L'incredibile AIDS





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L’incredibile
AIDS











Quello che i media non dicono

sulla "peste del nuovo millennio"




di Gian Paolo Vallati























































1.
Introduzione   2. Perchè il virus  3. Esiste davvero
il retrovirus Hiv?  4. Quanto sono affidabili i test di sieropositività?  
5. Assenza di correlazione tra sieropositività e malattia   
6. Cos’è davvero l’AIDS    7. L’infettività e la trasmissione
sessuale    8. Previsioni catastrofiche e statistiche fasulle  
9. Catastrofe africana?  10. Terapie che uccidono  11. Il
bavaglio all’informazione  12. Il grande affare della cattiva
scienza  Bibliografia



1.
INTRODUZIONE



Questa è la storia
vera ed incredibile di una epidemia inventata. Questa è la storia di
un colossale affare in cui multinazionali, ricercatori, associazioni
e istituti sanitari senza scrupoli hanno utilizzato il terrorismo sanitario
al servizio del loro enorme business. E la storia di come, purtroppo,
molti esseri umani inconsapevoli siano finiti nella macina, uccisi dalle
stesse "terapie" che dovevano curarli. "Tutti sono pronti a credere
che la CIA menta, che il governo menta, che l'FBI menta, che la Casa
Bianca menta. Ma che menta l'Istituto
di Sanità no, non è possibile, la Sanità è sacra, tutto ciò che esce
dagli Istituti Nazionali di Sanità è parola di Dio. Niente fa differenza,
nemmeno la storia di come Gallo scoprì il virus, nemmeno il fatto che
sia uno scienziato screditato e condannato per truffa. La strategia
dell'establishment è sempre la stessa: ignorare. Meglio non rispondere,
vuoi vedere che ci si accorge che c'è qualcosa di strano?" Harvey Bialy,
microbiologo. 1


2.
PERCHÉ IL VIRUS


Le malattie infettive
costituiscono oggi soltanto l'1% di tutte le cause di morte nel mondo
occidentale e ormai le grandi epidemie sono per lo più scomparse. Il
merito di questa situazione, che spesso viene attribuito alla medicina,
è in realtà dovuto al miglioramento delle condizioni igieniche e alimentari.
Ci sono numerosi studi a livello statistico ed epidemiologico che dimostrano
come molte malattie (tubercolosi, difterite, polmonite, ecc.) cominciarono
a declinare ben prima dell'introduzione di cure efficaci. 2




È cosa ben nota,
anche ai non addetti ai lavori, che gli esseri umani e gli animali,
sani o malati che siano, convivono da sempre con migliaia di microbi,
virus e batteri, in gran parte assolutamente innocui. Alcuni sono addirittura
utili, come l'escherichia coli, che colonizza l'intestino e aiuta la
digestione. Perfino microbi patogeni provocano malattie gravi solo in
individui con il sistema immunitario indebolito. Eppure gli scienziati
sono sempre ossessivamente alla ricerca di nuovi virus e batteri, nella
speranza di attribuire loro la causa di malattie che ritengono altrimenti
inspiegabili. Le conseguenze di questa unica direzione di ricerca spesso
sono rovinose perchè ritardano la comprensione della vera causa e determinano
la morte di molte persone. In passato lo scorbuto, la pellagra e il
beriberi (solo per citare esempi eclatanti) sono state per lungo tempo
attribuite a batteri, benché già allora alcuni ricercatori avessero
dimostrato che erano dovute a carenze alimentari. Robert William,
scienziato a cui si deve la scoperta della vitamina B1, così ha commentato
questo atteggiamento dei cacciatori di microbi: "...la batteriologia
era arrivata ad essere la pietra angolare dell'istruzione medica. A
tutti i giovani medici era stata talmente istillata l'idea che le malattie
erano causate da un'infezione, che ben presto venne accettato come assiomatico
il concetto che non poteva esserci altra causa".3


Ma nonostante tutto
questo, la memoria di passate epidemie continua a suscitare angoscia
e terrore. Poiché il virus è sempre un ottimo mezzo per creare panico,
ci sono motivi molto poco nobili per cui ad ogni ipotetica nuova patologia
si attribuisce sempre più spesso una genesi virale. Attraverso la paura
infatti si possono convogliare immense somme di denaro e indottrinare
la popolazione verso le terapie e i comportamenti voluti. Così, allo
stesso modo, comincia l'incredibile storia dell'Aids.


3.
ESISTE DAVVERO IL RETROVIRUS HIV?


Non esiste un documento
scientifico ufficiale che provi che il cosiddetto HIV, ammesso che esista,
provochi l'Aids. A dispetto di ciò che viene costantemente propagandato,
il virus della immunodeficienza umana HIV non è stato mai isolato e
fotografato. Le recenti scoperte derivate dal Progetto Genoma Umano
hanno peraltro messo in grave crisi il concetto stesso di retrovirus.


COME NASCE IL PROBLEMA
HIV



Nell'aprile del
1984 il dottor Robert Gallo annunciò in una conferenza alla stampa internazionale
di aver scoperto un nuovo retrovirus che aveva chiamato HTLV-III (oggi
conosciuto come HIV), e questo era "la probabile causa dell'AIDS". Lo
stesso giorno Gallo presentò il brevetto per un test di anticorpi, ora
generalmente riportato come "il test dell'AIDS". L'annuncio prese di
sorpresa persino gli scienziati presenti tra il pubblico. Gallo aveva
scavalcato una parte essenziale del processo scientifico: non aveva
pubblicato i risultati delle sue ricerche in nessuna pubblicazione medica
o scientifica, né li aveva sottoposti al normale processo di revisione
tra colleghi prima di essere annunciati al pubblico. Quando alla fine
la "prova di Gallo" fu pubblicata settimane più tardi, vennero fuori
numerosi problemi. Le procedure di laboratorio che Gallo e i suoi collaboratori
utilizzavano per provare l'isolamento vennero osservate soltanto nel
36% dei suoi pazienti di Aids, e soltanto 88% era positivo al test "degli
anticorpi HIV". Inoltre, per assicurare che soltanto i pazienti in AIDS
e non l'intero gruppo di controllo risultasse positivo al test degli
anticorpi, egli aveva diluito il sangue 500 volte. A diluizioni minori
troppi soggetti sani del gruppo di controllo risultavano positivi al
test. Questi fatti dovrebbero essere sufficienti a gettare seri dubbi
sulle affermazioni di Gallo che egli avrebbe scoperto un nuovo retrovirus
come "probabile causa dell'AIDS". Grazie a questa "scoperta", Gallo
oggi percepisce l'1% dei proventi mondiali derivati dai test HIV. Tutta la carriera
di Gallo è costellata di episodi che di scientifico hanno molto poco.
Un eccellente elenco di quanto corrotta, ingannevole (e probabilmente
perfino criminale) è stata la sua ricerca, può essere trovato nel libro
"Science Fiction", di John Crewdson, un giornalista scientifico del
Chicago Tribune. In realtà, tutto quello che aveva scoperto Gallo era
una attività enzimatica che lui attribuiva al presunto retrovirus, e
le fotografie che mostrò erano di particelle simil-virali senza nessuna
prova che fossero virus.4


A tutt'oggi il vero
virus non ancora stato isolato, e le foto che vengono spesso mostrate
sulle copertine dei giornali sono sempre e soltanto realizzazioni grafiche
di fantasia. Eppure, grazie a quella famosa conferenza stampa, da quel
momento tutto il mondo ha cominciato a credere che l'Aids fosse dovuto
ad un virus. Così è nato il problema HIV e così dal 1984 ad oggi sono
stati pubblicati più di 10.000 studi sull'HIV, ma nessuno di questi
ha potuto dimostrare in maniera plausibile o provare in modo concreto
che l'HIV causi l'AIDS. A tutt'oggi non esiste un documento scientifico
ufficiale che fornisca una prova definitiva.


