Senza fissa dimora

Data 11/3/2007 16:40:00 | Categoria: Storie personali

di Giorgio Codazzi

Ieri sera sono rimasto al lavoro fino a tardi. Contavo di rientrare con il treno per Milano delle 20:30, e arrivai alla stazione di Rho con circa dieci minuti di anticipo. Ma quel treno non l'ho preso.

A terra, nel sottopasso della stazione, c'era una persona. Età apparente: quarant'anni. Era riversa a terra in una strana posizione supina, con le gambe piegate come se si fosse accasciata a terra prima andando avanti e poi cadendo indietro, priva di forze. Respirava andando continuamente in apnea e quando lo faceva era un respiro trascinato e rumoroso. In un primo momento pensai ad un barbone ubriaco che si era steso a terra, o a un drogato...
E' buffo che proprio il giorno prima, in uno dei miei tanti voli fantastici, avessi immaginato proprio in quel sottopasso, mentre stavo attendendo il treno, delle persone riverse a terra e prive di conscienza, bisognose d'aiuto...

All'esterno del sottopasso due operai stavano montando un cartello per la stazione. Ogni tanto entravano a vedere se la persona era viva o morta. Non capivo bene perché i passanti facessero domande al vento, come "che cosa é successo?" senza trattenersi, ma solo se mi approssimavo al poveretto; altrimenti tiravano diritto e facevano tutti finta di niente, anche se il sottopasso non ha arredi, ed il corpo privo di coscienza si vedeva molto bene.

Dopo qualche minuto capii che la situazione non era affatto quella che credevo: il tizio era in uno stato strano, non era cianotico e non odorava di alcool. Non aveva nessun odore e l'epiteto "di barbone" (se lo era) si poteva al più dare per i vestiti non certo firmati e le fattezze un po' arabe e un po' latino-americane (basso tarchiato). Ma non aveva vestiti laceri e portava sotto la schiena uno zainetto di discreta fattura. Era pulito e di aspetto decoroso, a parte le labbra secche e gli occhi aperti a metà, rivolti all'insù. Più lo osservavo, più mi rendevo conto che dovevo fare presto, e che le apparenze erano tutt'altro che indicatrici.

Non erano passati più di due minuti da quanto l'avevo visto la prima volta, e già gli operai erano scesi 2 volte e ora si erano messi di nuovo a trapanare in prossimità del cartello. Si sentivano in colpa? Non capivo se qualcuno si stesse occupando della faccenda e se fosse necessario il mio intervento. Andai dal loro per capirlo: "Avete telefonato a qualcuno per quella persona stesa a terra?" Chiesi. "Noi? No, ma sappiano di uno che é andato dal capostazione, forse hanno già chiamato". Mi precipitai in biglietteria. "Qualcuno vi ha detto che avete una persona stesa a terra nel sottopasso?" Il tizio dietro al vetro antiproiettile rispose: "Ah guardi, io non so niente, ma se vuole può provare dal capostazione, èla porta qui a fianco, provi a bussare". Un attimo ed ero dentro la porta aperta. Due persone intente a chiaccherare si voltarono verso di me. Non persi tempo a capire chi fosse il capostazione, e mi limitai a dire: "Qualcuno vi ha detto che avete una persona riversa a terra nel sottopasso?" Una delle due: "Guardi io sono arrivato adesso, non so niente, ma se vuole può chiamare lei".

Non attendo altre risposte. Esco e faccio il 113 con il cellulare, ma squilla a vuoto. Mi precipito allora in tabaccheria, perché non ricordavo il numero del pronto intervento medico, e volevo chiederlo. Non mi capita così spesso di farlo. Trovo il gestore e gli chiedo a bruciapelo: "Mi sa dire qual'é il numero del pronto intervento? C'é un barbone steso a terra nel sottopasso", e lui mi risponde: "118, ma non dica che é un barbone, o...".

