Bankestein revisited, dal baratto al baratro (parte seconda)

Data 30/11/2006 22:27:18 | Categoria: Economia

Ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare il mutuo

di Marco Bollettino

Capitolo 2: La moneta diventa "di stato"

Il sistema che si era venuto a creare era molto caotico. Le famiglie più potenti, infatti, avevano creato ognuna una propria zecca in cui coniare le monete, le quali spesso erano molto differenti per peso ed anche metallo utilizzato, siglandole col proprio stemma a garanzia di qualità.

Effettuare scambi e conversioni, specialmente tra monete costituite da metalli diversi, non era semplicissimo (alcuni negozianti esponevano come prezzo direttamente un peso in metallo) ed inoltre poteva capitare che la moneta emessa da una famiglia non venisse accettata dai membri della rivale, e viceversa.
[...]
In questo caos stavano lentamente emergendo due figure: quella dei cambiavalute e quella dei falsari. I primi effettuavano, a pagamento, il servizio di conversione tra i vari tipi di moneta in circolazione (anche quelle straniere), mentre i secondi avevano creato un vero e proprio laboratorio in cui fabbricare, con metallo poco pregiato, copie delle monete esistenti per poi ricoprirle con il metallo prezioso corrispondente.

Il Capovillaggio aveva in mente una soluzione a questo problema e la espose alla popolazione:

“Vi ho riuniti qui in assemblea per parlarvi del gravoso problema della moneta che ci angustia sempre più in questi giorni. Essa, sebbene molto utile, sta diventando, per il nostro villaggio, motivo di divisione e non di unione: mette famiglia contro famiglia e crea confusione tra la gente.

Ma sono qui per proporvi una soluzione che spero accetterete di buon grado.

Se adottassimo, infatti, una moneta comune per il nostro villaggio, il cui peso e la cui qualità siano garantiti dalla zecca dello Stato, non sarebbe meglio per tutti?

Pensateci bene.

Una sola moneta con cui fare i conti e niente più conversioni, almeno negli scambi tra cittadini.
Una moneta accettata da tutti perché garantita dal governo del villaggio, che vi rappresenta.
Un simbolo della ricchezza del nostro villaggio da esportare nel mondo ed un modo per sentirci tutti uniti.

Per risolvere il problema dei falsari, infine, adotteremo dei metodi per rendere più difficile la loro attività e daremo loro la caccia per punirli di aver truffato la gente del villaggio!”


La proposta ebbe un grande successo.

In poco tempo tutte le monete precedenti furono rese illegali e venne creata un'unica moneta, con in rilievo il simbolo del villaggio e dentellata sui bordi per contrastare il fenomeno delle monete subereate, ovvero con anima in rame e foderate poi di metallo prezioso.

Per questa prima conversione forzosa si stabilì che non vi fosse alcuna tariffa da pagare ma venne deciso che , quando un privato cittadino avesse portato del metallo prezioso alla zecca per farsi coniare delle monete, dovesse pagare un costo di conio, il cosiddetto signoraggio.

La riforma monetaria ebbe due importanti conseguenze.

In primo luogo il denaro divenne il nuovo simbolo di ricchezza, sostituendo, in parte, la proprietà fondiaria, e facendo sì che la classe dei mercanti iniziasse la sua scalata verso il potere.
La moneta, poi, permetteva una riscossione più efficace dei tributi permettendo così la creazione di un sistema di guardie armate, preposte a garantire l'ordine pubblico, pagate con le tasse dei cittadini ma, di fatto, alle dipendenze dirette del Capovillaggio.

Quest'ultimo poi, non più ostaggio delle grandi famiglie nobiliari, per mantenere il potere doveva riuscire a mantenere la milizia fedele e ben stipendiata ed al contempo non gravare eccessivamente sulla popolazione con tasse troppo alte per non rischiare di scatenare una rivolta.

Le soluzioni sperimentate furono moltissime ma una in particolare ebbe grande fortuna: la guerra.

Il mondo là fuori era pericoloso ed il villaggio, che nel frattempo era cresciuto sino a diventare una ricca città, era già stato soggetto ad invasioni ed attacchi da parte di potenze straniere, respinti solo con grande fatica.

Il Capovillaggio spiegò all'assemblea cittadina che per mantenere la pace bisognava prepararsi alla guerra e che quindi era necessario sacrificare un po' della ricchezza presente per costituire un esercito ed una flotta, che difendessero la città e ne tutelassero gli interessi commerciali nel futuro.