KARY MULLIS


Il premio Nobel
Kary Mullis, inventore della PCR (Polymerase Chain Reaction), ha cercato
invano per anni questo fondamentale documento. Di conseguenza ad ogni
occasione, congresso scientifico, conferenza, seminario o incontro ha
interpellato svariati virologi ed epidemiologi su dove trovare il riferimento
bibliografico che spiegasse come l'HIV provochi l'AIDS. Ma nessuno dei
colleghi è mai stato in grado di precisarlo. E neanche Montagnier e
Gallo (considerati i massimi esperti mondiali di Aids) sono stati in
grado di fornirglielo. Perché non esiste.5


LA "PROVA" FORNITA
DAL NIAID


Per mettere una
toppa a questa grave carenza, nel 1994 l'Ufficio di Comunicazione del
NIAID/NIH, National Institute of Allergy and Infectious Diseases /National
Institute of Health, realizzò un documento intitolato : " La Prova che
l'HIV è causa dell'Aids". È il documento più completo che si conosca
che tenta di rispondere all'affermazione che l'HIV non è la causa dell'Aids.
Ma questo elaborato, che viene spesso citato come prova definitiva,
di fatto non è documento scientifico, come hanno dimostrato in una puntuale
confutazione alcuni ricercatori internazionali.6 Oltre ad
essere un documento anonimo, è infatti seriamente screditato dal mancato
rispetto degli standard scientifici e fallisce nel fornire una prova
credibile a sostegno del suo assunto fondamentale. Si tratta quindi
soltanto dell'ennesimo strumento di propaganda.


UNO SCIENZIATO CONTRO:
PETER DUESBERG



Peter Duesberg,
membro della prestigiosa National Academy of Science, è docente di biologia
molecolare e cellulare presso la University of California a Berkeley,
oltre ad essere un pioniere nella ricerca dei retrovirus e il primo
scienziato ad aver isolato un gene del cancro. È uno dei pionieri più
prestigiosi tra i dissidenti della ricerca. Gli ingenti finanziamenti
di cui disponeva come ricercatore di fama mondiale gli sono stati drasticamente
ridotti quando ha cominciato a mettere in dubbio il dogma Hiv- Aids
e la teoria della trasmissione sessuale del morbo. Il primo marzo 1987
sulla prestigiosa rivista Cancer Research comparve un suo articolo in
cui affermava che non vi erano prove convincenti del fatto che un retrovirus
come l'HIV sia in grado di causare l'AIDS. Da allora Peter Duesberg
è uno degli uomini più discussi d'America. Le sue ipotesi e le sue affermazioni
sono state di volta in volta definite 'irresponsabili', 'pericolose',
'immorali', 'dannose' e perfino 'criminali'. Per alcuni Duesberg è una
'minaccia pubblica', per altri invece un 'novello Galileo' in lotta
contro l'ottusità dominante. Secondo il direttore dell'autorevole periodico
medico The Lancet, Duesberg è "probabilmente lo scienziato vivente più
diffamato in assoluto", per altri addirittura "il Nelson Mandela dell'AIDS,
colui che guida la lotta contro l'Apartheid dell'HIV". Nonostante le
sue previsioni trovino sempre più conferme a livello epidemiologico,
oggi è stato emarginato da una comunità scientifica che ha tutto l'interesse
a perseguire una strada ricchissima di finanziamenti. Le sue tesi non
sono ancora state confutate, mentre alle sue domande ed obiezioni si
è risposto che: "...dovrebbe essergli impedito di parlare in televisione.
Sì, una linea auspicabile sarebbe quella di impedire i confronti televisivi
con Duesberg" (Nature, 1993)


INNOCUITA' DEI RETROVIRUS


Dal 1970, anno in
cui si ipotizzò l'esistenza dei retrovirus, ne sono stati individuati
ed isolati circa 200, tutti assolutamente innocui. Tutti meno quello
HIV, che oltre ad essere assolutamente terribile è anche l'unico mai
realmente isolato.


PROGETTO GENOMA
E RETROVIRUS



Ma sin dal 2001,
anno in cui sono arrivati i risultati del Progetto per la mappatura
del Genoma Umano è stato chiaro che stava per essere irrimediabilmente
buttato a mare il concetto stesso di "retrovirus". Per comprendere a
fondo la questione è necessaria una breve digressione di storia della
biologia. La visone accettata sin dagli anni '50 era che il DNA trascrive
le informazioni al RNA, (e mai il processo inverso) attraverso una relazione
gerarchica rappresentata dal flusso unidirezionale DNA -> RNA ->
proteine. Il RNA (acido ribonucleico), era quindi considerato l'umile
messaggero del DNA (acido desossiribonucleico), che governava invece
la cellula. Questo era il dato fondante del cosiddetto "Dogma Centrale
della Genetica Molecolare", su cui si è basata tutta la biologia dagli
anni cinquanta in poi. Il concetto di "retrovirus" prese forma quando
nel 1970 fu scoperto, in estratti di certe cellule, un enzima (denominato
poi "transcriptasi inversa") capace di convertire la molecola di RNA
in DNA. I ricercatori, insomma, verificarono che alcuni RNA trascrivevano
se stessi "all'inverso" al DNA. Ma (in ossequio
al Dogma Centrale) si dissero che qualsiasi cosa causa la trascrizione
dal RNA al DNA è da considerarsi eccezionale e deve essere una sorta
di contaminazione virale (da cui il termine "retrovirus"). Dunque, negli
anni '70, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo la attività transcriptasica
inversa venisse rivelata si riteneva che i retrovirus fossero presenti.
Questo si dimostrò un grave errore, poiché era già noto agli inizi degli
anni '80 che la medesima attività enzimatica era presente in tutta la
materia vivente provando così che la transcriptasi inversa non aveva
niente a che fare con i retrovirus per sé. 7


La questione è stata
ben sintetizzata nel 1998 dal virologo Stephen Lanka: "...studiando
la biologia evolutiva trovai che ognuno dei nostri genomi, e quelli
delle maggiori piante e animali, è il prodotto della cosiddetta trascrizione
inversa: RNA che si trascrive nel DNA. [...] L'intero gruppo di virus
cui l'HIV apparterrebbe, i retrovirus [...] nei fatti non esiste per
nulla". 8


Ciò nonostante molti
scienziati non tennero conto di questa evidenza e continuarono a lavorare
alacremente sull'ipotesi oramai falsificata. Ma gli ultimi sviluppi
del Progetto Genoma Umano dimostrano ormai inequivocabilmente che il
passaggio da RNA a DNA non è affatto una aberrazione, piuttosto è ciò
che potrebbe spiegare la complessità umana. Il DNA sarebbe allora come
una sorta di libreria dove il RNA va a prendere le informazioni che
gli servono per governare la cellula. Il Dogma Centrale è soltanto una
costruzione teorica che non ha retto alla prova dei fatti. Queste recenti
scoperte segnano la fine del paradigma HIV/AIDS, e spiegano perché la
scienza ha fallito la cura della malattia a dispetto di almeno venti
anni di sforzi. Perché se l' HIV è un retrovirus, la teoria virale dell'Aids
è priva di fondamento.