Mio Dio, "...o cosa?" penso mentre compongo il numero. Ma non ho tempo per pensarci, decido di seguire il consiglio e non ripetere la gaffe. Compongo il numero mentre ripasso quello che ho da dire mentalmente.

Mi risponde subito la guardia medica. "Pronto? Sono in stazione a Rho, c'é una persona qui riversa a terra, sembra priva di coscienza e respira a tratti in apnea". "In che via?" mi sento domandare. Panico. A Rho c'é una sola stazione, ma io entro sempre dalla parte opposta e non conosco la piazza antistante. Balbetto di nuovo "la stazione di Rho", penso a quanto sia ottusamente burocrate il centralinsita. Poi cedo, chiedo al tabaccaio e ripeto meccanicamente al 118 il nome della piazza. Ancora al telefono faccio per tornare verso il poveretto steso a terra. Mi chiedono "adesso come sta?" "Un attimo, mi ero allontanato per cercare il capostazione, adesso torno verso di lui e ve lo dico..."

Mi viene un pensiero macabro, all'idea di cosa sarebbe successo se l'avessi definito un barbone: magari sarebbero arrivati il giorno seguente, direttamente con la bara. Mi chiedono se lo conosco, rispondo di no. Mi chiedono se é un "senza fissa dimora". Rispondo di no, non mi sembra. Allora mi danno indicazioni per accertarmi che non sia semplicemente svenuto, mi chiedono di scuoterlo e di chiamarlo. Eseguo, ma non ottengo nessuna reazione visibile. Mi dicono che richiameranno, che la squadra é uscita e sta per intervenire. La telefonata si interrompe.

Penso dentro di me "e se é un senza fissa dimora, lo sto aiutando o lo sto fottendo? Magari nemmeno aveva bisogno di aiuto!"

E' stranziante sentirsi impotenti, ma ancora di più non sapere dove stia il bene di ciò che fai mentre sei costretto a una decisione. E così che si sentivano i nostri padri fondatori? Chissà...

Poi penso: "possono sapere il mio numero di cellulare in tempo reale, e se capitasse a un senza dimora di essere al mio posto cosa succede? Magari rischia che gli mandino la polizia assieme all'ambulanza?" Non me l'avevano chiesto il numero, quelli del 118. Ma era sciocco, in fondo, mica sanno che sei un senza dimora dal numero... Non ancora, almeno spero.

Arriva la moglie del capostazione con aria preoccupata. Mi chiede se ho telefonato. Le dico di si che mi stanno per richiamare, che ho indicato la piazza fuori dalla stazione. Parte a andare incontro all'ambulanza e alla squadra. L'ingresso al sottopasso non é poi così facile da trovare, da quel lato.

Nel frattempo un signore distinto e brizzolato, sulla sessantina, si era fermato, e stavamo cercando di mettere quella persona in una posizione più comoda; dietro suo suggerimento gli stesi le gambe. Poi lui cerca di cambiargli la posizione della testa, ma un coro di voci di persone, che intanto avevano formato un piccolo assembramento di curiosi, lo ferma.

Mi richiamano al cellulare. Mi chiedono di adagiare il tizio su un fianco. Eseguo. L'assembramento reagisce "ma cosa stai facendo?" Indico loro il telefono, "me lo sta chiedendo il 118 - gli dico - mica me lo invento io!"

La squadra di soccorso appare. Tre persone: due ragazze e un uomo di mezza età. Si approssimano al poveretto. Con aria professionale una impacciata ragazza di circa 35 anni comincia a impartire ordini. Al telefono le chiedono ancora se si tratta di un "senza fissa dimora". Dice che no, non le sembra. Scuote il corpo, gli mette in bocca un pezzo di tubo di plastica a mo' di tappo. Dice che "allo stimolo doloroso reagisce", e mi chiedo se si riferisce al pezzo di plastica in gola. Tasta il petto e dice che é donna. Non me ne ero reso conto, ma poteva essere, anche se le sembianze erano decisamente mascoline, forse per il taglio corto di capelli.

