso il cuore e lo stomaco, rischiano di disintegrarsi» e il sistema immunitario «potrebbe essare di funzionare in qualsiasi momento».

Negli ultimi giorni ha accettato di assumere alcuni sali minerali e glucosio, ma egualmente viene ritenuto in pericolo di vita. La sua lotta viene seguita con grandissima partecipazione e commozione dalla popolazione palestinese nei Territori, con frequenti aggiornamenti sulla stampa e sui mezzi di comunicazione. Manifestazioni di protesta e di sostegno alla famiglia di Khader Adnan si sono moltiplicate negli ultimi giorni. Anche in Israele la sua lotta sta ricevendo crescente attenzione dopo che il romanziere Sami Michael ha scritto al ministro della Difesa Ehud Barak per convincerlo a «sottoporre Khader a un regolare processo, se ci sono accuse fondate nei suoi confronti, oppure a liberarlo incondizionatamente».

SOLIDARIETÀ

Decine di palestinesi reclusi nel carcere israeliano di Ashqelon, a sud di Tel Aviv, rifiutano da ieri il rancio in solidarietà con Adnan. L'avvocato di Adnan ha formalizzato ieri l'annunciato ricorso alla Corte suprema israeliana contro la detenzione del suo assistito. L’altro ieri manifestazioni popolari di sostegno e denuncia sono state organizzate dalla Jihad Islamica sia a Jenin sia nella Striscia di Gaza, al termine delle preghiere del venerdì. Ma la solidarietà verso Adnan sta superando i confini della fazione d'appartenenza. Lo stesso presidente moderato dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen (Mahmud Abbas), ha rivolto un appello alla comunità internazionale affinché faccia pressione su Israele. Appello raccolto fra gli altri da Catherine Ashton, responsabile della politica estera dell'Ue, la quale in una nota ha sollecitato ieri le autorità israeliane a rivedere il caso.

Richard Falk, Osservatore speciale per le Nazioni Unite per i Diritti umani dei palestinesi scrive: «Il caso di Khader Adnan rappresenta un microcosmo che descrive da solo l'insopportabile crudeltà (a cui sono sottoposti i palestinesi), conseguenza del prolungato stato di occupazione. Mette in evidenza il contrasto tra la dignità a cui ha diritto un prigioniero israeliano e l'irriducibile rifiuto a prestare attenzione all'abuso subito da migliaia di palestinesi lasciati a marcire nelle prigioni israeliane per detenzione amministrativa o sentenza della Corte. Ma non abbiamo ancora raggiunto un livello di maturità nel nostro riconoscimento dei diritti umani tale da dichiarare senza riserve illegale un tale stato di barbarie? Ci auguriamo che la terrificante esperienza di Khader Adnan non si concluda con la sua morte e che possa innescare una protesta a livello mondiale sia contro la "detenzione amministrativa" che contro gli abusi subiti dai prigionieri. Il popolo palestinese ha già sofferto più che abbastanza».

Umberto De Giovannangeli
Fonte: www.unita.it
19.02.2012
_________________
la religione è indispensabile
soltanto a un’umanità rescissa dal mondo divino-spirituale.
Inviato il: 19/2/2012 19:46
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Re: Civiltà Ebraica
#509
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Università di Parigi nega conferenza sull'aparthaid israeliano .

Firma ed invia la lettare di protesta



In seguito alle pressioni ricevute il Rettore dell' Università Paris 8 ha deciso di ritirare l'autorizzazione alla conferenza "Israele, uno stato di Apartheid?"

Riceviamo questo appello dal Coordinatore del BDS Movement e lo rilanciamo chiedendo alle associazioni, ai collettivi ed ai singoli di sottoscrivere l'appello e di inviarlo a zarrassi@gmail.com
entro le ore 14 di domani poichè la lettera sarà consegnata alle ore 16 al rettore.

La campagna BDS è una campagna internazionale un motivo in più per dare solidarietà ai compagni francesi.

