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  Il rifiuto della comunità.

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  •  SENTIERO
      SENTIERO
Re: Il rifiuto della comunità.
#121
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 24/4/2006
Da ROMA
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Citazione:

arturo ha scritto:
@ Nessuno e Sentiero

Scusatemi per questa mia intromissione piuttosto tranchat ma la vostra patetica doppia " sviolinata" sui figli non solo è FT ma è uno dei più desolanti luoghicomuni - nel vero senso della parola - che sia dato ascoltare

Se siete a corto di argomenti, ditelo ma, per favore ! evitate simili retoriche digressioni


.


Artu', ma che te sei bevuto ...forse mi confondi con Franco8. (ci confondono )
Io non lo so suonare il violino

Sta sera mentre vedevo la partita della lazio ( ) il telecronista descriveva le mosse dell'allenatore Delio Rossi, che spostava i suoi giocatori da una parte all'altra del campo per non dare punti di riferimento agli avversari.
Ovviamente questi ultimi, non hanno approfittato di questa opportunita' evolutiva, in quanto i giocatori agiscono quasi sempre secondo schemi studiati e predeterminati. Mentre gli allenatori, per battere i loro avversari, sono costretti a rinnovarsi continuamente per non dare dei punti di riferimento scontati. Devono evolvere, uscendo in continuazione dagli schemi....

Ciao a tutti.
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La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un fedele
servo. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha
dimenticato il dono

A.Einstein
Inviato il: 29/8/2007 3:44
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  •  nessuno
      nessuno
Re: Il rifiuto della comunità.
#122
Mi sento vacillare
Iscritto il: 30/7/2005
Da Albino (BG) - Bassa Valle Seriana
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Citazione:
puoi prendere ad esempio, senza bisogno di dettagliare particolarmente, la stragrande maggioranza delle comunità preindustriali. In esse troverai generalmente presenti le caratteristiche citate.


Solo che non mi pare viviamo in una società preindustriale. Anzi, alcuni qualificano la società attuale come "post-industriale". E io, alcuni post fa, ho sostenuto che l'uso del concetto di "comunità" per comprendere la società attuale è sbagliato. Quindi, per cortesia, scendi dai cieli della parola e vedi di dare al volgo che ti legge alcuni esempi concreti di "comunità" (nonché di tutti i termini altamente astratti che ne derivano) applicabili alla situazione attuale. Altrimenti discutiamo del nulla, a mio parere.

Citazione:
Nel caso dell’esperienza genitoriale, buttare a mare le “bussole” e le “carte nautiche” significa non tenere conto dell’esperienza maturata da chi è stato genitore prima di te, rinnegare il sapere consolidato in proposito nella tua cultura per potere esprimere liberamente te stesso, sottoponendo contestualmente tuo figlio, nelle cose pratiche come nell’educazione, al tuo dilettantismo.


Nel caso dell'esperienza (intesa come "esperire", non come "ricordare"), bussole e carte servono a ben poco. Essendo gli esseri umani tutti diversi tra di loro, a poco servono le esperienze passate. Il primo figlio è maschio, il secondo è femmina. Il figlio del mio amico è miope, quell'altra è "un terremoto", un terzo è autistico. E le famiglie nelle quali si trovano ad iniziare le loro vite sono differenti. Che altro fare se non procedere "senza carte"?
Inoltre, da quando "cultura" e "comunità" sono sinonimi? E perché dovrei "rinnegare iil sapere consolidato"? Io ho semplicemente affermato che i saperi consolidati servono da punti di partenza, ma che debbono poter essere abbandonati senza tanti patemi d'animo, quando lo giudichiamo necessario.
Esiste inoltre, a mio parere, una differenza tra flessibilità, creatività, applicazione dell'intelligenza e "dilettantismo". E l'uso di termini svalutanti e declinati in forma peggiorativa non è - ma è un mio parere - in grado di confutare tesi, né porta dati o ragionamenti capaci di farlo.

Citazione:
E mi consentirai anche di rilevare che - altrettanto spesso se non di più dei tuoi “genitori dilettanti di successo” - ci sono genitori creativi che nei confronti dei figli compiono autentici disastri. Che poi saranno questi ultimi a scontare.


Li scontano entrambi. La sofferenza di chi è autore di un fallimento è altrettanto reale di quella di chi ne è oggetto. E, spesso, i "disastri" dei quali parli dipendono più dall'incapacità di società strutturate in senso comunitario nell'accettare le diversità che da altro.

Citazione:
la prima è drammatica, la seconda del tutto insignificante


... ipse dixit Prealbe... decidendo lui quel che io dovrei ritenere o meno "drammatico" o "insignificante". Se Vostra Signoria me lo consente, decido io quel che per me è drammatico.

Citazione:
Quindi, deciditi: la comunità è un “letto di Procuste” o semplicemente un modo di vestire

Basta rileggere quel che ho scritto per avere risposta a questa domanda.

Citazione:
Cioè, tu stai affermando l’uguaglianza tra il sé e il proprio corpo?


Sì, esatto. Perché quella faccia stupita?

Buona vita

Guglielmo
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"Quieremos organizar lo entusiasmo, no la obediencia" - Buenaventura Durruti
Inviato il: 29/8/2007 8:39
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  •  arturo
      arturo
Re: Il rifiuto della comunità.
#123
Ho qualche dubbio
Iscritto il: 1/3/2007
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SENTIERO
scusami. ..colpa dell'alzheimer . ..infatti.. volevo dire FranCOTTO,



ctz

Mentre gli allenatori, per battere i loro avversari, sono costretti a rinnovarsi continuamente per non dare dei punti di riferimento scontati. Devono evolvere, uscendo in continuazione dagli schemi....

Giusto

infatti

per "punti di riferimento" FORTI non s'intende punti di riferimento INAMOVIBILI !

Possono ( devono) essere modificati se si vuole mgliorare ma come hai ben sottolineato con l tuo esempio assai calzante "l'operazione" deve avvenire collettivamente attraverso il contributo e .l'interazione comune

infatti tutta la squadra ha seguito i nuovi schemi e non il SINGOLO giocatore.

Pensa un poì cosa sarebbe succeso se l'avesse fatto UNO solo di testa sua perchè a lui le regole di quel gioco non gli piacevano e avesse deciso di applicare le proprie all'interno del gruppo al quale ( mi rincresce dirlo ma devo farlo ) necessariamente.... apparteneva... ( ecco, l'ho detto e l'ho scritto ...)
Inviato il: 29/8/2007 8:45
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  •  nessuno
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Re: Il rifiuto della comunità.
#124
Mi sento vacillare
Iscritto il: 30/7/2005
Da Albino (BG) - Bassa Valle Seriana
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Aggiunta dell'ultimo minuto...

Citazione:
E anche che il proprio corpo non richiede esperienza?


Mi pare che utilizziamo lo stesso termine assegnandogli significati diversi.
Dato che mi sembri più ferrato di me nell'uso delle parole, metafore, luoghi, ecc., consentimi di ricorrere alla rete per precisare il modo in cui utilizzo i termini.

Si dice "fare un'esperienza" quando l'esistenza è percorsa da un fremito particolare che la sottrae al ritmo delle ripetizioni quotidiane. Una vita priva di esperienze è impossibile: sarebbe vuota, priva di significato, povera e uniforme, sempre uguale a se stessa dall'inizio alla fine. Sarebbe anche senza tempo, perché l'esperienza implica una determinazione temporale, una variazione, un attraversamento.
L'esperienza è un passaggio. L'etimologia ce lo dice nella storia cifrata della parola, ma ce lo rivela anche la cosa che è: un'esperienza è sempre un evento; non un evento qualunque, bensì quell'evento per il quale avviene un passaggio. È una porta.
Esperienza viene da due verbi greci: "peiro", che vuol dire attraversare, passare attraverso; "peirào", che vuol dire tentare, provare, fare esperienza, nonché dal termine "peira", che significa tentativo, esperimento, esperienza (per cui "empeiria" significa esperienza o conoscenza, o anche semplicemente abilità). In italiano ne è rimasta traccia nella preposizione "per" usata in senso locativo. Il latino l'ha arricchito, in un certo senso, perché nel suo ex-perior il termine "-perior" implica la nozione di pericolo, prova, qualcosa con cui ci si misura, una prova attraverso cui passare. Quindi nell'esperienza c'è il passaggio e la prova, il pericolo e la misura: fare un'esperienza vuol dire passare là dove non si era mai passati,


Buona vita

Guglielmo
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Inviato il: 29/8/2007 9:50
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Re: Il rifiuto della comunità.
#125
Mi sento vacillare
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Mi piace fare esperienze, navigare come Colombo fra gli oceani della mia mente.

Cosa rimarrà quando incontrerò la dolce signora?
I ricordi di tutte queste Emozioni e sorriderò piangendo.

E il fantasma di Colombo svanirà perchè tutto fu come doveva essere
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Inviato il: 29/8/2007 10:15
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  •  franco8
      franco8
Re: Il rifiuto della comunità.
#126
Dubito ormai di tutto
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sentieroCitazione:
...forse mi confondi con Franco8. (ci confondono )
Io non lo so suonare il violino

Che non mi si confondi con un laziale!
Ma manco io suono il violino. anche se non mi dispiacerebbe.
-----

arturoCitazione:
Scusatemi per questa mia intromissione piuttosto tranchat ma la vostra patetica...evitate simili retoriche digressioni

A dire il vero, arturo, per conto mio non ti scuso affatto, chè non mi sembrano nè "retoriche", nè "digressioni".
Non "retoriche", chè le mie osservazioni erano del tutto sincere, e sentite e di certo senza alcuna intenzione "strumentale" di dimostrare artificiosamente alcuna "tesi" precostituita...
Non "digressioni", chè il filo del discorso mi pareva abbastanza lineare.. e comunque sempre meno "digressione" del post #110 di prealbe che mi aveva tanto negativamente emotivamente e razionalmente colpito (ovvero: nel mio post c'è un preciso riferimento a quelli precedenti, ma nel #110 ?)
Inizialmente non sapevo che rispondere, e non ho risposto... poi mi son sentito di farlo (ispirato anche dalla cosiderazione di nessuno) e l'ho fatto...
Se trovi del "patetico"...da una parte mi scuso per il "fastidio" che la cosa può averti dato, dall'altra, però, mi fà anche un po' piacere... chè vorrà dire che almeno la cosa non è indifferente nemmeno a te... chè sarebbe peggio.

E poi ...A me, a voler ancora sprecar qualche parola... l'immagine di Colombo che trova alla fine qualcosa di più grande di quel che era convinto di dover trovare, e che nemmeno cercava, mi pareva più "poetica" che retorica...

...Prova comunque a guardare al di là della retorica...
Timor accennava a ben vedere di "emozioni": Sentimenti e ragione in questo caso sono concordi, dicono la stessa cosa...

neroneCitazione:

Da cosa puo' dipendere la presunta amarezza di Prealbe ? Io la definirei consapevolezza.

nerone, quel che hai scritto è un po' più vicino a quel che dicevo io.
Invece in quel che aveva scritto prealbe non vi si leggeva nulla di simile. Non consapovelezza (dove l'hai vista?) ma solo amarezza (come dici tu "presunta". Presunta o no non lo so.. me la sono inventata? La parola l'hai detta tu, l'idea era qella. L'ho vista solo io? )
Io facevo riferimento alla "mancanza di saggezza" e anche di equilibrio...
(Fare l'analisi puntuale parola per parola o altro.. mi sembrerebbe tempo perso. Converrete. Passo oltre e lasciamo stare!)

prealbeCitazione:

Lieto di avere recuperato la tua piena disapprovazione.

