Dr. Joseph Stranamore

Data 21/4/2008 8:20:00 | Categoria: chiesa e religione



E’ uno strano amore, quello che Joseph Ratzinger sembra provare per il resto dell’umanità. Sembra quasi un amore dettato dalla ragione, che esce da un preciso calcolo cibernetico, generato in un punto che sta fra gli occhi e la fronte, e non da una pulsazione emotiva, inconscia e incontrollabile, che origina dal centro del suo petto.

Quando Ratzinger parla, pronuncia spesso la parola amore, ma non la vive mai davvero, nemmeno per un istante. E' come se ne avesse pudore. A volte sembra quasi non appartenergli, come se ne ignorasse il vero significato, e la pronunciasse con il timore di venire scoperto nell’usarla senza averne il diritto.

E’ stato agghiacciante, sentirlo parlare per pochi secondi dalle rovine di Ground Zero, sullo sfondo metafisico di una ferita mai rimarginata, mentre elencava freddamente le varie “categorie” dei colpiti a morte, ...
... come se fossero i diversi gruppi di boyscout da richiamare all’appello, prima di rientrare dalla gita domenicale. Gli “eroici soccorritori”, i pompieri, i poliziotti, il personale di emergenza, gli impiegati della Porth Authority, oltre naturalmente alle tremila vittime “la cui unica colpa è stata di venire abitualmente a lavorare in quel posto”.

Come se le centinaia di iracheni che muoiono ogni giorno sotto le bombe americane siano gente che insiste per trovarsi in quei luoghi a tutti i costi.

“O Dio di amore, compassione e guarigione, volgi il tuo sguardo a noi” ha detto Ratzinger all’inizio del suo discorso. Ma lo ha detto quasi come se dubitasse che ci fosse qualcuno ad ascoltarlo, con la stessa intensità emotiva con cui ci recita il miliardesimo rosario freddo, meccanico, identico a mille altri, e vuoto più di ogni altro.

Stonava, accanto a lui, il porporato che gli reggeva deferente il testo scritto, come se fosse un sacro passaggio di Giovanni. Stonava, sul lato opposto, il porporato che gli teneva il microfono come se il papa fosse una rock star. Stonava l’altarino triste e minuto, così volutamente minimalista che in un luogo così austero riusciva quasi ad apparire triviale. E più di tutto stonava la Mercedes papale parcheggiata pochi metri alle sue spalle, come l’auto di uno che è sceso di corsa a comprare le sigarette, e dalla fretta non si è nemmeno curato di parcheggiare adeguatamente.

Il discorso di Ratzinger a Ground Zero si è ridotto a un elenco di banalità e di formule vuote, continuamente intrise di invocazioni ad un Essere nel quale nemmeno lui sembrava credere fino in fondo.

Addirittura offensivo poi è stato il modo in cui Ratzinger ha creduto di liberarsi del problema pedofilia, dopo l’enorme attesa che questo fatto aveva suscitato nei cattolici americani: convinto che bastasse nominare la questione per tre o 4 volte, senza mai affrontare un vero e proprio mea culpa, Ratzinger ha creduto di cancellare con un colpo di spugna una profonda offesa alla storia del cristianesimo che lui stesso ha contribuito a perpetrare in prima persona.

Almeno avesse finto di addolorarsi per quello. Almeno si fosse inginocchiato e avessa abbassato il capo a terra, per un momento soltanto. E invece nulla: sprezzante e altero come sempre, gli è bastato dire che “ovviamente da oggi i preti pedofili verranno cacciati”, per sentirsi a posto con la sua coscienza, con i suoi fedeli e con Dio.

Stonava tutto, in questo papa, ovunque andasse e qualunque cosa facesse. Stonava il suo gelo interiore nel parlare, stonava la sua evidente noia per il tutto, stonava il suo chiaro disprezzo per chi non è come lui, stonava la sua finta compostezza nei cerimoniali, stonavano le sue scarpine rosse mentre procedeva nei corridoi delle Nazioni Unite, che unitamente al suo abito lo rendevano più simile a una popolana grassa e barocca che va a far visita al signorotto locale, che non a un moderno e responsabile pastore di un miliardo di fedeli.

Stona attorno a Ratzinger tutto quel bianco, del quale cerca disperatamente di adornarsi, per scacciare chissà quali ombre, che sembrano perseguitarlo ovunque vada.

Mette angoscia il suo sguardo angosciato, sempre mobile e attento, mai rilassato, mai sincero, mai disteso, rassicurante o rassicurato. Sempre all’erta, come se Ratzinger temesse di vedere qualcuno spuntare fra la folla non per sparargli, ma per arrestarlo e rinfacciargli dei peccati, delle colpe, dei silenzi e delle ipocrisie che solo lui sembra conoscere.

Di fronte a questa immagine, di estremo gelo esteriore e interiore, il ricordo di papa Woytila diventa qualcosa di assolutamente doloroso e impensabile.

Massimo Mazzucco




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