Gli errori che ritrovo nelle teorie del crollo delle torri basate sull’impatto distruttivo di un piano sull’altro (Gordon Ross ed epigoni, per intenderci) sono tre.
1) si assume un modello di torre costituito di piani librati in aria uno sopra l’altro, che quando cadono hanno a disposizione quasi 4 m per accelerare prima dell’impatto col piano di sotto. La realtà è molto diversa perché, se vogliamo semplificare, al massimo la torre pụ essere ridotta ad una colonna di cemento armato (il core, che è la struttura portante) ed è quindi un continuo. Essa colonna nel crollo si sbriciola con continuità sul fronte di distruzione per effetto di pressione sul cemento e per collasso continuo per carico di punta delle portanti di acciaio. Insomma, eventuali impatti sono limitati ai “trusses” che sono una struttura secondaria (e poi in realtà crollano con altre modalità, ma questi sono dettagli).
2) si fanno assunzioni invalide che portano ad applicare la conservazione della quantità di moto ove cị non è permesso, ma di questo si è già discusso a lungo, e s’è capito che a qualcuno questo discorso non va giù.
3) si fa un conto doppio di energia necessaria per la distruzione di un piano, come ho chiarito ieri in un mio post.
Adesso me ne vado in montagna. Se luned́ giudicheṛ che il calore degli scambi è sceso ad un livello che mi aggrada, ti posteṛ i dettagli dei miei conti. Ma non aspettarti delle cose trascendenti, perché sono semplicissimi.
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