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opinione : La depenalizzazione del profitto
Inviato da Redazione il 9/8/2007 7:26:41 (6885 letture)

Nel comune parlare, si intende per “logica del profitto” qualsiasi comportamento – di solito da parte di un’azienda, o di un datore di lavoro in generale - che porti a preferire un proprio vantaggio economico al rispetto di certi canoni etici, sociali o morali ai quali si ritiene che tutti debbano aderire.

Un proprietario di fabbrica, ad esempio, che trascuri le norme di sicurezza per “mettersi in tasca più soldi” , è un individuo che - nel comune parlare - agisce “secondo la logica del profitto”.

Ben diversa invece l’accezione corretta del termine, che lo colloca però nell’ambito della teoria economica, che in questo caso non ci interessa.

Parliamo, in altre parole, di avidità umana, un “difettuccio” talmente antico da figurare nei Sette Peccati Capitali, e da essere condannato in pari misura da molte altre tradizioni antiche.

Ma è anche un difetto facilmente spiegabile dalla stessa natura umana, visto che risponde all’istinto primordiale di sopravvivenza: se c’è cibo soltanto per quattro persone, e siamo in cinque, è chiaro che uno deve perire. Una bella legnata in testa al più distratto, e anche per oggi il pasto è assicurato.

Il problema etico casomai si pone quando non sia più in ballo la sopravvivenza, ma l’individuo continui a comportarsi come se lo fosse. Osservare ad esempio Dick Cheney che, dopo aver preso trenta milioni di dollari di liquidazione dalla Halliburton, ...


... continua imperterrito a cercare di trarre il massimo profitto da ogni operazione in cui è coinvolto – ed è coinvolto in quasi tutte ormai - può anche lasciare stupiti: che cosa se ne può fare, ci si domanda, di “altri” venti milioni di dollari? Che cosa può ancora comperarsi, che già non abbia acquistato con i primi mille milioni che ha guadagnato?

In realtà, quello di Dick Cheney è un esempio fuori luogo: egli non lucra (almeno, non più) per beneficio individuale, ma agisce in quella sfera dove le ingenti masse di denaro che vengono spostate si traducono in quote di potere a livello globale.

Ma ogni caso, il potere finisce per tradursi in una soddisfazione personale, e dobbiamo quindi dedurre che all’origine ci sia, nell’umano, una generica volontà di supremazia sui suoi simili, che in qualche modo lo fa “sentire meglio”. Chiamala senso di sicurezza, chiamala affermazione personale, chiamala spirito di competizione, è innegabile che l’uomo tenda in tutti i modi a sopravvalere sul proprio simile.

Anche nel quotidiano, infatti, continuiamo tutti a “fregarci“ l’uno con l’altro, convinti che valga ancora il primordiale principio mors tua vita mea.

Una volta constatato che ci trasciniamo questo “difetto” fin dai tempi delle caverne, capiamo forse meglio perchè la “logica del profitto” – lo ripeto, intesa esclusivamente come espressione dell’avidità umana - venga spesso considerata come qualcosa di inevitabile, e la si giustifichi anche quando non si dovrebbe.

Folgorante in questo senso fu una risposta di Bush, che all’alba del suo insediamento alla Casa Bianca dichiarò ai giornalisti che le previste regole anti-inquinamento non si potevano implementare, semplicemente “perchè sarebbero costate troppo”. Fu il candore assoluto con cui fece questa dichiarazione, a tradire la scontatezza di certi principi nell’ambito dei nostri comuni parametri sociali. Come dire, “se non costasse così tanto, certo che lo faremmo! Ma così le industrie resterebbero troppo penalizzate”.

E il bello fu che i giornalisti, invece di contestare in qualche modo quell’affermazione, si guardarono fra loro come se stessero dicendo: “Ah, già, che stupidi. Non ci avevamo pensato”.

Ma nel momento in cui si permette alla logica del profitto di causare un qualunque danno all’essere umano - individuo o società che sia – si sorpassa una linea oltre la quale è molto difficile fare inversione di marcia.

Infatti oggi viviamo in un sistema in cui le corporations – intese come entità slegate ormai da ogni responsabilità individuale – dettano legge. E’ vero infatti che ci sono sempre degli individui a cui far risalire certe responsabilità, ma è anche vero che se costoro non si adattano in pieno alla logica del sistema, ne vengono immediatamente stritolati ed espulsi.

Non diventi direttore generale di una azienda, se non fai solo ed esclusivamente gli interessi di quell’azienda. E gli interessi delle aziende vanno quasi sempre contro quelli dei singoli individui (a meno che questi siano gli azionisti, ovviamente).

Se poi per caso l’azienda si chiama Stati Uniti d’America, gli “interessi” di quell’azienda diventano la propria sussistenza economica sul mercato mondiale, ed il mantenimento interno del proprio standard di vita. Da cui invadere l’Iraq diventa un’azione necessaria, e le 650.000 morti civili che l’invasione ha causato sono un “collateral damage” tanto pesante quanto inevitabile.

In questo modo, con quattro semplici passaggi, siamo arrivati a depenalizzare completamente la logica del profitto: nessuno pagherà mai per quei morti, e quelli dell’Iraq non saranno certo gli ultimi nella storia.

Di questo passo, inoltre, il prossimo ad andarci di mezzo potrebbe essere chiunque di noi. Una volta accettato che il fine giustifica i mezzi, che cosa succederà il giorno in cui qualcuno dovesse decidere che, ad esempio, nella zona in cui viviamo noi ci sono centomila abitanti di troppo, e mantenerli è diventato un costo non più accettabile? I mezzi per liberarsene non mancano di certo (dalle scie chimiche alle radiazioni di ogni tipo, dall’inquinamento chimico alle più disparate tecnologie misteriose, c’è solo da scegliere), e la famosa linea di demarcazione fra profitto ed etica è diventata un ricordo troppo lontano per potervisi appellare.

Esiste, a questo punto, una ragionevole via di uscita?

Massimo Mazzucco



VEDI ANCHE: La corporation

Inutile nascondersi dietro a un dito, oggi bene o male siamo tutti condizionati dalle multinazionali, accettiamo senza discutere la "corporate philosophy", chiniamo il capo di fronte al loro potere incontrastabile, e lo facciamo con cosciente rassegnazione. La Monsanto impone ai contadini di utilizzare solo il loro mais transgenico, e i contadini devono accettare, se non vogliono emigrare in montagna ad allevare le mucche. Le case farmaceutiche impongono il silenzio mediatico su una qualunque cura alternativa per il cancro, [...]


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Umanitarismo, o eugenetica? Il concetto è molto semplice: non ci sono abbastanza risorse al mondo per permettere a tutti di vivere in maniera decente? Invece di consumare di meno, e cercare magari di dividere più equamente quello che c'è, lasciamo morire un paio di miliardi di persone, e il problema non sussiste. [...]


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I commenti sono proprietà dei rispettivi autori. Non siamo in alcun modo responsabili del loro contenuto.
Autore Albero
Infettato
Inviato: 9/8/2007 8:53  Aggiornato: 9/8/2007 8:53
Dubito ormai di tutto
Iscritto: 23/11/2006
Da: Roma
Inviati: 1499
 Re: La depenalizzazione del profitto
Bell'articolo semplice ma efficace, diciamo diii.... comprensione globale

Esiste, a questo punto, una ragionevole via di uscita?

Massimo credo che nel pezzo ci sia anche compresa la risposta
"Anche nel quotidiano, infatti, continuiamo tutti a “fregarci“ l’uno con l’altro, convinti che valga ancora il primordiale principio mors tua vita mea."

La vera domanda che ci poniamo è

Quando...potrebbe toccare a noi?

Siamo esenti perchè facciamo parte anche se marginalmente della catena?

In pratica IMHO SIAMO DELLE MERDE!!

Infettato dal morbo di Ashcroft
---------------------------------------------
Quando ci immergiamo totalmente negli affari quotidiani, noi smettiamo di fare distinzioni fondamentali, o di porci le domande veramente basilari. Rothbard
Ashoka
Inviato: 9/8/2007 10:57  Aggiornato: 9/8/2007 13:02
Sono certo di non sapere
Iscritto: 11/7/2005
Da:
Inviati: 3660
 Re: La depenalizzazione del profitto
Chiamarla col suo nome, ovvero logica del POTERE costava tanto?


Il Partito ricerca il potere esclusivamente per i suoi propri fini. Il bene degli altri non ci interessa affatto; ci interessa soltanto il potere. Né la ricchezza, ne il lusso, né una vita lunga, né la felicità hanno un vero interesse per noi; ci interessa soltanto il potere, il potere puro. Ti dico subito ciò che significa potere puro. La differenza tra noi e le oligarchie del passato consiste in questo, che noi sappiamo quel che facciamo. Tutti gli altri, anche quelli che ci rassomigliarono più da vicino, erano tutti vili e ipocriti. I nazisti tedeschi e i comunisti russi si avvicinarono molto ai nostri metodi, ma non ebbero mai il coraggio di dichiarare apertamente i loro motivi, le loro ragioni. Essi pretesero, e forse perfino credettero, d'essersi impadroniti del potere contro la propria elezione e iniziativa, e per un tempo limitato, e che all'angolo della strada ci fosse un paradiso nel quale gli uomini potessero essere liberi e uguali. Noi siamo tutt'altra cosa. Noi sappiamo benissimo che nessuno s'impadronisce del potere con l'intenzione di abbandonarlo in seguito. Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell'intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell'intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere.


George Orwell, 1984



Ashoka

cirocat
Inviato: 9/8/2007 11:04  Aggiornato: 9/8/2007 11:04
Ho qualche dubbio
Iscritto: 31/7/2007
Da:
Inviati: 157
 Re: La depenalizzazione del profitto
Se siamo in quattro persone e c’è cibo solo per quattro , prima o poi a qualcuno ( di solito il più forte) cresce l’appetito a tal punto che pensa di avere diritto a doppia razione a quel punto solita legnata da eliminare il più distratto(che coincide quasi sempre con il più debole).

nessuno
Inviato: 9/8/2007 11:49  Aggiornato: 9/8/2007 12:01
Mi sento vacillare
Iscritto: 30/7/2005
Da: Albino (BG) - Bassa Valle Seriana
Inviati: 501
 Re: La depenalizzazione del profitto
Citazione:
Folgorante in questo senso fu una risposta di Bush, che all’alba del suo insediamento alla Casa Bianca dichiarò ai giornalisti che le previste regole anti-inquinamento non si potevano implementare, semplicemente “perchè sarebbero costate troppo”. Fu il candore assoluto con cui fece questa dichiarazione, a tradire la scontatezza di certi principi nell’ambito dei nostri comuni parametri sociali. Come dire, “se non costasse così tanto, certo che lo faremmo! Ma così le industrie resterebbero troppo penalizzate”.


Un po' quel che ha risposto ai ferrovieri tedeschi il tribunale di Norimberga...

Da: Il Corriere della Sera, edizione online di 8 agosto 2007:

macchinisti delle Deutsche Bahn protestano contro la privatizzazione
Germania, scioperi vietati sui treni
Il tribunale di Norimberga stoppa le agitazioni fino al 30 settembre. Sarebbe stata la prima astensione dal lavoro in 15 anni

BERLINO - Il tribunale del lavoro di Norimberga ha vietato gli scioperi dei macchinisti delle ferrovie tedesche, Deutsche Bahn, fino al 30 settembre prossimo. Il divieto, ha precisato un portavoce, riguarda sia i treni passeggeri che quelli merci. I dipendenti delle Deutsche Bahn protestano (o meglio, intendevano protestare) contro i progetti di privatizzazione che il governo del cancelliere Angela Merkel sembra avere già messo a punto e che punterebbero sulla quotazione in Borsa del gruppo e sulla vendita di un 30-40% del capitale ai privati.
DANNI - I giudici hanno motivato la decisione con gli enormi danni economici che uno sciopero delle ferrovie arrecherebbe al paese in questo periodo di ferie e spostamenti. Il sindacato Gdl (che rappresenta 12mila macchinisti) ha già detto di voler presentare appello contro la decisione. I macchinisti avrebbero dovuto incrociare le braccia a partire da giovedì. Oltre agli aspetti legati alla privatizzazione del gruppo, per cui i sindacati temono forti riduzioni agli organici, i ferrovieri della Gdl chiedono aumenti del 31% dei salari, mentre l’accordo siglato fra la Deutsche Bahn e altri sindacati prevede un aumento del 4,5% sui prossimi 19 mesi e un gettone di 600 euro una tantum. Lo sciopero sarebbe stato il primo in 15 anni.