4.
QUANTO SONO AFFIDABILI I TEST SULLA SIEROPOSITIVITÀ?


I test dell'Aids
(Elisa e Westernblot) non sono attendibili perché, oltre a non essere
precisi, esistono più di sessanta fattori diversi che possono dare dei
falsi positivi. I test non sono standardizzati, i risultati variano
da laboratorio a laboratorio, le linee guida per la loro interpretazione
variano da paese a paese. Inoltre si può risultare positivi al Westernblot
e negativi all'Elisa, o viceversa. Due sono le analisi fondamentali
per stabilire la sieropositività in una persona: l'Elisa e il Western
Blot. Nell'Elisa una miscela di proteine dell'Hiv reagisce con anticorpi
nel siero prelevato dal paziente, provocando una variazione di colore
nel preparato. Il test Elisa produce fino al 90% di errore in una sola
direzione (i negativi li fa diventare positivi, i positivi rimangono
tali e quali). Nel WB, le proteine dell'Hiv vengono separate su una
striscia di nitrocellulosa. Questo consente una reazione individuale
delle singole proteine, che vengono visualizzate con una serie di bande
di colore più scuro. L'esame WB viene utilizzato di solito a conferma
di un test Elisa positivo, ma risulta altamente impreciso anch'esso.


NON ESISTONO CRITERI
STANDARD


Prima del 1987 una
sola banda Hiv specifica era considerata come prova di un avvenuto contagio,
in seguito si venne a scoprire che il 25% degli individui sani - e non
a rischio - presentano bande Hiv specifiche e quindi fu urgente ridefinire
un WB positivo aggiungendo bande extra e selezionandone di particolari.
Ma anche in tal modo i problemi sono sempre presenti: su 89.547 campioni
di sangue analizzati, prelevati da degenti non a rischio ed in maniera
anonima in 26 ospedali americani, una percentuale del 21,7% dei maschi
e il 7,8% delle femmine risultò positiva al test WB. Quindi la correlazione
tra anticorpi Hiv e Aids, comunemente accettata dagli esperti, sembra
un'invenzione dell'uomo. L'artificiosità di tale relazione è evidente
nel dato di fatto che istituti e nazioni differenti stabiliscono come
test di sieropositività serie di bande WB diverse. Questo comporta che
in Australia un test richiede quattro bande per essere positivo, mentre
negli USA ne sono sufficienti due o tre, che siano o meno le stesse
bande richieste in Australia. In Africa, addirittura, basta una sola
banda. A conti fatti, una persona esaminata ipoteticamente lo stesso
giorno nei tre differenti luoghi, può risultare sieropositiva in un
paese e sieronegativa in altri. Il sistema di valutazione varia addirittura
da laboratorio a laboratorio di uno stesso stato e, nella medesima sede
di analisi, anche da un giorno all'altro si possono riscontrare risultati
differenti! Uno documentario che la Meditel Produzioni ha realizzato
a Londra per la BBC nell'ottobre 1996 mostrò che un campione di sangue
fornito da un volontario fu valutato tre volte positivo e due volte
negativo nello spazio di un mese.


I FALSI POSITIVI


A rendere la tragicommedia
una vera tragedia è la possibilità che ad una o più bande si possa verificare
una falsa reattività. La reazione al test, evidentemente instabile,
è spesso associata ad un aumento aspecifico delle immunoglobuline, il
che si verifica in molte situazioni, come nel corso di malattie autoimmuni,
di infezioni croniche, di malaria, di parassitosi, talvolta anche per
motivi banali come una vaccinazione antinfluenzale. Sono stati contati
circa 60 fattori estranei all'HIV che possono determinare un test positivo.
Secondo gli esperti queste reattività vengono innescate da anticorpi
non Hiv (che tutti noi possediamo) reagenti alle proteine Hiv. In parole
povere, un anticorpo che reagisce ad una determinata proteina non è
necessariamente un anticorpo prodotto dal sistema immunitario come risposta
specifica a quella certa proteina. E quindi le popolazioni povere dell'Africa,
il continente con il maggior numero di casi di sieropositività, esposte
ad una miriade di infezioni e che producono moltitudini di anticorpi,
avranno una falsa reattività ai test molto più alta che in altri paesi.


IN DEFINITIVA: NESSUN
VALORE AI TEST


La positività ai
test ha un valore sostanzialmente nullo perchè: o essa è correlata in
modo comunque incompleto a molte malattie, sia immunodepressive che
non, anche estranee all'AIDS; o essa è però correlata anche ad un ottimo
stato di salute, come dimostrano i milioni di sieropositivi, sanissimi
da molto tempo; o essa, sicuramente, non dimostra la presenza dell'HIV
o di qualsiasi altro virus; o essa, contrariamente a quanto si è voluto
dare a credere, non equivale affatto ad una sentenza di morte: anche
le disparate sindromi patologiche definite AIDS possono regredire quando
l'organismo del paziente non è molto compromesso. Mentre l'utilità dei
test è nulla, il loro danno può essere immenso perchè: o la comunicazione
al paziente del risultato positivo al suo test dell'AIDS provoca quasi
sempre un grave trauma psichico e può sconvolgere l'intera vita familiare,
lavorativa, affettiva e sociale; qualcuno in passati si è anche suicidato.
o non di rado la diagnosi di AIDS basata su questi test spinge i medici
e il paziente ad intraprendere una terapia con AZT o altri "anti-retrovirali",
che sono pesantemente tossici e producono effetti molto pericolosi.


5.
ASSENZA DI CORRELAZIONE TRA SIEROPOSITIVITÀ E MALATTIA


La grandissima parte
dei sieropositivi può vivere una vita assolutamente normale per decine
di anni senza riscontrare alcun sintomo di malattia. Alla fine degli
anni '80 venne creato un clima di terrore sostenendo che i sieropositivi
fossero dei condannati a morte, destinati a morire nel giro di 18 mesi.
Si dava per scontata la corrispondenza tra sieropositività e malattia
conclamata, e che lo sviluppo dell'AIDS per i sieropositivi fosse inevitabile
e solo una questione di tempo. In seguito si è riscontrato che soltanto
una percentuale molto ridotta di sieropositivi sviluppa la malattia,
mentre la gran parte dei cosiddetti "infetti" vive bene e a lungo senza
mai riscontrare problemi. Eppure si continuarono a definire "malati
asintomatici" le persone sieropositive. Da molti anni ricercatori indipendenti
(tra cui il prestigioso Gruppo di Perth, in Australia) sostengono che,
poiché non è mai stata scientificamente provata la correlazione tra
HIV e AIDS e la reale validità dei test, la cosiddetta sieropositività
non significhi assolutamente nulla. HIV:


