align="center">face="Times New Roman">Essere o apparire…align="center">
face="Times New Roman" size="3"> style="color: red;">
style="color: red;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Alberto B. Mariantoni
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Il fatto di nascere,
crescere, maturare ed, inevitabilmente, declinare e scomparire, non
sempre ci concede il regalo e la gioia di avere potuto essere, esistere
ed agire come avremmo avuto la capacità o come avremmo voluto.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">La nostra esperienza
terrena, infatti, è un continuo e costante tirocinio… E’ un duro
apprendistato che è generalmente condizionato – per una certa
frazione – dall’habitat naturale nel quale viviamo o da
cui siamo scaturiti e, per il resto, influenzato, provocato e/o
determinato da noi stessi.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Contrariamente
all’opinione più diffusa, però, siamo noi stessi, in
ultima analisi – e non il retroterra politico, economico,
sociale e culturale di cui facciamo parte o siamo parte integrante
– che circoscriviamo e fissiamo l’ampiezza, l’intensità e
l’incisività del nostro essere, del nostro esistere e del nostro
agire. E questo, qualunque sia o possa essere la scala gerarchica delle
nostre effettive qualità intellettive, delle nostre evidenti e
spontanee sensibilità spirituali, delle nostre concrete e
sostanziali capacità materiali.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Le responsabilità
che spesso addossiamo o attribuiamo all’habitat
naturale, a mio giudizio, sono soltanto dei comodi alibi,
dietro ai quali, abbiamo quasi sempre tendenza a mimetizzare,
dissimulare o tacere le nostre più indicibili abdicazioni,
diserzioni e pusillanimità nei confronti della nostra stessa
esistenza.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Il retroterra
politico, economico, sociale e culturale, incomincia semmai a
giocare un ruolo determinante o predominante nei confronti del nostro
essere, del nostro esistere e del nostro agire, soltanto nel momento in
cui, noi stessi, accettiamo – direttamente o indirettamente,
volontariamente o involontariamente, consapevolmente o
inconsapevolmente – di mettere “tra parentesi” il significato ed il
senso della nostra unicità, della nostra style="">originalità e della nostra irripetibilità,
affidando supinamente alla societas o a terze persone,
il diritto/dovere di decidere e di disporre – indipendentemente da noi
– del nostro essere, del nostro esistere e del nostro agire. Questo,
ancora una volta, a prescindere dal fatto che, in natura, esistono (e
nessuno lo può negare!) degli uomini che sono chiaramente e
manifestamente leader e degli uomini che sono (o
preferiscono essere) nascostamente o palesemente gregari.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Il vero problema, dunque,
che – nel corso di ogni esistenza - si pone a qualsiasi
essere umano, non è quello di essere leader
(o essere capace di esserlo, o possedere le qualità per
diventarlo), né tanto meno quello di essere (o di scegliere di
essere, o constare di non potere essere altro che) gregario.
E’ semplicemente quello di scegliere e di decidere se si vuole style="">essere ciò che si è, oppure se si
preferisce apparire per ciò che
non si è.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">In sé per
sé, infatti, essere leader o gregario
nel contesto di una qualunque società umana, non
è affatto una qualità, né un difetto. E’
semplicemente una funzione: quella che “madre natura”
ha voluto assegnarci, sulla base dell’arcana ed indecifrabile
combinazione di “doti” e/o di “tare” che ci ha voluto personalmente
riservare.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Diciamo, per riassumere,
che è un dato di fatto.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Insomma, siamo quello che
siamo. E nulla e nessuno – fino a prova del contrario – potrà
mai mutarci o trasformarci in ciò che non siamo, né
potremo mai essere.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Possiamo, però, se
lo desideriamo o lo vogliamo, affinare, migliorare o perfezionare la
nostra natura, a partire da due semplici atti di
volontà:
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="margin: 0cm 0cm 0pt 21.3pt; text-indent: -18pt; text-align: justify;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial-ItalicMT;">
face="Times New Roman">-style="font-family: 'Times New Roman'; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; font-size: 7pt; line-height: normal; font-size-adjust: none; font-stretch: normal;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">tentare di conoscere
sé stessistyle="font-size: 11pt; font-family: Arial;"> (ciò che i Greci
definivano
gnôti sauton ed i Latini,
style="">nosce te ipsum);
style="margin: 0cm 0cm 0pt 21.3pt; text-align: justify;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="margin: 0cm 0cm 0pt 21.3pt; text-indent: -18pt; text-align: justify;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial-ItalicMT;">
face="Times New Roman">-style="font-family: 'Times New Roman'; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; font-size: 7pt; line-height: normal; font-size-adjust: none; font-stretch: normal;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">cercare di elevare il
proprio livello fisico, psichico, spirituale e morale,style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
a partire
dalla propria specifica natura (ciò che i
Greci riassumevano nel termine
paidéia o
style="">“educazione/formazione globale dell’uomo”, ed i Latini
condensavano nel significato e nel senso del verbo
educo,
is, eduxi, eductum, educere che vuole dire,
“trarre
fuori, estrarre, far uscire, far sbocciare” le qualità che
ognuno possiede, per meglio poterle perfezionare o valorizzare).
