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  Il furto della memoria

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  •  florizel
      florizel
Re: Il furto della memoria
#48
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 7/7/2005
Da dove potrei stare meglio.
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Notturno
Citazione:
Pensate se queste stesse cose le avessero fatte gli israeliani ai palestinesi.


Queste stesse cose sono state fatte e vengono fatte, ai Palestinesi.

Non solo a loro: così come si perpetra il furto della memoria ai meridionali, si perpetra il furto della capacità di giudizio all’opinione pubblica mondiale su cosa sia esattamente il sionismo, e su come siano andate esattamente le cose.

Dovresti indignarti tu stesso, e allo stesso modo, quando si tratta di Palestina. Sempre di sottrazione di autodeterminazione di un popolo si tratta.

Considero, come te, la propaganda passata e presente circa l’Unità d’Italia un’offesa all’intelligenza e all’onore dell’intera popolazione meridionale, ma anche di quella settentrionale.
Un’enorme e mirata strategia di potere tesa a creare l’esatta attuale situazione economica, sociale e politica del Sud come del Nord.
L’Italia è rimasta COMUNQUE divisa, e non nel positivo delle peculiarità proprie di Nord e Sud, ma in negativo, cioè nella mortificazione delle specifiche vocazioni.

La cosiddetta “unità”, mai è stato più chiaro di così, invece di esaltare le possibilità e le diverse peculiarità, le ha appiattite ed annullate.

Almeno questa è la mia impressione.

Per quanto mi riguarda, l’Italia poteva restarsene tranquillamente “divisa”: e giù dal nord le centinaia di migliaia di paia di braccia meridionali senza le quali il nord dell’industria e della “crescita” oggi non esisterebbe.
Come, sempre in tema di “unità”, mi schiero ANCHE per una Sardegna nazione a se stante.

Citazione:
A marzo si terranno i festeggiamenti dell'unità d'Italia.

E chissà perché, a me viene in mente il parallelo con l’unità nazionale, tanto sbandierata durante il periodo stragista… come si dice? “Fatta l’Italia, facciamo gli italiani”….
Inviato il: 25/2/2011 13:20
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Re: Il furto della memoria
#47
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 1/11/2005
Da Tavistock Square, Camden, London WC1H, UK
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Citazione:
E ora anche la memoria!

Perche' ti dispiace?

Guarda che la "memoria" (che strano che la stessa parola venga sempre fuori una volta all'anno con alcune scodelle da mettersi in testa, eh?) e' proprio la zavorra di cui dovremmo essere contenti di sbarazzarci, quando non avendo il resto delle cose che dici resta solo un'altro appiglio per farsi prendere ulteriolmente per il culo.
Inviato il: 22/2/2011 14:12
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  •  Notturno
      Notturno
Re: Il furto della memoria
#46
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 21/8/2008
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Sarei felicissimo di essere così ottimista, vecchio mio....

Boh....

Sono solo molto, molto incazzato.

Sapermi ingannato da un estraneo, come la Direzione della RAI, o da Berlusca, o Bersani, ecc.... è brutto.

Ma sapere che la mia prof di Storia, che conoscevo bene, che era un'amica anche fuori della scuola, mi abbia così a lungo e così profondamente preso per il culo è qualcosa che assolutamente non riesco a mandar giù.

E' la stessa differenza che passa tra il "sapere" che c'è una dittatura e sentire, invece, sulla propria pelle le manganellate.

Fatte le dovute proporzioni, ovvio.....

SONO INCAZZATO!

Ci hanno rubato tutto: soldi, stile di vita, cultura, storia, TUTTO!

E ora anche la memoria!

E che cazzo!
Inviato il: 22/2/2011 12:32
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  •  benitoche
      benitoche
Re: Il furto della memoria
#45
Dubito ormai di tutto
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Citazione:

Notturno ha scritto:
Molto interessante.

Soprattutto dove afferma che la coscienza del nord è stata sobillata dalla Lega, mentre quella del sud viene fomentata da alcune case editrici.

E tutto al fine di "creare falsi nemici", celandone i veri.


Ciao Notturno

I popoli meridionali difficilmente odiano
Noi Brindisini ad esempio siamo stati capaci di accogliere gli albanesi come nessun altro,neanche Ancona è riuscita a celare il malcontento,da sempre il sud è terra di accoglienza,fatta di gente che con naturalezza e semplicità non diffida troppo del prossimo
Lo stesso termine Terroni usato in senso fortemente dispregiativo dagli sciocchi del Nord,non ha trovato quì al sud nulla di simile se non nel termine polentoni,utilizzato raramente e spesso con ironia e non certo con altrettanto disprezzo
Ciò per dire che se il divide et impera troverà terreno fertile,difficilmente sarà nel sud
La stessa nascita di partiti fondamentalmente razzisti al nord,non ha trovato altrettanto spazio quì al sud,vedi Sicilia o la Poli Bortone
Forse per questo cercano di lavorare attraverso le case editrici
Una cosa mi vien da pensare,in caso di disordini le forze armate,carabinieri,polizia e via discorrendo per un buon 70/80% composti da meridionali,potranno mai davvero rinnegare le propie origini?
Mi sà che i conti li hanno fatti senza l'oste
Inviato il: 22/2/2011 12:21
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  •  Notturno
      Notturno
Re: Il furto della memoria
#44
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 21/8/2008
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Molto interessante.

Soprattutto dove afferma che la coscienza del nord è stata sobillata dalla Lega, mentre quella del sud viene fomentata da alcune case editrici.

E tutto al fine di "creare falsi nemici", celandone i veri.
Inviato il: 22/2/2011 9:57
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  •  Notturno
      Notturno
Re: Il furto della memoria
#43
Dubito ormai di tutto
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L'UNITA' D'ITALIA E I CONTI CON LA STORIA
Postato il Domenica, 20 febbraio @ 17:10:00 CST di Truman

Italia DI TRUMAN BURBANK comedonchisciotte.org

A 150 anni dall’unità, l’Italia sembra un giocattolo inceppato, che si agita in modo inconcludente. Piuttosto che agitarsi furiosamente come fanno tanti è forse il caso di studiare il passato.