“Il costo”, spiegò, “è molto alto, ma se invece di puntare esclusivamente alla difesa dei nostri confini attacchiamo preventivamente i nostri nemici ed abbiamo successo, allora saranno le stesse città che conquisteremo a fornire tutto l'oro e l'argento di cui abbiamo bisogno”.

La strategia ebbe successo.

Molte città vennero conquistate e molte altre, preferendo la condizione di alleato a quella di suddito, entrarono nella lega pagando un tributo annuale e ricevendo in cambio protezione.

Era nato l'imperialismo.

Le prime banche

Se pure la riforma monetaria aveva creato un'unica moneta cittadina, tuttavia il ruolo dei cambiatori di monete non venne meno. Il commercio era infatti sempre più florido e la città veniva visitata da mercanti da ogni parte del mondo, ognuno con la sua moneta diversa.

Il servizio di cambio aveva un costo e perciò, con l'aumentare delle transazioni, il mestiere di cambiatore divenne molto redditizio.

Alcune famiglie di cambiatori, poi, che si erano stabilite in diverse città, fornivano un prezioso servizio: la lettera di cambio.

Aristide intendeva recarsi in una lontana città (in cui era usata una moneta diversa) per concludere un buon affare. Non voleva però portare con sé tutto l'oro di cui aveva bisogno per paura di essere derubato dai briganti durante il viaggio. Si recò quindi da Paolo, un cambiatore che aveva un cugino proprio in quella città, e stipulò un contratto di questo tipo:

Aristide avrebbe versato 102 monete d'oro a Paolo ottenendo in cambio una lettera firmata da quest'ultimo. Essa, una volta giunto a destinazione, avrebbe permesso ad Aristide di farsi consegnare dal cugino di Paolo l'equivalente in moneta locale di 100 monete d'oro. Il profitto, per la famiglia di Paolo, era costituito dalla differenza tra quanto ricevuto alla partenza e quanto versato a destinazione, sempre che il mercante a destinazione vi giungesse...

Ma le attività in cui si specializzarono questi primi banchieri furono soprattutto altre: i contratti di deposito e di prestito.

Il deposito era una pratica già molto diffusa.

Se Luca intendeva assentarsi per molti giorni dalla città e voleva mettere al sicuro, ad esempio, una statuetta d'oro, poteva rivolgersi a Giorgio che forniva un servizio di custodia. Per due monete d'argento quest'ultimo si impegnava a custodire la statuetta sino al ritorno di Luca per poi consegnargliela così come l'aveva ricevuta.

In alcuni casi, però, non era possibile ritirare esattamente lo stesso oggetto che era stato depositato.

Un contadino che avesse depositato nel granaio comune il suo raccolto non avrebbe potuto distinguere le sue spighe da quelle depositate da altri. Come fare dunque?

Si decise che il contadino avrebbe potuto ritirare l'esatto equivalente, in termini di quantità e di qualità, rispetto a quanto depositato.

Il caso della moneta era simile.

Andrea voleva depositare 100 monete d'argento in un luogo sicuro e sapeva che Massimo garantiva questo servizio con buona reputazione, quindi si rivolse a lui. Quest'ultimo prese le monete e le ripose al sicuro dentro una cassaforte, annotando sul suo libro mastro la cifra depositata da Andrea e la data.

“Custodirò le tue monete in cassaforte e aggiornerò man mano il tuo conto, registrando depositi e prelievi. Il costo del conto corrente è di due monete d'argento l'anno ed ovviamente puoi chiuderlo quando vuoi ritirando l'intera somma che ti rimane” concluse Massimo, mentre finiva di compilare il libro mastro.

Massimo aveva sempre rispettato alla lettera il contratto di deposito e la sua reputazione aveva fatto sì che moltissimi si rivolgessero a lui per aprire un conto. Poteva capitare, così, che Andrea dovesse pagare Gianni e che entrambi avessero un conto presso la banca di Massimo.

In questo caso poteva risultare più comodo effettuare una semplice modifica ai registri contabili, senza che le monete uscissero mai dalla cassaforte: la somma veniva sottratta al conto di Andrea ed aggiunta a quello di Gianni.

Nel caso in cui Andrea volesse rischiare qualcosa in più ed investire, non depositare, le sue 100 monete, poteva sottoscrivere un contratto di prestito. Massimo entrava così in possesso delle 100 monete di Andrea per un anno impegnandosi a consegnargliene un numero maggiore (es. 104), alla scadenza: la differenza (104-100) venne chiamata interesse.