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Naturalmente, se non
vogliamo o non riteniamo utile o opportuno cercare di affinarci,
migliorarci o perfezionarci, possiamo:
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="margin: 0cm 0cm 0pt 21.3pt; text-indent: -18pt; text-align: justify;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial-ItalicMT;">
face="Times New Roman">-style="font-family: 'Times New Roman'; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; font-size: 7pt; line-height: normal; font-size-adjust: none; font-stretch: normal;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">tentare distyle="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
conservarele nostre “doti”/”tare” iniziali, contemplando – impotenti e frustrati
(o insensatamente appagati…) – il loro inevitabile degrado o
deliquescenza, nel corso degli anni;
style="margin: 0cm 0cm 0pt 3.3pt; text-align: justify;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="margin: 0cm 0cm 0pt 21.3pt; text-indent: -18pt; text-align: justify;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial-ItalicMT;">
face="Times New Roman">-style="font-family: 'Times New Roman'; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; font-size: 7pt; line-height: normal; font-size-adjust: none; font-stretch: normal;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">peggiorarestyle="font-size: 11pt; font-family: Arial;"> le nostre “doti”/”tare”
iniziali, ignorando volutamente o spensieratamente noi stessi,
trascurandoci volutamente o lasciandoci apaticamente o flebilmente
andare: vivendo, cioè, alla giornata; cedendo ai nostri istinti
o impulsi animali più triviali; oppure, rassegnandoci
passivamente a giocare il ruolo di semplici oggetti della
volontà altrui.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">In altre parole, siamo
quello che siamo, ma possiamo senz’altro diventare
ciò che desideriamo o vorremmo essere, se
ci limitiamo esclusivamente a conoscerci in profondità e ad
investire, nelle possibilità che la natura ci ha assegnato o
concesso, il massimo degli sforzi che le nostre doti, capacità
e/o abilità naturali ci permettono di spendere o di far valere.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">E’ il concetto greco di style="">agón, agônos (derivato di style="">ágein, “condurre”: Erodoto – style="">Storia delle lotte fra Greci e Persiani 2, 91;style=""> 5, 102; Platone – Le Leggi
658a; Tucidide – Storia della guerra del Peloponneso
3, 104; Aristofane d’Atene – Plutus 1163;
Aristotele – Retorica 1, 2, 13; Plutarco – style="">Demetrius 22) che nulla ha a che fare o a che vedere con
l’odierna ed incoerente nozione di “competizione”. Lo stesso dicasi,
dei significati greci di agonismós (lotta,
combattimento) e di agonistés (chi lotta
fisicamente o con l’intelletto) quando tentiamo di paragonarli con
quelli post-classici di “agonismo” e di “concorrente”.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Gli antichi Greci,
infatti – che erano assolutamente coscienti che ogni uomo è style="">unico, originale ed irripetibile
(e, di conseguenza, complementare… – da cui la
nozione aristotelica di zoon politikon
o “animale politico”: quell’animale, cioè, che si affina, si
migliora, si perfeziona – dunque, si civilizza – vivendo in armonia e
collaborazione con gli altri, nel contesto della Polis o
Città/Nazione/Stato), non tentavano mai di misurare sé
stessi con i loro simili, per cercare vanamente di affermare un
contraddittorio e paradossale “primato universale” delle
capacità umane o un’innaturale e chimerico “parametro” di
apprezzamento o di valutazione generale degli esseri viventi (un
“primato” o un “parametro” fondato, per giunta, come avviene da circa
1700 anni, sull’obbligatoria ed inevitabile sconfitta e consequenziale
umiliazione fisica, psichica o morale dell’altro!). Al contrario,
prendendo a pretesto la competizione con i loro simili, incrociavano
reciprocamente le armi delle loro rispettive qualità,
predisposizioni e destrezze intellettuali, fisiche o morali,
soprattutto per misurare il limite contingente delle loro