"Chi non conosce il proprio passato è condannato a ripeterlo" dice Santayana e la frase ha due possibili letture: la prima (la più comune) è che chi non conosce la propria storia ripeterà gli stessi errori a parità di condizioni; dopo un primo fascismo ne conoscerà una seconda versione (e magari anche una terza), senza che l'esperienza precedente consenta di resistere all'ascesa progressiva di ducetti, gerarchetti e galoppini.

Ma ancora peggiore è una seconda lettura della frase di Santayana, chi non conosce la propria storia non si rende conto di ciò che ha fatto di buono e lo distrugge senza neanche accorgersene. Allora, se si vuole crescere e diventare adulti, bisogna fare i conti con la propria storia.

Per fare i conti può convenire partire dalla favoletta con cui ci viene propinato il racconto tradizionale dell’unità d’Italia.

La storia provvidenziale (la favola del Risorgimento)

Per gli studiosi di antropologia potrebbe essere interessante analizzare il racconto convenzionale in senso provvidenziale del "Risorgimento". La visione proposta è tesa a dimostrare quanto siano stati necessari gli avvenimenti riportati. Dopo secoli di sofferenze gli italiani erano pronti ad essere riunificati, questo era il loro destino manifesto. Per fare ciò servivano degli eroi: Garibaldi, Vittorio Emanuele, Mazzini, Cavour. Ma gli eroi presuppongono dei cattivi dall'altra parte: gli austriaci, i Borbone. Un po' meno cattivo il Papa, ma certo non poteva avere il suo stato su quella che era destinata a ridiventare capitale d'Italia.

Tutte le fiabe raccontano la stessa storia all’interno di un numero di variabili limitato e la fiaba dell’unità d’Italia non fa eccezione.

Per i dettagli conviene fare riferimento alla "Morfologia della fiaba" di Vladimir Propp[1]. E' opportuno notare che, rispetto alla fiaba standard, qui l'unità nazionale conseguita (la legittima unione tra il popolo e la patria) rimpiazza il matrimonio finale dell'eroe.
Chiaramente la storia provvidenziale che ci viene raccontata è in realtà un artefatto, realizzato per soddisfare degli interessi umani. Ma come si fabbrica un tale artefatto?

Non è poi così difficile costruire un'interpretazione provvidenziale della storia. Prima di tutto vengono gli interessi: si fa quello che conviene fare con qualsiasi tecnica, per esempio è tradizione corrompere gli alti gradi dell'esercito nemico. Grazie alla corruzione ed altri trucchi sporchi si vince. In guerra normalmente vince il peggiore, non il migliore (a parità di forze in campo). Vince il più privo di scrupoli, il disonesto, chi trama nell'ombra. Dopo la vittoria si scrivono libri che dimostrano come ciò che è successo fosse inevitabile, nel destino della nazione, come si stesse preparando da secoli.

Si troveranno sempre con facilità intellettuali e giornalisti pronti a sostenere i vincitori.

Anche il vocabolario verrà riformato. Si introdurranno nuovi termini, come risorgimento, esportazione della democrazia e così via.

In parallelo si provvederà ad emarginare e poi distruggere chi si ostina a mostrare il punto di vista dei vinti, dai giornali fino alle cattedre universitarie. Alla lunga resterà solo il punto dei vista dei vincitori.

Per questo è rarissimo nelle opere storiche trovare dei vincitori cattivi. Per questo gli antichi romani portavano la civiltà.

Il popolo pigro
Un importante corollario della favola standard, popolata da eroi, è il popolo pigro. Adatto il concetto da Wikipedia[2].

Un filone di critica storiografica, elaborando le analisi che fece Antonio Gramsci nei suoi quaderni del carcere, che partì dalle considerazioni del meridionalista Gaetano Salvemini sulla mancata soluzione della questione contadina, legata alla irrisolta questione meridionale, ha sottolineato un’interpretazione che sostiene come nel Risorgimento italiano fosse stata assai limitata la partecipazione delle masse popolari, soprattutto contadine, agli eventi che hanno caratterizzato l'unità nazionale italiana e come il Risorgimento possa essere considerato come una rivoluzione mancata.

Per chi guardi gli avvenimenti in modo disincantato la realtà è diversa e il popolo c’è. Il popolo è quello che neutralizza la spedizione dei Pisacane, il popolo è a Bronte che reclama le terre, il popolo combatte a Pontelandolfo, il popolo partecipa al brigantaggio, riuscendo a contrastare un esercito di 140.000 soldati[3] in assetto da guerra, soldati che riusciranno a vincere solo grazie a tecniche di genocidio. Il popolo è quello costretto ad emigrare a causa della fame creata dai Savoia nel sud. Il popolo continuerà a celebrare i briganti contro gli invasori per decenni. Oltre un secolo dopo la spedizione dei mille c'erano ancora dei cantastorie che onoravano le gesta dei briganti.

Il problema è che nell'interpretazione favolistica del Risorgimento, il popolo è quasi sempre dalla parte sbagliata e viene fatto diventare invisibile dai mass-media (inclusi i libri di storia). Ma se abbandoniamo la favola è facile vedere come il risorgimento sia un'operazione fatta contro il popolo italiano, a cui il popolo si è opposto fortemente, a volte anche ferocemente.

Conviene prestare attenzione al concetto di storia dei vincitori, la storia così come viene raccontata da chi ha vinto. Dalla storia dei vincitori non c'è niente da imparare. Tutto viene giustificato in termini di provvidenza o destino manifesto. Sul lato opposto, dalla storia dei perdenti si possono raccogliere molte utili informazioni. Solo che i perdenti quasi sempre sono stati azzittiti.

Per questo solitamente bisogna cercare al di fuori dei libri di storia per trovare qualche verità, un grande esempio è Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, altro esempio è Noi credevamo di Anna Banti. Per quanto riguarda la saggistica, per lungo tempo le poche cose decenti sul risorgimento sono stati i libri del grande Nicola Zitara[4] e qualcosa di Mack Smith, che non era italiano.