UNO STRANO TIPO
DI VIRUS


Un grosso problema
della teoria dell'AIDS è che i ricercatori non sono stati mai in grado
di scoprire nelle persone sieropositive una quantità di virus tale da
compromettere la salute. Ed un altro fatto clamoroso è che l'HIV non
è citotossico; questo significa che quando il virus si moltiplica non
distrugge le cellule presenti, come fanno invece altri virus che distruggono
le cellule che infettano. L'eminente virologo Peter Duesberg così commenta
questo fatto: "il virus infiltra o infetta un numero molto basso di
cellule, appena una su 100mila. Per essere nocivo, per uccidere (...)
un microbo deve pur fare qualcosa. Altrimenti è come tentare di conquistare
la Cina uccidendo tre soldati al giorno"9 Secondo Duesberg
l'HIV si comporta come uno dei numerosissimi innocui microbi di transito
sempre presenti nel corpo umano. Ed è esso stesso innocuo. Il fatto
che milioni di persone abbiano contratto l'Hiv alla nascita eppure siano
adulti sani è l'argomento più significativo, secondo Duesberg, contro
l'ipotesi Hiv-Aids, perché dimostra che l'Hiv non può essere un agente
patogeno letale.


VENTI ANNI DI INCUBAZIONE?


Per giustificare
questo comportamento innocuo del HIV si è trovato l'espediente di definirlo
un "lentovirus", cioè un virus che agirebbe sui tempi lunghi. Tutte
le malattie infettive virali, salvo rare eccezioni, hanno una incubazione
breve, di pochi giorni o settimane. Invece l'incubazione del virus dell'AIDS
è stata calcolata inizialmente attorno ai 18 mesi, per aumentare poi
di anno in anno, fino a raggiungere nel 1992, i 10/14 anni. Oggi addirittura
si sostiene che l'incubazione arrivi a più di 20 anni (cioè si può tranquillamente
convivere con l'Hiv per tale periodo senza avere nessun sintomo di malattia).


HIV, IL VIRUS CHE
NON C'È


La letteratura medica
ha registrato finora più di 5000 casi di AIDS sieronegativi (cioè presentano
i sintomi ma non vi è presenza di HIV). Ma una peculiarità delle malattie
infettive virali è che hanno una causa unica (il virus), e ovviamente
non possono verificarsi in sua assenza. Così non c'è varicella senza
il virus della varicella, non c'è morbillo senza il virus del morbillo
e così via. Di conseguenza in teoria non può esistere Aids senza la
presenza del cosiddetto retrovirus HIV. Eppure...


6.
COSA È DAVVERO L'AIDS


L'Aids, più che
una malattia specifica, è una definizione che comprende un alto numero
di malattie già conosciute. Queste malattie non sono affatto associate
sempre ad immunodeficienza, sono definite AIDS solo se associate ad
un test positivo.


L'AIDS È UNA CATEGORIA,
NON UNA MALATTIA


Nessuna delle diverse
malattie che attualmente definiscono l'AIDS è recente e nessuna si manifesta
esclusivamente in persone sieropositive. Di fatto AIDS è il nuovo nome
che i CDC (Centers for Disease Control)10 americani hanno
dato ad un insieme di affezioni comuni più o meno gravi, tra cui micosi,
herpes, diarrea, alcune polmoniti, salmonella, tubercolosi. Se una persona
ha la tubercolosi e risulta positiva al test allora "ha l'AIDS". Se
invece ha la tubercolosi ed il test è negativo, allora ha "soltanto
la tubercolosi". È addirittura possibile che venga definito malato di
Aids, ( sindrome da immunodeficienza acquisita), chi non ha nemmeno
presenza di immunodepressione!


LA MALATTIA SI ADATTA
ALLA DEFINIZIONE


La definizione di
AIDS ha subito varie modificazioni, nel 1986, nel 1987 e nel 1993 e
ad ogni revisione il numero delle condizioni patologiche ritenuto correlato
all'AIDS viene aumentato: attualmente esse sono ben 29, e tutte già
conosciute prima dell'AIDS. Esemplare è il caso dell'ultima revisione:
Il 1° gennaio 1993 i CDC decisero di includere nella definizione di
AIDS non una malattia, ma una condizione. Chi aveva un numero di linfociti
T inferiore a 200 (anche se perfettamente sano) veniva incluso tra i
malati di AIDS. Questo ha fatto sì che il numero di casi di AIDS negli
Stati Uniti raddoppiasse artificiosamente nel giro di una notte. Questa
ricorrente variazione ha portato ad una continua dilatazione del numero
dei soggetti definiti "malati di AIDS": se, ad esempio, negli Stati
Uniti con la definizione del 1986 potevano essere definiti malati di
AIDS mille pazienti, con quella del 1987 sarebbero diventati 1.300 e
con quella del 1993 avrebbero raggiunto il numero di 2.275.11


Di recente è stata
inclusa nell'elenco una nuova patologia tipicamente femminile, il cancro
della cervice. Come ha svelato P. Duesberg: "...la ragione di questa
aggiunta è solo politica: è stata dichiaratamente inserita per aumentare
il numero delle femmine malate di AIDS, creando così l'illusione che
la sindrome si stia diffondendo tra gli eterosessuali".12


L'AIDS NON È UGUALE
IN TUTTO IL MONDO


Anche qui, come
per i test di sieropositività, non esiste un criterio universalmente
riconosciuto per la definizione della sindrome. La regola per stabilire
cosa sia l'AIDS varia da nazione a nazione: la definizione di AIDS negli
Stati Uniti è diversa da quella europea che a sua volta è diversa dalla
definizione africana. La WHO, ( World Health Organization)13 in
Africa utilizza per definire l'AIDS due definizioni nettamente diverse,
nessuna delle quali corrisponde ai criteri utilizzati negli USA o nella
UE. Generalmente in Africa non si richiede il test HIV, ma è sufficiente
che un paziente presenti tre dei principali sintomi clinici (perdita
di peso, febbre e tosse) più un sintomo minore (è sufficiente un prurito
generalizzato) per poterlo dichiarare affetto da AIDS. E questo, come
si vedrà più avanti, spiega la reale consistenza della presunta "catastrofe
africana" .


7.
L'INFETTIVITA' E LA TRASMISSIONE SESSUALE


Il virologo Peter
Duesberg è assolutamente convinto che l'Hiv non sia infettivo. Nel suo
libro " Inventing the Aids virus" (1996), tra l'altro afferma: " Negli
ultimi 14 anni oltre 500.000 pazienti di Aids sono stati curati da un
sistema sanitario che comprende cinque milioni di medici, infermieri
e ricercatori nessuno dei quali è stato vaccinato contro l'HIV. (...)
quattordici anni dopo non c'è neanche un caso nella letteratura scientifica
di un operatore sanitario che abbia presumibilmente contratto l'AIDS
da un malato. Proviamo ad immaginare come sarebbe la situazione se 500.000
malati di colera, epatite, sifilide, influenza o rabbia fossero stati
curati per 14 anni da personale medico e paramedico privo di vaccini
e farmaci adeguati... migliaia avrebbero contratto quelle malattie."
A distanza di quasi dieci anni dall'uscita del libro le cose non sono
affatto cambiate. Questo, secondo Duesberg, significa una sola cosa:
"l'AIDS non è infettivo".


