ISLÂM

Data 15/4/2005 12:24:27 | Categoria: chiesa e religione

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<span style="font-weight: bold;">LO "SCONTRO DI CIVILTÀ"</span><br>
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L’Occidente, nel progetto di espansione planetaria del suo dominio si
trova tra i piedi l’Islâm, sia dal punto di vista ‘ideologico’ sia da
quello geopolitico. <br>
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In tutto questo, i popoli europei (ed alcuni loro esponenti politici),
che sono i naturali vicini di casa dei popoli arabo-islamici, vengono
allarmati, ricattati, abbindolati con questa favola dello “scontro di
civiltà”, la cui presa è facilitata dall’aumentato afflusso d’immigrati
di religione islamica, che pone inevitabilmente dei problemi (ma va
osservato che i problemi li pone un’immigrazione eccessiva, e non una
“immigrazione islamica”). Per di più, lo “scontro di civiltà” non
descrive una situazione di fatto, oggettiva, ma solo uno stato di
tensione indotto permanentemente finché farà comodo, poiché chiunque,
recandosi in un paese arabo-islamico può constatare come i popoli che
li abitano, in specie quelli vicino-orientali, siano tra le persone più
aperte e cordiali del mondo, né è sostenibile che un qualsivoglia paese
arabo-islamico intenda conquistarci o sottometterci. Sfido chiunque a
provare con argomenti razionali che è il mondo arabo-islamico a voler
sottomettere l’Occidente - nel quale, ripeto, l’Europa sta a far da
comparsa – e non, come sta avvenendo, il contrario.<br>
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<span style="font-weight: bold;">ETIMOLOGIA </span><br>
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Le parole arabe hanno quasi sempre una radice triconsonantica che nel
caso del termine” Islâm” è s-l-m, le cui forme verbali veicolano i
seguenti significati: essere sano, in buona salute, consegnare,
consegnarsi, arrendersi. Tra queste forme verbali, quella da cui deriva
il nome “Islâm” è una di quelle&nbsp; che esprime un atteggiamento
attivo, per cui, ricorrendo ad una perifrasi, si potrebbe definire
l’Islâm un “consegnarsi volontariamente al volere divino (espresso a
chiare lettere nel Corano)”. <br>
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<span style="font-weight: bold;">DEFINIZIONE</span><br
style="font-weight: bold;">
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In estrema sintesi, è musulmano colui che riconosce l’Unità e l’Unicità
di Dio (tawhîd) espresse nella shahâda, la testimonianza di fede che
recita: “Non c’è divinità se non Iddio, e Muhammad è l’Inviato
d’Iddio”. A questo punto, il credente (al-mu’min; Îmân = fede), colui
che crede in Dio, nei Suoi Angeli, nei Suoi Libri, nei Suoi Inviati,
nell’Ultimo Giorno (il “Giorno del Giudizio”), esprime il suo Islâm
nella pratica dei cosiddetti cinque “pilastri dell’Islâm”, che sono,
dopo la shahâda: la salât, la preghiera canonica rituale cinque volte
al dì; la zakât, una vera e propria tassa esatta dallo Stato per conto
della comunità secondo precise indicazioni a seconda dei beni e
ridistribuita a beneficio di precise categorie di aventi diritto; sawm
Ramadân, ovvero l’astinenza (piuttosto che “digiuno”) durante il mese
di Ramadân (il 9° del calendario lunare islamico), dall’alba al
tramonto di ogni giorno; il Hajj, il Pellegrinaggio alla Casa Santa (il
“Centro del mondo”, il “santuario” di Mecca che contiene anche la Ka’ba
con la Pietra Nera) in precisi giorni dell’anno, almeno una volta nella
vita.<br>
<br>
&nbsp;<br>
<span style="font-weight: bold;">IL JIHÂD E LA COMPONENTE GUERRESCA</span><br>
<br>
L’Islâm parte da una base realistica, e non descrive il mondo così come
ci piacerebbe che fosse, con gli agnellini accarezzati da belve feroci,
tipo l’iconografia di certe chiese statunitensi. La vita contempla
anche il combattimento, la lotta, e chiunque lo sperimenta ogni giorno.