Lo spiegava bene Carl Schmitt (in Ex captivitate salus) come i perdenti siano costretti a scrivere la storia con estremo rigore mentre i vincitori possano permettersi tutti gli abusi.

Sono andato a riguardare la vita di Tucidide, forse il più grande storico mai vissuto, ed era uno sconfitto. Vae victis diceva Brenno ai Romani. Non è cambiato molto da quell'epoca, anche se una mitigazione viene data dalla “storia sociale”, che studia la vita quotidiana delle persone nelle varie epoche.

I Mille

Episodio chiave del Risorgimento è la Spedizione dei Mille nel 1860. Qui conviene approfondire.

La spedizione dei mille durò pochi mesi, con un migliaio di soldati iniziali e poche migliaia alla fine convenzionale della spedizione. Alla fine della spedizione buona parte dell’Italia era formalmente unificata sotto i Savoia. Restava in sostanza solo il Lazio e Roma, che avrebbe resistito una decina di anni. L'unità d'Italia era cosa fatta, toccava fare gli italiani (per terminare correttamente la fiaba). Solo che si sviluppò il cosiddetto "brigantaggio", il quale tenne impegnati fino a 140.000 soldati nella cosiddetta repressione, la quale durò almeno un decennio.

Sotto l’aspetto degli interessi economici in gioco, la spedizione dei Mille puntava allo zolfo, che all’epoca valeva come il petrolio di oggi. Si voleva che lo zolfo siciliano rifornisse a buon prezzo le navi inglesi. E così fu.

Per fare ciò i generali borbonici furono comprati, il Regno delle due Sicilie fu depredato, il popolo fu massacrato.

Qui ci sono molte analogie con l'invasione USA dell'Iraq (la Seconda guerra del golfo del 2003), fatta per rubare il petrolio agli iracheni. La guerra recitata durò tre mesi, dopo di che (a maggio 2003) Bush dichiarò la pace (non è colpa mia se suona male). E venne invece la guerra di sterminio contro il popolo iracheno, che dura da anni.

L'unità d'Italia realizzata dai Savoia nel 1860 ed anni successivi fu un capitolo di infamia e rapina, e nel suo complesso si configura come un vero e proprio genocidio.

Il Sud depredato e rapinato, affamato fino all’inedia, deportato nel lager di Fenestrelle[5], sottoposto alla pulizia etnica gestita dai militari piemontesi ed ideologicamente organizzata da Cesare Lombroso, si riduceva in stato miserevole. Solo una mitigazione molto parziale proveniva dall'emigrazione.

Per dirla in altre parole c'erano tre scelte per chi abitava nel sud dopo la conquista dei Savoia:

* cercare di sopravvivere in condizioni che non lo consentivano
* morire combattendo
* emigrare.

Si arriva così alla fine dell’800.

Dopo parecchi anni e parecchi massacri di genti inermi qualche forma di unità politica era stata raggiunta, ma essa era un'unità formale che poggiava su un paese spezzato e su un meridione distrutto (destrutturato, demoralizzato).

Anche se gradualmente ci fu qualche uniformazione amministrativa (va ricordata almeno la legge Casati, che introdusse la scuola pubblica in tutto il regno), l'Italia rimase un paese diviso. Il sud, terra di conquista, perse molto della sua tradizione, ma non acquistò senso dello stato.

In seguito la mitologia fascista ebbe però qualche presa in tutta Italia con i suoi simbolismi, i richiami all’antica Roma imperiale, la sua voglia di apparire.

Ma il fascismo era anche una recita tragica e mal riuscita ed in particolare fu un errore il modo in cui fece entrare l’Italia nella Seconda Guerra mondiale. A un certo punto fu chiaro a quasi tutta la popolazione che la guerra era persa e lo show fascista stava terminando. Ma la caduta del fascismo si portava dietro la sudditanza agli USA.

Con gli accordi di Yalta l’Italia prendeva il ruolo di stato-cuscinetto, ruolo che avrebbe mantenuto per lungo tempo. Gli USA avevano ripreso concetto di stato-cuscinetto dall’Impero Romano. Gli stati cuscinetto stavano ai bordi dell’Impero e difendevano dagli imperi confinanti, godendo di una discreta autonomia rispetto al centro, purché non venisse messa in dubbio la sottomissione all’impero.[6]

Diciamo che era una libertà presidiata.

In parallelo alla storia ufficiale si svolgono quindi le strategie per tenere divisi gli italiani.
Tali strategie (il "Divide et impera") nella versione USA si esplicano solitamente nell’organizzazione di guerre civili, esplicite o latenti.

Se guardiamo in prospettiva la storia recente italiana, il "Divide et impera" nel secondo dopoguerra si è basato in Italia sul pericolo comunista, contrapposto a seconda dei casi ad una destra eversiva o ad un Chiesa reazionaria.

Con la caduta della monarchia nel 1948 l'Italia gradualmente si riprese.

La caduta del Fascismo ebbe degli aspetti rivoluzionari: tutta una tipologia di classe politica servile (ruffiani e yes-men) fu messa da parte e rimpiazzata da una classe politica dotata di contenuti morali. La nuova classe dirigente si era temprata nel disastro ed ebbe la statura politica e morale di fare scelte coraggiose, nell’interesse comune della popolazione prima che nell’interesse della classe politica.

Dalla caduta del fascismo nacque la Costituzione repubblicana, che in qualche modo tentava di far tesoro dell'esperienza (e degli errori) del fascismo.

Da qui cominciava uno dei periodi migliori: partiva la ricostruzione del paese, si sviluppavano industrie nel nord e partivano poderose migrazioni interne dal sud verso il nord per alimentare di manodopera a basso costo le industrie del nord.[7]

Avvenne anche un fatto nuovo, la povertà del sud diventava un problema.

Al Nord era molto utile avere mano d'opera a basso prezzo proveniente dal Sud, ma ad un certo punto ci si rese conto che il sud sarebbe stato un paradiso per le industrie del nord se gli abitanti fossero stati dei bravi consumatori. In altre parole, si voleva una nazione di consumatori omogenea.

