I militari vogliono il controllo di Internet

Data 16/8/2012 3:50:00 | Categoria: news internazionali

Sembra che i militari si stiano finalmente accorgendo del mostro che hanno creato, involontariamente, una ventina di anni fa.

Il mostro naturalmente è Internet, una invenzione del Pentagono - che allora si chiamava Arpanet - che in pochi anni sarebbe diventata l' "autostrada dell'informazione" per tutto il mondo.

Ed ora i militari vorrebbero ottenere dal governo americano il permesso di intervenire direttamente sulle reti private di Internet, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo, "per potersi difendere da eventuali attacchi cibernetici" che possono arrivare in qualunque momento.

A questo scopo era già stato creato, due anni fa, il cosiddetto Cyber Command, una specie di "centro di comando" cibernetico del Pentagono, che però autorizza i militari ad intervenire solo in difesa dei propri sistemi interni di comunicazione. Ora invece gli uomini in divisa vorrebbero essere in grado di intervenire dappertutto, "per bloccare o redirigere virus, oppure disabilitare server situati all'estero, e prevenire il lancio di malware distruttivo".

Siamo quindi alle solite: cambia il territorio d'azione, ...

... ma la mentalità di questi personaggi rimane la stessa. Quello che era "guerra preventiva" fatta con i carri armati vorrebbe diventare anche "guerra preventiva" a livello cibernetico. La Cina "minaccia" di penetrare il nostro sistema di sorveglianza satellitare? E noi gli spariamo un bel sarchiapone da 10 terabytes nella rete nazionale che gli fa uscire per una settimana tutte le scritte in arabo. Così sono avvisati.

Ovviamente, i termini della richiesta sono volutamente confusi, e tutti si ripromettono di usare le nuove facoltà "solo per casi estremi in cui sia in pericolo la sicurezza nazionale". Ma sappiamo bene quale sia l'atteggiamentio dei nostri amici in grigioverde, ogni volta che gli metti in mano una nuova arma di qualunque tipo: First we shoot, then we ask for your name. Prima ti spariamo, poi ti chiediamo come ti chiami.

Scatta inoltre, in questo scenario già volutamente ambiguo, la decennale competizione fra le varie agenzie federali per avere la giurisdizione su eventuali interventi di tipo cibernetico. La FBI dice "spetta a noi, perché siamo noi che combattiamo il crimine in America". La NSA (National Security Agency, gli "spioni" per eccellenza) dice: "spetta a noi, perché siamo noi a controllare tutto il settore delle comunicazioni". Il Pentagono dice: "spetta a noi, perché abbiamo il compito di difendere la nazione americana". Lo Homeland Security Department dice: "spetta a noi, perché siamo incaricati di tutto quanto sopra." (Gli israeliani invece stanno zitti, e intanto controllano tutto loro).

Questo significa che una legislazione che permetta veramente di impadronirsi di internet non arriverà probabilmente mai. Mettere d'accordo tutte queste agenzie equivale a mettere d'accordo cinque amici per andare tutti a vedere lo stesso film: è fisicamente impossibile.

Ma se anche per caso ci riuscissero, rimane un piccolo problema da risolvere: chi va a dirlo a Google, Amazon e tutti gli altri mostri commerciali della rete, che "da oggi possiamo spegnervi i server come e quando ci pare" senza che quelli scatenino immediatamente le proteste di decine di milioni di persone?

Come scrivevamo otto anni fa "Ci vorrà del tempo prima che ... l'elite si renda conto fino in fondo della serpe che si è covata in seno (l'Internet, sublime paradosso, è stato inventato dai militari USA, come "arma segreta")".

Sembra che il momento - allelujah - sia finalmente arrivato.

Otto anni fa però abbiamo anche scritto: "Non solo le implicazioni commerciali rendono oggi l'Internet indispensabile alla struttura economica dell'Occidente, ma a questo punto sarebbe teoricamente impossibile sopprimerlo, per il semplice fatto che un qualunque tentativo in quel senso verrebbe immediatamente denunciato al mondo tramite Internet stesso. Ovvero, l'arma che ferisce è anche il proprio sisteme di difesa migliore."

Auguriamoci che la seconda parte della nostra "profezia" sia vera almeno quanto la prima.

Massimo Mazzucco

Fonte: Washington Post



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