Errore al quadrato... La mia disapprovazione non si può dire piena.
Avrai sempre torto finchè non saprai ammettere che il tuo "avversario" ha, anche lui, ragione.
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.... ....io non mi definisco affatto volentieri ateo, non più di quanto io sia a-MickeyMouse.
..
(detto, fatto)
Inviato il: 29/8/2007 12:49
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Re: Il rifiuto della comunità.
#127
Mi sento vacillare
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Un interessante breve video in inglese di Terence McKenna a proposito del rifiuto della società, quantomeno di una certa idea di società: la nostra come ce la raccontiamo

Sorry è in inglese Video
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Inviato il: 29/8/2007 12:49
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Re: Il rifiuto della comunità.
#128
Mi sento vacillare
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Citazione:

arturo ha scritto:
@ Nessuno e Sentiero

Scusatemi per questa mia intromissione piuttosto tranchat ma la vostra patetica doppia " sviolinata" sui figli non solo è FT ma è uno dei più desolanti luoghicomuni - nel vero senso della parola - che sia dato ascoltare

Se siete a corto di argomenti, ditelo ma, per favore ! evitate simili retoriche digressioni


.


Mi perdoni lei, per aver infierito sulle sue nobili rètine.

Tuttavia, se possibile, la inviterei a spiegare per quali motivi:

a) ritiene si tratti di una "sviolinata" e non di un'argomentazione
b) ritiene si tratti di una sviolinata "patetica"
c) ritiene si tratti di un FT
d) ritiene si tratti di un luogocomune (nel vero senso della parola)
e) ritiene che siamo (siamo? e che? simbionti siamo ora, io e Franco8?) " a corto di argomenti"
f) ritiene di tratti di "digressioni"
g) qualifica tali "digressioni" come "retoriche"

La ringrazio dell'attenzione e le porgo i miei saluti.

Guglielmo

P.S.: ripassi la lingua francese.
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Inviato il: 29/8/2007 19:28
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  •  SENTIERO
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Re: Il rifiuto della comunità.
#129
Dubito ormai di tutto
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In un altro topic, si metteva in discussione quanto le emozioni dominano l'umanita' e quanto poco questa riesce ad essere razionale.

La discussione e' andata avanti molto bene e sarebbe un peccato rompere questo equilibrio.
Invito tutti ad un chiarimento rapido dei propri concetti espressi forse con parole che possono essere fraintese.....

Spero che i prossimi post siano consapevoli e non emotivi, dimostriamo che tra noi non c'e' bisogno di moderatori.
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A.Einstein
Inviato il: 30/8/2007 2:29
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Re: Il rifiuto della comunità.
#130
Mi sento vacillare
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Citazione:
Spero che i prossimi post siano consapevoli e non emotivi, dimostriamo che tra noi non c'e' bisogno di moderatori.


Proviamoci...

Citazione:
Ti riporto la frase "chiave" del mio post:
-citazione-
Ciò detto, se una comunità, per essere tale, deve possedere un sistema di interpretazione della realtà condiviso tra i propri membri , l'idea che invece non abbia "alcun "pensiero comune", o coscienza di gruppo o volontà collettiva" sembra ancora un'osservazione così intelligente o ne emerge per caso il carattere di considerazione un po', diciamo , affrettata?


A mio parere, l'osservazione rimane intelligente. Un "sistema di interpretazione della realtà condiviso tra i propri membri" esiste di per sé. Non c'è nessunissimo bisogno di crearlo. E' la conseguenza necessaria della nostra comune biologia. Noi tutti percepiamo il mondo attraverso il nostro apparato sensoriale. E lo percepiamo in questo modo semplicemente perché "siamo fatti così". Per usare i termini di Maturana e Varela (che scrivono difficile, è vero, ma che dicono - secondo me - cose interessanti), la struttura determina la funzione. Dato che il nostro occhio è fatto come è fatto, il nostro cervello pure, quel che vediamo è un'interpretazione della realtà determinata dalla nostra struttura biologica. Non vediamo gli infrarossi, né gli ultravioletti, né le onde radio. A volte vediamo cose che non esistono da nessuna parte. Altre volte non vediamo cose che, pure, esistono.

Ma io ritengo che il passare da "un sistema di interpretazione della realtà condiviso" ad un "pensiero comune" rappresenti una forzatura.
Questa mia opinione deriva soprattutto dal fatto che tu tendi ad utilizzare termini estremamente generali senza prenderti mai la briga di spiegarne il campo di applicazione. Ad esempio: la fede nel dio dei cristiani è una credenza comune a diverse centinaia di milioni di persone. Ma un cristiano protestante ed un copto hanno molto poco in comune tra di loro. La credenza nella necessità dell'esistenza di uno stato accomuna l'iraniano medio, lo statunitense ed il cinese. Ma i loro modi di vivere sono notevolmente diversi.
E questo vale per ogni altro tuo utilizzo di temrini generali. E' per questo motivo che ti chiedo, come hanno fatto altri, del resto, di esemplificare le tue affermazioni.
Da quel poco che ho potuto studiare di retorica, l'utilizzo di concetti astratti avviene, solitamente, per nascondere delle differenze esistenti, promuovendo un senso di unitarietà dovuto solamente al fatto che i concetti utilizzati sono talmente generali da poter essere interpretati da ognuno nel modo che preferisce. Non per nulla l'uso di termini astratti è prerogativa dei discorsi pubblici degli uomini di potere. "Merito", "unità", "nazione", "uomo", "umanità", "benessere"... la lista potrebbe essere lunghissima, ne converrai. Ma se andiamo a vedere che significato assegna ogni singolo uditore a questi termini, scopriremo che - probabilmente - essi vengono percepiti da ognuno in modo differente. E non potrebbe essere altrimenti, dato che la percezione della realtà da parte del singolo dipende dalla sua struttura e dalla sua storia. Essendo struttura e storia mia diverse da struttura e storia tua, il risultato è una diversa interpretazione dello stesso termine.

A questo punto, il termine "volontà collettiva" sembra essere solamente un'altra parola astratta. Come quando si dice: "L'Italia dichiarò guerra alla Francia". Frase che serve a nascondere il fatto che fu Mussolini a dichiarare guerra alla Francia, anche se fu la maggioranza degli italiani a pagarne le conseguenze.

Peraltro, sul piano politico-economico, questa indeterminatezza e questo utilizzo di termini astratti, ha portato a conseguenze gravissime - a mio parere. Ne cito una soltanto: la possibilità per una "corporation" di assumere "personalità giuridica". Il risultato è quello di far sì che nessuno sia responsabile delle proprie azioni (una cosa che esisteva nelle comunità, ti ricordi del dramma Fuenteovejuna (obra teatral) di Lopez de la Vega?). Un dirigente d'impresa può commettere molti crimini, ma a presentarsi in tribunale e - eventualmente - a pagare il conto, è l'impresa, non lui. Un meccanismo ben descritto e analizzato in The Corporation (film), che probabilemnte conoscerai.

Questo mi sento di dire, per ora. La richiesta di informazioni, come puoi vedere, era quanto di più lontano da un'interrogazione ci potesse essere.

Buona vita

Guglielmo
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Inviato il: 30/8/2007 12:21
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      franco8
Re: Il rifiuto della comunità.
#131
Dubito ormai di tutto
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Citazione:

In un altro topic, si metteva in discussione quanto le emozioni dominano l'umanita' e quanto poco questa riesce ad essere razionale.

Credo di sapere che concordi con me.. che non è corretto considerare sempre e generalemnte sentimento e ragione in termini antitetici...
(Ma per esplicitare il concetto, ci vorrebbe, credo, una discorso a parte..)

SentieroCitazione:
Invito tutti ad un chiarimento rapido dei propri concetti espressi forse con parole che possono essere fraintese.....

Ehm! Intendi proprio "tutti", Sentiero?... o non piuttosto arturo in particolare?
ché per quanto mi riguarda, mi pare di aver detto anche troppo...
e c'è davvero poco da fraintendere in parole come "patetico" e "desolante"(per giunta in forma superlativa ), inserite in tre righe 3 di testo ( accusando per giunta gli altri (per colmo!) di essere a corto di "argomenti".... )
... O ti riferivi alla parola "laziale" ?!

-----------------------------
Per conto mio non c'è problema... Anche se un discorsetto di scuse un po' più sentite non guasterebbe...
Proviamo un attimo ad andare a ritroso....

Avevo scritto:
Citazione:

Io facevo riferimento alla "mancanza di saggezza" e anche di equilibrio...
(Fare l'analisi puntuale parola per parola o altro.. mi sembrerebbe tempo perso. Converrete. Passo oltre e lasciamo stare!)


Ritorno quindi sui miei passi e torno invece a riassumere il contenuto logico espresso dal #110 a cui mi riferivo nello specifico.
Per brevità non faccio l'analisi di tutti i punti ma riporto un mio commento personale...
"

+
dettaglio uno: indizio, in Ipotesi, della -disillusione non-maturata" (l'amarezza che nerone diceva "presunta"):
prealbe dice:
" Gli ultimi tre periodi, emotivamente li trovo attraenti: se avessi visto meno di quello che ho visto e ci avessi riflettuto meno di quanto invece ho fatto..."
Per conto mio, ciò mi dà l'impressione di aspettative tradite e deluse... cui si reagisce, quasi per dispetto, negando in assoluto tutte le possibili aspettative...
(Ciò non per analizzare le motivazioni di prealbe - che è padrone di pensarla come vuole -ma per dire che ci sono degli elementi concreti a monte della impressione "emotiva" che avevo avuto... Spero che sia chiaro quello che intendo)

+
dettaglio due:
Citazione:
la dimostrazione dell’insensatezza di certe teorie politico-sociali fondate su una immagine dell’uomo puramente ideologica e mai - mai! - verificata sul campo.

A quali ideologie mai fa riferimento!?
A quali concrete verifiche sul campo sta pensando ?
Ma il punto se vogliamo è un altro. Prealbe insiste spesso su questo punto: "voli pindarici", "ideologia", "non verificata", "non concreta" ecc. ecc...
Per certi casi ha ragione (appunto: non è lecito generalizzare come troppo spesso fa lui - come giustamente fa notare nessuno ) ma l'argomento dal punto di vista logico (se interpreto in termini corretti) non ha fondamento.
L'argomento infatti diventerebbe: siccome l'idea nuova non è stata verificata, allora è campata in aria e sbagliata.
Ne segue insomma che OGNI NOVITA' sarebbe sbagliata e improponibile...
(E questa volontà di "censurare" ogni "ideologia"... mi trona al punto precedente)


+
Citazione:

Per quanto mi riguarda, porre come modello sociale standard la modalità “Cristoforo Colombo” è una idea assolutamente devastante, spietata e, in ultima analisi, criminale.

Mah! .

Molto interessante, a tal proposito, il video che aveva linkato Timor.
Ma credo, purtroppo, che prealbe non mastichi bene l'inglese...

Facciamo un esempio... tanto per vedere se ci stiamo capendo.
Poniamo che vostro figlio (Ah! ho detto figlio! ) si sia deciso ad intraprendere una attività che voi disapprovate. Non solo perché non vi piace, ma perché siete sicuri al 100% che ne avrà solo guai da tutti i punti di vista (Non ho idea di cosa possa essere.. ciascuno consideri quello che vuole)...
Quali sarebbero le scelte "criminali"?
Ve ne sono di diverso genere:
- Ad un estremo (e perciò - in parte - ha ragione prealbe) : quella di lasciare vostro figlio assolutamente "libero", ma nel senso di... anche assolutamente solo (fraintendedo forse il senso della parola libertà?)... di non fornirgli nessuno "strumento", nessun consiglio, nessuna idea anche solo parziale e personale per capire, orientarsi ecc ecc
- All'altro estremo: avere la presunzione di saper tutto , di sapere come andranno le cose e cosa è meglio o peggio per lui. O, che è lo stesso se non peggio, credere che ci sia qualcun'altro che sia in grado di farlo... Toglergli la libertà di scegliere, scegliere per lui, al suo posto.

