Assistenza sanitaria e principio di responsabilità

Data 2/11/2005 16:43:02 | Categoria: Medicina

di Simone Colzani

Nei giorni scorsi, il Ministro della Salute (ex Sanità) ha fatto un'affermazione molto importante, ma, per una ragione o per l'altra, l'impatto di questa dichiarazione è stato smorzato. Saranno i toni di una campagna elettorale ormai dilatata sull'intera stagione calcistica, ma sui media è comparso ben poco. Di cosa tratta un Ministro perchè le sue parole non vengano recepite, specie in questi tempi ove i reality spostano punti di audience?

Storace ha menzionato, implicitamente, il principio di responsabilità: quella regoletta facile, secondo cui ognuno è responsabile delle proprie azioni. E quale sarà stato il fatto che ha costretto un nostro rappresentante ad affermarlo? Le cure mediche prestate ad un incauto possessore di un serpente velenoso, il quale ha morso il padrone; l'ASL del luogo ha ingaggiato una caccia contro il tempo …

… per procurarsi il siero antiveleno: una gara fortunatamente vinta, ma dal costo non lieve di 40.000 euro, che vanno ad aggravare la non facile situazione sanitaria. Storace, vedendo la fattura, ha ovviamente commentato: stiamo valutando se farci rimborsare quanto speso per questa attività sicuramente rischiosa.

Una frase del genere impone una riflessione sul nostro sistema sanitario: l'Italia, con le sue prestazioni (non tutte) garantite, si pone a metà strada tra il sistema privatistico degli USA, in cui vale più l'assicurazione sanitaria che non il diritto alla cura, e quello assistenzialistico della Svezia, in cui ogni cittadino (in quanto contribuente) ha diritto alle cure.

Il primo sistema è in corso di fallimento: certo le cliniche e gli ospedali americani sono i migliori del mondo, ma il fatto che il capitalismo made in USA abbia precarizzato la stragrande maggioranza della popolazione, togliendo quindi ad ogni famiglia i fondi per coperture previdenziali sanitarie, non rende sicuramente giustizia alla più grande democrazia mondiale, facendone sicuramente un paese degno del Terzo Mondo.

Viceversa, la Svezia, come tutti i Paesi del Nord Europa, presenta una situazione molto diversa rispetto a quella della mediterranea Italia: mentre là il senso civile della popolazione impone che tutti paghino le tasse, che le multe siano comminate in base alla capacità contributiva, qui impera un egualitarismo molto ipocrita. Alzi la mano chi non ha mai pensato che nel nostro Meridione i contribuenti siano un po' pochi... In Scandinavia, il controllo dello Stato e dei cittadini fa si che gli squilibri sociali non siano devastanti, mentre qui, la logica cattocomunista del "volemose bene, semo italiani" ha ricacciato la situazione sotto il tappeto. Certo, qualche premier svedese viene misteriosamente ucciso per traffici bellici (Olof Palme), si utilizzano cavie umane per esperimenti di controllo mentale (Robert Neaslund) , ma tutto sommato la nazione è sana: altrimenti come si spiegherebbe l'attaccamento degli svedesi alla casa regnante dei Vasa, in una monarchia socialista ove i re hanno sempre combattuto a fianco dei propri soldati?

Il modello sociale americano e quello svedese sono agli opposti estremi delle soluzioni possibili: attualmente l'Italia veleggia verso il fulgido esempio americano, ricordando come "sia bello vivere negli USA", ma dimenticandosi di chiedere agli americani se sia così bello avere un sistema del genere. D'altra parte, il modello svedese ha dei presupposti (uno per tutti, il senso civile) che se, incrinati (come già detto, una consistente fetta della popolazione non assolve i suoi obblighi contributivi) manda a gambe all'aria l'intero sistema.

Quindi, per uscire dalla difficile situazione in cui è finita l'Italia in versione Europea, si impone una soluzione mediata dalla logica: sebbene lo Stato Sociale italiano sia stato una linea guida per anni (nel bene e nel male), bisogna imporre dei limiti affinchè la sanità non sprofondi verso l'una o l'altra deriva. Storace ha fatto appunto questo: ha detto, implicitamente ma non troppo, chi fa attività rischiose (e inconcludenti, aggiungerei io) deve pagare le spese che lo Stato assolve per la cura, evitando con ciò che i costi per la salute del singolo ricadano sulla collettività.

Già, ma quali sono le attività che definiscono la soglia di applicazione del principio di responsabilità? Necessariamente bisogna esemplificare: alcuni hanno citato i praticanti di sport estremi, ed io sono d'accordo, tanto che costoro sono spesso dotati di assicurazione privata, esterna rispetto a quella pubblica (basti pensare che gli iscritti del CAI non pagano l'elisoccorso, come i comuni mortali invece sono tenuti a fare). Parimenti, vhi detiene un animale rischioso (una tigre, un serpente od altra specie esotica) non deve e non può confidare nella benevolenza degli dei, anche perchè la sua attività nulla apporta al tessuto sociale.

Un caso limite invece riguarda chi fuma e chi beve alcool. La scienza ha ampiamente dimostrato come i tabagisti e i bevitori (le dosi consentite per il vino sono veramente basse) siano categorie a rischio per il loro comportamento, ma siamo disposti (le case del tabacco han perso questa sfida, i viticoltori dubito) a porre una scelta (un vizio) alla base della responsabilità personale a livello sanitario? E' una decisione difficile, anche perchè queste sono categorie di confine, che potrebbero innescare reazioni a catena su molti altri comportamenti a rischio: chi mangia scorrettamente, chi si droga, chi non pratica nessuno sport. Tutti costoro devono ricadere, come costi, sull'intera collettività?

In Svezia, il senso civico degli abitanti fa si che tutti, bene o male, si consiglino a vicenda (certo, la degenerazione di questo sistema potrebbe favorire un regime in stile DDR) e quindi gli squilibri dello stile di vita (e quindi degli oneri sociali) siano minori che negli USA, ove di contro ogni errore si paga singolarmente. Basti pensare all'immenso numero di cause per risaricimento danni (automobilistiche, class action contro questa o quella multinazionale). Insomma, la degenerazione dell'individualismo, come ebbe a spiegare (tra gli altri) Michael Moore nel suo Bowling a Columbine.

La domanda finale è: bisogna introdurre l'assicurazione privata, come sbandierano gli alfieri del liberismo, o basta fissare una soglia (basata su diversi parametri, come stile di vita, alimentazione, sport) oltre la quale le prestazioni sanitarie diventano a pagamento? In linea teorica, lo Stato potrebbe già richiedere, ex art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale) i costi sanitari (e sociali, in generale) di determinati comportamenti irresponsabili, ma a questo punto si impone sicuramente una riflessione molto profonda sul nostro modo di vivere, e sulle responsabilità che ognuno deve affrontare prendendo una decisione in tal senso. E non è detto che non si possa arrivare ad una riconsiderazione del nostro "essere cittadini", staccandosi per una volta dall'italico "tengo famiglia".

Simone Colzani (Kolza)




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