Disgraziatamente gli abitanti del sud non potevano spendere abbastanza per gli appetiti delle aziende del Nord. Questo era un problema. A questo problema fu trovato il nome di questione meridionale.

L’unità degli italiani

L'Italia era ancora composta di genti molto diverse, ma esse cominciavano a capirsi, grazie agli scambi migratori.

Negli anni '60 arrivò in tutta Italia la RAI (intesa come TV). E qui tutti cominciarono a capire l'italiano della RAI, a vedere Carosello, Lascia o raddoppia, Canzonissima, Sanremo e le partite della nazionale di calcio.

La RAI-TV cambiò la vita quotidiana delle persone e gradualmente assimilò al consumismo tutti gli italiani, fece sognare a tutti gli stessi simboli del cosiddetto benessere, li omologò sugli stessi miti e valori. In una decina di anni l'Italia diventava una nazione e l'unità d'Italia, quella sostanziale, del popolo che condivide sentimenti, emozioni, valori, era cosa fatta. Gli italiani si sentivano “a casa propria” più o meno da tutte le parti.

Gli eroi di questa unità, coloro che avevano fatto l'Italia e anche gli italiani, erano molti. Si chiamavano Claudio Villa, Raffaella Carrà, Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Gianni Morandi, e poi Burgnich, Facchetti, Zoff e tanti altri.[8] [9]

L'operazione della RAI aveva formato un diffuso sentire nazionale. Tutti gli italiani si sentivano fratelli, almeno in occasione dei mondiali di calcio.

Il paese era praticamente unificato, la RAI aveva fatto ciò che a Cavour non era riuscito (né gli interessava in realtà): creare un insieme di consumatori abbastanza omogeneo.

Nel frattempo il lavorio nascosto dell’Impero continuava. Il ’68 aveva sconvolto molti luoghi comuni. In quel periodo si erano creati degli strati sociali portatori di novità, che non da tutti erano visti favorevolmente.

L'economia italiana era cresciuta rapidamente ed il miglioramento del tenore di vita era percettibile. La mortalità infantile si era fortemente ridotta. La popolazione cresceva e all’interno di essa la classe media si era ampliata. L'analfabetismo era praticamente scomparso. Con circa un secolo di ritardo rispetto ai tempi ufficiali, l'Italia cominciava ad essere una nazione, con una lingua diffusamente parlata (o almeno capita) dalla Sicilia fino alle Alpi. La Rai TV era riuscita, oltre che a diffondere una lingua nazionale, a creare una certa attenzione verso i simboli nazionali, almeno in occasione di mondiali di calcio, olimpiadi e fenomeni analoghi.

In quegli anni si stava anche formando una crescita culturale, molto spesso egemonizzata dalla sinistra, con effetti ad essa favorevoli in occasione delle consultazioni elettorali.

La continua crescita del Partito Comunista Italiano sicuramente non era vista di buon occhio negli USA, che valutarono il passaggio a forme d'intervento più incisive, rispetto al precedente finanziamento della sinistra non comunista.[10]

Da qui nascevano gli opposti estremismi e la strategia della tensione.

Iniziava così il kolossal degli anni di piombo, quando interi settori della società si muovevano come gruppi ordinati di marionette pilotate dai burattinai.

Definirei quegli anni come gli anni del golpe, un colpo di stato progressivo con cui fu tolto agli italiani quel poco di sovranità che avevano. In un turbinoso spettacolo di massa, un sanguinoso kolossal recitato nelle strade e nei palazzi, si fece in modo che il potere restasse nelle mani di chi non aveva più titolo a detenere quel potere. Il risultato finale di un golpe al rallentatore durato dieci anni, fu che alla fine degli anni ‘70 chi stava al potere riuscì miracolosamente a mantenerlo.[11]

Non necessariamente un golpe deve essere rivoluzionario, anzi di solito è conservatore. Con tecniche analoghe a quelle di un prestigiatore si può dare la sensazione di un turbine di cambiamenti, mentre in realtà cambia ben poco, anzi il potere vero si rafforza.

Insomma, per la sinistra fu una sconfitta epocale, mentre la DC di Andreotti e Cossiga rimase in piedi.
La fase strategica della tensione “destra contro sinistra” durò per tutti gli anni '70.

Negli anni ’80 però questa strategia era logora, non produceva più effetti.

Probabilmente era la fine degli anni '80 quando i padroni dell'Italia si resero conto che la strategia della tensione, il dividere gli italiani in destra e sinistra, sostenendo tutte e due le parti in modo che si combattessero come i capponi di Renzo, cominciava a fare acqua.

Il divide et impera aveva bisogno di nuove strade. Il tentativo di frammentare gli italiani su basi religiose non poteva funzionare, da millenni il papato unificava il popolo sotto la stessa religione.

L'altra strada era lavorare sulle etnie, ma l'Italia, da secoli paese di bastardi, era un tale miscuglio etnico che identificare razze era impossibile. Si poteva però lavorare sulla divisione nord-sud. Il paese era unificato da qualche decennio, l'operazione della RAI aveva formato un sentimento nazionale diffuso. Ma era qualcosa di recente. Si poteva disfare.

Nell’89 cadeva il Muro di Berlino e dalla caduta del comunismo e dalla frammentazione della Jugoslavia un’Italia unita, baluardo contro il comunismo, non era più necessaria. Il pericolo comunista ad est non c’era più. Adesso l’Impero USA si allargava ad est e l’Italia cuscinetto non serviva più.

L'avvio della dissoluzione dello stato italiano andava fatto a nord, dove c'erano già un certo numero di partitini razzisti e localisti che erano convinti di pagare troppe tasse verso il centro. Andavano aiutati.

Quando il più grosso di questi partiti andò in fallimento per una gestione economica alquanto traballante, arrivarono aiuti a pioggia, praticamente incondizionati. Anche se qualcuno fece capire che gli articoli di Libero contro gli USA dovevano smettere. E così fu.