--------------------
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Inviato il: 30/8/2007 16:26
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  •  prealbe
      prealbe
Re: Il rifiuto della comunità.
#132
Mi sento vacillare
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Allora, Guglielmo, ti posto innanzitutto la risposta al tuo intervento precedente giusto perché l'avevo preparata. Spero che serva a chiarire alcuni concetti almeno ad altri interlocutori.


Guglielmo
Citazione:
Solo che non mi pare viviamo in una società preindustriale. Anzi, alcuni qualificano la società attuale come "post-industriale". E io, alcuni post fa, ho sostenuto che l'uso del concetto di "comunità" per comprendere la società attuale è sbagliato. Quindi, per cortesia, scendi dai cieli della parola e vedi di dare al volgo che ti legge alcuni esempi concreti di "comunità" (nonché di tutti i termini altamente astratti che ne derivano) applicabili alla situazione attuale. Altrimenti discutiamo del nulla, a mio parere.

Infatti non sto assolutamente utilizzando il concetto di comunità per comprendere la società attuale: la società attuale mi è sufficientemente chiara. La comunità, o meglio le sue caratteristiche, rappresenta semmai ciò che nello status quo che ci circonda manca ed è causa del profondissimo e capillare malessere contemporaneo. Essendo qualcosa che oggi manca, è piuttosto difficile fornirne esempi concreti a noi contemporanei; per cui, se rifiuti le indicazioni relative alle comunità pre-industriali nelle quali i "termini altamente astratti" trovavano concreta esistenza, non so proprio come venirti incontro.

Citazione:
Nel caso dell'esperienza (intesa come "esperire", non come "ricordare"), bussole e carte servono a ben poco. Essendo gli esseri umani tutti diversi tra di loro, a poco servono le esperienze passate.

Se la piantassimo con questa simpatica fola della diversità radicale fra gli esseri umani? Gli esseri umani sono assai più simili che dissimili. Fisicamente e psicologicamente. In caso contrario un sacco di professioni (fra cui lo psicologo) che hanno come oggetto proprio l'uomo sarebbero implicitamente basate sul nulla. Cosa che, dall'esperienza (intesa come preferisci tu), non sembra proprio.

Citazione:
Il primo figlio è maschio, il secondo è femmina. Il figlio del mio amico è miope, quell'altra è "un terremoto", un terzo è autistico. E le famiglie nelle quali si trovano ad iniziare le loro vite sono differenti. Che altro fare se non procedere "senza carte"?

Semplice. Procedere facendo debito riferimento alle "carte" e tenere anche conto delle contingenze specifiche. Anche in mare ogni onda è diversa: e con ciò? Non mi sembra che il fatto invalidi l'esperienza pregressa né che normalmente impedisca di fare previsioni sensate sulle rotte e sulle destinazioni.

Citazione:
Inoltre, da quando "cultura" e "comunità" sono sinonimi? E perché dovrei "rinnegare iil sapere consolidato"? Io ho semplicemente affermato che i saperi consolidati servono da punti di partenza, ma che debbono poter essere abbandonati senza tanti patemi d'animo, quando lo giudichiamo necessario.

Sono sinonimi? Non lo sapevo. Io pensavo che una comunità esprimesse una cultura, e che "cultura" e "sapere consolidato" avessero un certo grado di parentela.
E definire una cultura nella quale un individuo si plasma un "punto di partenza" mi pare appena appena riduttivo; io la vedrei più congruamente come una piattaforma, di dimensioni non proprio risicate. E, sempre a mio parere, parlare di "abbandono senza patemi d'animo" è cosa sia superficiale sia presuntuosa. Perlomeno se non a fronte di un'esperienza di vita individuale assai lunga, ampia e profonda, tanto da consentire di mettere in discussione con criterio - e non per semplice incapacità di comprendere - ciò che moltissimi individui prima di te hanno ritenuto degno di essere selezionato e messo da parte per essere trasmesso ai propri successori, considerandolo evidentemente un frutto prezioso delle loro vite.

Citazione:
Esiste inoltre, a mio parere, una differenza tra flessibilità, creatività, applicazione dell'intelligenza e "dilettantismo". E l'uso di termini svalutanti e declinati in forma peggiorativa non è - ma è un mio parere - in grado di confutare tesi, né porta dati o ragionamenti capaci di farlo.

Guarda, si levi dalla testa chi eventualmente ce l'avesse quest'idea che ciò che l'individuo produce spontaneamente sia, in quanto tale, sempre oro puro. Le problematiche che si propongono nel corso dell'esistenza sono molte e assai complesse e l'individuo spessissimo non ne è, semplicemente, all'altezza, commettendo errori anche estremamente gravi, nei propri come negli altrui confronti.

E' perlopiù, proprio come dicevo, un dilettante allo sbaraglio, senza che tale definizione voglia essere riduttiva o dispregiativa: è una semplicissima constatazione. Per questo motivo, in moltissimi casi, basarsi sul sapere consolidato è cosa più che opportuna se si tiene alla bontà del risultato.

Citazione:
Li scontano entrambi.

Forse che si, forse che no.

Citazione:
La sofferenza di chi è autore di un fallimento è altrettanto reale di quella di chi ne è oggetto.

Tendenzialmente, nei limiti del possibile, preferirei che "chi ne è oggetto" fosse preservato, tramite l'esperienza accumulata dalle generazioni precedenti, dal dilettantismo dei principianti.

Citazione:
E, spesso, i "disastri" dei quali parli dipendono più dall'incapacità di società strutturate in senso comunitario nell'accettare le diversità che da altro.

Qui sarebbe il caso di argomentare a convalida di questa affermazione.

Citazione:
... ipse dixit Prealbe... decidendo lui quel che io dovrei ritenere o meno "drammatico" o "insignificante". Se Vostra Signoria me lo consente, decido io quel che per me è drammatico.

Guarda, Guglielmo, qui puoi fare anche due salti mortali e tre capriole, se vuoi: "letto di Procuste" e abbigliamento "pret a porter" rimangono espressioni di diversissima forza emotiva.

Citazione:
Basta rileggere quel che ho scritto per avere risposta a questa domanda.

Se non vuoi rispondere chiaramente, ok così.

Citazione:
Sì, esatto. Perché quella faccia stupita?

Oh, niente. Mi fa solo un po' strano che il tuo parli di "sé" dicendo il mio corpo. Sembrerebbe lui il primo a mettere una certa distanza tra le due entità.



Poi vengo al tuo ultimo intervento.

(Mi scuserà SENTIERO per la scarsa tolleranza.)



Citazione:
A mio parere, l'osservazione rimane intelligente. Un "sistema di interpretazione della realtà condiviso tra i propri membri" esiste di per sé. Non c'è nessunissimo bisogno di crearlo. E' la conseguenza necessaria della nostra comune biologia. Noi tutti percepiamo il mondo attraverso il nostro apparato sensoriale. E lo percepiamo in questo modo semplicemente perché "siamo fatti così". Per usare i termini di Maturana e Varela (che scrivono difficile, è vero, ma che dicono - secondo me - cose interessanti), la struttura determina la funzione. Dato che il nostro occhio è fatto come è fatto, il nostro cervello pure, quel che vediamo è un'interpretazione della realtà determinata dalla nostra struttura biologica. Non vediamo gli infrarossi, né gli ultravioletti, né le onde radio. A volte vediamo cose che non esistono da nessuna parte. Altre volte non vediamo cose che, pure, esistono.

Davvero non so come si possa scrivere con serietà una cosa del genere e aspettarsi di essere considerato controparte nella discussione.

Per quanto riguarda l'intelligenza dell'osservazione: per il fatto che tutti noi percepiamo certe frequenze luminose e non altre, questo significherebbe che abbiamo un "sistema di interpretazione della realtà condiviso"?!? Non avremo - semmai - un sistema di percezione della realtà condiviso?!? E l'interpretazione non riguarderà i significati che verranno attribuiti poi a tali percezioni?!?

O seriamente tu fino ad ora hai capito che per "sistema di interpretazione della realtà condiviso" io intendessi il concordare sulle impressioni sensoriali che ci dicono che il rosso é rosso, il blu é blu, l'acqua è bagnata e il fuoco scotta?

Sono semplicemente esterrefatto. Non ho parole.

Avevo avuto l'impressione di un altro livello di discussione.


Prealbe
Inviato il: 30/8/2007 19:47
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Re: Il rifiuto della comunità.
#133
So tutto
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Seguo da tempo questo forum, ma non ho mai postato anche perchè, dall'esterno, quello che si percepisce, è più una gara a chi ha ragione che non un luogo di discussione; tra le altre cose, leggo spesso e volentieri le notizie e i commenti fatti dai partecipanti e mi addentro spesso nel forum traendone la maggior parte delle volte un arricchimento per le mie conoscenze e spesso anche per il mio modo di vedere i fatti e gli argomenti che vengono discussi: del resto anche lurkare un forum è una buona euristica per questi scopi, a volte.
Questa volta però, dopo aver seguito abbastanza pedissequamente questa discussione, mi viene voglia di fare questo intervento, forse poco costruttivo ed edificante a dire il vero, ma certi interlocutori stanno facendo di tutto per abbassare il livello della discussione stessa, soprattutto quando si arrocano sulle proprie posizioni, senza avere la minima consapevolezza di quello che stanno dicendo; del resto, offese, attacchi ad personam e la lotta per la supremazia della prorpia posizione come fosse una questione di vita o di morte sembrano permeare la condotta di certuni qua dentro. Soprattutto mi fa bollire il sangue una affermazione del genere non corroborata da nulla che non sia pura e semplice saccenza:


Citazione:

prealbe ha scritto:

Se la piantassimo con questa simpatica fola della diversità radicale fra gli esseri umani? Gli esseri umani sono assai più simili che dissimili. Fisicamente e psicologicamente. In caso contrario un sacco di professioni (fra cui lo psicologo) che hanno come oggetto proprio l'uomo sarebbero implicitamente basate sul nulla. Cosa che, dall'esperienza (intesa come preferisci tu), non sembra proprio.


Io dico, se la piantassi tu una buona volta e riuscissi a inglobare nelle tue ferree premesse quelle degli altri?
Lo psicologo, caro mio, lavora proprio perchè gli essere umani sono più dissimili che simili, checchè ne possa pensare tu: non ho dati nè link, mi spiace, mi baso sull'epistemologia della scienza psicologica, sull'esperienza mia e dei miei maestri. Si impara dalle differenze mio caro, perchè queste sono fonte di apprendimento e di crescita, di cambiamento (che in psicologia è un po la "guarigione" in medicina) e si cerca di comprendere il come e non tanto il perchè ci siano queste necessarie e fondamentali differenze che sono il succo centrale dell'individualità di ognuno in base alla quale poi egli costruirà una propria esperienza basata su significati individuali e poi collettivi, in prima istanza la propria esperienza, esattamente come la intende Guglielmo, toh guarda!

Poi dopo, non mi dilungo oltre perchè, a complemento di quanto detto da Sentiero, ci vorrebbero competenze sia di tipo cognitivo sia di tipo emotivo per portare avanti una discussione in toni seri e sufficientemente ponderati come Guglielmo tenta invano di fare, ma non avendo una controparte con medesimo intento, il tutto rimane utopico e impossibile, sostanzialmente. La competenza cognitiva fa si che abbiamo capito cosa l'altro intende, lo rielaboriamo e poi eventualmente replichiamo avendo chiaro però in testa un corpus quanto meno organico da cui far scaturire i concetti che poi appaiono sullo schermo, a volte con orrore dei più quando tale facoltà non viene esercitata a livello sufficiente; la comptenza emotiva invece permette di far si che si possa mantenere un certo tono che non infici le reazioni e le risposte date agli interlocutori.