LA TRASMISSIONE
SESSUALE


"Basta un solo rapporto!".
Per anni questo è stato il terribile ammonimento che tutti i mezzi di
comunicazione hanno continuamente diffuso. Ed invece la trasmissione
sessuale, che secondo gli "esperti" sarebbe il veicolo principale della
diffusione del virus, si è dimostrata essere estremamente inefficace,
dipendendo anche da più mille rapporti sessuali a soggetto per una reale
possibilità di contagio. Nel 1997 un gruppo di studiosi statunitensi14
ha pubblicato i risultati di dieci anni di studi sulla trasmissibilità
dell'Hiv tra eterosessuali nel nord della California. Lo studio ha stabilito
che la trasmissione da maschio a femmina è estremamente bassa, approssimativamente
lo 0.0009 per contatto sessuale, e approssimativamente otto volte minore
è la trasmissione da femmina a maschio. Questo significa che una femmina
dovrebbe avere almeno 3330 rapporti sessuali per raggiungere il 95%
di probabilità di infezione.


Quindi, con la frequenza
ipotetica di un rapporto sessuale al giorno, ci vorrebbero 2 anni e
due mesi per avere il 50% di possibilità di infezione, e 9 anni per
raggiungere il 95%. Nel caso inverso, da femmina sieropositiva a maschio,
la trasmissione dell'Hiv richiederebbe almeno 27.000 rapporti sessuali
per arrivare al 95% di probabilità di trasmissione (cioè 74 anni di
rapporti sessuali giornalieri!). Se davvero la diffusione del virus
fosse dovuta al sesso, l'Hiv sarebbe scomparso da tempo. Ed infatti,
nonostante l'allarmismo, l'AIDS è rimasto confinato a gruppi in cui
sono presenti fattori di rischio ben precisi: a) tossicodipendenti:
(circa il 32% dei malati in USA e il 60% in Italia) si tratta di individui
che oltre a subire gli effetti negativi dell'eroina, della cocaina,
dell'alcool, delle anfetamine e di altre sostanze psicotrope (molte
droghe hanno effetto depressivo sul sistema immunitario), si alimentano
in maniera scorretta ed insufficiente e sono colpiti in modo più o meno
continuo da infezioni multiple. In queste condizioni di vita l'immunodepressione
è garantita. b) omosessuali maschi: (circa il 62% in USA e il 48% in
Europa) il problema riguarda sopratutto gli utilizzatori sistematici
di droghe multiple, cocaina, extasy, alcool, poppers e nitriti assunti
per via inalatoria a forti dosi (i nitriti sono sostanze molto reattive,
causano immunodepressione, e vengono utilizzati per il loro effetto
afrodisiaco e rilassante per la muscolatura sfinterica). c) emofiliaci
e politrasfusi (circa l'1% in USA e il 3% in Europa). I carichi di proteine
estranee sono essi stessi immunodepressivi sia in emofiliaci sieropositivi
che sieronegativi.15


8.
PREVISIONI CATASTROFICHE E STATISTICHE FASULLE


"Entro il 1996,
dai 3 ai 5 milioni di statunitensi risulteranno positivi all'HIV e un
milione morirà di AIDS" (Antony Fauci, direttore del NIAID - New York
Times 14.1.86) "Entro il 1990 un eterosessuale su cinque sarà morto
di AIDS" (Oprah Winfrey, The myth of hetherosexual AIDS, 1987) Da anni
ormai l'Aids è in costante decremento ed è rimasta una malattia marginale,
a dispetto di tutte le previsioni catastrofiche diffuse negli anni scorsi.
Come mai allora tutti i mezzi di informazione continuano a diffondere
statistiche sempre più allarmanti? È possibile solo a costo di barare
sui dati reali, con alcuni piccoli ma efficaci trucchi. Il primo è quello
di presentare i dati cumulativi invece che suddividerli correttamente
anno per anno. È evidente che se si sommano i dati di venti anni di
rilevazioni il numero dei malati conclamati e dei sieropositivi sembra
essere sempre in costante aumento. Il secondo è quello di ampliare (arbitrariamente)
di quando in quando il numero delle patologie che vengono correlate
alla sindrome. Così dal 1° gennaio 1993 chi ha un numero di linfociti
T inferiore a 200 (anche se perfettamente sano) viene incluso tra i
malati di AIDS. Questo ha fatto sì che il numero di casi di AIDS negli
Stati Uniti raddoppiasse artificiosamente nel giro di una notte. Il
terzo trucco, il più puerile ma il più utilizzato, è quello di presentare
le "stime degli esperti" al posto dei dati effettivamente riscontrati.
Le stime, oltre ad essere assolutamente opinabili, sono sempre al servizio
del terrorismo mediatico: secondo le stime che venivano presentate dieci
anni fa (con previsioni di aumento esponenziale anno per anno) oggi
la metà della popolazione italiana avrebbe dovuto essere sieropositiva!
La realtà è molto diversa: nel 2004 i sieropositivi in totale sono circa
130.000, che rappresentano meno dello 0,003% della popolazione italiana,
mentre i casi di Aids conclamato totali dal 1982 ad oggi sono stati
complessivamente 53.686.16


LE STATISTICHE AFRICANE




Ma la situazione
più inverosimile riguarda l'Africa ed il Terzo Mondo: da molti anni
vengono diffuse cifre catastrofiche da parte dell'UNAIDS, l'organizzazione
del WHO che si occupa di Aids, che dimostrerebbero una crescita impressionante
dell'epidemia. Alla fine del 2004, nel documento denominato "AIDS Epidemic
Update 2004" si è arrivati alla ragguardevole cifra di "39,4 milioni
di persone che vivono con l'Hiv - ( ma che potrebbero variare da 35,9
milioni a 44,3 milioni - sic) con un numero di morti di pari 3,1 milioni
(ma che potrebbe variare da 2,8 a 3,5 milioni - sic ). Quando si analizza
con attenzione questo documento dell'UNAIDS ci si accorge che si tratta
soltanto di "...stime basate sulle migliori informazioni ottenibili"
(sic). Molte pagine del documento si diffondono su temi come la difesa
delle donne dall'Aids (e perché non degli uomini?) o sulla presunta
diffusione del morbo in Asia, ma nulla di più su come si arrivi a queste
cifre. Null'altro viene detto sul metodo di indagine utilizzato per
stabilire i dati (peraltro così incerti). Eppure si tratta del documento
ufficiale della massima organizzazione mondiale sull'Aids e su di esso
si basa tutta l'informazione che viene diffusa dai media. Nel 1998 la
pluripremiata giornalista inglese Joan Shenton, realizzando vari programmi
tv sul tema, aveva esaminato criticamente questo sistema di calcolo:
"Nei primi anni '90, il Programma Globale sull'AIDS del WHO (che più
tardi venne sostituito dall'UNAIDS) dava impiego fino a 3.000 persone.
Essi fornivano continuamente dati molto gonfiati alla stampa, e i rappresentanti
ufficiali cominciarono a riportare questi casi stimati di Aids negli
incontri pubblici per battere cassa coi finanziamenti, facendo sparire
silenziosamente i dati realmente riportati. Mettemmo alla prova questi
dati in un meeting alla London School of Hygiene and Tropical Medicine
nel 1993, e ci fu una imbarazzata ammissione che quello che loro presentavano
come dato di fatto, altro non era che un lavoro di supposizione" (...)
"In altre parole, gli africani possono tranquillamente andare a dormire
con la consapevolezza che i presunti milioni di conterranei, donne e
bambini ammalati di Hiv-Aids sono semplici "calcoli" fatti da un "programma
al microcomputer" che usa un "modello di database" preparato dallo screditato
e ormai defunto Programma Globale sull'AIDS del WHO. Per fortuna la realtà
sul territorio non conferma nemmeno lontanamente l'immagine dell'epidemia"17.
Infatti il WHO, attraverso il W.E.R. Weekly Epidemilogical Report,
un bollettino settimanale poco pubblicizzato, fino al 2002 diffondeva
anche il numero dei casi effettivamente registrati. Così si può verificare
che nel 1995, a fronte dei 4,5 milioni di sieropositivi stimati, quelli
realmente accertati erano invece 422.735, meno del 10%! Mentre, ad esempio,
i casi di AIDS effettivamente registrati in Africa nei dodici mesi dal
1999 al 2000 sono 81.565.18 Davvero poca cosa se si pensa
che in Africa vivono 800 milioni di persone e ne muoiono più di 10 milioni
all'anno, di cui un milione per malaria. Che abbia ragione il prof.
Lugi De Marchi, psicologo clinico e sociale, quando afferma che queste
stime vengano ottenute "con quel particolare metodo di calcolo chiamato
dati in libertà"?19