Come ben spiegava Theodore Shackley nel suo "The third option" (La terza opzione), bisognava però avere due parti in conflitto tra di loro per mantenere il potere e fare business sul conflitto. Il contrasto del nord contro "Roma ladrona" non era sufficiente, bisognava prepararne uno più sostanzioso.

A questo scopo bisognava lavorare anche al sud, per spingere l'orgoglio meridionale contro l'arroganza del nord.

Furono acquisite un certo numero di piccole case editrici, le quali cominciarono a pubblicare libri di notevole qualità, ma sempre orientate a vedere il nemico nel nord e mai nelle banche, o nel mercato, o in paesi esteri.

E si arriva così ai giorni nostri.

Pian piano si è formata una "coscienza meridionale". E' costata molti soldi ma comincia a produrre effetti.

Siamo quasi pronti per la frammentazione dell'Italia, sullo stile di quanto già fatto in Jugoslavia. Senza nemmeno scomodare la religione.

***

Ma adesso bisogna fare i conti con la nostra storia, la storia d’Italia. In questi giorni, che dovrebbero celebrare i 150 anni di unità nazionale, si susseguono polemiche sulle origini di tale unità, tra i suoi sostenitori, che ne parlano come di un evento storico realizzato da grandi uomini, e tra i suoi detrattori, che evidenziano la ricchezza delle culture preesistenti all'unità e la pochezza dei cosiddetti "eroi". Nel loro complesso, i discorsi di una parte e dell'altra mi appaiono costituire una trappola, un meccanismo che spinge a scegliere una delle due parti ed a sostenere le sue ragioni, a schierarsi con una fazione invece che a ragionare.

Perché chi si schiera trascura un fatto sostanziale, che circa un secolo dopo le date ufficiali, oltre all'Italia (fittizia) furono fatti gli italiani, sui valori della Costituzione e su quelli del consumismo della RAI (mantenendo sempre sul fondo i valori cattolici, o forse più correttamente la loro variante democristiana). Chi volesse criticare l'Unità d'Italia da qui dovrebbe partire, e non dai vari Garibaldi, Mazzini, Cavour.

Si potrebbe discutere se uno stato nazionale basato su Pippo Baudo e Mike Bongiorno sia qualcosa di tutto sommato apprezzabile o qualcosa da distruggere ad ogni costo. Io sarei per la prima.

Per l'Italia dei Savoia ho più che altro che disprezzo, eppure tocca riconoscere che, anche grazie all’unità politica realizzata dai Savoia, alla fine l’unità della nazione era stata raggiunta.

Però, se insistiamo a discutere tra garibaldini ed antigaribaldini i conti con la nostra storia non li faremo mai e non diventeremo mai un popolo adulto.

Perché, oggi come ieri, qualcuno ha interesse a dividere gli italiani e li vuole frammentare per dominarli, anzi portarli al pascolo come un gregge di pecore. Oggi probabilmente è peggio, perché la finzione dello Stato italiano non serve più all’Impero.

Truman Burbank (trumanb.blogspot.com/)
Fonte: www.comedonchisciotte.org
21.02.2011
***

NOTE

[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Schema_di_Propp

[2] Dalla voce “Risorgimento”

[3] Qui, come nel seguito, ci sono analogie tra la spedizione dei Mille e la guerra degli USA contro l’Iraq iniziata nel 2003. Il numero di soldati nella fase di repressione è molto vicino.

[4] Fondamentale è di Zitara L'Unità d'Italia: nascita di una colonia, 1971, Jaca Book

[5] http://it.wikipedia.org/wiki/Forte_di_Fenestrelle

[6] Su questo punto mi segnalano “La grande Strategia dell'Impero Romano” di Luttwak, che però non ho letto.

[7] Cfr. "Il proletariato esterno" di Zitara e il film " Trevico-Torino - Viaggio nel Fiat-Nam ".

[8] Ricordare Henri Pirenne per la sua analisi sociologica applicata alla storia (Maometto e Carlo Magno): invece che papi ed imperatori ci sono classi sociali, commerci, monete, cibi quotidiani. La data ufficiale dell’inizio del Medioevo o dell’unificazione d’Italia può essere una convenzione opinabile, ma l’approccio sociale alla storia fa scuola. I cambiamenti epocali nella vita delle persone sono ciò che fa la loro storia, non i potenti seduti su un trono.

[9] Sul contrasto stridente tra la storia ufficiale, la storia dei potenti, e la storia come vita quotidiana delle persone c’è chiaramente anche “La Storia” di Elsa Morante con il suo Useppe.

[10] Vedi Frances Stonor Saunders, La Guerra Fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti, Fazi, Roma, 2004

[11] La chiave di lettura degli anni di piombo è il sequestro Dozier. Qui si vede che le Brigate Rosse erano effettivamente un’organizzazione militare capace di azioni clamorose, ma che tali azioni venivano rapidamente neutralizzate quando non erano funzionali al potere e le coperture all’interno di servizi segreti ed istituzioni saltavano.

(Fonte: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=7986)
Inviato il: 22/2/2011 9:54
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  •  benitoche
      benitoche
Re: Il furto della memoria
#42
Dubito ormai di tutto
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Citazione:

audisio ha scritto:
ripeto se questo è il progetto allora la prospettiva è solo la guerra
civile.
Il Nord lo sappia, siamo già abbastanza poveri, non accetteremo di fare
i sudditi di lor signori.
Uomo avvisato...


Preparati Audisio
Presupposti per il rilancio economico

Un piano di investimenti infrastrutturali di lungo termine può dunque venire solo da capitali non pubblici, ma stranieri.
E’ inoltre possibile che i capitali in questione decidano che quelle condizioni siano meglio realizzabili previa divisione del paese nelle sue tre grandi aree etnico-comportamentali: Nord, Centro e Sud, in modo che ciascuna sia regolata conformemente alle sue caratteristiche sociali e culturali.