Come osservato da Paxtibi precedentemente, Prealbe ha bisogno di gregari che nulla aggiungono alla discussione se non brevi e aleatorie elucubrazioni parassitarie di concetti già espressi da altri, ma almeno poi hanno l'onestà intelettuale di autodefinirsi "dementi" quando oltre a sbagliare nei contenuti sbagliano pure il destinatario cui si vogliono riferire coi loro tentativi di ironia e sarcasmo che naufragano miseramente, come il tentativo di far sentire in minoranza chi la pensa in maniera differente, o meglio, chi la pensa in una maniera e porta argomenti e ragionamenti per far continuare una discussione che oramai ha raggiunto toni quantomeno surreali.

Caro Prelabe, ti scandalizzi tanto per l'analogia sè-corpo? Vedi, al di là di tutte le ideologie che si possono estrapolare e al di là della tua estrema difficoltà di astrazione di concetti e di metafore da cui nemmeno i salti mortali riuscirebbero, per tua stessa ammissione, a scrollarti, mente e cervello sono una cosa sola, sono due termini, due significanti qualitativi di uno stesso significato, o se vuoi, due livelli differenti dell'organizzazione umana, ma tale distinzione la facciamo per amore di chiarezza espositiva o per migliore definizione di un contesto se ci si muove all'nterno di ambiti dove difficilmente i significati sono condivisi. Ma, la persona e per esteso la personalità, è un organismo complesso che si forma grazie a differenti livelli di organizzazione, dal biologico, allo psichico, fino al sociologico, ma con combinazioni assolutamente peculiari tali per cui, ognuno ha una propria indipendenza ontologica rispetto a tutto il resto, sulla quale puoi si possono instaurare tutte le influeze sociali che ti pare, che possono essere accettate oppure, con un po di coraggio, lasciate da parte prendendo così altre strade, quelle più funzionali per noi stessi, che non significa giuste o maggiormente condivise, ma funzionali al nostro benessere.
Se tu ti ammalassi di una malattia grave e potenzialmente mortale, come un cancro (cosa che a me è capitata e che al di là del tono di questo mio intervento, non ti sto augurando di certo nè mai mi sognerei di farlo), probabilmente non staresti a fare tante sottili distinzioni tra il sè e il tuo corpo, a meno che tu non abbia disturbi nella percezione dei loro confini; ma non è necessario arrivare a questi livelli per percepire la propria unicità che sta alla base di un processo chiamato ontogenesi. Questa è una delle cose che più mi ha fatto infuriare e forse sono io qui a non avere sufficienti competenze emotive, ma usare un condizionale ogni tanto o un secondo me e lasciare stare un po di più il sarcasmo o le prese in giro verso i parenti defunti di altre persone ecco, questo sarebbe più che auspicabile! Secondo me.

Citazione:

Davvero non so come si possa scrivere con serietà una cosa del genere e aspettarsi di essere considerato controparte nella discussione.

Per quanto riguarda l'intelligenza dell'osservazione: per il fatto che tutti noi percepiamo certe frequenze luminose e non altre, questo significherebbe che abbiamo un "sistema di interpretazione della realtà condiviso"?!? Non avremo - semmai - un sistema di percezione della realtà condiviso?!? E l'interpretazione non riguarderà i significati che verranno attribuiti poi a tali percezioni?!?

O seriamente tu fino ad ora hai capito che per "sistema di interpretazione della realtà condiviso" io intendessi il concordare sulle impressioni sensoriali che ci dicono che il rosso é rosso, il blu é blu, l'acqua è bagnata e il fuoco scotta?

Sono semplicemente esterrefatto. Non ho parole.

Avevo avuto l'impressione di un altro livello di discussione.


Prealbe



Davvero, dopo aver avuto una "controparte" così (ecco che si ritorna, anche a livello prettamente terminologico alla storia della battaglia e non più della discussione, che torno a dire, essere tale finchè ci si sforza di comprendere il punto d vista altrui cercando di modificae le proprie premesse...il non riuscirci è un buon indice patognomonico di "forte individualismo" alla faccia di tutto quano detto nel corso della discussione) mi chiedo come sia possibile arrivare a fare delle affermazioni tanto offensive.
Fino ad ora ho visto alcune persone persone, tra cui Guglielmo, argomentare, approfondire e rendere ragione, anche con esempi e conferendo loro una certa valenza empirica e ricadute applicative nella realtà delle proprie posizioni e altre, come quello che muove simili offese, che ha riempito pagine e pagine di semplici accozzaglie di concetti fumosi e aleatori, simile a un composto magmatico, come di fatti sembra sia la sua disposizione d'animo in discussioni come questa e in altre.
Onestamente sono io a non avere parole per la facilità con cui personaggi del genere perdono le staffe e tacciano di inutilità le argomntazioni altrui fino a rimanerne esterefatte: a me fai rimanere esterefatto tu e sei pure riuscito a farmi intervenire! Pensa te quanto siamo dissimili e quanti elementi presumibilmente stanno alla base della nostra differenza nel concepire un argomento tanto permeante la personalità stessa di noi individui come appunto quello che Guglielmo sta trattando e tu e pochi altri state vanificando invece, a mio modesto parere.

Primo e ultimo intervento di sicuro, ma la piega che stava prendendo la discussione e la presunzione di portare delle certezze sempre e comunque, anzichè provare a chiedere e capire perchè una persona arrivi ad affermare qualcosa su cui non siamo d'accordo mi ha davvero stupito negativamente.


Ah poi, edit del giorno dopo: tutte le relazioni, sia quelle terapeutiche dato che qua c'è qualcuno cui piace tirare fuori la figura dello psicologo e affini, sia quelle che caratterizzano altre esperienze e altri domini della vita come ad esempio il rapporto con un figlio (generare un figlio non è molto difficile, essere buoni genitori e sviluppare la genitorialità invece lo è un po di più) sono incontri tra due individualità a se stanti, peculiari e uniche.
Anche il ricorso alla biologia e all'apparato percettivo non è una cavolata, ma ha un suo senso ben preciso: gli schizofrenici per esempio esperiscono delle percezioni che vengono chiamate allucinazioni, ma che per loro sono reali e studi di neuroimmagine hanno evidenziato che uno schizofrenico che sente le voci presenta una attivazione delle aree uditive pari a quella che determinerebbe uno stimolo uditivo reale ed esistente per tutti, ma non per questo la voce che io non sento non è reale per lo schizofrenico e ogni paziente vive la propria esperienza di "malattia" in modo specifico, come un modo di stare al mondo che poi sta al singolo individuo sentire come egodistonico e disfunzionale o meno, prima che al contesto sociale in cui egli è inserito, che poi ovviamente darà direttive e farà pressione nella direzione della "norma" e dell'uniformarsi ad essa.
Quindi, se si vuole fare sarcasmo o ironia, io mi preoccuperei prima di capire se sono in grado di farne, prima cioè di usare questi concetti come schermi per muovere attacchi: mai sentita cosa più saggia di quella di paragonare l'esprienza ad una lanterna dietro la schiena, che mi illumina il camino fatto ma non mi dice nulla sulla possibile scelta e sull'intraprendere nuove strade, almeno a parer mio (Diogene aveva altri scopi, infatti la lanterna la teneva davanti.....).
Ci sono, come detto molti concetti come "merito" "razza" "famiglia" "stato" ecc ecc che io non so se definirei vuoti, ma per lo meno declinabili e passibili di assumere significati molto diversi in base ai contesti cui ci si riferisce...utilizzarli alla bene e meglio serve solo a fare casino
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Re: Il rifiuto della comunità.
#134
Mi sento vacillare
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Citazione:
la società attuale mi è sufficientemente chiara.


Meno male che a qualcuno è chiara! A me non ancora. (Avrò bisogno di molta più esperienza [intesa come vuoi tu ] prima di arrivare al tuo livello).

Citazione:
La comunità, o meglio le sue caratteristiche, rappresenta semmai ciò che nello status quo che ci circonda manca ed è causa del profondissimo e capillare malessere contemporaneo.


In una frase abbiamo diagnosi e soluzione. Si ignora la prognosi, ma attendiamo con trepidazione. Ora, potresti provare a definire meglio quale sia il "profondissimo e capillare malessere contemporaneo"? Così, tanto per discutere di qualcosa di concreto...

Citazione:
Essendo qualcosa che oggi manca, è piuttosto difficile fornirne esempi concreti a noi contemporanei; per cui, se rifiuti le indicazioni relative alle comunità pre-industriali nelle quali i "termini altamente astratti" trovavano concreta esistenza, non so proprio come venirti incontro.


Non le rifiuto. Le accetto e ci tornerò su. Per ora dico solo che mi sembra tu assegni alla comunità una serie di caratteristiche che valuti come positive, in contrasto con la forma attuale dello status quo contemporaneo (che, secondo molti sociologi, può essere definito - più semplicemente - società). Ti chiederei, se ti va, di confermare o smentire questa mia impressione, perché non ho il dono di saper leggere la mente altrui.

Citazione:
Se la piantassimo con questa simpatica fola della diversità radicale fra gli esseri umani? Gli esseri umani sono assai più simili che dissimili. Fisicamente e psicologicamente. In caso contrario un sacco di professioni (fra cui lo psicologo) che hanno come oggetto proprio l'uomo sarebbero implicitamente basate sul nulla. Cosa che, dall'esperienza (intesa come preferisci tu), non sembra proprio.


Lasciando a parte gli aggettivi (che non aggiungono né tolgono nulla a quanto si dice), quando mai ho sostenuto una diversità radicale?.
Comunque, se accetti come punto di partenza un dato che ci viene dalla genetica delle popolazioni: bisogna in realtà considerare che la diversità genetica tra gli individui di una popolazione è maggiore di quella media osservabile tra due popolazioni..
Dal punto di vista genetico, tutti gli esseri umani condividono il 99,9% del DNA. Da questo punto di vista hai ragione. Sono più simili che dissimili. Ma questo dato (assieme ad altri) non fa altro che corroborare la mia ipotesi che non abbiamo alcun bisogno di costruire delle caratteristiche comuni. Basterebbe riconoscere quelle che esistono.

Non entro nel merito della tua ipotesi circa le professioni, perché richiederebbe un thread a sé. Mi limito a constatare che l'idea che hai del lavoro dello psicologo corrisponde assai poco alla realtà del lavoro dello psicologo, e che antropologia, sociologia, psicologia e altre "scienze umane" lavorano assai più nel mettere in luce le differenze che non le somiglianze.
Anzi, l'esistenza di differenze è non solo la loro ragione d'essere, ma addirittura (come nel caso dell'antropologia) la loro origine. (per una buona trattazione della questione, nel caso dell'antropologia, vedi: AFFERGAN Francis, Esotismo e alterità. Saggio sui fondamenti di una critica dell’antropologia, Mursia, Milano 1991 (1987)).
Inoltre, dato che mi chiedi spesso di portare dati a sostegno delle mie affermazioni (giustamente), mi sento di chiederti la stessa cosa, e di provare a sostenere questa tua affermazione circa la similitudine degli esseri umani con dei dati.

Citazione:
Io pensavo che una comunità esprimesse una cultura, e che "cultura" e "sapere consolidato" avessero un certo grado di parentela.


Ma anche una società esprime una cultura. Sono, semplicemente, due culture diverse, come sono diverse le culture delle diverse comunità, a seconda della loro storia e degli uomini e donne che le compongono. Il sapere consolidato ha un certo grado di parentela con la cultura ma, a volte, più che di fratelli mi pare si tratti di lontani cugini. La geometria dei triangoli simili mi pare rappresenti un sapere alquanto consolidato, ma la sua conoscenza non appartiene se non ad una minima parte della popolazione. Viceversa, le vicende di Corona sembrano appartenere alla cultura di un'ampia fetta di popolazione, pur non potendo essere definite "un sapere consolidato".

