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..ero ragazzino, zona terza elementare e, finito l'anno scolastico, nei colori dell'estate, i bambini giocavano nei cortili come a festeggiare la voglia stessa di festeggiare. Le vacanze erano in arrivo, anche per me
che bello ..
.. intorno a noi girava anche qualche genitore, qualche papà e qualche mamma dei miei amichetti, lì in una strada sterrata (via Torino) a dare vita ai pomeriggi, ai giochi. Mia mamma a casa, mio padre a lavoro. Quasi in un giocoso "turno" di domande, le mamme chiedevano agli altri bambini (non i loro, naturalmente dei loro sapevano); dicevo, chiedevano se erano stati promossi o bocciati. Domande retoriche, per farci sentire importanti, si sà; per partecipare insieme come spesso tra grandi e piccoli si "deve" fare, in quel sapore di complicità tanto semplice allora, quanto profondamente evocativa adesso. E il sorriso cha accompagnava i bambini nel dire - promosso! - era stupendo, qualcosa di serio in fondo per loro, per me, insomma .. quei traguardi, i primi «traguardi» .. paroloni certo, adesso, ma di sensazioni neanche spiegabili nei pensieri dei ragazzini allora, presenti e vivi nelle loro idee, nelle idee di come i grandi ci osservavano, di come noi - di rimando - ingenuamente li studiavamo, i grandi..
.. arrivò anche il mio turno.. ah!
« e tu? Giulietto .. promosso o bocciato?» e così anche le mie parole si associarono agli stessi sorrisi dei bimbi intorno: «promosso!» dissi a piena voce ... « mmhh» aggiunse la signora «chissà quanto hanno pagato i tuoi genitori allora» e mi sorrise, poi, a seguire, non più i sorrisi - ma le risa degli altri adulti; all'inizio non capii ma rimasi fermo, poi pochi secondi dopo compresi in un istante e mi fotografai da solo "dall'alto", realizzai, -
io ero un terrone lì in mezzo, al Nord, non meritevole, davo fastidio - di colpo vidi il disprezzo e cosa più tagliente riuscii a tornare indietro nel passato, sì nel passato, ma di pochi minuti, lo ricordo come adesso, e i sorrisi riuscii a smascherarli in quello che verso me in realtà erano: ghigni...
...riconobbi i loro gesti realmente amorevoli nei confronti degli altri bimbi e obliqui ..nei miei. Di colpo ero solo, di colpo sentii la mia gioia con i miei amici lontana da loro; erano di fronte a me, ma li vedevo darmi tutti la schiena con una tranquillità che mi fece male, la stessa tranquillità che quelle persone erano solite usare quando mi salutavano sorridenti vicino alla mia mamma o al mio papà nelle mattine per essere accompagnati a scuola, e qualcosa non compresi bene...
... tornai a casa e passò l'intero pomeriggio, tranquillamente, ma non capivo, non comprendevo bene cosa mi passava nell'animo o, forse, nell'anima. Si fece ora di cena. A tavola con i miei, ricordo ancora una bistecca nel piatto. Raccontai quel che accadde. Mio padre posò la forchetta, posò il coltello, spostò il bicchiere. Finì il boccone. Pacato nella voce, fermo negli occhi, mi chiese di ripetere con tranquillità e se fossi sicuro delle parole riferite; di come andarono le cose. Cose che gli confermai. La mia mano venne presa nello stesso istante, mia madre non proferì parola. Rimase a sedere. Qualche secondo dopo la porta di casa si chiuse alle nostre spalle. - «
Andiamo, Giulio, non preoccuparti » sorrise seriamente mio padre. Pochi secondi ancora e camminavo al suo fianco guardando il suo profilo dal basso, con i miei passi che si agitavano per raggiungere i suoi. Il mio cuore, non sapevo perché, rideva insieme ai miei occhi. E il silenzio era perché non sentivo o vedevo altro. Pochi secondi ancora e le sue mani robuste stavano bussando alla porta di quella signora, che aprì... «
cosa ha detto a mio figlio oggi pomeriggio?»
.. sentivo sfumate le risposte, le parole, ma ghiacciata l'espressione di lei. Bianca. Dal basso, sempre con la mano in quella di mio padre, guardavo orgoglioso il suo profilo, ... pochi secondi dopo ero di nuovo in strada, verso casa. Senza altre parole, solo con i suoni delle serate calde di quei tempi e ancora nello scricchiolio dei passi che cercavano di raggiungere quelli del mio papà. Il mondo non mi faceva più paura.
---==)*(==---Da allora compresi il valore di cosa sia autorevole, cosa autoritario. Di quando uno schiaffo è violenza, quando è giusta riprensione.
Quel silenzio mi ha insegnato tanto. Tutt'ora mi insegna.
Mi piace frequentare posti, virtuali e non, e mettermi in discussione negli stessi; mi piace sentirle anche da chi sbaglia, quando qualcosa mi dice che chi me le canta è portatore sano di una sua autorevolezza. Mi piace e mi gratifica ricevere i complimenti e mi piace, anche se mi brucia, sentirle da chi ha a cuore la cultura
e ha LA cultura; il saper parlare, da chi ha dalla sua la "scienza" del dibattito. Forse tutto ciò non c'entra logicamente niente. Fanculo. Ma c'entra perché alla mente mi torna e questo Io sono, non un Nick-name. E tanti altri amici non sono un Nick-name. Mai, per me, lo saranno.
Mi dispiace quando il silenzio non è quello che vuole insegnarmi e non vuole difendermi. E questa sarà la mia lotta. Spero anche quella di altri. Mi spiace quando manca un collega all'appello; quando un collega lascia un segno così, non è, MAI, solo un collega, non potrà mai essere soltanto un Nick-name, ma è comunque un amico.
.. a un amico che ha voluto andarsene
.. agli amici che vogliono comprendere
ruphussettanta@yahoo.it