Inviato il: 18/2/2011 10:10
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  •  benitoche
      benitoche
Re: Il furto della memoria
#41
Dubito ormai di tutto
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Inviato il: 31/1/2011 3:09
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  •  Manfred
      Manfred
Re: Il furto della memoria
#40
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 3/11/2009
Da Osnabrück
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Ma l'Urss non era anche stata creata dallo stesso meccanismo?
Inviato il: 28/1/2011 23:01
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Re: Il furto della memoria
#39
Sono certo di non sapere
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Citazione:
Il Regno delle Due Sicilie è caduto con lo stesso meccanismo
con cui è caduta l'Urss.

Grazie per il paragone che illustra propriamente il dove volevo arrivare: l'URSS e' caduta perche' in crisi profonda. Quando un paese e' in crisi basta un po di contante per fare andare a carte quarantotto tutti gli equilibri su cui si basa. Prova a corrompere la Cina. Prova a corrompere e invadere la Corea del Nord. Prova a corrompere e distruggere il tessuto sociale della Germania.
Puoi pero' corrompere qualsiasi classe dirigente di un paese che gia' sta per cadere per i fatti suoi per via di tensioni interne ed internazionali, un paese che e' corruttibile e dove le classi dirigenti o i funzionari preferiscono l'immediata ricchezza allo status quo (che dovrebbe comunque assicurare loro stabilita' e una buona situazione economica, se le cose andassero bene).

Il cancro delle Due Sicilie era la Chiesa Cattolica, i suoi possedimenti terrieri e immobiliari ed il modo in cui i Borboni lasciavano che amministrasse in pratica il loro paese, gli Inglesi hanno solo giocato su di una situazione che poteva andare a loro favore se giocavano con astuzia e furono piu' astuti loro dei Francesi.

Citazione:
1) una parte della flotta inglese sorprese il grosso della flotta duosiciliana in porto

A me cosi' a memoria viene in mente di no, ma in sostanza e' quel che avvenne: la squadra britannica si mise in mezzo tra i penosi barconi dei Mille e la flotta delle Due Sicilie. Quel che nessuno dice e che ho trovato solo nel libro di Abba e' del bombardamento di Palermo, accaduto con l'intervento diretto della squadra inglese.

Ma lo sbarco a cui mi riferivo io era l'altro, quello dalla Sicilia alla Calabria.

Citazione:
Se qualcuno volesse, riporto i link dei generali borbonici che passarono a miglior vita (nel senso che coi soldi che presero divennero cosi' ricchi da far paura ancor oggi) ditemelo.

Sarebbe interessante.

Citazione:
Perché fa schifo parlare di due paesi distrutti e rasi al suolo con migliaia di civili passati a fil di spada.

Baionetta. Sempre dal libro di Abba (che naturalmente non dice niente in chiaro ma e' la migliore testimonianza diretta che abbia letto) Bixio ad un certo punto aveva dato persino l'ordine di riservare i proiettili alle truppe reali e non sprecarli per sedare le rivolte nei paesi che attraversavano.

Un po' per quello che dici tu e un po' perche' di militare c'era ben poco da registrare, praticamente come lo sforzo di un coltello caldo nel burro o come la Prima Guerra del Golfo, di cui abbiamo solo visto cartoni animati.
Inviato il: 28/1/2011 16:53
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Re: Il furto della memoria
#38
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PikeBishop ha scritto:


Ah, gia', i Piemontesi, quelli con le pezze al culo, hanno corrotto funzionari e militari nelle posizioni chiave... il che prova quanto ci tenessero a perpetuare uno status quo che ora ci si vuole far passare come idilliaco e che di fatto non poteva esserlo.

Come puo' una nazione all'apice del proprio benessere e con una organizzazione perfetta andare in frantumi da maggio a settembre minacciata da una parte da una schiera di mercenari comandati da un avventuriero che, ricordiamolo che ne vale la pena, doveva traversare anche un braccio di mare per invadere il "continente" - e gli sbarchi non erano certo piu' facili allora, specie se si ha contro la "terza flotta militare d'Europa" - privo di vera esperienza militare e con milizie di volontari non professionisti e dall'altra da uno degli eserciti peggiori della storia del mondo, quello piemontese, considerato come una barzelletta nel resto d'Europa?
Come cavolo capita che la fortezza di Gaeta difesa col fior fiore delle truppe siciliane, imprendibile, difesa da artiglieria in grado di fare danni a qualsiasi assalitore resistette poco piu' di un mese perche', udite udite, mancava il cibo?

Come diavolo si spiega che le truppe borboniche disertavano in massa o addirittura si univano ai garibaldini come ad esempio notabilmente a Reggio Calabria? Non era tutto rose e fiori nel Regno delle Due Sicilie?

Curioso, eh?

Forse come al solito bisogna prendere le cose con un pizzico di buon senso...


Caro Pike, vorrei chiarire prima di ogni cosa che io ti sono grato per questa discussione.

Non è certo mio intento quello di "affrontare" o tantomeno "stroncare" nessuno. Men che meno te. Quindi grazie ancora e perdonami se ogni tanto sarò un pelino "sopra le righe". Fammelo notare e farò un passetto indietro, illico et immediate.

Ciò detto, ti consiglio caldamente di leggerti questo capitolo:
link: http://www.morronedelsannio.com/sud/terza.htm


