L'inizio della rivoluzione

Data 1/9/2007 10:20:00 | Categoria: politica italiana

Era iniziata così, quasi per sbaglio, in un lontano giorno del 2007. Un gruppo di ministri era sceso in piazza per protestare contro alcune scelte del governo, e questo aveva messo in moto una lunga reazione a catena che ci ha portato fino alla situazione in cui viviamo oggi.

Normalmente, a quei tempi, le manifestazioni di piazza avevano uno scarso effetto, ed erano considerate più che altro un simpatico retaggio del passato (c’erano ancora molti cittadini che “avevano fatto il sessantotto“, e ricordavano con un sorriso nel cuore il cosiddetto “autunno caldo”). Ma, che scendessero in piazza pacifisti, macellai o farmacisti, di solito non cambiava mai nulla: un paio di minuti al TG, un paio di colonne sulla prima del Corriere - tanto per far finta che la gente contasse qualcosa - e poi tutti sotto a lavorare, esattamente come prima, per il bene di nonsiemaicapitochi.

Ma quella volta fu diversa: nel 2007, a manifestare in piazza erano scesi dei ministri, e questo aveva posto i cittadini di fronte ad una situazione a dir poco sconcertante: nemmeno Bertrand Russel, l’inventore dei più noti paradossi al mondo, ...
... avrebbe saputo arrivare a tanto: che un barbiere rada tutti coloro che nel suo paese non si radono da soli – ponendo l’impossibile quesito se il barbiere rada se stesso o meno – era ancora qualcosa di concepibile, ma che degli eletti dal popolo scendessero in piazza per protestare contro scelte che essi stessi avevano fatto, superava ogni possibile capacità di comprensione.

Ma, anche se i cittadini non riuscivano a dare un senso logico a quel gesto, in qualche modo ne colsero il significato profondo, e iniziarono a formare dei comitati per chiedere alla Magistratura il permesso per ritirare il proprio voto: la nostra Costituzione a quel tempo non prevedeva un passaggio del genere, ed inizialmente il permesso non venne concesso. Ma i cittadini insistevano, dicendo: “Se il governo protesta contro le proprie azioni, significa che non è soddisfatto del proprio operato, e questo a sua volta significa che noi abbiamo sbagliato nel dare loro il nostro voto. Ora, perché permettere a queste persone di continuare ad operare nel nostro nome, quando sono lori i primi a non avere fiducia in se stessi? Una volta riconosciuto un errore, non è meglio porvi rimedio al più presto, prima che diventi troppo tardi per tutti?”

Si discusse per un po’, ma alla fine il Consiglio Superiore della Magistratura riconobbe che il ragionamento era valido, e concesse finalmente ai cittadini la facoltà di ritirare il proprio voto.

Seguirono anni difficili, anni di assestamento, nei quali il voto non rappresentava più una delega a senso unico, ma una pregiata merce di scambio, da gettare in continuazione sulla bilancia dell’operato dei diversi governi.

In realtà, qualunque governo si avventurasse al potere, si ritrovava entro poco tempo a scendere in piazza contro se stesso, dopo aver riconosciuto la propria incapacità nel portare a termine un qualunque programma presentato in campagna elettorale.

Talmente automatico divenne questo meccanismo, che dopo una decina di legislature - finite invariabilmente con una clamorosa auto-bocciatura - i cittadini decisero di iniziare ad organizzarsi da soli, per mandare avanti nel frattempo la baracca.

Nascevano così comitati di quartiere, comitati provinciali e regionali, comitati di bambini e comitati di insegnanti, comitati di condominio, comitati di elettricisti e comitati di ragionieri, comitati familiari e comitati nazionali. Ciascun problema veniva analizzato e affrontato direttamente dalla gente, o da chi venisse di volta in volta designato a farlo, senza stare troppo a perdere tempo in parole vuote e discorsi inutili: c’era bisogno di una nuova discarica per le immondizie che si accumulavano in una delle nostre metropoli? I rappresentanti dei comuni interessati si riunivano, decidevano a maggioranza, chi accettava la discarica chiedeva agli altri qualcosa in cambio, e tutti mettevano in atto quanto deciso.

Le industrie farmaceutiche proponevano un nuovo medicinale che prometteva miracoli nella cura contro il cancro? Si formava un comitato apposito, fatto di medici, di malati e di gente normale, che seguiva da vicino e verificava di persona le procedure e gli effetti della sperimentazione di quel farmaco.

Gli americani volevano mettere una nuova base militare sul nostro territorio? L’asta era aperta a tutti: ciascun comune, fra quelli che avevano deciso di rendersi disponibili, poteva liberamente trattare con gli americani sulle condizioni e i benefici per la concessione dell’uso del loro territorio.

E soprattutto, i preti nati sul territorio italiano erani stati sottomessi alle stesse identiche leggi di tutti gli altri italiani. Pensate, alla fine pagavano le tasse pure loro.

Poi, purtroppo, mi svegliai: era stato soltanto un sogno, e mentre aprivo lentamente gli occhi intravvedevo nel televisore acceso la ghigna satanica di Clemente Mastella, che agitava sudato le braccia e sbraitava qualcosa da un palchetto elettorale, proprio come quelli che si usavano nel lontano 2007.

Massimo Mazzucco





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