Il complotto dei potenti come tabù storiografico
Il Complotto dei Potenti come Tabù Storiografico
di Enrico Voccia
La ricerca storica dei nostri tempi, dopo l’influsso benefico della “Scuola degli Annales”, è molto diversa da quella anche solo di pochi decenni fa. Non si occupa esclusivamente di guerre, trattati ed alleanze, dinastie, forme politiche, ecc., ma anche di dinamiche economiche, vita materiale, mentalità: in pratica di tutto quello che è nell’ambito delle vicende umane. Apparentemente, non ci sono più oggetti tabù, non ritenuti degni di ricerca storiografica "seria". Eppure, ad osservare con maggiore attenzione, un tabù storiografico – un oggetto “indegno” d’attenzione – persiste: i complotti dei potenti della terra nella Storia Contemporanea.
Eppure, è evidente che i complotti del potere continuano ad esistere e sono un dato ricorrente della storia umana: noi italiani lo abbiamo ben presente, tra Stragi di Stato e Strategie della Tensione che hanno insanguinato il nostro paese (e non è detto che la cosa sia finita). Nonostante ciò, la ricerca storica, quando si rivolge al grande pubblico, parla dei complotti del potere solo al passato. In manuali di storiografia scolastici od anche universitari, testi di divulgazione e trasmissioni TV, sembra che i potenti complottassero solo nel passato ed oggi lo facciano solo i senza potere o entità di potere minori. Si tratta di un problema sentito anche da alcuni storici, maggiormente avvertiti.
"Ma i complotti esistono: sono, soprattutto oggi, una realtà quotidiana. Complotti di servizi segreti, di terroristi, o di entrambi: quale è il loro peso effettivo? quali riescono, quali falliscono nei loro veri obiettivi, e perché? La riflessione su questi fenomeni e sulle loro implicazioni appare curiosamente inadeguata. Dopo tutto, il complotto non è che un caso estremo, quasi caricaturale, di un fenomeno molto più complesso: il tentativo di trasformare (o manipolare) la società."
Non si tratta di un testo "complottista": queste parole vengono (Introduzione, p. XXVI) da un testo edito da Einaudi nel 1989: "Storia Notturna. Un’Interpretazione del Sabba" di Carlo Ginzburg, il più noto storico italiano di quell'infame periodo storico chiamato "Caccia alle Streghe" ed anche il libro in questione è giustamente famoso - un vero e proprio classico moderno sul tema. Insomma. per il mainstream della ricerca storica sulla contemporaneità, la spiegazione di una serie di eventi tramite un complotto di un potere dominante è un vero e proprio tabù: a complottare sembra siano solo gli sfigati. Si tratta di un tabù che, spesso, impedisce di cogliere delle realtà molto evidenti e dare di determinati eventi storici un’immagine coerente: pur di non rompere il tabù, talvolta, si ricorre a spiegazioni del tutto raffazzonate e platealmente insoddisfacenti.
Prendiamo inizialmente come esempio lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il caso è eclatante perché la volontà di non utilizzare il complotto come categoria storiografica costringe a rompere il filo che unisce le perle di un racconto di per sè evidente. Si tratta di perle molto note della storiografia, anche del mainstream rivolto al grande pubblico.
Per cominciare, il rapporto tra Rivoluzione Industriale ed Imperialismo: le nazioni industrializzatesi per prime hanno acquisito una potenza militare tale da riuscire a dominare pressoché il resto del pianeta. Fino a poco prima, i rapporti di forza tra le nazioni delle varie parti del mondo erano, grosso modo, equivalenti: la rivoluzione industriale, invece, fa sì che alcuni Stati possano presentarsi nei teatri di guerra con una superiorità bellica quantitativa e qualitativa talmente forte da permettere a paesi anche molto piccoli di conquistare con facilità nazioni molto più estese e popolate di loro. Il caso Belgio/Congo è paradigmatico. Altre realtà politiche, industrializzatesi poco dopo, hanno “perso il treno” e, nonostante la loro potenza industriale, soffrono della mancanza di sbocchi per le loro merci e di mercati privilegiati dove approvvigionarsi di materie prime a prezzi di favore.
Altra cosa molto ben raccontata è che, agli inizi del Novecento, il mondo industrializzato è diviso in due grandi blocchi: da un lato Inghilterra, Francia, Russia (la cosiddetta “Triplice Intesa”), dall’altro Germania, Austria-Ungheria, Italia (la cosiddetta “Triplice Alleanza”). Ma qui siamo al primo tassello di una storia che non si vuole narrare: qualcuno di voi ricorda un testo scolastico/universitario, un giornale, un programma radioTV che abbia fatto notare come i primi erano i padroni del mondo ed i secondi erano gli esclusi dalla spartizione della torta? Un altro tassello non raccontato sul mainstream è legato alla conquista italiana della Libia. Per quanto evidente, la ricerca storica rivolta al grande pubblico molto difficilmente fa notare come l’Italia conquisti un brandello di terra racchiuso tra una colonia inglese ed una francese e che questi paesi lascino fare... Nonostante il dato di fatto delle modalità della conquista libica il mainstream storiografico sembra, invece, considerare che il passaggio italiano al fianco della Triplice Intesa avvenga quattro anni dopo, a guerra mondiale iniziata. È palese, invece, che l’Italia abbia cambiato bandiera già nel 1911 (se non prima).