Citazione:
E, sempre a mio parere, parlare di "abbandono senza patemi d'animo" è cosa sia superficiale sia presuntuosa. Perlomeno se non a fronte di un'esperienza di vita individuale assai lunga, ampia e profonda, tanto da consentire di mettere in discussione con criterio - e non per semplice incapacità di comprendere - ciò che moltissimi individui prima di te hanno ritenuto degno di essere selezionato e messo da parte per essere trasmesso ai propri successori, considerandolo evidentemente un frutto prezioso delle loro vite.


E' il tuo parere e lo prendo come tale. Legittimo. Ma, se vuoi convincermi che sia anche verosimile, gli aggettivi non sono sufficienti.
Tuttavia, ho l'impressione che questa tua posizione sia per te alquanto centrale nel tuo schema di ragionamento, quindi provo a discuterne alcuni aspetti.
questa è una frase che, ad una prima lettura, potrebbe sembrare estremamente intelligente. Implica che un cambiamento vada attuato in modo cauto, attento, meditato e consapevole. Occorre, per quel che comprendo, vagliare con cura quanto è stato selezionato dai propri predecessori, esaminarlo con attenzione e, dopo molto tempo e molte riflessioni, apportare ad esso solo quei cambiamenti che, con criterio, vanno apportati.
Ma nell'applicazione concreta di un simile principio, converrai con me che possono sorgere innumerevoli problemi:
a) chi è vissuto prima di me poteva avere perfettamente ragione al suo tempo, ma non è affatto detto che abbia ragione ora. Le società non sono oggetti inanimati, né statici. Anche lo fossero, non lo è il mondo fisico nel quale si trovano a vivere. E mantenersi fedeli a ricette consolidate in un mondo che cambia e si trasforma mi pare il modo migliore per estinguersi rapidamente. In sostanza, dal mio punto di vista, un comportamento o un'idea o una teoria ha valore se funziona, non se è tradizionalmente accettata. Può essere che il tuo punto di vista sia diverso, nel qual caso, ne prendo atto e riconosco una diversità sostanziale.
b) Chi decide quanto debba essere lunga e profonda l'esperienza? La comunità? Il soggetto che deve prendere la decisione? E, se si tratta della comunità, cosa è preferibile in caso di disaccordo con il soggetto?
c) Idem per la questione del criterio: chi decide quale sia il o i criteri validi? E nel caso di conflitto, ancora una volta, come si decide?

Citazione:
Guarda, si levi dalla testa chi eventualmente ce l'avesse quest'idea che ciò che l'individuo produce spontaneamente sia, in quanto tale, sempre oro puro. Le problematiche che si propongono nel corso dell'esistenza sono molte e assai complesse e l'individuo spessissimo non ne è, semplicemente, all'altezza, commettendo errori anche estremamente gravi, nei propri come negli altrui confronti. E' perlopiù, proprio come dicevo, un dilettante allo sbaraglio, senza che tale definizione voglia essere riduttiva o dispregiativa: è una semplicissima constatazione. Per questo motivo, in moltissimi casi, basarsi sul sapere consolidato è cosa più che opportuna se si tiene alla bontà del risultato.


Sono perfettamente d'accordo con te su questo. Ma non vedo che c'entri con la necessità dell'esistenza di una comunità.


Citazione:
Tendenzialmente, nei limiti del possibile, preferirei che "chi ne è oggetto" fosse preservato, tramite l'esperienza accumulata dalle generazioni precedenti, dal dilettantismo dei principianti.


E' una preferenza legittima. Mi limito a chiedermi in base a quali considerazioni una sofferenza abbia un valore superiore ad un'altra.
Ma apro ad un tema differente, che pure, secondo me, è presente in modo sotterraneo in ogni discussione come quella che stiamo conducendo: è la nostalgia, o - in altri casi - l'utopia di un'età dell'oro, nella quale tutto va bene, non ci sono problemi, le persone sono tutte sagge, buone, brave. Ma gli esseri umani sono eterni dilettanti:
Darwin fu il primo a utilizzare il termine “bricolage” Per descrivere l'azione dell'evoluzione. A Francois Jacob va il merito di aver reinventato questo termine e di averne ampliato l'uso.
L'azione di “bricolage” dell'evoluzione è particolarmente chiara a livello molecolare: per assicurare nuove funzioni, l'evoluzione non fa comparire negli esseri viventi nuove proteine, ma utilizza le proteine già esistenti, di cui essa modifica la funzione originale. L'evoluzione può anche combinare e risistemare frammenti di proteine, creando così proteine-chimera.


A livello genico, essa ricombina elementi di regolazione per generare nuovi profili d'espressione. L'azione di bricolage dell'evoluzione si può notare anche a livelli più elevati di organizzazione, per esempio nella formazione degli organi: così, il cervello dei mammiferi sarebbe la sovrapposizione di tre cervelli diversi, comparsi successivamente nel corso dell'evoluzione, più o meno bene articolati fra loro.
Mettere in primo piano l'azione di bricolage dell'evoluzione è un modo per insistere sul ruolo del caso, e per sottolineare l'imperfezione delle creazioni dell'evoluzione.
Vuol dire tentare di spiegare la formazione delle “novità” nel corso dell'evoluzione, difficoltà notevole per il neo-darwinismo; e d'altronde semplice tentativo, poiché il bricolage è solo una metafora affascinante, non una teoria scientifica.

Da: I grandi della scienza, Monod, Jacob, Lwoff, Le Scienze, N°3, febbraio 2003.




Citazione:
Oh, niente. Mi fa solo un po' strano che il tuo sè parli di "sé" dicendo il mio corpo. Sembrerebbe lui il primo a mettere una certa distanza tra le due entità.


Touché. Critica corretta. Ma, su questo punto, sono d'accordo con quanto afferma shampoo (benvenuto tra noi, ma calma i bollenti spiriti. E' una discussione, non una lotta all'ultimo sangue ). Se posso, preciso meglio: il termine "sé" è un termine non definibile se non per approssimazioni e circumnavigazioni. In qualche modo descrive la totalità dell'individuo. E' difficile, dal punto di vista linguistico, trovare un modo per dire quel che penso. Ma quando dico il mio corpo intendo qualcosa del tipo: io corpo. Peraltro, a meno che tu non pensi di avere un qualche "io" all'interno del tuo corpo, da esso separato e che gli ordina che fare e che non fare (ma mi pare strano tu la pensi così), quel che facciamo lo fa il nostro corpo, quel che pensiamo lo pensa il nostro corpo. Quindi, identificare corpo e sé a me sembra un'opzione interessante.

Sull'ultimo punto: la percezione è già interpretazione. Noi non vediamo le lunghezze d'onda della liuce. Vediamo i colori. Ma colore e lunghezza d'onda non sono la stessa cosa (per una buona trattazione della questione: Semir Zeki - La visione dall'interno Arte e cervello. Editore Bollati Boringhieri Collana Nuova cultura. 2003)
Il fatto che tu ritenga la visione dei colori come appartenente al campo delle "impressioni sensoriali", mi fa pensare che tu consideri la "interpretazione" come qualcosa che rientra nella sfera della "consapevolezza". Mi spiace, ma devo contraddirti. Gli esseri umani interpretano il mondo in continuazione. A volte consapevolmente, il più delle volte no.
Poi, se non vuoi considerarmi "controparte", non c'è problema. E' una scelta tua. Ma ti suggerirei di approfondire la questione della percezione e del suo rapporto con l'interpretazione. E' più complicata di quanto mi sembra tu pensi.

Ad maiora, carissimo

Buona vita

Guglielmo
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Inviato il: 31/8/2007 9:03
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Re: Il rifiuto della comunità.
#135
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Citazione:


Ma, su questo punto, sono d'accordo con quanto afferma shampoo (benvenuto tra noi, ma calma i bollenti spiriti. E' una discussione, non una lotta all'ultimo sangue ).


SI infatti, ma come mia prima e penultima uscita...questa è l'ultima, volevo fare arrabbiare Prealbe che mi sta antipatico...pappappero...mi sono poi editato aggiungendo una nota sui sitemi percettivi e poco altro, ma non sono riuscito a stemperare granchè....Buona continuazione! (ritorno a fruire della tua saggezza e intelligenza in silenzio, Guglielmo )

Tanto, urlare da nord-est e farmi sentire ovunque non servirà a far si che gli altri cambino idea nè mi renderà le cose più semplici.
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Re: Il rifiuto della comunità.
#136
Mi sento vacillare
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Ciao Shampoo, grazie per il competente intervento e per aver deciso di partecipare.

Solo mi dispiace tu abbia sottostimato l'importante apporto dialettico del buon Prealbe e del suo ottimo "lobo sinistro"
Penso che faccia parte di un sano processo maieutico quello di incontrare antagonisti (solo nel pensiero ) preparati che all'occorrenza utilizzino stratagemmi dialettici e mimetiche astrazioni.
Tutto questo rende ancora più gustosa la discussione perchè ci constringe ad essere più attenti nella ricerca e nell'espeessione di quello che sentiamo vero.
Ovviamente è sempre un vero soggettivo e multicolore anche se personalmente credo a una identità ontologica annidata nelle profondità degli esseri.

Bellissimo e informativo l'ultimo post Guglielmo solo che :

Citazione:
Ma quando dico il mio corpo intendo qualcosa del tipo: io corpo. Peraltro, a meno che tu non pensi di avere un qualche "io" all'interno del tuo corpo, da esso separato e che gli ordina che fare e che non fare (ma mi pare strano tu la pensi così), quel che facciamo lo fa il nostro corpo, quel che pensiamo lo pensa il nostro corpo. Quindi, identificare corpo e sé a me sembra un'opzione interessante.


Allora mi viene da domandarti cos'è per te il corpo?
Come vivi il tuo corpo?
Come vivi il tuo viso?
Se per caso il corpo è un idea, una credenza molto stabile della mente?

Per approfondimenti:
http://en.wikipedia.org/wiki/Philosophy_of_perception
http://en.wikipedia.org/wiki/Homunculus_fallacy
http://en.wikipedia.org/wiki/Mary%27s_room
http://en.wikipedia.org/wiki/Ryle%27s_regress

Ma tutto questo meriterebbe un thread a parte

Buon Risveglio
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Re: Il rifiuto della comunità.
#137
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Ciao Timor...d'accordo, sono un trombone (uno che le spara grosse, così si dice dalle mie parti) e un incoerente, ma io credo che la coerenza non sia poi un ideale chissà quanto perseguibile dal momento che la relatà in sè è una "entità" in divenire e procede ed evolve senza possibilità di previsione certa....si insomma, le vie di qualcuno o qualcosa sono infinite, si diceva.
Per dire: avevo detto che sparivo, lo faccio eh, perchè non mi sento a mio agio, ma non si può dire che non abbia dato un forte feedback, sebbene connotato di aspetti emotivi molto lampanti; cosa di meglio per i sostenitori dell'influenza degli altri su noi stessi se non avere questa possibilità, derivante da altro individuo portatore di sua parziale visione e che fino a prima di suonare la fanfare era spettatore esterno e dunque latore di punto di vista differente?

Non di lobo ma di emisfero si parla, se distinguiamo tra destro e sinistro (perdonami la precisazione). Scusa ma con queste cose ci vado a nozze....