O, dato che sono lavoratori, e non capitalisti, il principio non vale, in questo caso?

Buona vita

Guglielmo

"Quieremos organizar lo entusiasmo, no la obediencia" - Buenaventura Durruti
usemlab
Inviato: 9/8/2007 12:26  Aggiornato: 9/8/2007 12:56
Ho qualche dubbio
Iscritto: 18/8/2006
Da:
Inviati: 156
 Re: La depenalizzazione del profitto
Molto piu' centrato, anche se non e' mi pare possibile delimitare l'argomento all'avidita' umana a se stessa come peccato capitale, a meno di ridurre il tutto a un mero e sterile discorso religioso (l'uomo e' cattivo, la societa' fatta di uomini anche, non c'e nulla da fare, andremo tutti all'inferno, quindi pentitevi finche' siete in tempo, amen).

Nel momento in cui il tema avidita' umana si intreccia con il sistema socio-economico-politico, sorge l'esigenza di discutere di etica e morale in maniera piu' estesa ed elaborata.

Cerco di non allargarmi troppo, rimanendo nel contesto da te delimitato, un contesto sociale (la societa' di oggi) politico (sopratutto bush e l'america) economico (la corporation, l'apparente sistema "capitalista" dominante, o come ho deciso di chiamarlo io lopseudocapitalismoconsociativista).

ci sono nell'articolo assunzioni troppo semplicistiche, secondo me discutiibili se non decisamente errate (gli interessi dell'azienda vanno quasi sempre contro quelli degli individui, a meno che non siano gli azionisti) in ogni caso il problema esiste, e tende a inasprirsi ogni giorno che passa.

prima di rispondere alla tua domanda finale sarebbe opportuno quindi chiedersi perche' cio' sia accaduto e stia accadendo.


A rischio di essere accusato subito di di cristallizzazione di pensiero, potrei cominciare a sbolognarti la parte conclusiva di questo piccolo essay che trovo molto bello,
capitalism under the test of ethics:

What we want above all for ourselves, and which therefore we must accord to our neighbour, is freedom to pursue our own purposes. It is only when this is assumed that we talk about the primacy of food, clothing, shelter, and other material benefits. As a corollary to this freedom we want others to respect our individuality, independence, and status as responsible human beings. We do not want to be treated as children or wards of our benefactors, not to mention slaves, serfs, prisoners or conscripts, however generous or indulgent the treatment may be.

This is the fundamental morality which capitalism requires and which it nurtures. It alone among economic systems operates on the basis of respect for free, independent, responsible persons. All other systems in varying degrees treat men as less than this. Socialist systems above all treat men as pawns to be moved about by the authorities, or as children to be given what the rulers decide is good for them, or as serfs or slaves. The rulers begin by boasting about their compassion, which in any case is fraudulent, but after a time they drop this pretence which they find unnecessary for the maintenance of power. In all things they act on the presumption that they know best. Therefore they and their systems are morally stunted. Only the free system, the much assailed capitalism, is morally mature.


quindi, andrei avanti sostenendo che secondo me il deterioramento di certi comportamenti umani, sia quello di coloro che per avidita' hanno oltrepassato la linea, che quello di coloro che per "sbadataggine" hanno abbassato la guardia permettendo certi comportamenti chiramente illegittimi, corre parallelamente al deterioramento delle liberta' economiche (e a cascata anche civili), di cui la causa principale e', a mio avviso, lo svilimento della moneta.

La moneta, o denaro, proprio cio' che l'avidita' umana insegue primariamente, prima ancora del potere, al quale darei un ruolo secondario. Anzitutto perche' molto spesso il potere e' il risultato dell'accumulazione stessa di denaro. Inoltre perche' il potere e' molto spesso potere politico che si poggia e sfrutta il potere coercitivo dello stato (il quale a sua volta diventa mostruoso leviatano solo grazie alla confisca inflazionistica. Senza di questa rimarrebbe per forza di cose un'entita' circoscritta e ben delimitata, o magari sparirebbe anche del tutto).

"A dishohest money system is at the very heart of our economic and social problems. The degree to which the money system is corrupted is the degree to which all other areas of society are corrupted."

bene, ho corso molto velocemente, per arrivare alla conclusione che l'avidita' e' insita nella nostra natura e solo un sistema economico politico ben piu' onesto di quello attuale potrebbe,favorendo la cooperazione sociale e disincentivando il sorpruso, delimitarla nel migliore dei modi.

siamo quindi arrivati alla tua domanda finale:

--------------------------------------
Esiste, a questo punto, una ragionevole via di uscita?
--------

una via d'uscita per contenere i danni esiste, e per trovarla mi basta andare a ritroso sui ragionamenti fatti sopra.

e' una via d'uscita ragionevole? ragionevolissima, e per arrivarci non basterebbe neanche molto: eleggere un ron paul e ripristinare certi principi della carta costituzionale americana calpestati nel corso dei secoli dalle esigenze del leviatano.

sarebbe fattibile e come? purtroppo solo attraverso la diffusione di quelle idee in grado di muovere le coscienze e indirizzarle al cuore del problema. forse al giorno d'oggi una missione impossibile, ma alla quale la persona intellettualmente onesta non dovrebbe mai rinunciare.

The State is the great predatory enemy of the human race, and in its very being, the organization and regularization of predation, exploitation, and robbery
Redazione
Inviato: 9/8/2007 12:39  Aggiornato: 9/8/2007 12:39
Webmaster
Iscritto: 8/3/2004
Da:
Inviati: 19594
 Re: La depenalizzazione del profitto
Grazie USEMLAB, un intervento centrato e certo stimolante.

Non riesco a vedere il nesso diretto, ma istintivamente il concetto di "moneta disonesta" sembra riflettere alla perfezione la disonestà di fondo dei rapporti umani in genere.

Siamo quello che mangiamo, ma anche siamo il modo in cui commerciamo?

mc
Inviato: 9/8/2007 13:26  Aggiornato: 9/8/2007 13:26
Sono certo di non sapere
Iscritto: 19/5/2004
Da:
Inviati: 7222
 Re: La depenalizzazione del profitto
Il l'accumulo di soldi (conseguenza diretta di avidita') e' l'unico modo che hanno certe persone "molto mediocri" per ottenere potere visto che sono... molto mediocri per ottenerlo diversamente (leggere per meriti particolari).
Molte di queste persone non hanno i mezzi nemmeno per fare le cose secondo le regole del mercato e quindi usano qualsiasi mezzo.
Essendo il Mercato basato sulla concorrenza senza limiti (soprattutto di quella sana!) per questi mezzi uomini non ci sara' mai possibilita' di avere potere altrimenti e porteranno "gli onesti" a compromessi.
Questo e' quello che sfugge al controllo del Mercato, a mio avviso.

Inoltre, questa chiave di lettura darebbe anche motivazioni allo "svilimento" culturale al quale si tende per "appiattire" la massa:
non e' un bisogno particolare ma e' paura di essere facilmente surclassati in meriti (dato che uno dei tormentoni dei teorici del Mercato e' la "meritocrazia", certi personaggi rischiano grosso dato il loro livello...).
Visto che non possono essere migliori "loro", per manifesta inferiorita', abbassano la soglia di tutti. .
La specializzazione nel business (e il successo conseguente) puo' anche non tenere conto di altre virtu' umane non utili in termini di Potere.

lo squallore culturale si e' diffuso a macchia d'olio in coincidenza dei boom economici nell'era del capitalismo di questa meta' di fine secolo: sara' una coincidenza?

mc

Linucs
Inviato: 9/8/2007 14:00  Aggiornato: 9/8/2007 14:00
Sono certo di non sapere
Iscritto: 25/6/2004
Da:
Inviati: 3996
 Re: La depenalizzazione del profitto
forse al giorno d'oggi una missione impossibile, ma alla quale la persona intellettualmente onesta non dovrebbe mai rinunciare.

Considera però che la moneta è il prodotto della violenza, in quanto cristallizza i rapporti di sfruttamento tra gli esseri umani, però è anche origine della violenza, in quanto consente che tale sfruttamento continui.

Dunque si potrà ottenere una società veramente giusta solo con l'abolizione della moneta, quindi dei rapporti di sfruttamento tra gli uomini, che finalmente si troveranno ad essere fratelli nell'uguaglianza.

Redazione
Inviato: 9/8/2007 14:18  Aggiornato: 9/8/2007 14:18
Webmaster
Iscritto: 8/3/2004
Da:
Inviati: 19594
 Re: La depenalizzazione del profitto
LINUCS: Abolizione della moneta, o sostituzione con una moneta "diversa"?

(Oggi è la giornata delle cortesie... )

Linucs
Inviato: 9/8/2007 14:43  Aggiornato: 9/8/2007 14:43
Sono certo di non sapere
Iscritto: 25/6/2004
Da:
Inviati: 3996
 Re: La depenalizzazione del profitto
LINUCS: Abolizione della moneta, o sostituzione con una moneta "diversa"?

Abolendo del tutto la moneta - con una legge forte ma equa - probabilmente l'umanità continuerebbe ad opprimere se stessa, dunque converrebbe creare una moneta mondiale - con il reddito di cittadinanza globale - che possa essere utilizzata per appianare le divergenze sociali e culturali. Questo perché in realtà la moneta è come il manganello: lasciato al libero arbitrio del popolino violento e ottuso genera solo odio e violenza, ma amministrato con saggezza reca in dono ordine e serenità per una società più coesa, ma che celebri ugualmente la diversità.

cirocat
Inviato: 9/8/2007 15:05  Aggiornato: 9/8/2007 15:05
Ho qualche dubbio
Iscritto: 31/7/2007
Da:
Inviati: 157
 Re: La depenalizzazione del profitto
restando sul tema moneta, noi pochi anni fa ci siamo allargati con l'euro ma non ho notato grandi cambiamenti se non in peggio

astro
Inviato: 9/8/2007 15:18  Aggiornato: 9/8/2007 15:18
Ho qualche dubbio
Iscritto: 3/6/2006
Da:
Inviati: 233
 Re: La depenalizzazione del profitto
Citazione:
e' una via d'uscita ragionevole? ragionevolissima, e per arrivarci non basterebbe neanche molto:


Citazione:
ripristinare certi principi della carta costituzionale americana calpestati nel corso dei secoli dalle esigenze del leviatano.


Mi ricorda l'argomentare tipico di chi non accetta le sconfitte della storia, come quelli che "l'URSS era magnifica ai tempi di Lenin, se non fosse stato per quel cattivone di Stalin" oppure quelli che "il fascismo era fantastico, se non fosse stato per certe cattive alleanze".

La parola "consequenzialità" ti dice nulla?

Citazione:
eleggere un ron paul


In un sistema così disonesto come tu stesso lo descrivi, sicuramente l'elezione di un nuovo fantastico Presidente degli Stati Uniti cambierà tutto.