Ed ora veniamo all’attentato di Sarajevo: per il mainstream il tutto pare opera del diciannovenne fanatico nazionalista Prinzip che, come Oswald con Kennedy, agisce da solo e dà la stura ad una serie di eventi che porteranno alla Grande Guerra. Certo, il mainstream dice che forti tensioni e volontà di guerra c’erano già prima: ma se scoppiarono in quel momento, in quel luogo e con quelle dinamiche, pare lo si debba all’azione di un fanatico isolato ed all’orgoglio stupido di un Impero in declino. Solitamente - pressoché sempre - neanche una parola sul fatto che Austria-Ungheria e Germania erano rimaste da sole, grazie ad una notevole azione diplomatica della Triplice Intesa; che Prinzip non agì affatto da solo ma in concerto con l’esercito ed il governo serbo, che sentiva evidentemente di avere le spalle coperte; che l’Austria-Ungheria esitò a lungo prima di entrare in guerra e che le sue richieste, dato il carattere provocatorio e la gravità dell'evento, non erano poi tanto assurde; che il governo serbo fece di tutto per provocare l’attacco.
Insomma, pur di non utilizzare la categoria del complotto, si lasciano isolati o nascosti dati evidenti. Si dirà: ma queste cose si leggono nel voluminoso testo, magari in più tomi, nell’articolo di ricerca specialistica... Certo: ma non nel mainstream rivolto al grande pubblico. Per questo parlo di tabù: lo storico può parlare di complotti orditi dai potenti, ma lo deve fare in un ambito controllato e non aperto - un po' come nel XVI secolo solo gli ecclesiastici "addetti ai lavori" potevano leggere la Bibbia ed ai semplici fedeli venivano lette solo pagine scelte e sermoni controllati.
Un altro esempio: Hitler e la nascita del partito nazionalsocialista tedesco. Cosa racconta il mainstream rivolto al grande pubblico? Che Hitler entrò in contatto con un piccolo partito, ne divenne poi il leader, ecc. Chi legge un tale racconto ha l’idea che Hitler fosse un reduce di guerra che avesse letto un volantino, parlato con qualcuno, ecc. Anche qui, per sapere la verità occorre leggere testi specialistici: p. e. William Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, 1962, due volumi di mille pagine l'uno. Bisogna farlo non per ottenere dettagli, ma per conoscere l'essenziale degli eventi – cosa che dovrebbe essere il compito del mainstream rivolto al grande pubblico.
Manuali scolastici e/o universitari, testi divulgativi, trasmissioni Radio/TV dovrebbero divulgare le idee della ricerca storica specialistica, in maniera sintetica e relativamente semplificata, ma senza falsare il senso fondamentale di esse - e di solito lo fanno. Quando, però, si ha a che fare con il tabù del complotto dei potenti, pare di leggere un testo che voglia divulgare le idee della relatività generale parlando della fisica aristotelica.
Testi di migliaia di pagine od articoli specialistici pubblicati in riviste di difficile reperimento: occorre leggere questi per sapere che Hitler era un agente dei servizi militari, che venne infiltrato da questi nel DAP e non vi si presentò spontaneamente, che ne divenne il leader grazie ai soldi dell’esercito e della borghesia reazionaria, che ne espulse il fondatore e nefece entrare tanti altri in odore di servizi, ecc.
A leggere invece il mainstream rivolto al grande pubblico, invece, sembra si sia trattato di un privato cittadino, un reduce come tanti altri dalle idee magari particolarmente destrorse, dotato di un'incredibile capacità magnetica, ecc. Il tutto per non dire che il nazismo fu un movimento creato a tavolino dall'esercito, da società segrete e dalla "Confindustria" tedesche - insomma per non pronunciare in pubblico la sconveniente parola "complotto". Tanta aria fritta, invece, sulla follia o meno di Hitler...
Fin qui ho affrontato la questione da un punto di vista epistemologico. Ma la questione ha un risvolto etico/morale e pratico forse ancora più importante. Per affrontare la questione da questo punto di vista farò un ultimo esempio: l’incendio del Reichstag.
Oggi tutti sanno che l’incendio del Reichstag è stato un “autoattentato” del regime nazista per instaurare la dittatura tramite l’imposizione di leggi speciali: ci sono le confessioni al processo di Norimberga e le memorie dei veri attentatori a costringere anche il mainstream a raccontare i fatti così come sono realmente accaduti. All’epoca, però — e non solo in Germania, ed anche nei media dei paesi democratici — fino ed oltre lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la “Versione Ufficiale” era che si fosse trattato di un attentato “vero”, fatto dai comunisti contro il regime nazista. A sostenere la verità e far notare la contraddizione che a bruciare l’enorme palazzo (che rimase completamente distrutto) fosse stato un demente alcolizzato con una bottiglia di benzina e la sua camicia erano solo i “sovversivi” e quegli “stati canaglia” che erano l’URSS e, durante la sua breve durata, la Repubblica Popolare Spagnola.
Per molti anni, invece, si può dire fino a guerra conclusa, la versione ufficiale dei fatti fu la menzogna nazista. Anche di fronte ad una dittatura, il tabù storiografico che impedisce di pensare che il potere possa fare complotti, restò solido come una roccia. Lo stato - anche quello nazista - non poteva complottare contro la sua popolazione: per cui doveva sicuramente essere vera la versione ufficiale dei fatti: complotto sì, ma di quegli sfigati dei comunisti, magari di un singolo, demente ed alcolizzato, comunista. Il potente non può complottare. Le conseguenze di tale sudditanza al tabù sono state quelle che tutti conosciamo.
Smettere di usare reverenza verso i potenti della Terra è un dovere morale: pensare che essi non possano complottare per definizione può portare a conseguenze disastrose.
Enrico Voccia
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