Ma invece, sulla questione del corpo metti in luce delle questioni molto interessanti, per non dire moltissimo: io per esempio vedo il mio corpo come una estensione di me stesso, ma è difficilissimo, dato il nostro patrimonio lessicale, o forse il mio nello specifico che non è abbastanza ricco, ruscire a rendere quello che ho in mente. E' come, scusa il mio essere approssimativo, un superamento di livello, un tipo logico sovraordinato, rispetto alla distinzione cartesiana di res cogitans ed estensa. Io dico: mi sono tagliato, poi magari specifico, al braccio; ma in prima istanza è il riferimento a me e questo mio pensiero in qualche modo è rafforzato dal fatto che anche le espressioni linguistiche di cui disponiamo sembrano rendere effettiva questa analogia.
Del resto, culturalmente siamo stati spinti a credere all'esistenza di un'anima e di una spiritualità che per esempio, secondo me è semplice frutto dello sviluppo strutturale e funzionale di una poderosa corteccia prefrontale nell'uomo che non ha pari negli altri animali...ma non per questo la spiritualità viene declassata da chi la pensa in questo modo e la cosiddetta visione monistica di mente-corpo viene spesso sacrificata perchè in sostanza noi ricerchiamo, io credo, la soluzione più economica per affrontare un problema o una questione...sennò sai che razza di sovraccarico al cervello!

Grazie Timor, sia per l'accoglienza sia per i contributi che hai linkato, ora vedo che trovo di interessante
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Inviato il: 31/8/2007 11:52
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Re: Il rifiuto della comunità.
#138
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Citazione:
Non di lobo ma di emisfero si parla


Ops mi sono definitivamente bruciato il circuito di papez

Cmq penso possano incuriosirti alcune iniziali analisi del thread psichedelico anche se, dopo certe "sperimentazioni" e un attenta analisi fenomenologica della mia corporeità sono passato da un realismo indiretto a un idealismo trascendentale scettico (leggi Advaita Vedanta) che essendo un ossimoro è perfetto per definire come interpreto attualmente la realtà esterna .

Cmq non appesantiamo ulteriormente questo bel thread con considerazioni apparentemente non correlate

Buon Risveglio
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Inviato il: 31/8/2007 12:39
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      prealbe
Re: Il rifiuto della comunità.
#139
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Citazione:
Sull'ultimo punto: la percezione è già interpretazione. Noi non vediamo le lunghezze d'onda della liuce. Vediamo i colori. Ma colore e lunghezza d'onda non sono la stessa cosa (per una buona trattazione della questione: Semir Zeki - La visione dall'interno Arte e cervello. Editore Bollati Boringhieri Collana Nuova cultura. 2003)
Il fatto che tu ritenga la visione dei colori come appartenente al campo delle "impressioni sensoriali", mi fa pensare che tu consideri la "interpretazione" come qualcosa che rientra nella sfera della "consapevolezza". Mi spiace, ma devo contraddirti. Gli esseri umani interpretano il mondo in continuazione. A volte consapevolmente, il più delle volte no.
Poi, se non vuoi considerarmi "controparte", non c'è problema. E' una scelta tua. Ma ti suggerirei di approfondire la questione della percezione e del suo rapporto con l'interpretazione. E' più complicata di quanto mi sembra tu pensi.

Guglielmo, con questo brano confermi di non avere proprio compreso il livello di confronto, e non solo di non leggere nel pensiero (poco male e non richiesto).

Tu pensi di dovermi specificare un’evidenza del genere? E che questa c’entri significativamente qualcosa con il "sistema di interpretazione della realtà condiviso" di cui si parlava in questa discussione e che era quello a livello dei membri di una comunità?

Ti prego. Insistendo su questo tasto con questi argomenti, sei tu che ti fai del male, come controparte.

Citazione:
In una frase abbiamo diagnosi e soluzione. Si ignora la prognosi, ma attendiamo con trepidazione. Ora, potresti provare a definire meglio quale sia il "profondissimo e capillare malessere contemporaneo"? Così, tanto per discutere di qualcosa di concreto...

Il tasso di disagio psichico e di suicidi, come elementi concreti possono andare bene? E’ sufficiente?

Citazione:
Non le rifiuto. Le accetto e ci tornerò su. Per ora dico solo che mi sembra tu assegni alla comunità una serie di caratteristiche che valuti come positive, in contrasto con la forma attuale dello status quo contemporaneo (che, secondo molti sociologi, può essere definito - più semplicemente - società). Ti chiederei, se ti va, di confermare o smentire questa mia impressione, perché non ho il dono di saper leggere la mente altrui.

Ma i post precedenti, si, vero?
Secondo te cosa mai vado sostenendo dall’inizio della discussione ad ora? C’è bisogno di conferme? Boh! Davvero mi sorprendi, Guglielmo.

Citazione:
Lasciando a parte gli aggettivi (che non aggiungono né tolgono nulla a quanto si dice), quando mai ho sostenuto una diversità radicale?.
Comunque, se accetti come punto di partenza un dato che ci viene dalla genetica delle popolazioni: bisogna in realtà considerare che la diversità genetica tra gli individui di una popolazione è maggiore di quella media osservabile tra due popolazioni..
Dal punto di vista genetico, tutti gli esseri umani condividono il 99,9% del DNA. Da questo punto di vista hai ragione. Sono più simili che dissimili. Ma questo dato (assieme ad altri) non fa altro che corroborare la mia ipotesi che non abbiamo alcun bisogno di costruire delle caratteristiche comuni. Basterebbe riconoscere quelle che esistono.

Non so se davvero afferri ben poco di quello che scrivo o lo fai per posa dialettica.

Che c’entra il “costruire delle caratteristiche comuni”? Ho mai detto qualcosa del genere? Che c’azzecca?

Sono i sistemi di significato la questione centrale, e quelli cambiano da gruppo a gruppo, non l’essenza umana. Tu puoi anche prendere gemelli identici (così abbiamo addirittura il 100% di condivisione genetica), ma se questi si rifanno a sistemi di significato discordanti, comunque non si intenderanno. Non si riconosceranno. Anche se sono assolutamente uguali oggettivamente, saranno diversi.

Citazione:
Non entro nel merito della tua ipotesi circa le professioni, perché richiederebbe un thread a sé. Mi limito a constatare che l'idea che hai del lavoro dello psicologo corrisponde assai poco alla realtà del lavoro dello psicologo, e che antropologia, sociologia, psicologia e altre "scienze umane" lavorano assai più nel mettere in luce le differenze che non le somiglianze.
Anzi, l'esistenza di differenze è non solo la loro ragione d'essere, ma addirittura (come nel caso dell'antropologia) la loro origine. (per una buona trattazione della questione, nel caso dell'antropologia, vedi: AFFERGAN Francis, Esotismo e alterità. Saggio sui fondamenti di una critica dell’antropologia, Mursia, Milano 1991 (1987)).

Leggi sopra e vedi se trovi qualcosa di utile anche riguardo a questa tua osservazione.

Citazione:
Ma anche una società esprime una cultura. Sono, semplicemente, due culture diverse, come sono diverse le culture delle diverse comunità, a seconda della loro storia e degli uomini e donne che le compongono. Il sapere consolidato ha un certo grado di parentela con la cultura ma, a volte, più che di fratelli mi pare si tratti di lontani cugini. La geometria dei triangoli simili mi pare rappresenti un sapere alquanto consolidato, ma la sua conoscenza non appartiene se non ad una minima parte della popolazione. Viceversa, le vicende di Corona sembrano appartenere alla cultura di un'ampia fetta di popolazione, pur non potendo essere definite "un sapere consolidato".

No. In realtà laddove una comunità esprime sostanzialmente una cultura, una società (come la nostra, di questo si sta parlando) esprime più culture concorrenti e spesso radicalmente contraddittorie, e quindi non sintetizzabili. Per questo, in un certo senso, si può dire che la società contemporanea non esprime, in definitiva, nessuna cultura. E infatti impera il concetto di “relativismo culturale”. Con meravigliose conseguenze quanto alla costruzione dell’identità individuale e dello scambio sociale. Splendide.

Citazione:
Touché. Critica corretta. Ma, su questo punto, sono d'accordo con quanto afferma shampoo (benvenuto tra noi, ma calma i bollenti spiriti. E' una discussione, non una lotta all'ultimo sangue ). Se posso, preciso meglio: il termine "sé" è un termine non definibile se non per approssimazioni e circumnavigazioni. In qualche modo descrive la totalità dell'individuo. E' difficile, dal punto di vista linguistico, trovare un modo per dire quel che penso. Ma quando dico il mio corpo intendo qualcosa del tipo: io corpo. Peraltro, a meno che tu non pensi di avere un qualche "io" all'interno del tuo corpo, da esso separato e che gli ordina che fare e che non fare (ma mi pare strano tu la pensi così), quel che facciamo lo fa il nostro corpo, quel che pensiamo lo pensa il nostro corpo. Quindi, identificare corpo e sé a me sembra un'opzione interessante.

Sarà un’opzione interessante quanto vuoi... razionalmente.

Puoi fare tutte le precisazioni che vuoi… in seconda battuta, ma con la tua prima risposta hai già mostrato con chiarezza che neanche tu ti ritieni “uno” col tuo corpo: è questa la verità. Il resto sono intellettualismi del giorno dopo.


Prealbe
Inviato il: 31/8/2007 23:43
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Re: Il rifiuto della comunità.
#140
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Carissimo

Giusto per capire meglio, ti spiacerebbe indicarmi il periodo storico (età della pietra? Medioevo? Rinascimento? Prima rivoluzione industriale?) nel quale collochi l'esistenza della struttura sociale che definisci come "comunità"? Così, giusto per avere qualche elemento in più di studio.
Sai, non leggo nel pensiero. Quindi, prima di cercare di discutere una tesi, ho la necessità di comprenderla e di capirla. A te ci sono voluti solo un centinaio di post per esplicitare un pochino la tua posizione. Usane ancora qualcuno per chiarirla meglio. Poi, vedrò se riesco a migliorare il mio livello di discussione

Buona vita

Guglielmo
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Re: Il rifiuto della comunità.
#141
Ho qualche dubbio
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Ctz


“un centinaio di post” fa ,

si poteva leggere questo :

“… il tratto distintivo di una comunità è, a quanto pare, l'esistenza tra i suoi membri di elementi significativi in comune e, sulla base di questi, di vincoli reciproci. Nonché, questo lo aggiungo io, di interferenza continua tra di essi , trattandosi di un contesto di interazione.[…]

Quand'è che una "folla" diventa una "comunità"? In cosa si sostanzia il substrato comune di cui sopra?

Esso sarà, naturalmente, di ordine sia pratico sia, soprattutto - dato che il contesto è umano - emotivo (1), e tale da consentire ai propri membri lo specchiamento reciproco, di riconoscere cioè sé stessi negli altri; in caso contrario l'individuo si troverebbe circondato da entità che, facendo riferimento a sistemi di significato ignoti, sarebbero per lui semplicemente incomprensibili e con cui un'interazione articolata sarebbe quindi impossibile. Più o meno come se qualcuno di noi si trovasse proiettato di colpo in un villaggio indigeno del Kalimantan meridionale: che si racconterebbe con i locali? O qualcuno davvero pensa che la comune "appartenenza alla razza umana" sarebbe di per sé sufficiente per una relazione completa e appagante? (2) Un'interazione approfondita e significativa discende dunque dall'identificazione con la controparte e, in ambito umano, implica il coinvolgimento vicendevole delle parti, che su tale base si legano tra loro con un'intensità ad esso corrispondente. Ma tutto ciò comporta reciprocamente interferenza, vincoli, aspettative, obblighi, diritti e doveri.

Viceversa, quanto più si pone l'accento sulla distinzione (3) tra sé stessi e la propria comunità, cioè gli altri suoi membri, tanto più si diluisce l'intensità - e quindi la profondità - del rapporto, con tutte le conseguenze del caso. Chi sostiene la prevalenza della "libertà del singolo" rispetto alla comunità e definisce quest'ultima come "feticcio", sta solo dichiarando la propria profonda incapacità di pensare un rapporto di identificazione forte con l'altro da sé.

