Da Noam Chomsky a Marco Travaglio: lo strano destino del gatekeeper

Data 23/4/2007 9:30:00 | Categoria: terrorismo



Già stupisce non poco vedere persone colte, preparate, e aggiornate - nei più diversi settori della nostra società - che si sciolgono come neve al sole di fronte alla fatidica barriera dell'11 settembre. Ma si rimane letteralmente sconcertati nel vedere noti personaggi come Noam Chomsky o Marco Travaglio - intellettuali "impegnati", che hanno saputo costruirsi un largo seguito con una carriera decisamente meritevole - che si trovano improvvisamente ad annaspare di fronte alla semplicissima domanda: "perché non parli mai di 11 settembre? ".

E le loro risposte, spesso puerili e raramente convincenti, rivelano un aspetto inquietante che vale forse la pena di approfondire meglio.

Riguardo all'11 settembre Chomsky sostiene, in sintesi, che sarebbe stata una follia, da parte del governo americano, pensare di mettere in atto un'operazione così delicata e complessa. Sarebbe infatti stato impossibile portarla a termine senza lasciare tracce - continua Chomsky - che avrebbero permesso di risalire rapidamente ai colpevoli, e questo era un rischio che i grossi personaggi dell'amministrazione americana non si sarebbero mai sognati di correre.

È decisamente una risposta sbrigativa e poco sincera, …
… poiché è lo stesso Chomsky a ricordarci quotidianamente con quale sfacciataggine, arroganza e presunzione la stessa amministrazione americana eserciti oggi il proprio potere, violando apertamente le leggi senza mostrare paura di nessuno.

E infatti - bisognerebbe ricordare a Chomsky - le tracce che permettono di risalire ai presunti colpevoli ci sono eccome, e ormai ne abbiamo mostrate in abbondanza, ma stranamente non si riesce a portare in tribunale nessuno di questi personaggi.

Chomsky invece sostiene che le teorie alternative (o "complottiste") siano solo aria fritta, e che non reggano alla più semplice verifica di un approccio scientifico.

Stupefacenti parole, ancora una volta, poiché non si può immaginare che Chomsky non conosca, ad esempio, i lavori di Steven Jones, che denunciano la versione ufficiale proprio da un punto di vista scientifico, con tesi che finora, fra le altre cose, non risultano esser state confutate da nessuno. Né si riesce a immaginare che una persona storicamente preparata come Chomsky non riesca a vedere le palesi analogie con il passato, e non sappia intravvedere nel documento programmatico del PNAC la "roadmap imperiale" che sta venendo implementata con precisione nauseante a partire dal giorno stesso della sua pubblicazione.

John Kaminsky ha fatto circolare qualche tempo fa un lungo documento, a firma di Daniel Abrahamson, dal quale esce un ritratto di Chomsky decisamente diverso da quello che tutti conosciamo. (Su qualcuno si offrisse per tradurlo in italiano, gliene saremo grati).

°°°

Per quel che riguarda Marco Travaglio, abbiamo addirittura una sua risposta indirizzata al nostro sito: è stato infatti uno dei nostri utenti a porgli "da parte di luogocomune" la fatidica domanda, alla recente presentazione di un suo libro. Ecco lo scambio integrale, che trovate anche nel video accluso:

D - Lei ha parlato di Mentana, però Mentana è anche l'unico che tratta le versioni non ufficiali dell'11 settembre. Secondo lei perchè?

MT - Per fare un po' di spettacolo…

D - Secondo lei non hanno validità queste versioni...?

MT - Possono pure averle. Mentana lo sa benissimo che può parlare di tutti gli 11 settembre che vuole. L'importante è che non parla delle cose serie italiane. Poi parlare di America figurati sono capaci tutti.

D - Dice che è per questo che…

MT - Secondo te se uno parla della versione dell'11 settembre succede qualcosa?

D - In Italia, in televisione non ho visto nessun altro che la tratta…

MT - Non succede niente anche se ne parli. Cioè, non frega niente a nessuno. Tanto non c'è la prova nè che sia andata in un modo nè che sia andata nell'altro, quindi rimani a livello di illazioni.


Come vediamo Travaglio, più prudente di Chomsky, non nega a priori la possibilità di un "inside job", ma si rifugia dietro a una presunta impossibilità di dimostrare l'una piuttosto che l'altra tesi, dichiarando quindi un qualunque eventuale dibattito una semplice dispersione di energie. È certo sconcertante sentirlo "sparare" giudizi così generici e riduttivi su Mentana quando lo stesso Mentana, che nessuno nega "faccia spettacolo" - è il suo mestiere, ci mancherebbe - ha comunque messo in onda, fra mille altre cose, la dimostrazione inconfutabile che la torre numero 7 è stata abbattuta con esplosivi.