Alcuni filosofi e sacerdoti si interrogarono a lungo se fosse lecito o meno prestare denaro a interesse, speculando sul fatto che in questo modo il denaro moltiplicava sé stesso, ma Massimo, con un semplice ragionamento, spiegò che lui preferiva la certezza di avere 100 monete oggi rispetto alla possibilità di averne 100 tra un anno e che quindi il tasso di interesse altro non era che la misura della sua “preferenza temporale” per il presente.

Tornando ai due tipi di contratti, deposito e prestito, Massimo, che era un banchiere onesto, spiegava che mentre nel secondo caso poteva fare ciò che voleva con le monete che aveva ricevuto (almeno sino alla scadenza!), incluso prestarle a sua volta, nel caso del deposito invece il suo compito consisteva nel custodire la somma con cura e renderla disponibile al cliente non appena questi ne avesse fatto richiesta.

Ma tutte quelle monete in cassaforte costituivano una tentazione troppo grande per chi non fosse stato più che onesto. Dopotutto le monete depositate erano tante ed i clienti non venivano mai a ritirare i loro depositi tutti assieme, quindi perché non farle fruttare? Mantenendo in cassaforte solo parte delle monete depositate, ovvero una riserva, e prestando con accortezza tutte le altre (ad esempio curandosi di avere sempre a disposizione abbastanza monete per chiudere i conti alla scadenza) i ricavi sarebbero aumentati considerevolmente, senza che nessuno si accorgesse di nulla.

Così fece Riccardo, un banchiere appena arrivato che, per invogliare i cittadini a depositare le loro monete da lui, offrì il servizio ad un prezzo minore di quello di Massimo.

Silvio si fidò di lui e depositò, come molti altri, 200 monete d'argento, pagandone solo una per il servizio. Riccardo però mise solo 20 delle 200 monete in cassaforte, prestando le restanti (180) a Claudio, con un interesse del 5%.

Durante l'anno Silvio venne qualche volta a ritirare ed a depositare monete sul conto senza accorgersi di nulla. Alla fine dell'anno Claudio restituì il prestito a Riccardo (le 180 monete prestate più le 9 di interesse) e Riccardo liquidò il deposito di Silvio, (200 monete meno 1 di tariffa).

Alla fine della giornata Riccardo, soddisfatto per la buona riuscita dell'operazione, andò a spendere le 10 monete ricavate facendo baldoria tutta la notte.

Non sempre, però, filava tutto così liscio.

Un banchiere molto spregiudicato, Federico, iniziò a prestare le monete depositate presso di lui ad individui poco affidabili, che li volevano utilizzare per un'impresa molto rischiosa. Il tasso di interesse promesso era molto alto e la tentazione di accettare altrettanto (dopotutto, mica erano soldi suoi!).

La nave che doveva trasportare il carico fu però depredata dai pirati ed il prestito non fu mai restituito per cui Federico si trovò nell'impossibilità di saldare i conti con i suoi depositanti che lo denunciarono al Capovillaggio e lo fecero punire severamente.

Era infatti venuto meno al suo impegno, ovvero tenere in custodia le monete, restituendo in qualsiasi momento al depositante l'esatto equivalente, in termini di quantità e qualità, rispetto a quanto depositato.

Bisogna comunque dire che, una volta scoperti, questi banchieri disonesti venivano cacciati via dalla città ed i cittadini iniziarono solo a rivolgersi a quelli onesti come Massimo. Anche lui, dopotutto, prestava denaro ad interesse ma lo faceva attingendo dalla sue casse o fungendo da intermediario per conto di altri cittadini.

Crisi nella finanza pubblica

Per un po' la politica imperialistica di “far pagare le tasse agli altri” aveva funzionato ma le guerre non sempre si vincono e mantenere un impero esteso e pacificato comportava costi via via sempre crescenti. Servivavano più navi, più armi, più corazze, più uomini, e tutto questo soltanto per mantenere la situazione così com'era, senza ampliare le conquiste ed entrare in possesso di nuove risorse.

Il Capovillaggio si trovò nella situazione di dover decidere cosa fare: alzare nuovamente le tasse? Smantellare parte dell'esercito e rinunciare alle conquiste? Lanciare una nuova campagna di conquista ambiziosa e molto rischiosa?

Ognuna di queste opzioni avrebbe istantaneamente messo in allarme la popolazione, con il rischio concreto di una rivolta, per cui bisognava trovare un altro modo per risolvere, o anche solo rimandare, il problema.



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