Dal 2003 però il
WHO diffonde solo le stime, senza fare più menzione dei casi realmente
accertati. Viene il sospetto che la discrepanza tra casi veri e stimati
sia talmente alta anche oggi che non sia più conveniente pubblicizzare
i dati reali per chi ha fatto della lotta all'Aids il proprio business.


9.
CATASTROFE AFRICANA?


L'ultimo dato sui
casi realmente accertati di AIDS in Africa è stato diffuso dal WHO nel
2002: corrisponde a 1.111.663 casi totali cumulativi (dall'inizio dell'epidemia
ad oggi).20 Ben lontana dalle stime fornite, questa cifra
rappresenta comunque un numero consistente di esseri umani. Ci sarebbe
da preoccuparsi, se non sapessimo come si arriva in realtà ad ottenere
la cifra suddetta.


COME SI DIVENTA
CASI DI AIDS IN AFRICA


Come già riferito,
l'Aids in Africa non è quasi mai diagnosticata con il test dell'HIV
(troppo costosi e non sempre disponibili) ma in base a sintomi clinici.
È sufficiente che un paziente presenti tre principali sintomi clinici
(perdita di peso, febbre e tosse) più un sintomo minore (anche un prurito
generalizzato) per poterlo dichiarare affetto da AIDS. Questo in pratica
significa che gli africani che soffrono di malattie da sempre presenti
in quelle zone ora sono classificati come vittime dell'AIDS. Così in
Africa le statistiche sull'Aids possono essere gonfiate artificiosamente
da una definizione capace di raggruppare sotto il suo largo ombrello
malattie antiche (come febbre, diarrea, tubercolosi o malaria) cambiandone
il nome. Ma le cause di malattia in Africa continuano ad essere la crescente
povertà, la malnutrizione, l'inquinamento dell'acqua, la mancanza di
igiene. Nei paesi del Terzo mondo si continua, purtroppo, a morire per
gli stessi tragici motivi per cui si muore da sempre. Soltanto che ora
la maggior parte di questi decessi sono rubricati come AIDS. Per questi
problemi storici non viene invocato nessun massiccio aiuto internazionale,
preferendo spingere quei programmi "umanitari" che mirano ad assoggettare
quante più persone possibile ai farmaci e ai test delle multinazionali
occidentali.


IL RAPPORTO KRYNEN


Due leader d'un
gigantesco programma francese di volontariato sull'AIDS, i coniugi Krynen,
dopo cinque anni di permanenza nel presunto epicentro dell'epidemia
africana con un'equipe di 150 medici e paramedici europei, hanno smontato
totalmente i dati della finta epidemia: "In Africa, politici, operatori
sanitari e utenti dei servizi hanno tutto l'interesse a gonfiare i dati
della malattia per il semplice fatto che, per chi si occupa di Aids,
sono disponibili enormi fondi internazionali". E continuavano, con un
pizzico di humor nero: "Se in Africa sei un semplice affamato, nessuno
si occupa di te, ma se sei un malato di Aids 750 organizzazioni assistenziali
occidentali e le Nazioni Unite sono pronte a coprirti di cibo e pacchi-dono
(...) Il giorno in cui non ci sarà più l'Aids se ne andrà il benessere"21.


HARVEY BIALY


Il microbiologo
Harvey Bialy ha trascorso otto anni nel continente africano per compiere
ricerche scientifiche. In una intervista intitolata significativamente
"L'epidemia di AIDS in Africa: un mito tragico" sostiene che non vi
è assolutamente nessuna prova convincente che L'Africa si trova nel
mezzo di una nuova epidemia di immunodeficienza infettiva, e che sono
stai gli ingenti fondi internazionali disponibili per la ricerca AIDS/Hiv
ad incentivare medici e politici a riclassificare come Aids malattie
tradizionalmente presenti nel continente22.


ENORMI RISORSE A
DISPOSIZIONE


Per lo studio e
la prevenzione dell'AIDS in Africa sono già stanziate risorse enormi
rispetto a quelle destinate ad altre malattie veramente pericolose,
come la malaria, che nell'Africa sub-sahariana uccide più di un milione
di persone all'anno. Il Governo dell'Uganda, che ha potuto investire
nel 1993 solo 57.000 dollari nella prevenzione e nel trattamento della
malaria, ha ricevuto invece ben 6 milioni di dollari per la lotta contro
l'AIDS. Così la presunta "catastrofe" diventa il grande business del
secolo ed oggi esistono migliaia di organizzazioni non governative che
operano in Africa nel campo dell'Aids: soltanto in Uganda se ne contano
più di 700.


MADRI AFRICANE SIEROPOSITIVE


I progetti più recenti
delle numerose associazioni che prosperano con la lotta all'AIDS in
Africa si stanno ponendo l'obiettivo di sottoporre al test Hiv quante
più persone possibile. Ma, come già abbiamo avuto modo di chiarire,
particolari malattie da sempre presenti nel continente africano possono
causare frequentemente una falsa reazione di positività al test Hiv.
E perfino la condizione di gravidanza è tra le prime cause (anche in
occidente) di falsa positività. A cosa serva allora questo screening
di massa, oltre che ad incrementare a dismisura gli introiti delle multinazionali
farmaceutiche produttrici del kit, è difficile comprenderlo. Questo
non ha scoraggiato le cosiddette "associazioni umanitarie" dall'utilizzare
il terrorismo mediatico per reclamare fondi. Una recente, massiccia
(e costosa) campagna pubblicitaria della italiana CESVI invitava a donare
soldi affermando che "...in Africa una madre su tre è sieropositiva".