Ma più paradossale ancora, da parte di Travaglio, è la giustificazione che "parlare di America sono capaci tutti", evitando di parlare "delle cose serie italiane". Come se "le cose serie italiane" non dipendessero, sia direttamente che indirettamente, dai fatti dell'undici settembre, ma da qualche strana congiunzione astrale avvenuta in una remota galassia dell'Universo.

°°°

Verrebbe facile a questo punto capovolgere il teorema, e accusare proprio Chomsky o Travaglio di essere, ciascuno a modo suo, dei "gatekeepers", cioè i cosiddetti "guardiani della soglia" che conducono il gregge di sinistra per pascoli certo allettanti, ma decisamente lontani da quelli davvero importanti. Lo stesso Chomsky sottolinea, in una curiosa coincidenza con Travaglio, che "anche se per ipotesi fossero stati loro, non cambia nulla", e Chomsky estende questo concetto anche all'omicidio Kennedy.

Non c'è niente di più dannoso, di degradante, e in ultima analisi di "conservatore", di questa presunta impotenza del "popolo" di fronte ai poteri forti, che qualunque storico con un minimo di preparazione sa benissimo non essere vera: senza il pieno supporto popolare, anzi, sappiamo tutti bene che non è mai stato possibile dare inizio a una sola guerra al mondo.

Ma la cosa più difficile di tutte diventa a questo punto - almeno per il sottoscritto - credere che questi personaggi svolgano questo ruolo, decisamente deleterio, con la piena coscienza di farlo. Che Chomsky e Travaglio siano di fatto dei gatekeepers è fuori discussione: sappiamo infatti benissimo che se "parlassero di undici settembre" aggiungerebbero un peso notevole a quello che già riescono ad ottenere tutti coloro che lo fanno, mentre "grazie a loro" una buona fetta di pubblico rimane lontana da certe verifiche sui fatti di quel giorno. Ma c'è anche in loro una onestà di fondo, una trasparenza, una sincerità innegabile - diciamo "una pulizia" - che traspare sia dalle persone fisiche che dal loro lavoro, e che rende difficile pensare ad una forma di calcolo, o di "cinismo politico", così complessa e sofisticata.

Forse siamo noi gli ingenui, e il mondo è ancora peggio di quanto già abbiamo capito che sia, ma forse si tratta soltanto di un normalissimo limite umano - il "denial", o "diniego" - del quale tutti in qualche misura soffriamo, e di cui parliamo proprio nell'introduzione alla nostra Sezione 11 Settembre, sotto il titolo "Il vero problema è psicologico":

Come potrà constatare chiunque affronti l'indagine con mente aperta e sgombra di preconcetti, gli indizi contro la versione ufficiale si rivelano presto essere di una quantità sconcertante. Ma per arrivare a vederli con chiarezza, bisogna prima rimuovere quella spessa corazza protettiva che tutti noi portiamo, e che ci impedisce di vedere tutto ciò che in qualche modo non saremmo in grado di accettare. Se sentiamo che un certo discorso ci porta verso una conclusione poco gradita, alziamo tutti istintivamente una barriera di rifiuto - gli americani lo chiamano denial, o diniego - assolutamente solida e impenetrabile, anche a costo di apparire ridicoli davanti al mondo.

Significativa, in questo senso, è stata la testimonianza di David Ray Griffin - forse il più importante di tutti i ricercatori sull'undici settembre - al Convegno Internazionale di Bologna del settembre 2006: "Io sono arrivato tardi sulla scena - ha raccontato lo studioso americano - Inizialmente un amico mi sottopose queste "teorie alternative", ma dopo una rapida occhiata le respinsi come assolutamente inaccettabili. Solo dopo che mi furono sottoposte di nuovo, e con una certa insistenza, cominciai a vedervi qualcosa di sensato. A quel punto, nell'arco di due giorni, recuperai tutto il terreno perduto, e di colpo vidi chiara l'immagine di quello che era davvero successo quel giorno".


Nella speranza che Chomsky e Travaglio siano nelle stesse condizioni - e cioè in perfetta buona fede - e che trovino presto la forza e la voglia di affrontare un "guado" tanto poco invitante quanto indispensabile, urgente e necessario per tutti noi. Loro compresi.

Come scrisse qualcuno, "tutto ciò di cui il Male ha bisogno, per colpire, è che gli uomini di bene non facciano nulla".

Massimo Mazzucco



Un ringraziamento a Manneron per la breve ma significativa "intervista" a Marco Travaglio.




La fonte di questa news è Luogocomune
https://old.luogocomune.net/site

L'indirizzo di questa news è:
https://old.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=1784