Citazione:
A rischio di essere accusato subito di di cristallizzazione di pensiero


No, figurati, puoi anche recitare il Credo.
Dio esiste, lo dice la Bibbia!

usemlab
Inviato: 9/8/2007 15:29  Aggiornato: 9/8/2007 15:29
Ho qualche dubbio
Iscritto: 18/8/2006
Da:
Inviati: 156
 Re: La depenalizzazione del profitto
astro, bella la massima che usi come firma elettronica... dovresti essere il primo a rispettarla pero'

The State is the great predatory enemy of the human race, and in its very being, the organization and regularization of predation, exploitation, and robbery
arturo
Inviato: 9/8/2007 15:52  Aggiornato: 9/8/2007 15:57
Ho qualche dubbio
Iscritto: 1/3/2007
Da:
Inviati: 265
 Re: La depenalizzazione del profitto
eleggere un ron paul e ripristinare certi principi della carta costituzionale americana calpestati nel corso dei secoli dalle esigenze del leviatano....attraverso la diffusione di quelle idee in grado di muovere le coscienze e indirizzarle al cuore del problema forse al giorno d'oggi una missione impossibile, ma alla quale la persona intellettualmente onesta non dovrebbe mai rinunciare

Per carità, si tratta senz'altro di una bellissima prospettiva
E' risaputo infatti che le sole battaglie per cui vale la pena di combattere siano quelle che sembrerebbero perse in partenza.... però, non esageriamo con l'ottimismo o si rischia di apparire come un Frank Capra del terzo millennio nella re-edizione de "La vita è meravigliosa"


.

Thibault
Inviato: 9/8/2007 16:21  Aggiornato: 9/8/2007 16:21
Mi sento vacillare
Iscritto: 25/5/2006
Da: Un mondo folle
Inviati: 343
 Re: La depenalizzazione del profitto
Riassunto dell'articolo:
Meglio comandare che fottere

E' una tranquilla notte di regime
usemlab
Inviato: 9/8/2007 18:47  Aggiornato: 9/8/2007 18:47
Ho qualche dubbio
Iscritto: 18/8/2006
Da:
Inviati: 156
 Re: La depenalizzazione del profitto
però, non esageriamo con l'ottimismo
''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''''

ottimismo???

ho scritto "forse" una missione impossibile, giusto per lasciare un barlume minimo di speranza, ma potresti anche togliere quel forse, venisse eletto un ron paul secondo me avrebbe meno giorni di vita di un papa luciani... oramai andiamo dritti all'inferno qua sulla terra... tenetevi stretti.

The State is the great predatory enemy of the human race, and in its very being, the organization and regularization of predation, exploitation, and robbery
redna
Inviato: 9/8/2007 20:46  Aggiornato: 9/8/2007 20:46
Sono certo di non sapere
Iscritto: 4/4/2007
Da:
Inviati: 8095
 Re: La depenalizzazione del profitto
cito-...oramai andiamo dritti all'inferno qua sulla terra...tenetevi stretti
---
"quello che per un bruco è la fine della sua vita, in realtà è una bellissima farfalla"

C’è al mondo una sola cosa peggiore del far parlare di sé: il non far parlare di se (Oscar Wilde)
arturo
Inviato: 9/8/2007 21:08  Aggiornato: 9/8/2007 21:22
Ho qualche dubbio
Iscritto: 1/3/2007
Da:
Inviati: 265
 Re: La depenalizzazione del profitto
venisse eletto un ron paul secondo me avrebbe meno giorni di vita di un papa luciani...

Ma a te chi ti dice che Ron Paul abbia in tasca la ricetta per la salvezza del pianeta ?
Forse per via del fatto che è "il miglior amico del contribuente"?

Potrebbe anche darsi che con la sua eventuale elezione si andrebbe tutti all'nferno lo stesso ma con qualche minuto di anticipo...

Quindi preparati e tienti stretto anche tu...

PS
A parte ill fatto che se dovesse venir eletto sarebbe perchè le MULTINAZIONALI l'avrebbero voluto e fortemente appoggiato ... pertanto credo che avrebbe le spalle ASSAI ben coperte...

Altrochè papa luciani il quale, al contrario, con le multinazionali non andava per niente d'accordo
.

usemlab
Inviato: 9/8/2007 21:22  Aggiornato: 9/8/2007 21:26
Ho qualche dubbio
Iscritto: 18/8/2006
Da:
Inviati: 156
 Re: La depenalizzazione del profitto
un Ron Paul non salverà il pianeta (e neanche se stesso da un attentato garantito) ma un suo successo perlomeno sarebbe indice che il popolo americano ha cominciato a svegliarsi, che certi messaggi di persone intellettualmente oneste e preparate giungono alla coscienza della gente. Io mi tengo stretto tutti i giorni, stai tranquillo, quello che deve succedere succederà, io posso fare ancora meno di Ron Paul, riguardo a questo. Il tempo è galantuomo e darà ragione a chi ha detto e fatto certe analisi quando ancora tutti vivevano nella bambagia. Misero contentino, ma abbastanza per morire sereno. Il mio dovere di persona intellettualmente onesta penso di averlo compiuto, come d'altronde chi ha messo in piedi, ha sviluppato o ha contribuito a far crescere questo sito.

The State is the great predatory enemy of the human race, and in its very being, the organization and regularization of predation, exploitation, and robbery
Redazione
Inviato: 9/8/2007 21:32  Aggiornato: 9/8/2007 21:34
Webmaster
Iscritto: 8/3/2004
Da:
Inviati: 19594
 Re: La depenalizzazione del profitto
Va bene LINUCS, abbiamo capito che di soluzioni al problema non ne hai. Bastava dirlo, non c'è niente di male.

°°°

Trovo molto interessanti sia il concetto di "moneta disonesta", espresso da USEMLAB, sia quello di "potenti mediocri", espresso da MC.

Concordo infine con il ragionamento di USEMLAB sull'onestà degli iindividui. E' solo da lì che si può ripartire. Anch'io vado a dormire tranquillo, quando so di aver fatto quel poco che potevo fare durante la giornata.

L'importante è cercare di stare al passo con i tempi. Quelli che sono troppo avanti - o che credono di esserlo - frenano tanto quanto quelli che sono rimasti indietro.

arturo
Inviato: 9/8/2007 21:32  Aggiornato: 9/8/2007 21:32
Ho qualche dubbio
Iscritto: 1/3/2007
Da:
Inviati: 265
 Re: La depenalizzazione del profitto
un Ron Paul non salverà il pianeta (e neanche se stesso da un attentato garantito

Mi spieghi chi sarebbero la/e persone che vorrebbero la sua morte e per quale motivo ?

un suo successo perlomeno sarebbe indice che il popolo americano ha cominciato a svegliarsi

Dunque perchè poi dovrebbero "farlo fuori" ?

Quali sarebbero, torno a chiedere, "GLI INTERESSI" che andrebbe a toccare al punto di rischiare la pelle ?


.

Redazione
Inviato: 9/8/2007 21:35  Aggiornato: 9/8/2007 21:40
Webmaster
Iscritto: 8/3/2004
Da:
Inviati: 19594
 Re: La depenalizzazione del profitto
ARTURO: "Quali sarebbero, torno a chiedere, "GLI INTERESSI" che andrebbe a toccare al punto di rischiare la pelle ?"

E' una domanda che si potebbe rivolgere a Lincoln, o a John Kennedy.

(Prova a cercare "John Booth" e "greenback", oppure "silver dollar" e "executive order 11110")

shevek
Inviato: 9/8/2007 21:37  Aggiornato: 9/8/2007 21:37
Dubito ormai di tutto
Iscritto: 27/4/2005
Da: Napoli
Inviati: 1249
 Re: La depenalizzazione del profitto
Salut y Libertad, Massimo!


Condivido in larga misura il tuo articolo. Ad un certo punto dici che la volontà di dominio dell'uomo sull'uomo è ineliminabile: questo è vero, in quanto possibilità dell'umano, alla pari, però, dell'istinto solidaristico e cooperativo che sopravvive nonostante il predominio attuale delle forme gerarchiche di relazione sociale. La questione, insomma, è rendere, tramite relazioni sociali diverse, l'attuazione di questa volontà controproducente ed inattuabile.

Da questo punto di vista, un buon parallelo si può fare con l'interpretazione del disagio mentale e della sua terapia all'interno della cosiddetta "psichiatria sistemica" (Bateson, Watzlawick, ecc.).

In questo paradigma della pragmatica della comunicazione umana, i comportamenti psicotici vengono letti non come una "malattia" (con l'accezione individuale che ne consegue) ma come il risultato di una comunicazione sociale disturbata. Inoltre, ed è questo l'aspetto che qui può interessarci, è centrale qui l'idea che la comunicazione psicotica non comporta solo danni per l'individuo che ne è il portatore centrale, ma anche vantaggi - per esempio, impedire il divorzio dei genitori, accentrare l'attenzione su di se, ecc. Di conseguenza, la terapia, oltre che coinvolgere l'intero tessuto familiare e sociale del "portatore del sintomo", deve strategicamente creare un tessuto relazionale che abolisca i vantaggi del comportamento psicotico, rendendolo inutile e totalmente controproducente.

Ora, è indubbio che la logica del profitto/potere sia perfettamente inquadrabile all'interno del paradigma di una relazione sociale disturbata. Insomma, il fatto che le relazioni sociali gerarchiche siano, intese come potenzialità dell'umano, ineliminabili come possibilità, non implica affatto che esse, in una società con relazioni sociali non disturbate, possano essere inattivate.


Shevek

"Il potere è l'immondizia nella storia degli umani" - F. Guccini
www.portadimassa.net - WEB-TV e non solo di Filosofia
lamefarmer
Inviato: 9/8/2007 21:38  Aggiornato: 9/8/2007 21:43
Mi sento vacillare
Iscritto: 23/9/2005
Da: vacu°u(m)
Inviati: 334
 Re: La depenalizzazione del profitto
Ascoltavo proprio pochi minuti fa una registrazione di un opera di Maurizio Pallante, un personaggio laureato in lettere e consulente per il Ministero dell'ambiente in politiche ambientali, nonché citato anche da Beppe Grillo in diverse occasioni.

L'opera intitola "Discorso sulla decrescita".

A parte notare che l'autore usa mercificare la sua idea (non usando ad esempio una edizione in copyleft, più coerente con le idee di cui vorrebbe essere promotore) nei contenuti si possono però ricavare a mio avviso interessanti indizi per rispodere alla domanda di MM, che ho visto già ripresa da altri post:

Citazione:
Esiste, a questo punto, una ragionevole via di uscita?


Pallante inizia dividendo il contetto di merce da quello di bene: egli spiega che oggi il principale indice di ricchezza riconosciuto unanimemente é il PIL, che però é tarato sul valore dato dallo scambio mercantile dei beni che sul bene stesso.

L'esempio semplice é dato dal fatto che una mela che il contadino produce per se stesso, é qualitativamente migliore, non produce inquinamento e non ha generalmente bisogno di additivi chimici o solizioni di stampo industriale per essere consumata, ma non influisce sul PIL, quindi non é considerata un indicie di ricchezza, ne per il contadino ne per la società in generale. Viceversa una mela prodotta con metodi intesivi con lo scopo di divenire merce, é considerata come ricchezza e conteggiata nel PIL, tuttavia per entrarne in possesso dobbiamo dipendere da un sistema economico astratto (denaro).

Il Pallante quindi pone la domanda: é più "ricco" il contadino che volendo può soppravvivere con il prodotto del suo lavoro (quindi fare a meno del denaro) o l'impiegato che non può fare a meno del denaro per vivere?
A partire da ciò vengono poi costruiti diversi percorsi tesi a dimostrare che il lavoro manuale (proggressivamente messo alla berlina dagli attuali sistemi altamente industrializzati) e l'autoproduzione artigianale di beni di prima necessità é sicuramente una ricchezza maggiore che la super-specializzazione di un lavoro teso a realizzare cose futili. Tuttavia ancora una volta la società attuale riconosce il valore del futile, rigettando il necessario.