Perfettamente in linea, peraltro, con lo spirito che accompagna e caratterizza questi nostri tempi meravigliosi; niente di strano. Mi piacerebbe però non vedere ammantare di purezza idealistica qualcosa che è, con maggiore verosimiglianza, semplice asocialità….”


... e molto altro ancora...

.
Inviato il: 1/9/2007 19:38
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Re: Il rifiuto della comunità.
#142
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Dalle mie parti, arturo, il tuo comportamento si chiama: "Bàt la sèla per fàghela capì al àsen".

Contravvengo alla regola aurea che dice: "Don't feed the trolls" solo per invitarti, se vuoi discutere a farlo, invece che a collezionare figurine...

Buona vita

Guglielmo

(in attesa di risposte da parte di Prealbe, a meno che arturo e prealbe non facciano parte della stessa comunità e li possa, quindi, considerare intercambiabili)
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Re: Il rifiuto della comunità.
#143
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Guglielmo
Citazione:
Giusto per capire meglio, ti spiacerebbe indicarmi il periodo storico (età della pietra? Medioevo? Rinascimento? Prima rivoluzione industriale?) nel quale collochi l'esistenza della struttura sociale che definisci come "comunità"? Così, giusto per avere qualche elemento in più di studio.
Sai, non leggo nel pensiero. Quindi, prima di cercare di discutere una tesi, ho la necessità di comprenderla e di capirla. A te ci sono voluti solo un centinaio di post per esplicitare un pochino la tua posizione. Usane ancora qualcuno per chiarirla meglio. Poi, vedrò se riesco a migliorare il mio livello di discussione

Se, per comodità di ricerca desideri “circoscrivere” il campo d’indagine, puoi prendere tranquillamente in considerazione le comunità europee dal medioevo fino al diciottesimo secolo. Anche le altre comunità tradizionali al di fuori di questi limiti spazio-temporali sono, rispetto alle caratteristiche tipiche che ho tratteggiato, abbastanza omogenee, ma limitiamoci pure all’ambito che ti ho indicato.

Citazione:
(in attesa di risposte da parte di Prealbe, a meno che arturo e prealbe non facciano parte della stessa comunità e li possa, quindi, considerare intercambiabili)



Interessante la forma di questa osservazione, così impersonale e velatamente pungente: chi ne sarebbe l’omesso destinatario?

Ciao.


Prealbe


P.S. Comunque, dopo certi miei toni forse un po’ accesi, ti dedico, come gesto di pace, “Canzone di notte” di Guccini che sta suonando in questo momento nelle casse del mio computer. Buona notte.
Inviato il: 2/9/2007 0:01
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Re: Il rifiuto della comunità.
#144
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Citazione:
P.S. Comunque, dopo certi miei toni forse un po’ accesi, ti dedico, come gesto di pace, “Canzone di notte” di Guccini che sta suonando in questo momento nelle casse del mio computer. Buona notte.


Ringrazio vivamente! Ottima canzone: "Gli anarchici li han sempre bastonati/e il libertario è sempre controllato/dal Clero o dallo Stato./Non scampa, tra chi veste da parata/chi veste una risata".

Dunque, Prealbe sostiene che il "malessere contemporaneo" può ben essere rappresentato da
Citazione:
Il tasso di disagio psichico e di suicidi, come elementi concreti possono andare bene? E’ sufficiente?


Sì, può quasi andare bene.
Quasi. Perché il "disagio psichico" rimane un'entità altrettanto astratta del "malessere contemporaneo". Non penso ti riferisca alla schizofrenia o al disturbo bipolare, perché si tratta di due forme di disagio psichico che sono sempre esistite e che mostrano una prevalenza compresa tra l'1% e il 2% della popolazione, in qualunque cultura, società e luogo del pianeta.
La sensazione di "spaesamento", di "non appartenenza a nulla", di "difficoltà esistenziale" (tutti termini alquanto astratti, ma credo comprensibili) è, in effetti molto diffusa. E' un prodotto della scomparsa della comunità? Può essere. E' risolvibile con il ripristino della comunità? Anche questo può essere. Com'era la situazione quando la comunità esisteva? Questo non lo sappiamo. Tuttavia, mi riesce difficile credere che, a differenza degli individui (Citazione:
si levi dalla testa chi eventualmente ce l'avesse quest'idea che ciò che l'individuo produce spontaneamente sia, in quanto tale, sempre oro puro.
) le comunità abbiano sempre spontaneamente prodotto oro puro.
I roghi delle streghe non nascono dal nulla, né possono venire spiegati semplicemente contrapponendo un potere esterno malvagio ad una comunità buona. Le rivolte contadine dal 1000 al 1600 ci dicono di una struttura sociale intrisa di violenza in un grado oggi difficilmente immaginabile. L'atteggiamento dei membri di una comunità nei confronti del "forestiero", dello "straniero", del "vicino", o - all'interno - delle donne, dei bambini, degli "eretici", degli "atei", non era certamente tenero o amorevole.
Vedi, ad esempio: La mesta fine dell'ultima strega di Valtellina.
Non fu tenero nemmeno l'atteggiamneto verso chi esprimeva, in modi diversi, il proprio grado di "disagio psichico" le Narrenschiff est le seul qui ait eu une existence réelle, car ils ont existé, ces bateaux qui d'une ville à l'autre menaient leur cargaison insensée. Les fous alors avaient une existence facilement errante. Les villes les chassaient volontiers de leur enceinte; on les laissait courir dans des campagnes éloignées, quand on ne les confiait pas à un groupe de marchands et de pèlerins. La coutume était surtout fréquente en Allemagne; à Nuremberg, pendant la première moitié du XVE siècle, on avait enregistré la présence de 62 fous; 31 ont été chassés; pour les cinquante années qui suivirent, on a trace encore de 21 départs obligés; encore ne s'agit-il que des fous arrêtés par les autorités municipales 1. Il arrivait souvent qu'on les confiât à des bateliers: à Francfort, en 1399, on charge des mariniers de débarrasser la ville d'un fou qui s'y promenait nu; dans les premières années du XVE siècle, un fou criminel est renvoyé de la même manière à Mayence.
Quindi, assodato che gli individui non producono necessariamente oro, io sostengo che nemmeno le comunità l'hanno mai fatto. E che tra mali diversi occorra comunque scegliere.

Il discorso del suicidio è più complesso. E' vero che il tasso di suicidi nelle società moderne è pari a circa dieci volte il tasso di suicidi nelle società di Ancièn Régime. Ma è anche vero che esistono differenze enormi nei tassi di suicidio in diverse società moderne (An international survey using representative community samples of adults (aged 18–64 years) reported lifetime prevalence of self reported deliberate self harm of 3.82% in Canada, 5.93% in Puerto Rico, 4.95% in France, 3.44% in West Germany, 0.72% in Lebanon, 0.75% in Taiwan, 3.2% in Korea, and 4.43% in New Zealand. [6] .
Inoltre, la prevalenza del suicidio è attorno allo 0.175% (o 17.5 persone che si suicidano ogni 100000), in Europa. E' un fenomeno tragico ma, se facciamo riferimento agli anni nei quali tu collochi l'esistenza delle comunità, vediamo che le epidemie di peste spazzarono via fino al 50% (cioè 50000 persone ogni 100000) della popolazione europea. Che la mortalità perinatale (entro il primo mese di vita) era del 50% (e tale rimase fino a circa il 1880). Che la speranza media di vita era attorno ai 35 anni. (Giusto per capirci, la speranza di vita attuale nelle società industrializzate si aggira attorno ai 76 anni per gli uomini e agli 82 per le donne). Che gli omicidi si aggiravano attorno ai 20/100000 abitanti, mentre oggi, nelle tanto vituperate società moderne europee, individualiste e prive di legami, stiamo attorno al 1.4/100000 (http://www.cicc.umontreal.ca/publications/cahiers/CRC_1998_N24.pdf).

Poi vado avanti col resto.

Buona vita

Guglielmo
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Inviato il: 4/9/2007 11:25
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Re: Il rifiuto della comunità.
#145
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Dunque "arturo", collezionando figurine e saccheggiando impunemente gli scritti altrui, mette assieme un discorso interessante.

“… il tratto distintivo di una comunità è, a quanto pare, l'esistenza tra i suoi membri di elementi significativi in comune e, sulla base di questi, di vincoli reciproci. Nonché, questo lo aggiungo io, di interferenza continua tra di essi , trattandosi di un contesto di interazione.[…]

E, fin qui, nulla da dire. Ma non ritengo che sia una prerogativa della comunità. Anche l'uso delle automobili, nelle società contemporanee, rappresenta un "elemento significativo in comune" tra i cittadini. Per giunta, è un elemento che costruisce "vincoli reciproci" (di mercato, di legislazione, ecc.). E non mi dirai che non esiste, tra questo e altri elementi della "modernità" (ad esempio, i poliziotti), una "interferenza continua".

Questi non sono tratti distintivi di una comunità. Sono tratti distintivi di qualunque forma di collettività organizzata, in qualunque modo, in qualunque punto del pianeta. Come tali, appartengono anche al presente, non solo al passato. Si formano, peraltro, in modo del tutto spontaneo, e basta leggere qualcosa di psicologia sociale dei gruppi per rendersene conto.

Quand'è che una "folla" diventa una "comunità"? In cosa si sostanzia il substrato comune di cui sopra?

“… Esso sarà, naturalmente, di ordine sia pratico sia, soprattutto - dato che il contesto è umano - emotivo (1), e tale da consentire ai propri membri lo specchiamento reciproco, di riconoscere cioè sé stessi negli altri; in caso contrario l'individuo si troverebbe circondato da entità che, facendo riferimento a sistemi di significato ignoti, sarebbero per lui semplicemente incomprensibili e con cui un'interazione articolata sarebbe quindi impossibile.

Ora, questa proposizione contiene una contraddizione, a mio modo di vedere. Se l'ordine è "soprattutto emotivo", il rispecchiamento reciproco è già presente. Le emozioni sono sisteni complessi di espressione e dir egolazione reciproca, filogeneticamente determinati e invarianti ripetto alla cultura. Le cinque emozioni di base (gioia, rabbia paura, sorpresa e tristezza) sono presenti in qualunque essere umano, non sono apprese (come dimostrato dal fatto che vengono esibite anche da bambini nati ciechi e sordi) e servono egregiamente a segnalare lo stato emotivo dell'interlocutore.
Appartenendo tutti alla stessa specie, che lo vogliamo o no, facciamo riferimento solo a significati noti, e comuni.
Già m'immagino la spietata critica che mi colpirà: "...ma io facevo riferimento a sistemi di significato, non a sistemi biologici o psicologici". Io sostengo che sarebbe bene fare un passo indietro, prendere quel che di effettivamente comune esiste tra gli esseri umani e utilizzarlo per costruire, invece di partire da connotazioni astratte altamente formalizzate e costringere gli esseri umani ad entrarci dentro.
Ti dirò di più. Lo "specchiamento reciproco" non mi importa affatto. Continuare a vedere negli altri null'altro che parti di se stesso alla lunga annoia mortalmente. Non è solo il nostro apparato percettivo a nutrirsi di differenze. Anche la nostra mente, privata di differenze, scompare.

“… Viceversa, quanto più si pone l'accento sulla distinzione (3) tra sé stessi e la propria comunità, cioè gli altri suoi membri, tanto più si diluisce l'intensità - e quindi la profondità - del rapporto, con tutte le conseguenze del caso. Chi sostiene la prevalenza della "libertà del singolo" rispetto alla comunità e definisce quest'ultima come "feticcio", sta solo dichiarando la propria profonda incapacità di pensare un rapporto di identificazione forte con l'altro da sé. ...