individuali e specifiche qualità o capacità. E
questo, sia per tentare di migliorare le loro potenzialità
naturali che per avere una qualunque chance di potere
eventualmente cercare di riuscire a superare o sorpassare i propri
limiti.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Affinare, migliorare,
perfezionare ed, eventualmente, oltrepassare le proprie qualità
o capacità – nel contesto della propria natura – è
senz’altro possibile, ma – per potere realmente riuscire a farlo –
è prioritariamente indispensabile focalizzare e comprendere
ciò che, in realtà, significa essere
e che cosa vuole dire, al contrario, apparire.style="">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Dal tardo latino style="">essere (per il classico esse
– a sua volta, derivato dalla radice indoeuropea es–),
il nostro omonimo verbo intransitivo (essere) – nel senso che ci
interessa nel contesto di questa disanima – significa soprattutto style="">possedere una precisa identità o naturastyle="">. Un’identità ed una natura che sono chiaramente
ed inequivocabilmente precisate e confermate, sia dalla derivazione style="">essentia (dal latino esse) - che, a sua
volta, significa essenza; sia dal participio presente
del verbo esse (cioè, ens) che,
in filosofia, traduce il greco ôn (essenza),
così come il vocabolo latino essentia individua,
decifra e traspone glottologicamente il termine greco ousía
(sostanza).
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Il verbo apparire,
invece (dal latino: ad + parere)style=""> – che i “moderni” (probabilmente, in obliato ossequio
al latino maccheronico o cristiano del IVº secolo
che con il vocabolo, apparitio tendeva direttamente e
non ingenuamente a riferirsi all’ “apparizione” distyle=""> Yehoshuà o Yéshuà” – il nostro style="">Ièsus o Gesù/Cristo, per
intenderci – ed al conseguente ed obbligatorio ossequio che,
teologicamente e praticamente, gli si doveva…) preferiscono relegare e
confinare nella ristretta cerchia di alcune sue tarde e marginali
accezioni, come apparire, mostrarsi; oppure,
presentarsi allo sguardo, mostrarsi alla
vista, ecc. – ha in origine, un
significato ed un senso ben diversi da quelli che abbiamo l’abitudine
di attribuirgli: quelli, in particolare, di obbedirestyle="">, sottomettersi (Cicerone,
Tusculanae disputationes 5,
36; De officiis 1, 84; 2, 40; De re
publica libri VI 2, 61; Seneca,
De beneficis 3, 20, 2; C.
Velleius Paterculus, Historia Romana 2, 23, 6; Aulo
Gellio, Nocte Atticae 2,
7, 12; Tito Livio, Ab urbe condita libri XLV style=""> 9, 32, 5; Tacito, Annalesstyle=""> 1, 21; ecc.); oppure, style="">cedere a (Cicerone, Orator ad M. Brutum 202;
In P. Vatinium testem interrogatio 2; Epistulae
ad Atticum 2, 21, 4; ecc.); o ancora, essere
sottomessi a, sotto la dipendenza distyle=""> (Cesare, De
bello civili 3, 81, 2).
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">E’ ciò che
avviene, purtroppo, ai nostri giorni, quando i nostri contemporanei, e
soprattutto le giovani generazioni (nella loro quasi
totalità, tutte vittime ignare e/o inconsapevoli della
colonizzazione culturale che – volens, nolens – da più di 1700
anni, ha intellettualmente e moralmente sottomesso le nostre
società ai dogmi artificiosi ed innaturali della visione biblica
dell’uomo, della società e del mondo, nonché a quelli
successivi e laicizzati delle sue diverse e variegate derivazioni o
ramificazioni ideologiche), credendo di “essere alla
moda” e/o di incarnare o di rappresentare il coincidente o
corrispondente “modello di uomo dell’avvenire” che –
in forza all’ultima modanatura della medesima colonizzazione (l’attuale
religione globalista) – impazza e fa furore ai quattro
angoli del nostro pianeta, preferiscono individualmente o
collettivamente “fare come gli altri”… Preferiscono,
cioè, “mettere tra parentesi”
il significato ed il senso della loro vita e delle loro imprescindibili
essenzialità, per tentare stoltamente di identificarsi
o di rassomigliare a delle immagini
statiche e stereotipiche di ciò che essi stessi pensano di
prediligere o ritengono vada loro perfettamente a genio.