Anche la dimensione spirituale (ci dice sempre il Pallante) finisce per risentirne, perché se la qualità generale della mia vita peggiora, nel senso che dipendo sempre di più dal futile e da una generale idea di ricchezza legata al denaro e ai suoi principi di ricchezza, benessere e sempre meno a un mio ruolo attivo nella società.

Da parte mia registro che il Pallante (assieme a diversi spunti di cui posso solo ringraziarlo) si aggiuge alla lunga lista di quanti hanno tentato almeno a parole (meno spesso nei fatti) di porre sotto una luce critica questa società, che prima di essere industriale era si legata alla terra e a più alti principi di fede, ma assai meno a quelli di una giustizia e una ricchezza un po' più equa e redistribuita: se oggi gli eco-mostri (in senso di eco-nomico e non eco-logico) post bellici e post industriali rappresentati dalle multinazionali, sono esclusivamente spugne che assorbono denaro, trasformando tutto il resto in merda, ieri gli imperi, i reami e i vari bulli che vi sguazzavano scorrazzando qua e la per tutto il pianeta nelle varie ere, non si potevano certo pensare migliori.
Solo un po' meno attrezzati per fare danni.

Egli poi fa una domanda che suona simile a quella di MM, e cioé si chiede se una volta riconosciuto che il suo punto di vista é corretto, vi sia ancora qualcuno di senno capace di continuare sulla strada del produttismo merceologico a tutti i costi, senza che sia altresì capace d'ammettere che non vi é una via d'uscita oltre il disastro totale.

La risposta (mentale) che ho dato al Pallante é la medesima che di solito fornisco a questi saccenti del buon pensiero, e cioé che nei loro istruiti calcoli non riestra l'elemento egocentrico umano: se qualcuno mi dice che in una "famiglia allargata" degli anni '50 si stava meglio che nei "micro" appartamenti cittadini moderni, dove sempre più spesso finiamo a vivere da soli, ricordo che "si c'era il l'obbligo del dono", ma c'era anche tanta di quella cattiveria che bastava nascere da madre orfana per essere figlio del demonio.

In sostanza secondo il mio modesto parere, oltre l'idea ripetuta alla nauesa che dalle campagne ci si sposti in città per un miraggio di ricchezza (come ci ricorda l'autore) esiste anche una spinta - raccolta con decine e decine di testimonianze (ispirato dal mito di S.Tommaso) - che dipende dal fatto che un individuo in una comunità é più spesso e più facilmente emarginato e schiacciato se dalla comunità dipende.
Se per avere un paio di scarpe dipendo dal "dono" che mi fa il ciabattino, ma lui si rifiuta di "ricevere" da me perché ho la moglie di colore cheffaccio?
Non ho più un sistema di valori astratto da cui dipendere (denaro) ma uno concreto (l'umore del ciabattino stronzo).

Pallante come tanti sogna un economia della decrescita (cioé una economia della interdipendenza, dove un individuo non può soppravvivere isolato, perché nessuno può produrre da se e per se tutto ciò che gli serve) immaginando che vi sia maggiore felicità in un luogo dove c'é maggiore relazione sociale, ma omette di inserire in questo contesto bucolico il lupo, come se per magia nella fiaba di biancaneve, non vi fosse mai stata una strega cattiva.

Forse sarebbe ora di piantarla con questa "filosifia del bene" che porta il saggio verso la critica paradossale, cominicando a ripensare la realtà con pesi e contrappesi, senza inseguire il lato piacevole che l'immaginazione ci spinge a sognare, come pinocchio con il paese dei balocchi.

Diversamene nessuna soluzione può presentarsi alla luce dei fatti senza smentirsi nell'evidenza dei sui paradossali limiti.


Ognuno parla di se stesso, sempre e comunque
Redazione
Inviato: 9/8/2007 21:43  Aggiornato: 9/8/2007 21:43
Webmaster
Iscritto: 8/3/2004
Da:
Inviati: 19594
 Re: La depenalizzazione del profitto
"Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.

Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo. Il prodotto nazionale lordo comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Il prodotto nazionale lordo mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende la distruzione delle sequoie e la morte della fauna nel Lago Superiore. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, e comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica. [Siamo nel 1968 - ndr]

Il prodotto nazionale lordo si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte nelle nostre città, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

E se il prodotto nazionale lordo comprende tutto questo, non calcola però molte altre cose. Non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. E' indifferente alla decenza del luogo di lavoro o alla sicurezza nelle nostre strade. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti.

Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi. Il prodotto nazionale lordo non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.

Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani."

Robert Francis Kennedy

arturo
Inviato: 9/8/2007 22:08  Aggiornato: 9/8/2007 22:50
Ho qualche dubbio
Iscritto: 1/3/2007
Da:
Inviati: 265
 Re: La depenalizzazione del profitto
E' una domanda che si potebbe rivolgere a Lincoln, o a John Kennedy.

MAZZUCCO, molte grazie per averlo fatto al posto mio.
Conoscevo il discorso di Bob Kennedy (chi non lo conosce ? ) e penso che "gli interessi" che i Kennedy avevano intenzione di toccare non fossero esattamente gli stessi del Libcon...

Credo che gli esponenti di questa corrente abbiano maggiori garanzie di "protezione" e quindi di sopravvivenza...


.

Linucs
Inviato: 9/8/2007 22:26  Aggiornato: 9/8/2007 22:26
Sono certo di non sapere
Iscritto: 25/6/2004
Da:
Inviati: 3996
 Re: La depenalizzazione del profitto
Va bene LINUCS, abbiamo capito che di soluzioni al problema non ne hai. Bastava dirlo, non c'è niente di male.

Non ho soluzioni. Né problemi. Io stesso sono il problema: lo siamo tutti. Da ciò deriva logicamente la soluzione.

cocis
Inviato: 10/8/2007 8:41  Aggiornato: 10/8/2007 8:41
Dubito ormai di tutto
Iscritto: 11/1/2006
Da: V
Inviati: 1430
 Re: La depenalizzazione del profitto
notizia di ieri..

crisi negli usa e per la golden sach .. altri 2 fondi di investimento e di mutui in crisi ... la crisi economica è cominciata ???

cocis
Inviato: 10/8/2007 9:02  Aggiornato: 10/8/2007 9:03
Dubito ormai di tutto
Iscritto: 11/1/2006
Da: V
Inviati: 1430
 Re: La depenalizzazione del profitto
crisi generale

9 agosto 2007
Crisi dei mutui, rischio contagio in Europa: la Bce inietta 94,8 miliardi di euro di liquidità


La più grande operazione di liquidità dall'11 settembre 2001




Ashoka
Inviato: 10/8/2007 9:23  Aggiornato: 10/8/2007 9:23
Sono certo di non sapere
Iscritto: 11/7/2005
Da:
Inviati: 3660
 Re: La depenalizzazione del profitto
Notizia che fa il paio con:

Bce, allarme inflazione. Stretta a settembre

Ovvero.. Ragazzi occhio! Abbiamo "iniettato" 100 miliardi di euro in banconote nel mercato e può darsi che i prezzi si alzino!

Tante grazie! Se stampi 100 miliardi in banconote che cavolo deve succedere di diverso?

Non è colpa nostra! Vi abbiamo avvertito! Sta a voi provare a fermare i rincari!

Ashoka

fiammifero
Inviato: 10/8/2007 9:34  Aggiornato: 10/8/2007 9:34
Sono certo di non sapere
Iscritto: 28/2/2005
Da: ROMA
Inviati: 5691
 Re: La depenalizzazione del profitto
Se solo ci fosse un'unanimità di "priorità assolute " e di scarto di futilità!
Basterebbe che ciascuno di noi,prima di fare un acquisto si ponesse la semplice domanda : posso farne a meno ? è indispensabile?

Citazione:
le cose di cui ci sentiamo assolutamente certi non sono mai vere (Oscar Wilde)
redna
Inviato: 10/8/2007 9:41  Aggiornato: 10/8/2007 9:41
Sono certo di non sapere
Iscritto: 4/4/2007
Da:
Inviati: 8095
 Re: La depenalizzazione del profitto
Ieri è scesa la borsa USA e europea, stamattina anche quella asiatica...
Giusto per globalizzare tutti...
su www.repubblica.it si capisce anche un qualcosa in più...in pratica sono stati dati dei mutui travestiti da fondi.E per questo sto casino?
Dentro ci siamo tutti in questa spirale che sembra stritolare ognuno.

La BCE ha immesso liquidità per 94,7841 ...teniamo presente che all'indomani dell'11.9 per far fronte all'accaduto aveva immesso prima 69 poi di 40 per un totale di 109.Ma ora qual'è realmente il problema?
Cioè quelle effettivo non quello che ci elargiscono i media?
Su comedonchisciotte si trovano da tempo molti articoli in cui si parla della situazione disastrosa e del tutto fuori controllo della finanza USA.
Ora dobbiamo pagare tutti perchè qualcuno non sa fare i conti in casa sua?

C’è al mondo una sola cosa peggiore del far parlare di sé: il non far parlare di se (Oscar Wilde)
maurixio
Inviato: 10/8/2007 10:02  Aggiornato: 10/8/2007 10:02
Mi sento vacillare
Iscritto: 13/4/2007
Da:
Inviati: 333
 Re: La depenalizzazione del profitto
Una volta mio fratello era da solo in una capanna, e tutta la natura ostile e violenta intorno a lui, poi un gruppo ha creato una città sola in un continente, in seguito ha scoperto di vagare per l'universo infinito tra infiniti mondi.......soli e dispersi nel cosmo? liberta uguaglianza e fratellanza ...non profitto potere violenza....sarà questa la chiave politico religiosa di questo nuovo millennio.....inquisizione morale nei confronti di arrivisti e rampantisti, il fiato sul collo si devono sentire. Resistere, resistere, epoi resistere " è questo il vizio che ci ucciderà" ciao.

Ashoka
Inviato: 10/8/2007 10:36  Aggiornato: 10/8/2007 10:36
Sono certo di non sapere
Iscritto: 11/7/2005
Da:
Inviati: 3660
 Re: La depenalizzazione del profitto
Scusate l'intervento lunghissimo

Citazione:
L'esempio semplice é dato dal fatto che una mela che il contadino produce per se stesso, é qualitativamente migliore, non produce inquinamento e non ha generalmente bisogno di additivi chimici o solizioni di stampo industriale per essere consumata, ma non influisce sul PIL, quindi non é considerata un indicie di ricchezza, ne per il contadino ne per la società in generale.


Ora, se sorvoliamo sul concetto di PIL, visto che è solo l'ennesimo “indice statistico”, mi pare che qui Pallante mischi un po' le cose.

Anche il contadino produce la mela per poi scambiarla con altre cose; se così non facesse vivrebbe dentro una mela gigante e mangerebbe solo mele. Ovviamente dà un valore (soggettivo) maggiore alle prime mele che produce (che mangia) mentre poi porta le altre (che valuta di meno) al mercato per scambiarle con altre cose.

Al mercato riceve in cambio del denaro il quale viene poi utilizzato per soddisfare altri bisogni (comprare il vestito, il pane, etc.) ed in parte (si spera) risparmiato.

Questo è il mondo del contadino-imprenditore (con il significato che gli dava Richard Chantillon).

La mela prodotta è quindi un bene ed è quindi merce (anche quella che ha mangiato!). E' merce perché è stata usata per soddisfare il suo bisogno di mele, così come le altre sono state scambiate x soddisfare altri bisogni (vestito, pane, etc.) attraverso il mezzo di scambio che è il denaro.