E qui sono obbligato a ricorrere al dizionario della lingua italiana...

identificazione[i-den-ti-fi-ca-zió-ne] s.f.
1 Coincidenza di due o più elementi: i. della storia con il progresso
2 Riconoscimento dell'identità di qlcu. o di qlco.: i. di una sostanza; i. di un cadavere
3 Processo per cui una persona si identifica in un'altra
• a. 1855

identificare[i-den-ti-fi-cà-re] v. (identìfico, identìfichi ecc.)
• v.tr. [sogg-v-arg]
1 Considerare due o più cose come identiche: i. due teorie
2 Accertare, scoprire il motivo o la causa di un fatto: i. le cause dell'incidente; individuare qlcu. come responsabile di un fatto: i. il colpevole; stabilire l'identità di una persona; freq. al passivo: la vittima non è stata identificata
• identificarsi
• v.rifl. [sogg-v] Detto di due o più elementi, essere simili o identici l'uno all'altro SIN coincidere
• [sogg-v-prep.arg] Di persona, sentirsi tutt'uno con un altro SIN immedesimarsi: i. con il personaggio rappresentato
• sec. XVII

identico[i-dèn-ti-co] agg. (pl.m. -ci, f. -che)
• Perfettamente uguale; estens. con valore raff., molto simile o somigliante: in sostanza è la stessa i. cosa
• avv. identicamente, nello stesso modo
• sec. XVII

Se le parole non sono un'opinione, ne deduco che, attuando un processo di "identificazione forte" con l'altro esiste almeno il rischio (che per me è una certezza, ma voglio essere disponibile) di diventare identico all'altro, perfettamente uguale.
La cosa non è né possibile, né desiderabile, e penso che nemmeno il più convinto comunitarista sia disposto a rinunciare alla propria individualità.
Ma allora, questo rifiuto di identificazione forte con l'altro da sé, non - per caso - più una benedizione che una maledizione?

Buona vita

Guglielmo
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Re: Il rifiuto della comunità.
#146
Mi sento vacillare
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Inoltre, spesso si èp citato il "pensiero comune". Non so di preciso cosa sia, ma conosco abbastanza bene il "pensiero di gruppo". Ecco alcune conseguenze (a mio parere tragiche) di questo modo di pensare:

BUSH, BLAIR E LA GUERRA I disastri della buona fede

What is Groupthink?

Io ragiono solo in gruppo

SPIONAGGIO. Come la politica usa l`intelligence

BUONI SCONSIGLI

Ora, dato che una "comunità" è piùà ampia di un "gruppo", mi chiedo:

a) come è possibile impedire effetti di questo genere in una comunità?
b) se non si riesce ad impedirli, i danni saranno maggiori o minori di quelli del pensiero di gruppo?
c) non è meglio un errore individuale, a questo punto?

Buona vita

Guglielmo
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Re: Il rifiuto della comunità.
#147
Ho qualche dubbio
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ctz

"Dunque "arturo", collezionando figurine e saccheggiando impunemente gli scritti altrui, mette assieme un discorso interessante"
???

solo a titolo di cronaca : il brano da me riportato è "in rosso" e tra virgolette....

chissà perchè ?!

Comunque mi fa piacere che al 145esimo post tu abbia finalmente risposto al post con il quale Prealbe aveva aperto il 3D aggiornando così la discussione e riconducendola correttamente nei termini da cui cui era partita


.
Inviato il: 4/9/2007 21:36
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      franco8
Re: Il rifiuto della comunità.
#148
Dubito ormai di tutto
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arturoCitazione:
ctz

"Dunque "arturo", collezionando figurine e saccheggiando impunemente gli scritti altrui, mette assieme un discorso interessante"
???

solo a titolo di cronaca : il brano da me riportato è "in rosso" e tra virgolette....

chissà perchè ?!

---------------------
(Perché?
... Forse come la matita rossa e blu per segnare gli errori come a scuola? )

Seriamente, provo io a chiarire l'equivoco, arturo:
il punto non è far passare per "tuoi" dei brani che non sono tuoi (o non so che altro hai capito)...
Il punto è che non si porta avanti una discussione ribadendo e ripetendo con le stesse parole, senza cambiare o aggiungere un qualcosina, come, ad esempio, dire o spiegare perché secondo te quelle parole sarebbero state ignorate, fraintese o altro...

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arturoCitazione:
Comunque mi fa piacere che al 145esimo post tu abbia finalmente risposto al 1° post con il quale Prealbe aveva aperto il 3D aggiornando così la discussione e riconducendola correttamente nei termini da cui cui era partita

"correttamente"?!
Non capisco: Stai scherzando o dici sul serio?
Cosa intendi per "ricondurre correttamente nei termini..."?!
Perché, secondo te, mancherebbe una risposta di nessuno al 1° post?!
Quali sarebbero i "termini corretti" della discussione, e perchè?!
Come abbiamo detto (non solo io) la discussione sembra una "sfida", una lotta.. Son questi per te i "termini corretti" ?!

P.S. Stavo ancora aspettando una parvenza di scuse o spiegazioni da parte tua... (campa cavallo!..) Ma siccome comprendo che non tutti possono (... non dico essere "identici" a me... ma anche solo... ) condividere certe idee sulla natura del dialogo... posso tollerare benissimo che il significato di certe tue parole.. non sia pienamente comune e condiviso [/] fra te e me, in quanto è del tutto [u]ideale e irreale pensare di trovarmi a dialogare con entità che facciano "riferimento a sistemi di significato a me completamente e perfettamente noti" ...

P.P.S. Facendo riferimento al mio "sistema di significati", La mia opinione è che il discorso che hai ri-ri-presentato, viene ad essere non tanto una argomentazione a supporto di una tesi, ma piuttosto contiene in se, se "correttamente" ( ) letto, una "dimostrazione per assurdo" che finisce per dimostrare la falsità di delle tesi di partenza (o almeno di alcune di esse)...
Per esempio, si legge:
... Più o meno come se qualcuno di noi si trovasse proiettato di colpo in un villaggio indigeno del Kalimantan meridionale: che si racconterebbe con i locali? O qualcuno davvero pensa che la comune "appartenenza alla razza umana" sarebbe di per sé sufficiente per una relazione completa e appagante?
Perché no? Sarebbe il caso di spiegare che cosa si vorrebbe dire...?
Fino a prova contraria la comune "appartendenza alla specie umana" è la condizione necessaria e sufficiente (oltre al tempo ragionevole a disposizione) per una relazione "completa"... (completa per quanto possibile).
Mi pare che l'esperienza del genere è stata vissuta da antropologi... e mi pare che tali esperienze non confermino quello che dite voi, ma confermino proprio il contrario...

Quanto alla "asocialità" .. anche qui è solo in parte vero quel che è stato scritto (in realtà si sbaglia anche qui nel generalizzare - una cosa è *' sostenere la prevalenza della "libertà del singolo" '*, altra cosa è *' definire la comuità come "feticcio" '*). Ma d'altra parte, non vedo come si possa attribuire socievolezza (o pensare che ciò sia connesso con l'essenza della socialità) ad un individuo capace di rapportarsi all'altro solo nella misura in cui nell'altro vede sè stesso.

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nessunoCitazione:

Quindi, assodato che gli individui non producono necessariamente oro, io sostengo che nemmeno le comunità l'hanno mai fatto.

E io che avevo detto?!...
Citazione:

E che tra mali diversi occorra comunque scegliere.

... oppure che ce li dobbiamo tenere entrambi (No?)
...
Effettivamente... le risposte alle tue domande sono chiaramente contenute nelle pagine che hai linkato:

...Perché a ben vedere il rimedio è uno solo e in fondo abbastanza ovvio: esporre se stessi e il proprio gruppo a punti di vista diversi, persino di persone non competenti, ma che, proprio per questo, possono offrire un punto di vista molto differente sia nell'analisi che nelle scelte da fare...

... che a me sembrano evidentemente di buon senso...
(E, arturo, non potrebbero essere questi i "termini corretti" della discussione?)
Non capisco come le interpretano "maestro e discepoli" della teoria de "il rifiuto di ..."
_________________
.... ....io non mi definisco affatto volentieri ateo, non più di quanto io sia a-MickeyMouse.
..
(detto, fatto)
Inviato il: 5/9/2007 17:26
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  •  arturo
      arturo
Re: Il rifiuto della comunità.
#149
Ho qualche dubbio
Iscritto il: 1/3/2007
Da
Messaggi: 265
Offline
Carissimo Francotto,

purtroppo non posso risponderti perché non ho capito un’accidente di quello che hai scritto (in generale) né di quali bestialità mi sarei macchiato (in particolare)
Si vede che – come hai ben sottolineato – siamo assai diversi…: io, sono un fesso e tu sei un intelligente.
Ciò non toglie che hai lo stesso tutta la mia… empatia !

.
Inviato il: 5/9/2007 19:50
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  •  nessuno
      nessuno
Re: Il rifiuto della comunità.
#150
Mi sento vacillare
Iscritto il: 30/7/2005
Da Albino (BG) - Bassa Valle Seriana
Messaggi: 501
Offline
Per Franco8

Citazione:
Effettivamente... le risposte alle tue domande sono chiaramente contenute nelle pagine che hai linkato:

...Perché a ben vedere il rimedio è uno solo e in fondo abbastanza ovvio: esporre se stessi e il proprio gruppo a punti di vista diversi, persino di persone non competenti, ma che, proprio per questo, possono offrire un punto di vista molto differente sia nell'analisi che nelle scelte da fare...

... che a me sembrano evidentemente di buon senso...


Anche a me sembra buon senso. Solo che, per "esporre se stessi e il proprio gruppo a punti di vista diversi", occorre che tali punti di vista vengano riconosciuti in anticipo come tali. Come possibili. E, addirittura, come desiderabili.

Ma, stando a quel poco che ho letto, le comunità cui si riferisce Prealbe erano comunità piccole, omogenee, fortemente coese al loro interno e fortemente determinate a non lasciarsi "contaminare" da elementi esterni. Tutte caratteristiche che impediscono la messa in atto di misure come quelle proposte nell'articolo che hai citato.

Di fatto - mi sembra - misure di questo genere sono attuabili se, e solo se, si riconosce all'opinione individuale un valore superiore a quello dell'opinione collettiva (o pensiero comune, o pensiero di gruppo). Occorre, cioè, che il gruppo si comporti come "gruppo di lavoro", come società, come organismo sociale composto da singoli, i quali hanno e mantengono diritti (che sono singolari, non collettivi).

Circa l'ipotesi di "tenerceli tutti e due", probabilmente è proprio quel che accade. Con una continua oscillazione, a seconda dei momenti storici o degli avvenimenti nella vita personale, tra un più di "individualismo" ed un più di "comunitarismo". Io so che gli esseri umani hanno bisogno gli uni degli altri, per vivere decentemente. Ma so anche che un'altra delle condizioni per vivere decentemente è che ogni singolo essere umano possa decidere in proprio della sua vita. Altrimenti ci ritroviamo con cose di questo genere:

WASHINGTON - Chi indossa jeans a vita bassa e mette in mostra la mutanda, deturpa il decoro della città, al pari di lavavetri o graffitari. E quindi rischia una multa salata o la galera. E' l'offensiva lanciata da molte città Usa, con in testa Atlanta e Dallas, che come nella New York di Rudolph Giuliani, hanno deciso la tolleranza zero. Ma gli attivisti dei diritti civili insorgono: "E' anticostituzionale".

Il "decoro della città" e il "pensiero comune", possono essere paragonati l'uno all'altro?

Buona vita

Guglielmo
_________________
"Quieremos organizar lo entusiasmo, no la obediencia" - Buenaventura Durruti
Inviato il: 6/9/2007 8:14
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