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   Scienze Economiche
   questa crisi è diversa

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  •  a_mensa
      a_mensa
questa crisi è diversa
#1
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 12/6/2009
Da roncello (mi)
Messaggi: 3180
Offline
Le crisi sono una costante del sistema capitalistico. Questo enunciato non è frutto di un’elaborazione teorica, ma semplicemente di una constatazione.
Periodicamente accade che o un settore merceologico, o un’area geografica, entrano in crisi. La crisi ridimensiona i valori speculativi, e quindi la parte economica interessata riprende il suo cammino.
Questo perché ogni bene ha un valore di mercato che è formato da un costo di produzione più un valore speculativo, che è un di più generato dalla legge della domanda e dell’offerta. In certi momenti la domanda o l’offerta vengono manipolati in modo da aumentare il divario tra domanda e offerta, aumentando così il prezzo di mercato.
La pubblicità, le mode, l’evoluzione tecnologica, sono tutti modi per aumentare la domanda oltre la soglia della mera necessità, come il razionamento, a volte guerre in aree da cui provengono certe materie prime, agitazioni sindacali, problemi nei trasporti, fenomeni naturali, possono diminuire sensibilmente l’offerta, in modo da alterare tale rapporto.
Tra le merci moderne bisogna annoverare anche il denaro, che per l’ampiezza della domanda sia per investimenti produttivi, che per la formazione di riserve, è diventato la merce più trattata nei maggiori mercati internazionali.
Quando un bene o una merce subisce una qualsiasi tensione, sia per carenza che per eccedenza, il suo prezzo inizia a variare secondo la nota legge.
A quel punto si innesca il meccanismo per cui, chi dispone di capitali può “giocare” d’anticipo sulla variazione che presumibilmente il mercato forzerà, accentuandola.
Il prezzo inizia una curva esponenziale che si ferma solo quando la quotazione raggiunta è tanto distante dal valore di produzione, da interrompere il ciclo.
A quel punto, se il ciclo era positivo, altri agenti si sono messi a produrre lo stesso tipo di merce,oppure il mercato è andato in saturazione, comunque si è creata la condizione per cui il mercato avrebbe dovuto andare in senso opposto. Allora il valore speculativo si annulla o si ridimensiona fortemente bruciando valore.
Benché quel valore fosse solo virtuale, esso influenzava in modo reale l’economia, basta pensare ad un bene dato in garanzia per un certo valore, che, dopo una sua svalutazione non copra più la garanzia.
Segue così una crisi con operatori che si ritrovano con garanzie ridotte, investimenti falcidiati, addirittura possibilità di default. E questa è la crisi che distruggendo una grossa parte di valore creato virtualmente, pone però le basi per una nuova partenza.
A peggiorare la situazione attuale, i prestatori, cioè le banche, hanno cartolarizzato i debiti e ceduto tali derivati a terze parti, sostenendo che così distribuivano i rischi. Assicurandoli con i CDS hanno poi coinvolto, a volte amplificandone l’effetto, altre istituzioni nelle insolvenze dei crediti elargiti con tanta leggerezza.
Alla fine, i rischi sono stati distribuiti tanto bene che la crisi si è propagata tanto velocemente quanto capillarmente a tutte le aree dell’occidente.
Quella attuale però, pur essendo iniziata come una delle tante crisi passate, si sta evolvendo in una direzione non prevista, in un territorio sconosciuto.
E questo fatto, non so se per incomprensione, o per timore di affrontare una realtà scomoda, porta a disegnare degli interventi correttivi tali da creare una crisi peggiore di quella che si voleva curare.
Ed ora per affrontare questo argomento elenco i dati di partenza che sono i seguenti:
1) Negli ultimi 15/20 anni l’aumento di produttività ha premiato molto il capitale e troppo poco il lavoro, così che le rendite da lavoro sono calate se riferite al complesso del valore dei beni sul mercato.
2) Diminuita la capacità di consumare dei produttori, si è supplito con un credito”facile” concesso anche senza garanzie, che ha permesso di continuare, anzi accentuare, i consumi anche da parte di coloro che pur avendo un povero reddito, non ridimensionavano i consumi in proporzione.
3) La formazione di bolle speculative ha indotto anche i bassi redditi a lanciarsi nel gioco speculativo legato a tali bolle, peggiorando il livello della platea dei debitori.
4) La somma di questi fattori, moltiplicando la liquidità disponibile, ha spinto verso produzione di beni più costosi, più personalizzati, più pieni di optional ad un livello ben superiore al mero fabbisogno.
5) L’innalzamento dei prezzi finali ha consentito a nuove figure di inserirsi nella filiera dal produttore al consumatore, peggiorando ulteriormente il rapporto tra valore di produzione e prezzo finale.
6) Il distribuire il rischi di tanti debiti facili, ha contaminato anche economie e istituzioni relativamente ben dimensionate , portandole vicino alla bancarotta.