In particolare questo passaggio:
"Negli atti del congresso massonico di Torino del settembre 1988 (12), vi è una relazione di Giulio De Vita che parla di 3 milioni di franchi francesi versati dagli Inglesi a Garibaldi, cioè molti milioni di Euro attuali . Capo dell'intendenza del Nizzardo, quindi responsabile di tutti i fondi, era il poeta Ippolito Nievo, che perì nell'esplosione del piroscafo Ercole, nella notte tra il 4 e 5 marzo 1861 mentre viaggiava da Palermo a Napoli. Con lui si inabissarono gli altri ottanta passeggeri ed andarono persi molti documenti dei finanziamenti alla spedizione dei Mille. Nell'occasione ci furono la misteriosa perdita di contatto con la nave che precedeva ed il ritardo nei soccorsi. Si parlò di sabotaggio (fu l'unico battello ad affondare tra tutti quelli che avevano solcato il Tirreno per i ripetuti sbarchi in Sicilia), ma poi la cosa venne messa a tacere, secondo il metodo massonico dell'epoca.
Inviato il: 28/1/2011 13:55
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Re: Il furto della memoria
#37
Sono certo di non sapere
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Quoto notturno al mille per mille.
E mi rimeraviglio Pike, la risposta la trovi nel tuo stesso nick.
Pike = massoneria.
Il Regno delle Due Sicilie è caduto con lo stesso meccanismo
con cui è caduta l'Urss.
Soldi, tanti soldi e gli uomini giusti fatti salire piano piano ai posti
giusti.
L'Urss è caduta (a prescindere da tutti i problemi che comunque
non erano stati sufficienti fino ad allora per farla cadere) perchè si
era piazzato il signor Gorbacev e i vari generali al posto giusto.
Li si è allevati fin dall'adolescenza a quel compito e poi, zac, al momento
giusto si muove la prima tessera del domino e tutto viene giù.
E se no a che cazzo servono le società segrete?
A fare dei balli in maschera?
Inviato il: 28/1/2011 12:42
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  •  Notturno
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Re: Il furto della memoria
#36
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@ incredulo.

Perdona la mia eccessiva irruenza.

A volte il calore che provo quando penso a questo argomento mi offusca un po'.



@pike

Come spesso accade, quando si parla della civiltà del regno delle due sicilie si discute poco e si immette subito l'argomento: "Allora perché hanno perso così clamorosamente?"

A parte che la civilità di un popolo non si dovrebbe giudicare dal suo esercito o, quantomeno, non dovrebbe essere l'argomento principe, in effetti le cose sono andate un po' diversamente da come ce le hanno raccontate (anche stavolta, guarda caso).

Tutti parlano della nave coi mille che partì da Quarto e, impavida, fece tutto quel po-po di impresa, come se avesse agito isolata e coraggiosa.

Così non fu.

La vera impresa la fecero gli inglesi. E in due modi:

1) una parte della flotta inglese sorprese il grosso della flotta duosiciliana in porto (a Gaeta, se ben ricordo) e le impedì di uscire e di fermare la nave garibaldina (badate, la flotta duosiciliana era la SECONDA flotta AL MONDO).

2) la massoneria inglese dotò il buon Garibaldi di tanti di quei soldi che riuscirono a comprare i generali e gli ufficiali superiori duosiciliani. In numerosi casi i soldati abbozzarono insubordinazione contro i superiori che lasciavano campo libero ai piemontesi o che commettevano azioni così suicide da far reagire i sottufficiali e i soldati con violenza. (moltissimi sottufficiali divennero "briganti" e moltissimi altri furono ammassati in un carcere in piemonte, dove furono disciolti nella calce).

Se servono i link, dimmelo. Ora vado un po' di fretta, ma ce ne sono abbastanza.

Tra l'altro, una annotazione: a scuola avete mai studiato qualche battaglia di quell'impresa?

Come mai tutti tacciono sull'aspetto militare dell'impresa dei mille?

Dicono da dove parte, dove sbarca, parlano di una battaglia a Calatafimi e poi, tutto il resto è silenzio.

Sapete perché?

Perché fa schifo persino ai falsi storici divulgare notizie sull'assedio di Gaeta, dove furono massacrati civili e truppe già arresisi.

Perché fa schifo parlare di due paesi distrutti e rasi al suolo con migliaia di civili passati a fil di spada.

Perché fa schifo ammettere che i soldati piemontesi avevano ricevuto il diritto di saccheggio con nota ufficiale dei superiori.

E voi sapete che cosa vuol dire concedere il diritto di saccheggio ai soldati, vero?

Significa dar loro diritto di vita e di morte su tutti e su ciascuno.

Violenze assurde e ingiustificate.

QUESTO ci tacciono.

Cercate il nome del Generale Cialdini.

Se qualcuno volesse, riporto i link dei generali borbonici che passarono a miglior vita (nel senso che coi soldi che presero divennero cosi' ricchi da far paura ancor oggi) ditemelo.

Restano intatte queste argomentazioni:

Un paese civile (discutiamo sulla sua posizione se seconda o terza in Europa) viene aggredito militarmente senza nemmeno uno straccio di dichiarazione di guerra, viene spogliato di tutto, oro, industrie, tecnologie e forza lavoro.

Viene depredato di ogni genere di risorsa: competenze, infrastrutture (si veda il ponte di ferro sul Garigliano), scuole (!!!!), legami sociali e finanche l'orgoglio.

E nessuno dice nulla.

Nessuno ne parla. Nessuna richiesta di discussione.

Tutto viene prontamente sopito e reso invisibile.

A marzo si terranno i festeggiamenti dell'unità d'Italia.

In tutta onestà, io mi domando con quale cazzo di coraggio.
Inviato il: 28/1/2011 11:50
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Re: Il furto della memoria
#35
Sono certo di non sapere
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Citazione:
E questo fatto da una capitale, Napoli, che era culturalmente "periferica", vero?

Continuava ad essere periferica anche se la lista che ci hai sottoposto fosse verosimile (e lo e' solo in parte - mi ha fatto veramente tanta allegria la faccenda del primo cimitero per questi e per quelli).

Napoli era una citta' molto popolosa (una delle piu' popolose al mondo)ed il Regno aveva una economia fiorente seppur limitata al confronto di altre nazioni, ma non un granche' sembra essere partito da Napoli Borbonica che abbia cambiato alcunche' della Storia e Cultura europea o mondiale, quindi era periferica e qualsiasi elenco porterai non potra' cambiare questo fatto.
Tutta l'Italia era periferica a quel tempo nella cultura europea, come lo e' di nuovo ora, tranne eccezioniali figure che come al solito emigrano, perlopiu' in Francia perche' in Italia vengono prese per i fondelli dai soliti figli di.

