Lettera ad un “amico di scienza"

Data 8/7/2009 10:50:00 | Categoria: Medicina

Continua il percorso di riflessione di un medico che ha saputo leggere nella vicenda di Simoncini - oltre alle potenziali implicazioni del caso specifico - la quintessenza stessa del problema scientifico: da quale punto in poi le presunte certezze possano diventare assiomi inamovibili, e dove invece sia necessario mantenere lo spazio per eventuali correzioni, se non per vere e proprie inversioni di rotta. Inutile dire quanto sia prezioso ed importante il suo esempio rispetto a tutti coloro che, di fronte alla stessa problematica, preferiscono invece rifugiarsi nel comfort delle certezze acquisite, piuttosto che rischiare di rimettersi in discussione (per non parlare di coloro che, forti di queste certezze, si scagliano con violenza contro chi ne ha osato dubitare). Questo naturalmente vale per la medicina come per qualunque altro aspetto della conoscenza umana. (M.M.)

Lettera ad un “amico di scienza" – di Sergio Brundu

Quando la prima volta fu presentata su questo sito, nel 2006, la tesi unica del cancro, ponendo al centro la candida e la terapia con bicarbonato, provocò un piccolo terremoto, ed un immediato schieramento su due fronti opposti: le due famose squadre, quella azzurra e quella gialla.

In prima battuta, per chi è abituato a ragionare per schemi legittimi, da lungo tempo consolidati, medico-biologici o scientifici in generale (me compreso), la reazione istintiva fu quella di rigetto. Rigetto per una tesi che disconosce gran parte della conoscenza medica, ribaltando i termini del problema cancro.

Dunque, capisco perfettamente la tua reazione sia in termini razionali che emotivi; in termini razionali so bene quanto la conoscenza scientifica ci possa guidare nelle scelte concettuali e professionali, ...
... so quanto valga dentro di noi come consolidata convinzione e guida ciò che abbiamo acquisito faticosamente nel tempo. Ma so anche, come “uomo di scienza“, quanto la convinzione scientifica possa essere non solo temporanea ma spesso radicalmente “controversa”.

Personalmente in medicina considero le mie diagnosi, fino a prova contraria, prudentemente solo temporanee. In realtà tutte le diagnosi dovrebbero essere temporanee, tutte le idee e i concetti dovrebbero possedere - per sicurezza intrinseca della scienza stessa - il pregio di essere virtualmente temporanei, per non confonderli mai con il dogma di fede tipico della religione, e far sì che, essendo liberi da tali virtuali catene, possono evolversi se debbono farlo.

Se è vero che la materia è nell’universo un elemento “instabile ed inconsistente”, figuriamoci il nostro pensiero!

Ho quindi cercato di pormi di fronte a questa “sfida scientifica“ con sufficiente apertura mentale, per riuscire eventualmente a cogliere e recepire ciò che la razionalità mi avesse potuto suggerire.

A questo atteggiamento dovrebbe corrispondere, teoricamente, un buon atteggiamento emotivo, che consenta un minore condizionamento e una minore resistenza a rigettare, o comunque rimettere in discussione, le legittime conoscenze su cui ci basiamo tutti i giorni.

In altre parole, il percorso scientifico dovrebbe sempre essere considerato “in fieri”.

In definitiva, se per un attimo torniamo a rivedere con mente libera i passaggi concettuali su cui basiamo la nostra “scienza”, spesso vi troviamo delle lacune, spesso riscontriamo collegamenti azzardati o comunque discutibili, altre volte ancora, inconsapevolmente, confondiamo ciò che è oggettivo con ciò che non lo è necessariamente, attribuendo un valore eccessivo ad aspetti che possono invece essere in corso evoluzione.

Questo meccanismo si verifica in realtà molto più spesso di quanto crediamo, specie nel campo della medicina, che scienza non è affatto, in senso proprio del termine, e che considera consolidati, a volte con troppa sicurezza, apprendimenti ancora a venire.

A complicare ulteriormente la “spinosa” questione, è stata proposta da più parti una serie di contestazioni (anche legittime e spesso molto condivisibili), sul metodo stesso con cui opera la medicina scientifica, che avoca inoltre a sè il privilegio di essere considerata - a mio parere legittimamente - medicina “ufficiale”.

Non si può che essere ingenui, anche come uomini di scienza, nel pensare che tale sistema non sfrutti minimamente la stessa conoscenza scientifica per fini a volte non propriamente nobili, che niente hanno a che fare con la scienza stessa! E’ in questo modo che l’uomo di scienza, nella società contemporanea, viene spesso “derubato” della sua onestà intellettuale.

E di questo, egli dovrebbe sentirsi offeso! … Mentre invece a volte …

L’analisi del sistema, infine, consente anche di rendersi conto che alla stessa conoscenza - che già per sua natura, se collocata al posto “giusto”, determina potere - viene spesso precluso l’accesso, quasi come se si trattasse di accedere a un santuario.

A tal proposito, qualcuno nel 2006 sostenne dei concetti che io condivido: Lei mi conferma che un qualunque medico, nelle condizioni di Simoncini, potrebbe semplicemente presentare il proprio lavoro ad una rivista medica "che conta", e se fosse ritenuto valido verrebbe sicuramente pubblicato? […] Risponda onestamente se la cosa è DAVVERO possibile, nel mondo di oggi, senza bisogno di essere raccomandati, ammanicati, presentati, o direttamente benedetti da qualcuno che conta. (Si parte ovviamente dal presupposto che il "simoncini" di turno qualcosa in saccoccia da mostrare ce l’abbia!)

Dunque, in relazione a questa serie complessiva di considerazioni, vorrei comunicare “all’amico di scienza” le convinzioni maturate in merito a questa faccenda, che non rappresentano affatto convincimenti spregiudicatamente favorevoli alla teoria unica del cancro, bensì certezze sul fatto che la convinzione teorica di ognuno, compreso la mia, sia sempre idea sospesa nel pensiero.

Per questo motivo, essa stessa non può rappresentare una condizione aprioristica in casi di dubbia evidenza, come nel caso dell’ ipotesi fungina del Dr. Simoncini, che considero comunque persona scientificamente onesta. Trattasi di fatto di una ipotesi corredata da tutta una serie di elementi controversi e discutibili, che richiederebbero a mio avviso un approfondimento adeguato.

La medicina come metodologia applicata all’uomo, infatti (ma anche tutte le vere scienze) non procede e non può procedere per teorizzazioni blindate e fine a se stesse (se non nelle fasi preliminari di ogni ulteriore passaggio), ma nel momento successivo necessita di calarsi obbligatoriamente nella ricerca delle evidenze.

Per questo sarebbe auspicabile un lavoro descrittivo e finalizzato dei tumori e delle loro lesioni a distanza (MTS), come augurato da Simoncini, da effettuarsi specialmente nelle fasi preliminari, ma anche di un lavoro di rapporto statistico che possa essere la base di un eventuale - e dico eventuale - correlazione epidemiologica tra candida e cancro.

Spero di aver espresso dei concetti scientificamente condivisibili per un “amico di scienza”, ma anche per il comune lettore.

Sergio Brundu (Vulcan)




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