style="">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Il tutto, naturalmente,
senza accorgersi che quelle “immagini” o quei “modelli di vita”, altro
non sono, in realtà, che il risultato finale di un’intensa e
mirata propaganda, corredata da specifici ed inesorabili riflessi
condizionati, che dopo essere stata abbondantemente assorbita dalla
loro psiche ed involontariamente digerita e riciclata dal loro mentale,
viene di nuovo sprigionata ed espressa dal loro ego,
sotto forma di “spontanea” ed omogeneizzata “scelta personale”.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">In altre parole: credendo
di scegliere, i nostri contemporanei non scelgono affatto
ciò che essi immaginano sia la loro scelta, ma scelgono
semplicemente ciò che “altri”, indipendentemente da loro, hanno
già deciso che dovevano scegliere.
E senza volerlo e senza saperlo (e probabilmente, senza nemmeno
accorgersene o sospettarlo!) obbediscono ciecamente ed
inconsapevole alla volontà di chi – per scopi strettamente
commerciali o finanziari (ad esempio: la legge dei grandi
numeri…); oppure, imperialistici… ; o ancora, di usuale e
redditizia dominazione dei mercati – ha l’oggettivo e comprensibile
interesse di distruggere e cancellare ogni genere di originalità
o specificità umana, per meglio spacciare la sua style="">camelotestyle="font-size: 11pt; font-family: Arial;"> e riempire copiosamente
il suo portamonete.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Ancora più grave,
però, quando l’agevole e poco impegnativo “sembrare”
o “apparire” (fosse pure quello di chi tenta, in buona
fede, di ispirarsi ai Bolscevichi del 1917, agli style="">Anarchici di Malatesta, ai Fascisti del
1919-1922, ai Repubblichini o ai Partigiani
del 1943-1945!), è addirittura preso a modello dai cosiddetti
“antagonisti” o “rivoluzionari della domenica” che preferiscono
ugualmente sottomettersi ai criteri di omologazione
del medesimo sistema che, a parole, vorrebbero combattere.
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Pigrizia mentale?
Mancanza di volontà? Insufficiente fiducia in sé stessi?
Incapacità a focalizzare e circoscrivere le qualità ed i
difetti che li determinano o li caratterizzano? Impossibilità a
comportarsi altrimenti? Semplice scelta di vita?
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Niente di tutto
ciò: unicamente la convinzione (frutto del style="">riflesso condizionato che è stato inculcato
all’uomo della strada da 1700 anni di colonizzazione culturale) che
“siamo tutti uguali” e che “tutti” debbono essere, esistere ed agire
allo “stesso modo”…
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">Si capisce, quindi, il
motivo per cui, i sistemi politici, economici, sociali, culturali e
militari del nostro tempo (come la maggior parte di quelli che hanno
già oppresso, angariato, vessato e taglieggiato i nostri style="">Popoli-Nazione nel corso del nostro passato), si sforzino
costantemente di suggerire all’uomo della strada di impegnarsi
fermamente e pienamente a rincorrere irraggiungibili o irrealizzabili
“ideali”, come quello – per l’appunto – di volere
assolutamente essere o diventare ciò che non si è.style="">
style="">
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">E’ il tragico ed
invariabile destino dell’uomo anonimo ed indifferenziato di
ogni tempo e di ogni luogo… L’uomo, insomma, che – per tentare di
colmare le “lacune” della sua incompresa o incomprensibile unicità,
originalità, irripetibilità (ed i “padroni del
vapore”, di ogni tempo e di ogni luogo, fanno del tutto, per non
fargliela comprendere…), non solo non fa nulla per cercare di affinare,
migliorare o perfezionare sé stesso, ma credendo di prendere
delle furbesche e risolutive “scorciatoie” – si riduce
masochisticamente a desiderare o ad ambire la realizzazione di una “style="">società di uguali”: quel
genere di società, cioè, dove i soliti e
ben individuati “uguali” – come nel corso degli ultimi
17 secoli – possono tranquillamente continuare ad esercitare l’immorale
ed illegittimo diritto di potere costantemente, impunemente e
legalmente essere, ogni volta… molto più
uguali degli altri!
style="font-size: 11pt; font-family: Arial;">
align="right">
Alberto
B. Mariantoni