Citazione:
Viceversa una mela prodotta con metodi intesivi con lo scopo di divenire merce, é considerata come ricchezza e conteggiata nel PIL, tuttavia per entrarne in possesso dobbiamo dipendere da un sistema economico astratto (denaro).


La mela prodotta così ha lo scopo di soddisfare il “bisogno di mela” di tanti e non c'è nulla di male in questo, sia chiaro. Il “Male” sta in alcuni comportamenti che queste aziende di massa hanno, verso i loro dipendenti o verso altri soggetti.

Penso al connubio Monsanto/Usa/governo iracheno che costringe i contadini iracheni ad utilizzare sementi della Monsanto, penso ai sussidi sul biodiesel che hanno “reso conveniente in termini economici” utilizzare vasti campi per la produzione di questo combustibile, che ha una resa scarsissima (grano -> combustibile) e che come risultato (indesiderato) hanno avuto quello di abbassare la produzione di grano e farne quindi lievitare il prezzo.

E qui veniamo a quello che definisci “sistema economico astratto (denaro)”

E' astratto oggi perché siamo costretti ad utilizzare moneta cartacea! Cartamoneta a cui non daremmo nessun valore se non fossimo costretti dallo Stato con il corso legale.

Provate a chiedere il salario in oro, oppure provi il contadino a farsi pagare le mele in polvere d'argento... non può.

Invece con il “sistema economico astratto” e con la scusa dell'adeguare la quantità di moneta ai beni e servizi ecco che la “massa monetaria” cresce del 10% l'anno ed accelera, la BCE inietta liquidità e la gente sta a chiedersi il perché con i loro 10 euro possono comprare sempre di meno (oggi la colpa è del petrolio, una volta era della scala mobile, etc.).

E con questa moneta che lo Stato si stampa in connubio con la Banca Centrale e ci fa accettare per legge, che vengono finanziate guerre (Afghanistan e Iraq), aziende “amiche” (Halliburton, etc.), “grandi opere inutili” (ponte sullo stretto, Tav).

Eppure si sente sempre dire, in ambiente di “controinformazione” che la soluzione sarebbe dare allo Stato la possibilità di stamparsi i soldi! Che è come comprare i proiettili e regalarli all'assassino!

Ma la moneta “originale” ovvero quella nata dagli scambi dell'uomo (e non da un decreto di Stato) era una merce, come tutte le altre, solo che serviva anche, oltre al consumo (ed. nei gioielli), anche come mezzo di scambio.

Ed una moneta così non la puoi stampare di notte per poi prestarla di giorno alla gente in modo che compri tutto quello che viene prodotto. Una moneta così fa il gioco del contadino che consuma la propria mela e scambia le altre, non quello della multinazionale che necessita di sussidi, guerre e leggi accomodanti per fare i propri guadagni.

E quindi ecco che la domanda che si fa Pallante

Citazione:
Il Pallante quindi pone la domanda: é più "ricco" il contadino che volendo può soppravvivere con il prodotto del suo lavoro (quindi fare a meno del denaro) o l'impiegato che non può fare a meno del denaro per vivere?


Non ha senso, anche perché è pura retorica. Sia il contadino che l'impiegato sopravvivono con il prodotto del loro lavoro!

Citazione:
A partire da ciò vengono poi costruiti diversi percorsi tesi a dimostrare che il lavoro manuale (proggressivamente messo alla berlina dagli attuali sistemi altamente industrializzati) e l'autoproduzione artigianale di beni di prima necessità é sicuramente una ricchezza maggiore che la super-specializzazione di un lavoro teso a realizzare cose futili.


Ed ecco che arriva la retorica “autarchica” del “si stava meglio quando si stava peggio” e così via. Un conto è cercare le aberrazioni del sistema e criticarle, un conto è buttare via tre secoli di storia e predicare un ritorno al “mondo di Cincinnato” né più, né meno come faceva Cicerone ventun secoli fa, lamentandosi dell'epoca corrotta in cui viveva... O tempora! O mores! (domanda. A cosa si riferiva?)

Il mondo di oggi dà la possibilità di godere di quei beni di prima necessità e poi anche di godere di altri beni. Tanto per dirne uno.. il pc con cui abbiamo scritto questi messaggi, la rete che ha convogliato i bit ed il server che li ospita.

Citazione:
Tuttavia ancora una volta la società attuale riconosce il valore del futile, rigettando il necessario.


Ma questo è un problema diverso e morale, non economico.

Citazione:
se oggi gli eco-mostri (in senso di eco-nomico e non eco-logico) post bellici e post industriali rappresentati dalle multinazionali, sono esclusivamente spugne che assorbono denaro, trasformando tutto il resto in merda, ieri gli imperi, i reami e i vari bulli che vi sguazzavano scorrazzando qua e la per tutto il pianeta nelle varie ere, non si potevano certo pensare migliori.
Solo un po' meno attrezzati per fare danni.


E il denominatore comune di tutto ciò qual è? La mancanza di spiritualità nell'uomo? Oppure altro.

Citazione:
Egli poi fa una domanda che suona simile a quella di MM, e cioé si chiede se una volta riconosciuto che il suo punto di vista é corretto, vi sia ancora qualcuno di senno capace di continuare sulla strada del produttismo merceologico a tutti i costi, senza che sia altresì capace d'ammettere che non vi é una via d'uscita oltre il disastro totale.


Ma lui oppone ii contadino autarchico felice nella sua Arcadia alla Monsanto, poteva consigliare di leggere le Georgiche di Virgilio e buona notte.

Ma dimentica che il contadino non vive in solitudine solo di mele, l'artigiano non vive solo del suo prodotto e così via. Tutti vivono all'interno di una comunità dove quei prodotti vengono scambiati. Dalla proprietà e dallo scambio nasce, inevitabilmente la moneta.

E' da notare anche che se il contadino produce tre tonnellate di mele per un villaggio di 400 anime o riesce a scambiarle con altri villaggi o le mele le butta (quindi ha fatto delle scelte di produzione sbagliate). Parte del terreno coltivato a mele poteva produrre qualcos'altro, magari degli olivi ed ecco che dall'anno successivo al villaggio ci sarà disponibilità anche di olio e così via.

Per criticare il consumismo che è figlio della moneta di carta si è deciso che dobbiamo essere tutti Cincinnato nel nostro campicello. Si è passati da un estremo ad un altro.

Nulla vieta chi la pensi così, cmq, di costruirsi il suo paradiso Amish

Citazione:
Pallante come tanti sogna un economia della decrescita (cioé una economia della interdipendenza, dove un individuo non può soppravvivere isolato, perché nessuno può produrre da se e per se tutto ciò che gli serve) immaginando che vi sia maggiore felicità in un luogo dove c'é maggiore relazione sociale, ma omette di inserire in questo contesto bucolico il lupo, come se per magia nella fiaba di biancaneve, non vi fosse mai stata una strega cattiva.


Ma eccoci al punto, Pallante vuole abolire la moneta e costruire un sistema di interdipendenza senza di essa?

Ma i casi sono due: o si è liberi e proprietari delle cose che produciamo e quindi qualche tipo di bene potrebbe essere utilizzato come “mezzo di scambio” (ed ecco la moneta)

Che si fa? La si vieta?

Oppure non vi è la proprietà (se non comune) ma allora non vi sono neanche scambi.

Ashoka

mc
Inviato: 10/8/2007 12:02  Aggiornato: 10/8/2007 12:21
Sono certo di non sapere
Iscritto: 19/5/2004
Da:
Inviati: 7222
 Re: La depenalizzazione del profitto
Citazione:
Ma i casi sono due: o si è liberi e proprietari delle cose che produciamo e quindi qualche tipo di bene potrebbe essere utilizzato come “mezzo di scambio” (ed ecco la moneta).... Oppure non vi è la proprietà (se non comune) ma allora non vi sono neanche scambi.

Si, i casi sono due... ... e i "comunisti mangiano i bambini" ...
Sara' che il comunismo avra' fatto dei danni, ma porca zoccola!, l'anticomunismo a ridotto in pappa tanti di quei cervelli che per trovarne qualche kilo intero, nell'occidente consumista, bisogna fare un genocidio.

Si potrebbe cambiare il titolo in "morte dell'obiettivita' umana", dopo questo tuo post,i Ashoka, secondo me.

mc

Ashoka
Inviato: 10/8/2007 12:42  Aggiornato: 10/8/2007 12:43
Sono certo di non sapere
Iscritto: 11/7/2005
Da:
Inviati: 3660
 Re: La depenalizzazione del profitto
Ho tanto l'impressione che non tu non l'abbia capito. Mi sarò spiegato male io?

Ci riprovo, spero con più fortuna.

Come ho detto tante volte (anche nel forum anarchia), se siamo proprietari di terreni, di ciò che produciamo, etc. allora, non potendo tutti produrre autonomamente tutto ciò che ci serve allora scambiamo.

Se scambiamo (baratto) il pane con le pere, le mele con il vestito, e così via, abbiamo un problema, ovvero lo scambio indiretto. Questo si verifica quando tu vorresti del pane e daresti in cambio dell'olio ma non esiste una persona che voglia fare lo scambio diretto pane x olio con te. (c'è chi vuole l'olio ma non dà via il pane e viceversa).

Questo postula la necessità di scambi che non ti fanno avere direttamente ciò che ti serve ma che ti procurano un qualcosa che ti avvicina al tuo obiettivo. (es. chi scambia il pane vuole del'insalata e tu riesci a trovare uno che scambia insalata per l'olio che hai tu)

Gradatamente, all'interno di una società che opera in questo modo, emergerà un bene che viene progressivamente accettato da tutti (senza imposizioni dall'alto) e che diventa un mezzo di scambio. Ecco la moneta.

Questo processo lo puoi impedire x legge ma a quel punto la gente non sarà libera di effettuare gli scambi come vuole.

Se invece tutto viene condiviso e nessuno ha la proprietà privata dei beni ecco che la necessità di scambiare viene meno (chi scambia con chi?)

Ci sarà o un pianificatore centrale che decide come distribuire le risorse e cosa produrre oppure ognuno farà come vuole ed immagazzinerà da qualche parte i suoi prodotti, in comune con gli altri.

Niente proprietà - niente scambi e quindi nessuna necessità di moneta.

Non avevo espresso nessun giudizio etico o morale eppure mi son beccato, come al solito, la mia dose di insulti (ha ridotto in pappa tanti di quei cervelli.. etc. etc.)

pazienza

Ashoka

nessuno
Inviato: 10/8/2007 12:58  Aggiornato: 10/8/2007 12:58
Mi sento vacillare
Iscritto: 30/7/2005
Da: Albino (BG) - Bassa Valle Seriana
Inviati: 501
 Re: La depenalizzazione del profitto
Citazione:
Ci sarà o un pianificatore centrale che decide come distribuire le risorse e cosa produrre oppure ognuno farà come vuole ed immagazzinerà da qualche parte i suoi prodotti, in comune con gli altri.


Ashoka, credo tu stia limitando eccessivaente le possibilità... :)

Perdona, ma provo a suggerirne una tera (poi ce ne sarà una quarta, una quinta, ecc..). Data la disponibilità di connessioni internet e la diffuzione delle teconologie informatiche, cosa vieta ad una società (immaginaria, lo so, ma tanto stiamo su un forum di "immaginatori") di utilizzare una rete di comunicazione per fornire a tutti l'informazione circa beni e servizi disponibili? Nessun bisogno di immagazzinare per profitto, nessun bisogno di accumulare... e nessuno "scambio". Basta andare e prendere.

Lo so, ne abbiamo già discusso a lungo su "Anarchia", e non pretendo né di avere ragione, né di farti cambiare idea. Chiedo solo: sarebbe possibile?