Le peculiarità quindi di questa crisi sono in ordine:
1) La sparizione velocissima di un grosso valore speculativo, che la distribuzione dei rischi, anziché favorirne il recovery, ne ha esteso i suoi riflessi in ogni parte del pianeta.
2) L’abbattimento dei valori di garanzia ha contratto i crediti, costringendo i creditori a vendite forzose, a prezzi inferiori a quelli di acquisto.
3) Le perdite da parte delle aziende produttrici hanno generato immediatamente tensioni nel mondo del lavoro, sfociate in licenziamenti o ridimensionamenti.
4) La contrazione del credito, i licenziamenti per la caduta dei consumi, la necessità di rimborsare debiti senza più il supporto della crescita speculativa, hanno limitato le possibilità di spesa.
5) Le diminuite possibilità di spesa hanno fatto riconsiderare la tipologia dei beni da acquistare, più economici, più parchi nei consumi, tralasciando mode e sollecitazioni commerciali varie.
6) La difficoltà di rendere vecchi debiti, con garanzie svalutate, ha limitato la richiesta di nuovi crediti da parte dei consumatori.
7) La liquidità immessa dalle autorità nelle banche vi è quindi restata imprigionata lì, perché chi chiede credito non ha garanzie sufficienti, e chi avrebbe le garanzie non richiede credito.
Ora ammettiamo pure che ad un certo punto il ciclo economico riparta, che liquidità torni sul mercato e si ricominci a consumare.
Ma su quali volumi ???
Ricordo che:
1) i volumi di consumo ante-crisi erano gonfiati da un credito scorretto.
2) Rispetto ad ora vi era un 10% di lavoratori in più che percepivano reddito
3) I percettori di reddito non si curavano di restituire i prestiti perché a ciò provvedeva il guadagno finanziario, ora sparito.
4) Il clima positivo e spensierato favoriva sia l’indebitamento che il consumo.
5) Gli stati, contenendo il debito pubblico necessitavano meno tasse per pagare gli interessi su di esso.
6) L’aumento del disavanzo causato dai vari salvataggi, porterà inevitabilmente ad un aggravio del carico fiscale, sottraendo ulteriori risorse ai consumi.
In questa situazione il pensare di far calare il rapporto debito/pil aumentando il pil, ed aumentare il pil aumentando la produttività è semplicemente assurdo.
Aumentare la produttività significa aumentare la produzione a parità di costo, ma siamo in un ambiente dove la produzione va diminuita, e non aumentata.
Oppure produrre la stessa quantità (che già sarebbe troppa) diminuendo il costo ovvero i redditi da lavoro, ma ciò porterebbe ancor meno disponibilità di spesa e quindi di consumi.
No. L’unica ricetta sarebbe una pesante redistribuzione di ricchezza, ed una redistribuzione di lavoro.
Forte tassazione dei redditi alti e soprattutto dei patrimoni, in modo da abbassare velocemente il debito pubblico.
Diminuzione delle ore di lavoro a parità di salario, riportando alla produzione quelle figure che si sono inserite ultimamente nella filiera dalla produzione al consumo.
Se una mela la pago al contadino 10, la impacchetto e chi la impacchetta aggiunge un 10, e la incero, e chi lo fa aggiunge 10, e la lucido, e chi lo fa aggiunge 10, e la trasporto con un +10, e la conservo e +20, e la espongo +20, e la vendo +10, a chi la compra costa 100.
Aboliamo inceratura e lucidatura, riportiamo chi lo faceva a raccogliere le mele per 3 ore anziché 8, e continuerò a pagarla 100, ma vi avrò impiegato più persone per minor tempo.
Conclusione, l’uscita dalla crisi deve prevedere di cancellare dei servizi, riportando persone alla produzione che lavorino meno pur guadagnando come prima.
Questo permetterebbe di ridurre le produzioni conservando i redditi, quindi i consumi che dovrebbe essere l’obiettivo per impostare una nuova crescita economica più sana.
_________________
non vorrei mai appartenere ad un club che avesse me come socio.
Inviato il: 28/6/2009 22:30
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Oggetto: Autore Data
     Re: questa crisi è diversa Ashoka 29/6/2009 0:41
       Re: questa crisi è diversa a_mensa 29/6/2009 5:17
         Re: questa crisi è diversa mangog 29/6/2009 8:18
           Re: questa crisi è diversa Ashoka 29/6/2009 10:00
           Re: questa crisi è diversa a_mensa 29/6/2009 10:05
             Re: questa crisi è diversa Ashoka 29/6/2009 10:22
               Re: questa crisi è diversa mangog 29/6/2009 11:12
                 Re: questa crisi è diversa Davide71 29/6/2009 11:25
     Re: questa crisi è diversa Linucs 29/6/2009 11:34
       Re: questa crisi è diversa a_mensa 29/6/2009 14:48
         Re: questa crisi è diversa Ashoka 29/6/2009 17:45
           Re: questa crisi è diversa a_mensa 29/6/2009 19:06
             Re: questa crisi è diversa Linucs 30/6/2009 15:29
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