La galera di un blogger

Data 21/2/2007 9:20:00 | Categoria: dagli Usa

"Josh Wolf è in galera per chiunque abbia una videocamera, un block-notes, un microfono". David Greene, direttore del First Amendment Project di Oakland.

"Ma siamo in Bulgaria, o forse in Corea?" Bruce Brugmann, editore e redattore del San Francisco Bay Guardian.


Da 176 giorni, il blogger e giornalista freelance Josh Wolf rifiuta di fornire al tribunale il materiale girato durante una manifestazione contro il G8 del 2005, ed è rinchiuso in galera.

No, non siamo in Cina, siamo negli Stati Uniti d'America, carcere federale di Dublin, California. Il tribunale dice che qualcuno in quella manifestazione tentò di bruciare un'auto della polizia e vuole verificare il materiale di Josh. Josh rifiuta di consegnarlo e di sottostare a quello che sostiene essere un ricatto basato su un semplice pretesto, col reale obiettivo di permettere all'FBI di raccogliere informazioni pescando fra chi protesta e mettendo all'angolo la stampa indipendente, utilizzandola come un braccio della Legge. A Josh non è stato riconosciuto il diritto di proteggere il suo materiale, sancito dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d'America nel 1972.

Josh di recente ha scritto una lettera, tradotta qui di seguito e postata sul suo blog dalla madre. Una dura lezione su temi quali la libertà, il potere, il dissenso ...
... ed il ruolo dell'informazione nelle cosiddette "democrazie occidentali".


"Sono passati oltre 6 mesi da quando venni portato via da un'aula di tribunale in manette e catene nella Prigione Federale di Dublin. Ad oggi ho trascorso 168 giorni qui dentro e stando ai recenti pronunciamenti del giudice Alsup sembra che non uscirò molto presto.

Non avrei mai pensato che tutto questo potesse accadere. Mi hanno cresciuto insegnandomi che gli Stati Uniti sono il più grande paese del mondo. Che il dissenso è non solo permesso ma incoraggiato, e che abbiamo una stampa libera e protetta da interferenze governative. Una notte mi sono addormentato in un'America libera, ma mi sono risvegliato in uno stato di polizia. E' difficile dire quando tale trasformazione si è manifestata; molti potrebbero sostenere che è cominciata pian piano dopo l'11 settembre, alcuni direbbero che è venuta fuori con le menzogne che ci hanno trascinato nella guerra all'Iraq, e altri ancora direbbero che abbiamo imboccato questa strada subito dopo la Rivoluzione Americana. Non so dire con certezza chi abbia ragione, ma so certamente che il risveglio in questa cupa realtà è stato doloroso.

Molti mi chiedono perchè ho scelto di sacrificare la mia libertà personale, e ci sono molte ragioni dietro la mia presa di posizione. La più grande è il fatto che una stampa libera, in una democrazia, non può agire come un'estensione del Dipartimento di giustizia. Questo può essere sintetizzato nelle parole di Amy Goodman che di recente ha sostenuto che "noi dovremmo essere il quarto potere non per il Potere (Stato)" [the fourth estate not for the State].

Se il Procuratore federale può costringere i giornalisti a testimoniare su quanto hanno appreso tramite il loro lavoro e forzarli a mostrare i loro lavori non pubblicati allora non solo il pubblico non potrà più fidarsi dei reporter, ma i giornalisti stessi diventeranno di fatto dei vice e degli investigatori - un ruolo che pochi di noi vogliono e che io ho rifiutato di accettare. Non è una cosa nuova che pretendo, risale alla fondazione della nostra nazione ed è garantita dal Primo Emendamento della nostra Costituzione.

Thomas Jefferson una volta affermò, "Se dovessi scegliere tra un governo senza giornali o giornali senza un governo, sceglierei senza dubbio la seconda opzione". E con queste parole devo chiedermi come si sentirebbe nel vedere le persone che sono scese in strada l'8 luglio del 2005 a protestare contro un governo da cui non si sentono rappresentate e cosa penserebbe della copertura mediatica data alla loro lotta.

La seconda ragione che mi spinge a rifiutare di cooperare con la citazione in giudizio del Gran Jury è che l'intera storia non è come il governo vi ha fatto credere che sia. Questa faccenda non riguarda un videotape, nè l'identificazione di sospetti e nè tanto meno si tratta di fare giustizia. Se cosi fosse, il procuratore federale non avrebbe obiettato al fatto che il giudice esaminasse i miei spezzoni nel suo studio privato e sarebbe stato più ricettivo alle interrogazioni fatte dai miei legali.

No, questo caso non riguarda un videotape nè la giustizia. L'intera faccenda ruota attorno all'erosione dei diritti alla privacy e alla libertà di stampa. Riguarda l'identificazione dei dissidenti civili e l'utilizzo dei membri dei media come aiuto a quella che è essenzialmente una caccia alle streghe anarchiche. Questo è ciò che ho sempre sospettato sin dall'inizio, ma è diventato evidente con la recente risposta del governo alla nostra mozione. Non permetterò a me stesso di essere messo in condizione di consegnare loro degli anarchici che non sono colpevoli di nulla più che avere convinzioni politiche diverse dalla consuetudine americana.

Quante delle libertà promesseci nel Bill Of Rights [i primi 10 emendamenti della Costituzione Americana, ndt] sono ancora intatte? Quante libertà ancora saranno erose? Il futuro è incerto, ma nel presente l'esercito continua a guerreggiare in Iraq nel nome della libertà. Non so se ridere o piangere per la tragica ironia.

Il ruolo dei media è fare domande, puntare su queste inconsistenze, e pretendere risposte dai poteri. Questo è il motivo per cui i media sono sotto attacco e per cui è così urgente continuare a resistere. Perchè senza una stampa libera non potremo mai essere davvero liberi.

Concluderò con le parole di Mario Savio che definì il movimento per la Libertà di Parola circa 40 anni fa e che ancora oggi hanno una tremenda vitalità. Il 2 dicembre del 1964, nella città di Berkeley, Savio disse "C'è un momento in cui l'operazione della macchina diventa così odiosa, ti rende così crudele nel cuore, che non puoi farne parte, non puoi nemmeno tacitamente farne parte. E devi mettere il tuo corpo davanti alla marcia e davanti alle ruote, sulle leve, su tutto l'apparato, e devi farlo fermare. E devi indicare alle persone che lo guidano, che lo possiedono, che finchè non sarai libero, la macchina non funzionerà più".

Grazie, attendo speranzoso il mio ritorno a San Francisco, non appena il governo tornerà in sè e realizzerà che non sarò mai - non posso essere oggetto di coercizione.

Grazie ancora,

Josh Wolf"

Grazie a te, Josh.


Marco M


Il blog di John Wolf

Ne hanno parlato:

The New York Times

San Francisco Chronicle

IndyBay.org

The Guardian (UK)

ABC 7

International Herald Tribune (France)

Bloomberg News

Washington Post

Sacramento Bee

San Jose Mercury News

Reporters Without Borders





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