Buona vita

Guglielmo

"Quieremos organizar lo entusiasmo, no la obediencia" - Buenaventura Durruti
Ashoka
Inviato: 10/8/2007 13:18  Aggiornato: 10/8/2007 13:18
Sono certo di non sapere
Iscritto: 11/7/2005
Da:
Inviati: 3660
 Re: La depenalizzazione del profitto
Ciao Guglielmo,

la mia era una frase sintetica e sbrigativa che forse avrei dovuto esprimere con "e qualsiasi altro modo per distribuire i beni prodotti e decidere come produrli che non richieda scambi e proprietà privata"

Il succo del discorso era che:

1) proprietà privata -> scambi -> moneta
2) no proprietà privata -> no scambi -> no moneta

Non ho espresso giudizi di forma e merito sul 2) e sinceramente non vedo perché un gruppo di persona non possa, in questa società immaginaria, unirsi e volontariamente decidere di fare come dici tu. Stesso discorso che avevo fatto nel forum, tra l'altro.

Quello che invece mi premeva sostenere è che l'assunto

proprietà privata e no moneta non funziona in una società in cui gli individui sono liberi come spiego nell'altro intervento.

Tutto qua.

***

Poi mi è sembrato di capire che per qualcuno la società è un gioco a somma zero dove se qualcuno va in positivo ci sarà qualcuno che per forza deve andare in negativo.

Ma questa è un'altra storia.

mc
Inviato: 10/8/2007 15:06  Aggiornato: 10/8/2007 15:39
Sono certo di non sapere
Iscritto: 19/5/2004
Da:
Inviati: 7222
 Re: La depenalizzazione del profitto
Ti chiedo scusa... e' che sono un po' nervoso.
Il cervello in pappa ce l'ho io ma non per l'anticomunismo.

Dire che non era rivolto a te, e' vero ed e' inutile forse che lo dica ora: era un commento generico e generalizzante.
Al limite ti "accusavo" di mancanza di obiettivita', il che' non mi pare cosi' grave... credo tu possa sopravvivere... .

Inoltre, quel post e' la conclusione di un altro, rimasto in un textfile sul desktop, piu' articolato, che toccava altri argomenti ma non avevo voglia
di impelagarmi in altre discussioni, sempre le stesse. Non avevo voglia di lanciare il sasso e poi lasciare la cosa a meta'.
Non penso che tu abbia il cervello in pappa... te lo confermo e lo riconfermo...
ciao

(p.s.: che non sia vero per te non vuol dire che non sia per molti altri!!! )

mc

Infettato
Inviato: 10/8/2007 15:15  Aggiornato: 10/8/2007 15:15
Dubito ormai di tutto
Iscritto: 23/11/2006
Da: Roma
Inviati: 1499
 Re: La depenalizzazione del profitto
Poi mi è sembrato di capire che per qualcuno la società è un gioco a somma zero dove se qualcuno va in positivo ci sarà qualcuno che per forza deve andare in negativo.

Per forza no ma è molto probabile , nel primo post dove è uscito fuori tutto il mio francesismo nascosto volevo indicare proprio questo aspetto anche a livello basso.

E' implicito che con questo modo di vivere, tutti nel nostro piccolo subiamo o ne acquisiamo i vantaggi magari anche senza saperlo, ora poniamo che questi interessi siano nazionalcontinentali....booom non significa necessariamente un'altra guerra.

Questo secondo me potrebbe essere una via di uscita

Fiammifero

Se solo ci fosse un'unanimità di "priorità assolute " e di scarto di futilità! Basterebbe che ciascuno di noi,prima di fare un acquisto si ponesse la semplice domanda : posso farne a meno ? è indispensabile?

chi moltissimo chi un pochino di meno ma questa potrebbe essere una delle chiavi.

Ron Paul si ma fino ad un certo punto.

ciao

Infettato dal morbo di Ashcroft
---------------------------------------------
Quando ci immergiamo totalmente negli affari quotidiani, noi smettiamo di fare distinzioni fondamentali, o di porci le domande veramente basilari. Rothbard
shevek
Inviato: 10/8/2007 16:19  Aggiornato: 10/8/2007 16:19
Dubito ormai di tutto
Iscritto: 27/4/2005
Da: Napoli
Inviati: 1249
 Re: La depenalizzazione del profitto
Salut y Libertad Ashoka!


Dici:Citazione:
Pallante vuole abolire la moneta e costruire un sistema di interdipendenza senza di essa? Ma i casi sono due: o si è liberi e proprietari delle cose che produciamo e quindi qualche tipo di bene potrebbe essere utilizzato come “mezzo di scambio” (ed ecco la moneta) Che si fa? La si vieta? Oppure non vi è la proprietà (se non comune) ma allora non vi sono neanche scambi.


Dipende da cosa intendi per "scambio". Una società comunista basata sul concetto di "piano di produzione" non fa altro che "scambiare" i prodotti di una determinata attività con quelli di tutte le altre, basandosi sul principio "da ognuno secondo le sue possibilità, ad ognuno secondo i suoi bisogni". Una di queste attività è proprio il coordinamento di questi scambi (quello che Kropotkin chiamava l'"Ufficio di Statistica"), attività che presuppone come propria "remunerazione" né più né meno che l'accesso ai beni prodotti, come per tutti gli individui. Non è questione di vietare o meno la moneta: in una simile condizione di relazioni sociali sarebbe inutile, come un frigorifero in Alaska.

Ora, se tu vuoi chiamare "scambio" esclusivamente la condizione "proprietà privata --> moneta --> scambio", liberissimo: basta capirsi.


Shevek

"Il potere è l'immondizia nella storia degli umani" - F. Guccini
www.portadimassa.net - WEB-TV e non solo di Filosofia
cocis
Inviato: 10/8/2007 23:32  Aggiornato: 10/8/2007 23:35
Dubito ormai di tutto
Iscritto: 11/1/2006
Da: V
Inviati: 1430
 Re: La depenalizzazione del profitto
è l'inizio della fine ??

http://www.tgcom.mediaset.it/tgfin/articoli/articolo374698.shtml

Borse europee,bruciati 268 miliardi
L'allarme mutui affonda i listini




Citazione:
LIQUIDITA' CONTRO LA CRISI
Quattro iniezioni di liquidità sui mercati europeo e americano nel giro di 24 ore. Questi gli interventi di Federal Reserve e Bce per arginare la crisi dei mutui, che ha affondato i listini europei. La Banca Centrale Europea, dopo aver immesso sul mercato 94,8 miliardi di euro giovedì, ha deciso per altri 61. Dopo i 24 miliardi di dollari di giovedì, la Fed ha poi deciso prima per altri 19 e poi per altre due tranche: un da 16 miliardi, una da tre


nessuno
Inviato: 11/8/2007 14:56  Aggiornato: 11/8/2007 15:00
Mi sento vacillare
Iscritto: 30/7/2005
Da: Albino (BG) - Bassa Valle Seriana
Inviati: 501
 Re: La depenalizzazione del profitto
Riprendo e trascrivo integralmente da: Carmilla Online: http://www.carmillaonline.com/archives/2007/08/002338.html#002338

Di vecchi pugili e operai che muoiono sul lavoro

di Girolamo De Michele

«Lo sai chi ha ucciso Davey Moore? Io lo so, ma tu lo sai?», si chiede in una vecchia canzone Bob Dylan. Non l’arbitro che non ha fermato l’incontro, non gli spettatori che incitavano l’avversario, non l’impresario che ha organizzato l’incontro né lo scommettitore che ci ha lucrato sopra, non il giornalista né quel povero cristo dell’avversario, immigrato sfuggito alla fame grazie alla boxe. Nessuno, dunque. Ma allora chi ha ucciso Davey Moore? E come si permette il signor Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan, di affermare: io so chi ha ucciso Davey Moore?
Due lavoratori, Angelo di Mugnano e Cristian di Bolzano, muoiono nei rispettivi cantieri. Due dei tanti: quattro al giorno dicono le cifre ufficiali, che non tengono conto dei lavoratori irregolari trasportati fuori dai cantieri dopo morti e buttati in un fosso, o caricati su una vecchia auto gettata contro un albero. Chi uccide quattro o cinque lavoratori al giorno?
Se un uomo che cammina sul crinale di un precipizio fa un passo falso e precipita, a nessuno viene in mente di dire che la causa della sua morte è la forza di gravità: eppure se le leggi della meccanica fossero differenti quell’uomo sarebbe ancora vivo. No, a tutti è chiaro che la causa della morte è il passo falso. E la causa del passo falso? Forse una distrazione, forse un eccesso di alcool, forse l’urto di un altro corpo: una spinta, forse. O la volontà di farla finita. Il punto è che finché la spiegazione, per quanto scientificamente esatta sia, non ci fornisce un’adeguata comprensione noi continuiamo ad aggiungere alla spiegazione un “perché?”: perché, dunque, con tanta facilità i lavoratori cadono dalle impalcature? Perché restano schiacciati dai tubi, sepolti dal carico della gru che si stacca, travolti da una struttura che cede o dal mezzo meccanico che stavano guidando? In un caso di cronaca nera il perché? allude alla mano che ha premuto il grilletto, che ha innescato la carica di tritolo sotto la provinciale di Capaci o ha abbandonato la borsa alla banca dell’Agricoltura in piazza Fontana. Ma un lavoratore che cade da un ponteggio o viene massacrato da un tubo? È morto, o è stato ucciso? Sul lavoro si muore o si viene uccisi? Se non ci sono assassini non c’è assassinio, a lume di ragione. Ma se quasi tutti quelli che liquidano Francesco Caruso come un povero demente usano sui propri giornali, nelle sedi sindacali, nei comizi l’espressione “omicidio bianco” una ragione ci dovrà pur essere: perché se c’è omicidio c’è assassino. Se c’è un perché? ci dev’essere una risposta, se c’è un effetto ci dev’essere una causa.
La forza di gravità, combinata al falso movimento del piede, all’usura del tirante, al cedimento della struttura, certo: causa efficiente. L’arresto cardiaco, la frattura alla base del cranio, la perforazione di un organo vitale: causa materiale. Ma anche: la latitanza dei controlli, la sempre più labile osservanza delle norme di sicurezza, la crescente precarizzazione, e dunque l’inesperienza, o la mancanza di colleghi anziani in grado di insegnare le regole minime di comportamento (l’eclissi del sapere operaio, direbbe un vecchio operaista); il sistema delle aste al ribasso, dei subappalti; la tollerata infiltrazione del lavoro nero nel lavoro regolare. Causa formale. Che si intreccia con la causa finale: il sistema del lavoro nell’epoca della globalizzazione. E se queste leggi sono, formalmente, causa di quelli che si usa chiamare “omicidi bianchi”, allora sarà permesso dire che i loro artefici sono, in senso lato, responsabili di quegli omicidi?

Si dirà: questa è metafisica. Può darsi: ma cos’è, invece, un assassinio senza assassino, un effetto senza causa, una legge senza effetto? E allora, metafisica per metafisica, meglio una buona metafisica piuttosto che una cattiva: come quella di certi analisti come Ichino con i quali non sembra possibile polemizzare senza passare per filo-brigatisti. Analisti che fingono di ignorare gli effetti allargati, i cerchi concentrici che dalle leggi attuali si dipartono per generare quella precarizzazione dell’esistenza che (come ha messo in luce Sbancor) è argomento di discussione solo a condizione che non si parli delle sue cause oggettive. Che la precarietà sia una condizione soggettiva, esistenziale: un prodotto del non-sentirsi-a-casa-propria come condizione generale dell’esistenza, secondo certe cattive metafisiche, assai gradite alle orecchie di Napolitano e dei cosiddetti miglioristi, che era di moda frequentare quando Marx divenne demodé.
Con buona pace di questi ultimi epigoni del pensiero molle, la precarizzazione, l’incertezza, l’epoca delle passioni tristi non sono né condizioni inalterabili, né prodotti di un destino barbaro e cieco: accadono all’interno di un sistema di leggi che lo hanno consentito dal punto di vista legale. Accadono all’interno di una condizione generale del lavoro che certo non è stata interamente prodotta da queste leggi, ma che il complesso delle leggi Treu-Biagi difende, impedendone la radicale modifica e consentendone solo piccoli aggiustamenti. Detto altrimenti: tutto quello che all’interno delle leggi vigenti era possibile fare è stato già fatto: senza abrogare quelle leggi nella lotta al precariato non si va oltre (ma si possono sempre scrivere bellissime lettere ai giornali sui ragazzi precari, cosa di cui Veltroni è maestro).
Ma soprattutto, le norme attualmente vigenti producono un effetto performativo di ineluttabilità: la convinzione che il lavoro non può che essere così, che per il lavoro il sacrificio di sangue e vita è un atto dovuto e necessario, come la morte per tumore o leucemia.