IL CASO DEL PRESIDENTE
SUDAFRICANO MBEKI



Nel 2000 cinque
multinazionali farmaceutiche, sotto l'apparente veste di un progetto
umanitario, proposero di abbassare i prezzi dell'AZT e di farmaci analoghi
per utilizzarli massicciamente su donne incinte e neonati nei paesi
del terzo mondo, per la cura e la profilassi della "infezione da HIV".
Nello stesso anno, alla vigilia del Congresso mondiale sull'AIDS, il
presidente sudafricano Mbeki, preoccupato della manovra delle multinazionali,
convocò una conferenza di specialisti internazionali per un dibattito
aperto sugli effetti tossici dell'AZT e sulle alternative terapeutiche
di trattamento dell'AIDS. Tanto bastò a scatenare nei giorni successivi
il linciaggio da parte della stampa internazionale. Mbeki venne definito
un "pazzo" e un "criminale". Venne accusato di oscurantismo e superstizione
e perfino di attentare alla vita delle popolazioni africane. The Observer,
tra gli altri, arrivò a scrivere: "Mbeki lascia morire nel dolore i
bambini malati di AIDS". Eppure tra gli scienziati che aveva invitato
alla conferenza c'erano premi Nobel, membri di Accademie delle Scienze,
professori emeriti delle diverse discipline scientifiche. Quello che
il presidente Mbeki proponeva era soltanto un libero dibattito, un confronto
su dati reali, la verifica dell'efficacia di tali farmaci e sulla ben
nota gravità degli effetti collaterali. Non accettando supinamente che
la popolazione sudafricana venisse sottoposta a dei trattamenti di scarsissima
efficacia e di altissima tossicità23, la sua colpa, in sostanza,
era quella di aver sfidato il potere dell'uomo bianco e di non essersi
piegato agli interessi delle multinazionali farmaceutiche. Per pagare
queste cosiddette "cure e profilassi" si prospettava tra l'altro un
indebitamento del Sudafrica di un miliardo di dollari verso la Banca
Mondiale. La conferenza fu, come temuto dagli "ortodossi", un momento
di reale informazione, che permise a tutti gli scienziati dissidenti
di esporre le loro tesi e mettere in grave crisi il dogma Hiv-Aids.
E di fermare l'utilizzo dell'AZT nei paesi africani. Ma ancora oggi,
nonostante le sue resistenze si siano rivelate oltremodo sagge e ragionevoli,
il linciaggio mediatico nei confronti di Mbeki continua.


10.
TERAPIE CHE UCCIDONO


Grazie al terrore
creato intorno alla malattia sin dal suo apparire, è stato possibile
far accettare la somministrazione di farmaci altamente tossici, che
hanno portato benefici solo alle multinazionali che li producono. Nessuno
dei sieropositivi rimasti sani per molti anni ha assunto questi farmaci
(se non per sospenderli presto), mentre chi li ha presi per lunghi periodi
sta male o è morto. Il famoso cestista Magic Johnson, e molti altri
come lui che hanno rifiutato di curarsi con l'AZT e i farmaci retrovirali,
sta benone, nonostante sia stato dato per spacciato vari anni fa.


L'AZT


Sintetizzato sin
dal 1964 come farmaco antitumorale, l'AZT rimase accantonato per 20
anni poiché si constatò sperimentalmente che le cavie leucemiche trattate
morivano in numero maggiore di quelle non trattate. Data la sua elevatissima
tossicità è impiegato come base per il veleno per topi! Ma nel 1984
la Wellcome, società che lo produce, lo tirò fuori di nuovo e, grazie
al terrore ormai dilagante, riuscì a farlo approvare in gran fretta
come farmaco anti-HIV. Molti scienziati del gruppo dei "dissidenti"
sin dall'inizio della "epidemia" hanno lanciato l'allarme contro il
suo uso, che è molto più pericoloso della sindrome stessa. Ben sei studi
indipendenti hanno provato una tossicità del farmaco 1000 volte superiore
a quella dichiarata dalla Wellcome. Il più grande studio mai effettuato
sul farmaco, per numero di pazienti e durata, fu il "Concorde Trial",
i cui risultati nel 1994 dimostrarono inequivocabilmente che tra i pazienti
trattati non si verificava nessun beneficio, ed anzi si constatava un
numero maggiore di decessi rispetto ai pazienti non trattati.24
Tra le conseguenza della somministrazione di AZT ci sono: distruzione
del sistema immunitario, distruzione del midollo osseo, distruzione
dei tessuti e della flora batterica intestinale, linfoma, atrofia dei
muscoli, danni al fegato, al pancreas, alla pelle e al sistema nervoso.
Se una persona sana venisse sottoposta ad un trattamento continuativo
con AZT in pochi mesi subirebbe effetti devastanti, simili a quelli
dell'AIDS conclamato, fino ad arrivare ad un tasso di mortalità prossimo
al 100%. Eppure, grazie alla strategia del terrore, questo farmaco così
tossico, cancerogeno e privo di effetti benefici continua ad essere
somministrato. Così la Wellcome (casa farmaceutica produttrice) ne ha
venduto 0.9 tonnellate nel 1987, è passata a 44.7 tonnellate nel 1992,
ed il suo profitto lordo cresce in maniera esponenziale di anno in anno.


GLI INIBITORI DELLA
PROTEASI


Definiti miracolosi
dai media, in realtà i benefici clinici di questi farmaci non sono a
tutt'oggi ancora stati provati. Mentre la lista degli effetti collaterali
aumenta progressivamente, insieme al numero di insuccessi - che vanno
dalle deformità fisiche alle morti improvvise - testimoniando una realtà
completamente diversa. E lo stesso scienziato che li ha ideati, il dott.
David Rasnik, sostiene che ci sono forti dubbi sull'efficacia clinica
di tali farmaci25.


IL COCKTAIL HAART


Per evitare questi
effetti devastanti, in tempi più recenti si è suggerito di utilizzare
l'azione combinata di più farmaci a dosaggi più bassi (il cocktail HAART).
Questo ha portato ad ampliare in maniera considerevole il numero dei
pazienti, o dei cosiddetti "malati asintomatici" che possono essere
a lungo sottoposti a tali "terapie". Con vantaggi evidenti per le case
farmaceutiche che invece di farsi concorrenza possono spartirsi una
torta ancora più grande, coinvolgendo nella cura anche persone che stanno
benissimo.


