Cossiga e l'eccidio di Moro

Data 6/3/2012 8:30:00 | Categoria: politica italiana

di Ferdinando Imposimato

Tra pochi giorni ricorre l'anniversario della strage di via Fani e dell'assassinio dei carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci e dei poliziotti Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino. Quel giorno Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, fu rapito e tenuto prigioniero per 55 giorni in via Montalcini.

Alcuni giorni fa il capo dello Stato Giorgio Napolitano è andato a ricordare in Sardegna, afflitta da una grave crisi economica, Francesco Cossiga e Antonio Segni, ex presidenti della Repubblica. Ora, in occasione del trentaquattresimo anniversario della tragedia di via Fani, che cade il 16 marzo 2012, ci aspettiamo che il capo dello Stato non solo commemori i caduti del 16 marzo, ma che in via Montalcini ricordi il sacrificio di Aldo Moro: in quella prigione senza targhe, lo statista democristiano visse il suo calvario di 55 giorni e fu ucciso il 9 maggio del 1978.

Ciò che amareggia è che molti hanno dimenticato che Francesco Cossiga ripetutamente rivolse gravi accuse a Moro, sia in diverse interviste al Corriere, sia nel suo memoriale a Renato Farina. Cossiga disse, poco prima di morire, ...
... che «mai assolutamente sarebbe diventato fascista», se fosse stato adulto all'epoca in cui il fascismo nacque. Ed aggiunse che «molti democristiani lo sarebbero stati: Aldo Moro, ad esempio, e sarebbe stato un grande politico fascista, se avesse avuto un'altra età a quel tempo». E ancora: «Moro era un intellettuale. Per lo stesso motivo sarebbe stato fascista» (R. Farina, “Cossiga mi ha detto”, Marsilio, p. 79-80).

Il presidente Napolitano conosce queste affermazioni false, che offendono gravemente la memoria del principale artefice della nostra Costituzione, colui che affermò che la nostra Carta fondamentale «è antifascista, e non afascista»? E conosce le rivelazioni mai smentite di Steve Pieczenik - «io (Pieczenik, ndr), con Cossiga ed Andreotti, decidemmo di lasciarlo morire», uomo del Dipartimento di Stato e agente della Cia, consulente del ministro Cossiga al tempo del sequestro?

Pieczenik disse ad Emanuel Amarà, grande giornalista francese: «Francesco Cossiga ha approvato la quasi totalità delle mie scelte. Moro era disperato e doveva senza dubbio fare ai suoi carcerieri rivelazioni importanti su uomini politici come Andreotti. È stato allora che Cossiga e io ci siamo detti che era arrivato il momento di mettere le BR con le spalle al muro. Abbandonare Moro e lasciare che morisse con le sue rivelazioni. Sono stato io a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro, allo scopo di stabilizzare la situazione italiana». Esattamente la filosofia che ispirò la strategia della tensione.

In realtà non c'è stata alcuna fermezza, c'è stata una vergognosa messa in scena: il falso comunicato numero 7 che concorse ad accelerare la uccisione di Moro da parte delle BR.

Il piano fu attuato da uomini della P2 al vertice dei servizi militari, attraverso mafiosi della Magliana. Lo disse Pieczenik e lo ripetè Danilo Abbruciati al giornalista Luigi Cavallo: «per Moro abbiamo fatto tutto e subito».

Cossiga, su sollecitazione di Licio Gelli, inserì nel comitato di crisi del Viminale, che gestì il caso Moro in senso contrario alla sua salvezza, affiliati alla P2 tra cui Federico Umberto D'Amato, già capo del disciolto ufficio affari riservati del Ministero dell'Interno (tessera numero 554), Giulio Grassini, capo del Sisde (tessera numero 1620), Giuseppe Santovito, capo del Sismi (tessera numero 1630); Walter Pelosi capo del Cesis, (tessera numero 754), il generale Raffaele Giudice, comandante generale della Guardia di Finanza (tessera 535), il Generale Donato Lo Prete, Guardia di Finanza (tessera 1600), l'ammiraglio Giovanni Torrisi, capo di Stato Maggiore della Marina (tessera numero 631). Ancora: il colonnello Giuseppe Siracusano (tessera numero 1607), il prefetto Mario Semprini (tessera numero 1637), il professore Franco Ferracuti (tessera 2137), agente della Cia e consulente personale del senatore Francesco Cossiga, il colonnello Pietro Musumeci dell'Arma dei Carabinieri, vice capo del Sismi (tessera 487).

Era proprio il caso di onorare la memoria di Francesco Cossiga, dimenticando tutto questo?

Oggi la rimozione della tragedia Moro dalla coscienza collettiva dimostra che in questi cinquant'anni nulla è cambiato nel nostro povero Paese.

Ferdinando Imposimato

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