Un risultato Francesco Caruso l’ha sicuramente ottenuto: ha ricompattato l’intero centro-sinistra contro di sé. È un cretino, un idiota; straparla; vaneggia; è come Gentilini; delira: le prime pagine di Unità, Liberazione, Manifesto, Repubblica sono intercambiabili, come le dichiarazioni di Napolitano, Giordano, Treu, Maroni, Cicchitto. Marco Biagi, il tecnico del governo D’Alema prestato al centrodestra (il cui assassinio è stato strumentalmente usato per legittimare una legge che D’Alema avrebbe fatto pari pari) non può difendersi, dicono in coro: ma forse può prendere la parola e pronunciarsi sulle leggi Treu e Biagi il lavoratore marocchino che sempre a Bologna, poche ore prima dell’assassinio di Biagi, è morto in cantiere? E Angelo da Mugnano, e Cristian da Bolzano: possono dire la loro?

Pochi giorni addietro il sottosegretario pugliese alla Sanità Antonio Gaglione, all’indomani della morte di Mimmo, giovane operaio all’ILVA di Taranto, ha definito il padrone dell’ILVA «un imprenditore non illuminato che adesso deve imparare a rispettare la legge». La settimana precedente, ai delegati di fabbrica che denunciavano la mancanza di misure minime di protezione (caschi per ripararsi dal sole battente d’estate per i conducenti dei macchinari) Riva a mandato a dire che basta un fazzoletto bagnato in testa. Da quando l’imprenditore Riva ha comprato l’ILVA di Taranto, 14 anni or sono, ci sono stati 40 morti, non in Puglia, non a Taranto: in una sola fabbrica. Ogni anno a Taranto ci sono 400 morti per tumore e 1200 nuovi casi di leucemia: bastano per parlare di di strage, per chiamare i responsabili assassini? Evidentemente non bastano, se il Partito Democratico, prima ancora di nascere, si è mobilitato non solo a Taranto, ma a Roma per cercare, inutilmente, di impedire l'elezione a sindaco di Stefàno, l'"estremista" che ha osato mettere in discussione la servitù industriale della città. Non assassino: imprenditore non illuminato. Ma Gaglione va capito: il giorno prima si era candidato alla guida del nascituro Partito Democratico pugliese, ci sono i famosi ceti medi da conquistare, non bisogna spaventare l’imprenditoria, ecc.
Le vellutate parole di Gaglione come suoneranno alle orecchie della promessa sposa dell’operaio morto il giorno prima? E a quelle dei suoi genitori? Ma gli operai e i loro congiunti, è noto, hanno il pelo sullo stomaco, e a certe parole non fanno caso.
E allora, se non i padroni delle fabbriche, né gli autori delle vigenti leggi che permettono loro «di precarizzare e sfruttare con maggior intensità la forza-lavoro e incrementare in tal modo i loro profitti, a discapito della qualità e della sicurezza del lavoro»; allora, chi ha ucciso Angelo di Mugnano, e Cristian di Bolzano, e Mimmo di Taranto? Chi ha ucciso Davey Moore? «Assassino? Io non credo, era destino... o magari, chi lo sa... il volere divino»

qui la versione italiana di Who Killed Davey Moore
a destra, Davey Moore KO nel suo ultimo, fatale incontro.
Pubblicato Agosto 10, 2007 08:15 PM | TrackBack

"Quieremos organizar lo entusiasmo, no la obediencia" - Buenaventura Durruti
shevek
Inviato: 12/8/2007 9:56  Aggiornato: 12/8/2007 9:56
Dubito ormai di tutto
Iscritto: 27/4/2005
Da: Napoli
Inviati: 1249
 Re: La depenalizzazione del profitto
Salut y Libertad nessuno!


Hai fatto benissimo a postare lo stupendo articolo di Carmillaonline. Tra l'altro, mette bene in evidenza come le operazioni false flag - il "terrorismo" nostrano - siano utilizzate per impedire la presa di coscienza della responsabilità delle relazioni gerarchiche, del potere politico ed economico, sulla miseria delle nostre vite: creano un tabù. Basta che un responsabile del miserevole stato di fatto presente delle cose venga attaccato od anche solo minacciato da non si sa bene chi, per sviare l'attenzione dalla discussione reale: dire "le attuali leggi sul lavoro portano a determinate conseguenze negative" fa scattare il riflesso pavloviano della risposta "allora sei un fiancheggiatore del terrorismo che ha attaccato/minacciato chi queste leggi promuove/difende" - e la discussione si sposta su questo, mentre i morti sul lavoro aumentano.


Shevek

"Il potere è l'immondizia nella storia degli umani" - F. Guccini
www.portadimassa.net - WEB-TV e non solo di Filosofia
nessuno
Inviato: 12/8/2007 12:32  Aggiornato: 12/8/2007 12:32
Mi sento vacillare
Iscritto: 30/7/2005
Da: Albino (BG) - Bassa Valle Seriana
Inviati: 501
 Re: La depenalizzazione del profitto
Salut y Libertat, Shevek!

Giusto perché i morti sul lavoro non vanno in ferie, posto un articolo del Manifesto e mi prendo un impegno: che ogni giorno riporterò qui un articolo sull'argomento. Non credo (purtropppo) che avrò problemi nel trovare la materia prima

Da: Il Manifesto, di ieri 11/07/2007

Morti di lavoro, chiedo scusa ma vi spiego

Nicola da dieci anni ha ininterrottamente denunciato gli abusi e i saccheggi perpetrati dalla fondazione religiosa che gestiva l'istituto Papa Giovanni XIII, un vero e proprio manicomio al quale dopo la legge Basaglia hanno semplicemente attaccato all'esterno il cartello Centro di Riabilitazione Psichica. Il milione di euro mensili di denaro pubblico che la fondazione intascava da Regione e Servizio sanitario nazionale finiva in attici superlussuosi, moto di grossa cilindrata, gioielli e alberghi a cinque stelle: la bella vita di monsignor Luberto, a cui tutti i politici locali si prostravano in occasione di ogni tornata elettorale. Nel frattempo i lavoratori accumulavano 40 mensilità di arretrati, finendo dritti dritti nelle mani degli usurai legali - le banche - o illegali. E i malati di mente (o meglio, i malati di niente)? Accartocciati e abbandonati su materassi luridi, in stanze con porte e vetri sfasciati da anni, in corridoi nei quali la puzza di urina a volte è asfissiante. Mesi e mesi di denunce, di ispezioni e interrogazioni parlamentari, ma alla fine lo scandalo vien fuori e per mons. Luberto e i suoi soci in affari scattano le manette. Ora però sia i 320 malati di niente che i lavoratori rischiano di finire in mezzo ad una strada. Sono immerso in questo disastro umano quando squilla il cellulare, è Franco, un vecchio compagno di Napoli che si vuole sfogare: hanno ucciso Angelo, è morto volando da un'impalcatura, maledetti padroni, per risparmiare nemmeno le braghe gli hanno voluto dare, ma che cavolo fate lì in parlamento? Cerco di rassicurarlo, solo pochi giorni fa abbiamo approvato in via definitiva la legge sulla sicurezza sul lavoro di cui il compagno Augusto Rocchi è stato relatore. Ma non vuol sentire chiacchiere, «di chiacchiere ne abbiamo sentite tante in questi anni, ora ci vogliono i fatti». Ma più fatti di così? Non so proprio cosa fare, e la rabbia si infittisce, con le orecchie protese agli sfoghi del buon Franco e gli occhi fissi sui disastri del Papa Giovanni. E in mezzo a questi disastri mi vien fuori una parola, secca e devastante: assassini, diretta ai responsabili di questo e quel disastro, ma null'altro che uno sfogo incontrollato.
Ma chi sono gli assassini? Mons.Luberto? non proprio. Gli imprenditori senza scrupoli che per ingrossare i loro profitti tagliano su salari, condizioni e sicurezza sul lavoro? Forse. Di certo non c'entrano Tiziano Treu e Marco Biagi, non foss'altro per il semplice e incontestabile dato che sia il cosiddetto pacchetto Treu che la legge 30 non esistono certo per responsabilità di chi ha tecnicamente contribuito a scriverle quanto piuttosto per la volontà di un'intera classe politica e degli interessi forti che la sorreggono. Allo sfogo incontrollato segue il delirio, il delirio di una criminalizzazione che assimila il diritto di critica all'uccisione di Marco Biagi. Non voglio che persone che hanno subito tragici dolori in qualche modo possano sentirsi offese dalle mie parole, ancorché fraintese. Se ciò fosse accaduto non c'è bisogno di qualcuno che formuli scuse al posto mio, ma lo posso fare e lo faccio anche da solo.
Resta però il fatto che di fronte all'impressionante numero di morti sul lavoro è necessario individuare delle responsabilità politiche, altrimenti ci prendiamo in giro e possiamo anche dire che l'infinita strage di morti bianche è solo frutto del caso o della sfortuna che casualmente si accanisce contro la classe lavoratrice. Non vorrei che tanto scandalo da parte dei professionisti della politica serva anche ad autoassolversi dalla responsabilità di aver acceso il semaforo verde a politiche liberiste i cui effetti sono disastrosi e talvolta mortali e che quindi il facile e sempre più diffuso «tiro al caruso» sia legato alla necessità di occultare l'aspetto di fondo, drammatico e inquietante, della vicenda: che l'incredibile e tragico bilancio dei morti sul lavoro non è solo una questione di mancati controlli, ma anche conseguenza di queste leggi che rendono il lavoro sempre più precario e pericoloso, norme che producono rapporti di lavoro deregolamentati e non garantiti, annullando in tal modo la possibilità di resistere, di denunciare, di rifiutarsi e sottrarsi a condizioni lavorative insalubri o insicure.
Piero lavora 8 ore al giorno all'alfa di Pomigliano a pulire i filtri, entra in fabbrica con la faccia bianca ed esce a fine turno come un bingo-bongo, per dirla alla Calderoli: ma il viso a casa può lavarselo, i polmoni un po' meno. Non vuol morire a 50 anni come i suoi colleghi che l'hanno preceduto in quel lavoro di merda, per questo ha chiesto una mascherina e qualcos'altro, per lui e i suoi compagni di lavoro. Dopo due settimane, allo scadere del contratto, guarda caso non gliel'hanno rinnovato. Ciò detto, mi sembra quasi banale ribadire una cosa che non è patrimonio o elaborazione personale ma frutto di una convinzione diffusa nei partiti (di sinistra), nei movimenti, nella società civile, nei, si diceva una volta, sinceri democratici: che la precarietà e la flessibilità nei rapporti di lavoro sono giunti a livelli tali da trasformare il lavoratore in un moderno schiavo. Parlo delle misure introdotte con il famoso pacchetto Treu, (che introdusse le agenzie il lavoro interinale) e giunte al loro apice con la cosiddetta legge Biagi (che ha introdotto il lavoro a chiamata). C'è un rapporto tra questa progressiva riduzione del sistema dei diritti e delle garanzie del lavoro e l'impressionante numero di incidenti (circa un milione) e di morti (circa 1.300 l'anno) che avvengono sui luoghi di lavoro? Dispone un lavoratore atipico, a tempo, a chiamata, a partita iva, sommerso, in concreto degli stessi diritti (e dello stesso salario) di un lavoratore contrattualizzato e a tempo indeterminato?
E' evidente che se un lavoratore non difende se stesso perché vittima di precarietà e ricatti non saranno sufficienti i pur necessari ispettori del lavoro. I lavoratori devono, per poter difendere i propri diritti sindacali, avere la possibilità di non dovere abbassare la testa di fronte al padrone. Abrogare questa legislazione sulla precarietà (a cominciare dalla legge Biagi) e ridare dignità e diritti alle lavoratrici e ai lavoratori precari è uno dei punti del programma di centrosinistra (certo con molti, troppi, tentennamenti), e, di certo, una pietra angolare dell'azione politica del Prc. Lavorare perché ciò avvenga è un mio preciso dovere etico, prima ancora che politico.
Molti esponenti politici si indignano perché sostengono che volere abrogare la legge Biagi è come dare ragione a chi l'ha ucciso. Questi politici - che non hanno argomenti per giustificare come si possa vivere con 700 euro al mese, con contratti a progetto - sono gli stessi che a Biagi non hanno concesso la scorta e che una volta morto lo hanno ampiamente strumentalizzato come «scudo umano» per difendere la loro riforma del mercato del lavoro da qualsiasi genere di critica e opposizione. Mi dicono che per far politica ci vuole anche una buona dosa di ipocrisia e questa purtroppo è una dote che mi manca, la stessa dote che forse in qualcun altro abbonda. L'allora ministro degli interni Claudio Scajola, che pubblicamente ne tesseva le lodi, in una conversazione privata lo definì «un rompi...». Sull'onda delle proteste si dimise, per poi tornare, nell'indifferenza generale, nuovamente ministro, ma di una altro dicastero.
Ma ciò che mi preoccupa non è l'ipocrisia del centrodestra, ma la paura del centrosinistra nell'affrontare il tema delle morti bianche e della sicurezza sul lavoro. La sicurezza non può prescindere dalla forma di contratto che hai, dalla dignità che il rapporto di lavoro ti consente di rivendicare. Per questo, a sinistra innanzitutto, non basta commuoversi per i morti sul lavoro. Bisognerebbe forse semplicemente ricordarsi che l'uomo non è una merce e che il mondo non può essere ridotto a mercato. E forse finalmente bisognerebbe cominciare ad abrogare la legge 30, proprio per rispetto ai morti che ci sono stati, proprio perché di morti non ne vogliamo più.