11.
IL BAVAGLIO ALL'INFORMAZIONE


Tutte queste cose,
benché sconosciute al grande pubblico, sono ben note nell'ambito degli
addetti ai lavori. Ma una cortina di ferro è stata messa a protezione
del castello per non farle conoscere alle masse, che devono continuare
ad essere indottrinate verso il dogma ufficiale. Così, quei pochi e
valorosi giornalisti che hanno provato a dare voce agli scienziati del
dissenso ben presto hanno dovuto fare i conti con una censura feroce,
che ha pochi eguali nel mondo contemporaneo. Celia Faber, giornalista
statunitense, è stata tra le prime ad affrontare l'AIDS dal punto di
vista "eretico". In un'intervista a Massimiano Bucchi ha dichiarato
di avere incontrato "...difficoltà pazzesche. (...) hanno cercato di
farmi fuori in tutti i modi. La mia carriera giornalistica è stata duramente
segnata da questa storia. Ho avuto minacce da Act Up 26 ,
ci sono stati articoli terribilmente offensivi nei miei confronti da
parte del "Native" 27 . Fin dall'inizio i boss dei NIH28
mi hanno detto chiaramente che mi avrebbero impedito di intervistare
i loro ricercatori per via di quello che avevo scritto"29.
Neville Hodgkinson è giornalista del Times ed esperto scientifico del
Sunday Times. Dopo i primi articoli in cui fu sostenitore della teoria
dominante, enfatizzando i rischi della diffusione del virus, si rese
conto che le statistiche reali mostravano "...che non c'era traccia
dell'esplosione dell'Aids che era stata annunciata". Così cominciò a
considerare il punto di vista di Duesberg e dei vari dissidenti. Scrisse
un lungo articolo che riportava le ipotesi di questo gruppo di scienziati:
" riuscimmo ad inserire un richiamo in prima pagina e di nuovo le reazioni
furono isteriche (...) nessun argomento scientifico, solo cose del tipo
«perché infastidite i vostri lettori con teorie non dimostrate quando
c'è una grande emergenza in corso per la salute pubblica» - ma nulla
che rispondesse alle osservazioni dettagliate che Duesberg e gli altri
facevano". Sulla base delle successive esperienze di censura e attacchi
personali oggi Hodgkinson dichiara: " Non credevo che si potesse essere
così odiati solo per aver scritto delle cose o aver riportato le opinioni
di scienziati che fino al giorno prima tutti ritenevano dei luminari.
(...) Ad un convegno dove la mia casa editrice aveva chiesto l'autorizzazione
per presentare il libro, uno scienziato si è fermato al nostro tavolo
e ha detto ad un collega che lo accompagnava « se vedi in giro copie
di questo libro in libreria o altrove, prendilo in mano e sputaci dentro
in modo che nessun altro possa acquistarlo o leggerlo ». Non pensavo
che degli scienziati, delle persone che dovrebbero essere aperte al
confronto e alla libera espressione, potessero arrivare a tanto".30


John Maddox, direttore
di "Nature", rivista scientifica custode dell'ortodossia, nel 1991 fece
intravedere piccoli spiragli di apertura verso il gruppo dei dissidenti
riunito sotto l'etichetta "Rethinking Aids", pubblicando un articolo
intitolato "La ricerca sull'aids messa sottosopra"31, in
cui si facevano piccole concessioni alle ragioni degli "eretici". Le
reazioni degli scienziati ortodossi furono durissime, e benché nessuno
portasse argomenti scientifici ma solo i consueti anatemi terroristici
e invettive personali, Maddox si trovò costretto, nei mesi successivi,
a rimangiarsi tutto, fino ad affermare che non bisognava più dare spazio
alle opinioni di Duesberg (principale esponente del gruppo "Rethinking
Aids"). Sulla questione due sedicenti scienziati italiani scrissero
un articolo sulla stessa rivista sostenendo che: "...dovrebbe essergli
impedito di parlare in televisione. Sì, una linea auspicabile sarebbe
quella di impedire i confronti televisivi con Duesberg" .32


Da quel momento
è scattata la censura sulle riviste scientifiche per ogni punto di vista
alternativo (pur se documentatissimo e difficilmente confutabile). Semplicemente
ogni ipotesi alternativa non doveva esistere. Oggi, anche se le previsioni
dei dissidenti sono sempre più confermate, quasi tutta la stampa sembra
essere allineata al dogma dominante. Ai pochi giornali e giornalisti
che accettano le teorie alternative sull'Aids, l'unica possibilità rimasta
è quella del silenzio, e non fungere da cassa di risonanza per le ormai
screditate tesi dell'establishment medico dominante.


12.
IL GRANDE AFFARE DELLA CATTIVA SCIENZA





La vicenda dell'AIDS
è davvero speciale perchè mai nella storia della medicina così tanto
denaro è stato riversato su una singola malattia. Di anno in anno le
somme raccolte per la lotta all'AIDS si moltiplicano, fino ad arrivare
alla cifra di 6,1 miliardi di dollari solo nel 2004. 33 Con
100 miliardi di dollari già spesi nei soli Stati Uniti, è la più grossa
impresa industriale, vicina a quella del dipartimento della Difesa.
La vendita dei test HIV è diventata una fonte di immensi guadagni. Molti
scienziati coinvolti nella ricerca sull'AIDS possiedono società che
vendono test e hanno milioni di dollari in partecipazioni societarie.
L'AIDS per questi individui è un affare estremamente remunerativo. I ricercatori e
i medici che hanno carriere e stipendi legati al virus sono circa 100.000,
in buona parte americani. I bilanci delle multinazionali del farmaco
si accrescono di alcuni miliardi di dollari all'anno con la vendita
dei farmaci antiretrovirali e dei test HIV. Organismi come USAID (U.S.
Agency International Development), UNAIDS (United Nations AIDS program),
WHO, ricevono stanziamenti annuali di centinaia e centinaia di milioni
di dollari per combattere l'AIDS. Più di 1000 organizzazioni umanitarie
raccolgono in totale centinaia di milioni di dollari all'anno per aiutare
i malati di AIDS. Il problema non è quindi la crescita dell'AIDS, ma,
per quanto paradossale e grottesco possa apparire, l'esatto contrario,
la sua eventuale scomparsa. Sono ormai così imponenti gli interessi
economici politici e burocratici legati al virus HIV che la sua morte
prematura potrebbe sconvolgere parecchi equilibri. Così è una tragica
ironia che proprio David Rasnik, scienziato che ha ideato gli inibitori
della proteasi usati per la cura dell'AIDS, abbia dichiarato nel 1997:
"Come scienziato che ha studiato l'AIDS per 16 anni, ho stabilito che
l'AIDS ha poco a che fare con la scienza e che, fondamentalmente, non
è nemmeno una questione medica. L'AIDS è un fenomeno
sociologico tenuto in vita dalla paura, creato da una sorta di "maccartismo
medico" che ha violato e mandato in rovina tutte le regole della scienza
e che ha imposto a quella fascia di pubblico più vulnerabile una miscela
di credenze e pseudoscienza" E la giornalista Joan Shenton ne ha spiegato
i motivi : " Quello che ho imparato in questi anni è che la comunità
scientifica non è più libera. Oggi la scienza può essere comprata e
le voci individuali di dissenso facilmente ridotte al silenzio a causa
delle enormi somme di denaro convogliate nel proteggere l'ipotesi prevalente,
per quanto sbagliata possa essere. La politica, il potere e il denaro
dominano il campo della ricerca scientifica cosi estesamente che non
è più possibile sottoporre a verifica una ipotesi divenuta dogma." Su
questo aspetto della cattiva scienza dell'AIDS malata di denaro, ci
piace chiudere col sarcastico commento del premio Nobel Kary Mullis
: "Un altro segmento della nostra società così pluralista - chiamiamoli
medici/scienziati reduci dalla guerra perduta contro il cancro, o semplicemente
sciacalli professionisti - ha scoperto che funzionava. Funzionava per
loro. Stanno ancora pagandosi le loro BMW nuove con i nostri soldi"34.












 ***


L'Autore desidera ringraziare tutti i ricercatori che hanno messo a disposizione il frutto del loro lavoro, (in particolar modo il virologo triestino Fabio Franchi) e che spesso hanno visto le loro carriere troncate dalle loro affermazioni.



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