Poi uno del "pubblico" dice: "ha uno zainettto sotto la schiena, non sarà il caso di toglierlo?"

Già, lo zainetto. Con tutto quello che era successo non mi aveva nemmeno sfiorato l'idea di rimuoverlo. E poi era bene? Bah. La "capa" della squadra intima alla più giovane: "taglialo via!" Immediatamente lo sguardo mi si posa sui vestiti miseri ma dignitosi. Una stretta pazzesca al cuore mi fa immedesimare subito con lo sconosciuto: "porca vacca pure lo zainetto, e se lo tagliano dove ne prende un altro?" Al giorno d'oggi non ti regalano niente. La ragazzina reagisce quasi all'unisono con il mio pensiero e mi soccorre: "Ma no! Non occorre tagliarlo, basta slacciarlo!"

Non me ne rendo nemmeno conto, e mentre dico "ma si slacciatelo" traffico già con le dita ad aiutare la ragazzina che agilmente in un attimo gli toglie lo zainetto e lo porge all'uomo di mezza età che chiude lo zip aperto senza dire nulla, come fosse stato il suo.

Mi rialzo: in teoria non avrebbero dovuto nemmeno farmi avvicinare. Pensai che era strano. Non avevano reagito. Mi allontanai per lasciarli lavorare, un secondo intervento poteva non risultare tanto fortunato. Non appena la ragazzina si prepara per tirare su il corpo e spostarlo sulla barella, interviene la capa: "No! Lo tiro su io, tu riporti il materiale". Si riferiva alle attrezzature di soccorso sparse per il sottopasso. Virtù del potere: decidi anche se non sei sveglio, per salvaguardare il tuo prestigio. La ragazzina si fa fa parte e raccoglie le cose da terra. Il sessantenne brizzolato che mi aveva aiutato a stendere la sconosciuta si offre subito di portarle una parte del materiale. La ragazzina sorride e acconsente.

La mettono sulla barella e la portano via: li guardo caricare il corpo in ambulanza e schizzare nella notte verso un ospedale, o così immagino; li seguo con lo sguardo, amareggiato, con tante domande in testa: "L'avrò aiutata? E se scoprono che non ha permesso di soggiorno, la cureranno ugualmente? La lasceranno in un corridoio del pronto soccorso perché sembra un extracomunitaria? Ma i suoi parenti come faranno a sapere di lei? E se non possono farsi vivi perché anche loro senza fissa dimora?"

Forse é solo la mia immaginazione, ma l'impressione netta era che quella poveretta fosse in stato di collasso nervoso ipertensivo, per mancanza di adeguato riposo. Nei tanti pensieri che si accavallavano nel mio cervello, per un istante ho pensato che quella ragazza fosse una sfruttata del lavoro nero.

Mi venivano in mente certi discorsi della strada, come: "adesso gli dovremo pagare pure l'assistenza medica con le nostre tasse!", oppure "ma cosa vengono qui a fare, a rubarci il lavoro e a fare i delinquenti?"

E poi mi venivano in mente le persone che pungolate da Piero Ricca sulle questioni di giustizia, TAV, malasanità e corruzione, e sugli spaventosi sprechi di denaro pubblico per gonfiare le tasche dei mafiosi correvano via a testa bassa, facendo finta di non vederlo o passando larghi per la strada; anche quel signore che risponde con una tronfia saccenza, sfidandolo: "non lo dovevate condannare Andreotti! Andreotti non si doveva condannare, eh!"

Ma la domanda sopra tutte che mi martellava incessante era una sola: "Dov'é finita la persona umana in questo circo?"

Tutti giocano con la pelle degli altri, ma alla fine chi paga, paga salato.

Giorgio Codazzi (Lamefarmer)



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