Di seguito al testo in inglese da sottoscrivere e da inviare trovate una traduzione fatta da Stephanie di BDS Italia




Dichiarazione sulla conferenza sull'Apartheid israeliana a Paris 8

Apprendiamo con costernazione che il Presidente dell' Università Paris 8 ha deciso di ritirare l'autorizzazione che era stata precedentemente concesso per un conferenza dal titolo "Israele, uno stato di Apartheid?" Questa iniziativa, che si dovrebbe tenere il 27 e 28 febbraio, mira a riunire esperti provenienti da Francia, Italia, Regno Unito e Belgio al fine di avere una discussione razionale sul oggetto di cui sopra.

Utilizzando il pretesto di possibile "disturbo di ordine pubblico", il Presidente di Paris 8 ha ritirato il permesso per la conferenza, pur avendo dettagliata conoscenza del programma e i relatori e un budget assegnato per la gestione dell?evento da parte dell?università.

Ciò che è chiaro è che la intollerabile pressione esercitata dal Rappresentante del Consiglio delle istituzioni ebraiche di Francia (CRIF) ha portato il Presidente di Paris 8 a ritirare il suo permesso per l'evento. In un recente comunicato pubblicato, il CRIF ha denunciato la conferenza, agitando la minaccia di possibili disturbi al "ordine pubblico".

Non è più possibile esercitare la libertà di espressione nelle università francesi riguarda il campo della politica di Israele e Palestina? Secondo il CRIF e i suoi seguaci, la risposta è no. Questo arrendersi di fronte alla pressione del CRIF non è insolito. L?anno scorso è riuscito a far chiudere un forum di discussione, che ha portato alla cancellazione di una conferenza presso la Ecole Normale Supérieur (ENS).

La cancellazione della prossima conferenza e anche quella dell'anno scorso presso l'ENS è una chiara dimostrazione di come la gestione di un ente pubblico accademico possa cedere alle ingiunzioni e minacce da un corpus che si presenta come la voce di tutta la comunità ebraica in Francia, ma è in realtà un portavoce per l?Ambasciata d'Israele.

Chiediamo al Presidente di Paris 8 di tornare sulla decisione iniziale e di permettere la conferenza ad avere luogo. La libertà di espressione e le libertà accademiche sono di gran lunga troppo preziose per essere soffocate da campagne di intimidazione.
Inviato il: 20/2/2012 22:57
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Re: Civiltà Ebraica
#510
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Israeliani scrivono ‘Morte ai cristiani’ sui muri della chiesa di San Giovanni Battista
Evidenza Gerusalemme - 20/2/2012

Al-Quds (Gerusalemme) – InfoPal. A distanza di due settimane, si ripete un atto vandalico che esprime la realtà razzista israeliana nei confronti della comunità palestinese.

Scritte razziste sono apparse sui muri della chiesa di San Giovanni Battista ad ‘Ain Karem, ad al-Quds (Gerusalemme), mentre sono state forate le gomme di tre autovetture di proprietà della chiesa.

Gli israeliani responsabili di questi attacchi hanno scritto sui muri della chiesa: “vi daremo l’estrema unzione” e “morte ai cristiani”.

Hanna ‘Eisaa, segretario generale dell’Unione Islamo-Cristiana, denuncia l’accaduto e commenta: “Sono atti incoraggiati dalla politica del governo israeliano. Israele non fa nessuna distinzione tra cristiani e musulmani quando si tratta di aggredire e umiliare i palestinesi, perché il popolo palestinese è l’obiettivo di Israele. E nessuna distinzione nei piani di ebraicizzazione israeliani su Gerusalemme per i quali Israele intende espellere cristiani e musulmani allo stesso modo.

“Il mondo si ribelli a questa politica e si levi una protezione internazionale per la Città Santa e per il popolo palestinese”.
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tag: Chiesa San Giovanni Battista, Morte ai cristiani, rassizmo israeliano

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