La guerra fa parte della vita degli uomini e delle comunità. Ma
l’importante è stabilire delle regole che assicurino il rispetto di
alcune garanzie fondamentali e, soprattutto, contribuiscano a
ristabilire al più presto le condizioni per una pace con giustizia e
quindi duratura.<br>
<br>
La radice triconsonantica j-h-d veicola i significati di “sforzo”,
“impegno”, “assiduità”, “applicazione con zelo”. La forma verbale
jâhada significa “combattere qn.”, ma al-jihâd fî sabîl Allâh, è “il
combattimento sulla Via di Dio”, un “sacro sforzo” per avvicinarsi a
Lui. Qui l’Islâm distingue due tipi di jihâd: il “grande jihâd”, che è
quello contro le proprie passioni, contro l’anima concupiscente
dispersa nella molteplicità, ed un “piccolo jihâd”, quello da svolgere
con le armi in difesa della comunità. Quest’ultimo, come è scritto nel
Corano, non ha niente a che vedere con la guerra indiscriminata o
“totale” moderna, dove le prime vittime sono le popolazioni civili
proprio perché non esiste più la distinzione tra militari e non,
essendoci un solo soggetto che svolge operazioni di “polizia
internazionale” a caccia di ‘fuorilegge’ (e i popoli lo sono nella
misura in cui sostengono i “dittatori”: per questo c’è l’embargo…),
come nella migliore tradizione western. Tutto nel jihâd è sottoposto a
regolamentazione: dal trattamento del prigioniero, alla spartizione del
bottino eventualmente preso al nemico. Ma, ribadisco, il jihâd
interiore deve prevalere su quello esteriore, anche mentre si svolge
quest’ultimo, il che - s’intuisce – preserva il combattente dal
commettere inutili efferatezze.<br>
<br>
Purtroppo - e qui è evidente un processo degenerativo influenzato
dall’importazione di una prassi politica non islamica – molti movimenti
islamisti (lo studioso, invece, è un “islamologo”) assolutizzano il
concetto di “piccolo jihâd” e ne fanno il jihâd tout court: in ciò sono
assimilabili ai gruppi rivoluzionari laici, con l’unica differenza che
cercano una legittimazione di tipo religioso. Detto questo, non vuol
dire che i vari Bin Laden s’inventino dei problemi dal nulla: è semmai
il tipo di risposta che danno che andrebbe sostituita con altre più
genuinamente islamiche, ma non certo far finta che tutto vada bene e
limitarsi a conformistiche e rituali pubbliche condanne, comprese
quelle di “musulmani moderati” talvolta davvero patetici nel loro goffo
tentativo d’ingraziarsi i nemici dell’Islâm. Già che ci sono,
“musulmano moderato” non significa niente, se non “musulmano
funzionale”, poiché l’Islâm ricerca sempre la moderazione, la “via
mediana”, rifuggendo le esagerazioni.<br>
&nbsp;<br>
&nbsp;<br>
<span style="font-weight: bold;">AUTORITÀ E TRADIZIONE</span><br>
<br>
La corrente sunnita “ortodossa” è quella mediana sistematizzata da
al-Ghazâlî definita della ahl as-sunna [l’insieme delle tradizioni
profetiche] wa l-jamâ‘a (“la gente della sunna e della comunità”), con
ciò stabilendo che l’autorità risiede nell’interpretazione comunitaria
dei dati della Rivelazione con l’ausilio dei dotti versati nelle
scienze religiose (coloro che compiono l’ijtihâd, dalla stessa radice
j-h-d), e non in qualche personaggio carismatico magari dotato di
chissà quali poteri… In questo modo, l’unità della comunità è salva, e
si evita il frazionamento in mille sette, tanto più ingiustificate se
si pensa che nell’Islâm si ripete sovente che fî l-ikhtilâf rahma
(“nella differenza c’è una misericordia”). <br>
<br>
<br>
<span style="font-weight: bold;">IL SUFISMO</span><br
style="font-weight: bold;">
<br>
Il sufismo (at-tasawwuf), non è invece una “corrente” dell’Islâm, ma ne
costituisce piuttosto l’essenza, il nocciolo, la via lungo la quale ci
si può incamminare per raggiungere, grazie ad un’iniziazione, una
dottrina e un metodo sotto la guida di un maestro (shaykh) di una
tarîqa (lett. “via”, tradotto spesso con “confraternita”) ortodossa, un
grado di conoscenza più intimo della Rivelazione della cui luce
comunque il credente partecipa attenendosi alla pratica dei cinque
pilastri summenzionati e all’osservanza della sunna del Profeta. <br>
<br>
Difatti, dev’essere chiaro che non è pensabile seguire il Sufismo e non
essere musulmani, poiché il Sufismo è l’approfondimento della
“testimonianza di fede” (“Non c’è divinità se non Iddio, e Muhammad è
l’Inviato d’Iddio”), per estinguere il sé individuale ed identificarsi
col Sé universale. In pratica il sufi per questo mondo è già morto,
sebbene sia ancora in vita, non avendo altra preoccupazione che la
contemplazione e la glorificazione di Dio, il cui nome (Allâh) ricorda
incessantemente col dhikr (“menzione”). In una pubblicazione islamica
integralista-modernista (i due punti di vista sono apparentemente
antitetici) ho letto una volta che “il sufismo non è Islâm”: si deve
invece affermare che il Sufismo ortodosso, quello cioè trasmesso
attraverso catene iniziatiche ininterrotte che partono dal Profeta, e
che conta ancora numerosi aderenti in tutto il mondo islamico alla
ricerca di un sincero percorso di rigenerazione spirituale, è non solo
genuinamente islamico, ma è il miglior antidoto contro qualsiasi forma
d’estremismo.<br>
<br>
<br>
Enrico Galoppini <br>
<br>
<p class="MsoNormal"><span style=""><span lang="IT" style=""><span
style=""></span></span></span></p>
<p class="MsoNormal"><i style=""><span lang="IT" style="">Enrico
Galoppini insegna Storia dei Paesi islamici
all'Università di Torino, ed è autore di "Il Fascismo e l'Islam"
(Parma 2001). Scrive per varie testate, fra cui Limes, Eurasia,
Levante,
Meridione/Oltremare, Italicum, La Porta d'Oriente, Estovest, ed è uno
dei
fondatori del sito <a href="http://www.aljazira.it/">Aljazira.it</a>.</span></i></p>
<p class="MsoNormal"><i style=""><span lang="IT" style=""></span></i></p>
<p class="MsoNormal"><i style=""><span lang="IT" style=""></span></i></p>
<b style=""><i style=""><span lang="IT" style="font-size: 10pt;">La
presente scheda è stata compilata per
luogocomune.net estrapolando alcune
parti di un’intervista rilasciata da Enrico Galoppini ad Antonello
Cresti per
le Guide “<a href="http://guide.supereva.com/controcultura/">controcultura</a>”
di Supereva. L’intervista completa è <a
href="http://guide.supereva.com/controcultura/interventi/2005/04/205342.shtml">qui</a>.</span></i></b><br>
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