Buona vita

Guglielmo

"Quieremos organizar lo entusiasmo, no la obediencia" - Buenaventura Durruti
nessuno
Inviato: 13/8/2007 22:23  Aggiornato: 13/8/2007 22:23
Mi sento vacillare
Iscritto: 30/7/2005
Da: Albino (BG) - Bassa Valle Seriana
Inviati: 501
 Re: La depenalizzazione del profitto
Da "L'Unità", 13/08/2007

Agosto di morti sul lavoro: l'ultimo nel bolognese


Un operaio è morto, dopo essere caduto insieme a due colleghi in una cisterna di lavorazione del vino. L'incidente sul lavoro è avvenuto nel primo pomeriggio in un'azienda vinicola sulla via Emilia a Toscanella di Dozza Imolese (Bologna).

In base alla prima ricostruzione, i tre stavano operando sulla sommità della cisterna, per "spurgare" il contenitore dai residui della lavorazione, quando, per motivi in corso di accertamento, sono scivolati all'interno. All'arrivo dei soccorritori, due operai sono stati recuperati quasi subito, e portati in ospedale; il terzo è invece deceduto. Sono intervenuti vigili del fuoco, ambulanze del 118 e i carabinieri di Imola, che hanno avviato gli accertamenti sulla dinamica dell'incidente.

La vittima è Davide Merloni, 49 anni, forlivese, dipendente, come i due colleghi, della Italbonifiche di Forlì, che nell'azienda vinicola di Dozza, la "Cantine Brusa", è incaricata dei lavori di pulizia delle vasche.

A provocare la caduta nella cisterna interrata, a quanto si è appreso, potrebbero essere state le esalazioni dei fanghi di lavorazione, che hanno stordito i due operai impegnati nell'operazione. Il primo a intervenire è stato il loro collega, un operaio albanese di 31 anni, che non vedendoli risalire dopo alcuni minuti è andato a controllare. Quando ha capito cos'era accaduto, non ha esitato a gettarsi a sua volta nella vasca: è riuscito a recuperare uno dei due compagni, un trentacinquenne di Ravenna, mentre per il forlivese non c'era più nulla da fare. Merloni, forse ucciso dalla caduta che gli ha fatto battere la testa, è stato ripescato già cadavere dai vigili del fuoco, intervenuti poco dopo insieme ai carabinieri e alle ambulanze del 118, che hanno portato all'ospedale di Imola i due colleghi. Nessuno di loro è in pericolo di vita.

In attesa di chiarire con maggiore precisione le cause dell'accaduto, il pm di turno Antonello Gustapane ha posto sotto sequestro l'area dove è avvenuto l'incidente.

"Quieremos organizar lo entusiasmo, no la obediencia" - Buenaventura Durruti
nessuno
Inviato: 14/8/2007 20:52  Aggiornato: 14/8/2007 20:52
Mi sento vacillare
Iscritto: 30/7/2005
Da: Albino (BG) - Bassa Valle Seriana
Inviati: 501
 Re: La depenalizzazione del profitto
Da. "L'Unità". 14 Agosto 2007

Vigilia di Ferragosto, un morto sul lavoro nel Barese

Un uomo di 54 anni, Biagio Laera, è morto martedì mattina dopo essere salito su un soppalco situato all'interno di capannone-deposito della ditta ItalCiok nella zona industriale di Noci, in provincia di Bari. La struttura in ferro, ricoperta da compensato pressato, alta circa 4 metri, ha ceduto improvvisamente. L'uomo è caduto e ha sbattuto la testa. È morto sul colpo. Insieme a lui si trovavano due operaie, una delle quali è illesa mentre l'altra ha subito una probabile frattura intercostale. In pratica si sono salvate perché la vittima, con il suo corpo, ha attutito la loro caduta. L'incidente è avvenuto intorno alle 10,15. Sul posto si sono recati i carabinieri della Stazione di Noci e della compagnia di gioia del Colle. La vittima era figlio del titolare dell'azienda, che produce cioccolato.

Un altro infortunio sul lavoro è avvenuto più o meno contemporaneamente all'Ilva di Taranto. Stamani verso le dieci un operaio dipendente di una ditta appaltatrice, Leonardo De Falco di 36 anni, è caduto da un'altezza di circa otto metri nel reparto dell'altoforno tre. Immediatamente soccorso l'operaio è stato trasportato al SS. Annunziata dove i sanitari si sono riservati la prognosi ma sembra che l'uomo non corra pericolo di vita.


Buona vita

Guglielmo

"Quieremos organizar lo entusiasmo, no la obediencia" - Buenaventura Durruti
nessuno
Inviato: 17/8/2007 23:16  Aggiornato: 17/8/2007 23:16
Mi sento vacillare
Iscritto: 30/7/2005
Da: Albino (BG) - Bassa Valle Seriana
Inviati: 501
 Re: La depenalizzazione del profitto
il manifesto del 15 Agosto 2007
Gli infortuni sul lavoro non vanno in ferie
Un operaio dell'indotto Ilva di Taranto è rimasto ferito cadendo da un'impalcatura. Un altro lavoratore è morto a Bari precipitando da un soppalco
Sara Farolfi

Ancora infortuni sul lavoro. Ancora all'Ilva, a Taranto. Leonardo De Falco, 30 anni, dipendente di una ditta che all'Ilva lavora in appalto, è precipitato ieri, all'interno dello stabilimento, da un'altezza di circa sette metri. Fortunatamente l'uomo non sembra essere in pericolo di vita, è stato ricoverato immediatamente e dovrebbe guarire in trenta giorni.
E quella di ieri è stata un'altra giornata campale, l'ennesima, sul fronte delle morti bianche. In un'azienda del barese, la Nuova Ital Ciok di Noci, è morto ieri Biagio Laera, di 54 anni, precipitato, da un'altezza di circa quattro metri, da un soppalco del capannone che improvvisamente ha ceduto. Le cause dell'incidente sono in corso di accertamento. L'incidente sarebbe avvenuto nella mattinata: con l'uomo si trovavano altre due operaie, rimaste coinvolte nell'infortunio, e salvate dal corpo di Laera che ha attutito il colpo della loro caduta. E ancora. In provincia di Nuoro, un operaio di 24 anni, Antonello Moro, è rimasto ferito mentre lavorava presso la Cartonsarda di Ottana, e si trova ora ricoverato in prognosi riservata: il giovane sarebbe rimasto schiacciato tra due rulli che pressano la carta. A Bologna invece, la Procura ha aperto un'indagine per omicidio colposo, a carico di ignoti, per la morte, avvenuta due giorni fa, di Davide Merloni, 49 anni, caduto in una cisterna di lavorazione del vino in un'azienda vinicola a Toscanella di Dozza (in provincia di Bologna): dalle prime ricostruzioni, sembra che l'uomo, dipendente di una ditta incaricata dei lavori di pulizia delle vasche non indossasse le attrezzature necessarie per minimizzare il rischio di inalare le esalazioni tossiche, esalazioni che, secondo le prime ricostruzioni, avrebbero provocato la caduta del lavoratore.
Non c'è tregua sul fronte delle morti bianche. «Omicidi bianchi», li chiamavano un tempo. Per dire, e la cosa è tanto più valida oggi, che non c'è fatalità o casualità che tenga quando si parla di morti sul lavoro. Quando il lavoro viene ridotto a pura variabile dei profitti d'impresa. Come nel caso dell'Ilva di Taranto. Un colosso multinazionale della siderurgia (lo stabilimento di Taranto è il più grande d'Europa), con utili in crescita costante (+44% l'anno scorso) e un fatturato per addetto da record. Il risvolto della medaglia è costituito da organici minimizzati, carichi di lavoro esasperati e relazioni sindacali al minimo. Quaranta morti dal 1993 a oggi, sei morti (di cui quattro dipendenti delle ditte di appalto) e decine di feriti solo negli ultimi due anni.
Anche Leonardo, il lavoratore trentenne infortunatosi ieri nello stabilimento, lavorava per una ditta, la Iris, che per l'Ilva esegue in appalto lavori di manutenzione e carpenteria. Secondo la ricostruzione di alcuni lavoratori, l'operaio si trovava ad un'altezza di sette metri dal terreno, intento a lavori nel reparto Centrale elettrica, quando un pezzo della struttura su cui lavorava (probabilmente montato male) avrebbe ceduto facendolo precipitare. E se la caduta non fosse stata attutita da un'impalcatura a quattro metri di altezza dal terreno, il bilancio sarebbe potuto essere ben più grave. Nessuna fatalità. «Buona parte dei lavoratori delle aziende che all'Ilva lavorano in appalto hanno contratti di tipo precario» spiega Franco Fiusco, segretario della Fiom provinciale. Negli appalti operano circa 3500 persone, molti, raccontano alcuni lavoratori, con contratti di tre o sei mesi, prorogati per anni.
Per settembre è in programma un incontro tra sindacati e azienda per discutere del sistema degli appalti. «In questo però - sottolinea Fiusco - Il protocollo sul welfare, e in particolare le norme sul lavoro a tempo determinato, non ci facilitano».

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