Lo sport che uccide

Data 15/6/2006 23:24:31 | Categoria: opinione

di Maurizio Ceraudo

C’era una volta un ragazzo dotato di un talento straordinario, amava andare in bicicletta e la sua forza quasi misteriosa, gigante in un corpo piccolo, esplodeva nelle salite più impervie delle tappe di montagna, eppure anche quel talento così acceso andava piegato alle regole del gioco, un gioco senza pause, senza riposo, senza respiro, un gioco in cui bisogna mostrare, vendere, ostentare ed esagerare sempre e comunque, e così quel ragazzo, come tanti del suo giro, si trovò ad alterare il suo stato fisico per migliorare il gioco e peggiorare la vita; scoperto, condannato, esiliato ed umiliato, cadde in una profonda depressione che lo condusse alla morte.

Questo è il finale tragico di una storia come tante, in questo tipo di sport business che da tempo ormai non è più palestra di vita. Oggi si sta consumando ai nostri occhi attoniti, un’altra triste storia, un talento straordinario, enorme e cristallino, un ragazzo soprannominato “il fenomeno“ per la sua incredibile vocazione allo sport del calcio, chi non si ricorda delle sue giocate, dei suoi gol stratosferici …

… (il più famoso quello contro il Velez), una macchina da gol e da soldi, tutto concentrato in un ragazzetto dall’aria un po’ goffa con i denti incisivi sporgenti in avanti, un’aria tenera ed un carattere semplice ed umile, eppure anche il fenomeno cadde inevitabilmente nella trappola; non poteva sfuggire alle reti distruttive degli sponsor, delle 90 partite all’anno, delle presenze forzate, delle quotazioni miliardarie; un essere umano per quanto forte e dalla tempra solida, non può resistere a questi ritmi forsennati e disumani, obbedire a regole stupide ed insensate, come quella di far giocare una partita, la finale della coppa del mondo tra l’altro, non una partitella così, alle 2 del pomeriggio del mese di luglio, in U.S. California, sembra una barzelletta e invece è la verità; tu organizzatore, che spettacolo pensi di ottenere, ma in fondo chi se ne frega dello spettacolo, l’importante è che in quel momento c’erano le televisioni di tutto il mondo, che gli spettatori collegati siano centinaia di milioni, poi quello che succede in campo è relativo, poco importa che i 22 calciatori sono miracolosamente sopravvissuti a quella mattanza durata più di due ore, queste sono le regole, e così anche se il fenomeno sta male, deve giocare lo stesso, sennò come si fa con lo sponsor, gli si fa un infiltrazione o anche due, in fondo lo paghiamo bene anzi benissimo, come se questa fosse una motivazione valida per poter disporre di una persona a proprio piacimento, sì perché dietro l’atleta e il personaggio c’è sempre l’essere umano, il suo corpo che si ammala irrimediabilmente, così 8 anni fa in Francia, Ronaldo, sì di lui stiamo parlando, dopo 8 infiltrazioni alla vigilia della finale, cadde… cadde in preda a terribili convulsioni e chissà quali acrobazie farmacologiche dovette sostenere per stare in piedi, ma giusto quello, in quella partita.

Così anche oggi 8 anni dopo lo si vede trottare per il campo in uno stato di salute chiaramente difficoltoso, come si fa a non capire che non è grasso ma gonfio, gonfio di farmaci e la cosa più triste è che i giornalisti “specializzati” ci fanno credere che ha mangiato troppa Paella, che non si allena, sono ciechi o semplicemente stupidi. Fatto sta che lo sport killer ha compiuto un altro miracolo negativo e cioè trasformare un talento portentoso in un malato, nell’ombra anzi nello spettro di se stesso. Questo sport come molti altri non può pensare, se pur ripulitosi dei padrini, di poter ricominciare tutto daccapo con le stesse regole assurde ed insensate, con gli stessi ritmi, gli stessi ingaggi, le stesse venerazioni agli Dei “Diritti televisivi” e ad altre amenità, perché altrimenti cadrà sempre negli stessi errori e nelle stesse mostruosità, la più grave di tutte, quella di uccidere.

Maurizio Ceraudo



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