Il meridione, pure con le casse piene e una classe mercantile e latifondista florida ed educata (che guardacaso parlava il francese proprio come i piemontesi, ma non mi risulta che le classi superiori francesi parlassero napoletano o torinese, che strano...) comunque non ha resistito ad una spallata neanche troppo decisa da parte di un esercito che in seguito venne assolutamente sopravvalutato (l'esercito piemontese il famoso esercito della Prussia del Sud era infatti vergonosamente incapace e lo dimostro' a tutti gli alleati nel corso delle guerre risorgimentali) e che non dovette nemmeno combattere granche': la grandiosa macchina dello Stato Borbonico si affloscio' istantaneamente solo perche' un gruppo di squinternati non troppo bene armati e peggio comandati la stava invadendo.

Che la famosa "formazione militare" non fosse poi un granche'?

Ah, gia', i Piemontesi, quelli con le pezze al culo, hanno corrotto funzionari e militari nelle posizioni chiave... il che prova quanto ci tenessero a perpetuare uno status quo che ora ci si vuole far passare come idilliaco e che di fatto non poteva esserlo.

Come puo' una nazione all'apice del proprio benessere e con una organizzazione perfetta andare in frantumi da maggio a settembre minacciata da una parte da una schiera di mercenari comandati da un avventuriero che, ricordiamolo che ne vale la pena, doveva traversare anche un braccio di mare per invadere il "continente" - e gli sbarchi non erano certo piu' facili allora, specie se si ha contro la "terza flotta militare d'Europa" - privo di vera esperienza militare e con milizie di volontari non professionisti e dall'altra da uno degli eserciti peggiori della storia del mondo, quello piemontese, considerato come una barzelletta nel resto d'Europa?
Come cavolo capita che la fortezza di Gaeta difesa col fior fiore delle truppe siciliane, imprendibile, difesa da artiglieria in grado di fare danni a qualsiasi assalitore resistette poco piu' di un mese perche', udite udite, mancava il cibo?

Come diavolo si spiega che le truppe borboniche disertavano in massa o addirittura si univano ai garibaldini come ad esempio notabilmente a Reggio Calabria? Non era tutto rose e fiori nel Regno delle Due Sicilie?

Curioso, eh?

Forse come al solito bisogna prendere le cose con un pizzico di buon senso...
Inviato il: 28/1/2011 1:12
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Re: Il furto della memoria
#34
Dubito ormai di tutto
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Il nord è stato il protagonista della storia politica italiana dalla sua unità ad oggi tutti i grossi partiti e movimenti sono nati al nord e molto spesso a Milano e dal nord stesso buttati giù ( i Savoia, Mussolini, De Gasperi Craxi Berlusconi )

Restano a chiarire le motivazioni che hanno indotto gli ambienti accademici del Regno d’Italia prima, del periodo fascista e della Repubblica poi, a mantenere fin quasi ai giorni nostri, una versione dei fatti così lontana dalla verità, tacendo, soprattutto, la circostanza che le popolazioni del sud, salvo una minoranza di latifondisti ed intellettuali, non avevano nessuna voglia di essere “liberate” e anzi reagirono violentemente contro coloro i quali, a ragione, erano considerati invasori.

La tentazione del separatismo non nasce certo oggi ma a mio modesto parere è sempre stata messa a tacere per perseguire gli interessi dei politici che attingevano al serbatoio di voti del sud e dei grossi industriali del nord che hanno depredato il sud anche con la cassa del mezzogiorno; quanti industriali di varia grandezza hanno sin dagli anni 50 sfruttato il sud facendo finta di investire per fare aziende nel sud ma venivano qui solo per prendere i soldi e scappare abbiamo visto centinai di aziende di piccole, medie e gradi dimensioni aprire stabilimenti, spesso con macchinari vecchi e riverniciati prendere i soldi della cassa del mezzogiorno e poi puntualmente questi fantomatici imprenditori sparivano insieme ai soldi e alle aziende e ai posti di lavoro –(per poi aprire le stesse nei loro Paesini di provincia del NORD,e si meglio farsi la fabbrichetta sotto casa ) in un sud senza infrastrutture ne servizi ne sviluppo ne salvaguardia dell’agricoltura si aiutano i produttori del latte del nord ma nessuno parla dell’ olivicoltura meridionale e dei regolamenti c.e.e. fatti solo per penalizzare l’unica vera ricchezza del sud L’AGRICOLTURA

Oggi siamo monnezza, liquidati come i "meridionali piagnoni" dal leghista di turno, quando esigiamo quello che ci è dovuto e che il governo nord-centrico ha speso per se’, noi che ci spacchiamo la schiena per campare e fare arricchire gli altri, e gli industriali del nord sarebbero invece quelli civilizzati che in realtà vengono a colonizzarci per massacrarci la vita, l’ambiente, le prospettive future. Ogni soggetto del nord arrivato a fare l’imperialista non è stato diverso da quell’uomo delle stelle del film di Tornatore che della sicilia prese i doni più generosi, i racconti, le narrazioni private e una splendida ragazza, usata e poi lasciata a crepare in un manicomio.

Uau,hai propio ragione incredulo

Cmq di una cosa sono certo, alla lunga chi piangerà per questa propabile suddivisione sarà il Nord
La terra lu mari e lu sule alla fine non potrà togliercele nessuno,di certo c'è però che io un trattore lo posso comprare Made in China
Inviato il: 27/1/2011 21:56
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Re: Il furto della memoria
#33
Sono certo di non sapere
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E' ben vero che sono stati spesi molti soldi, dicendo che fossero a beneficio del sud, ma vanno dette due cose: 1) Non erano a beneficio del sud, ma solo di una casta politica ristretta. Non c'entra un benemerito piffero "il sud". Se, a titolo di esempio, mandi soldi a 1.000 elettori di Mastella, puoi anche dire che "mandi soldi al sud", ma in effetti li mandi a Mastella. 2) Se, nello stesso momento in cui mandi quei soldi a 1000 "mastelliani", aumenti le tasse per tutti (nord e sud) e investi SOLO AL NORD (infrastrutture, strade, ferrovie, ecc...) è sempre vero che hai mandato soldi verso sud (ai mille selezionatissimi mastelliani), ma nel contempo hai speso i VERI SOLDI al nord. Sai perché? Perché i soldi spesi per le infrastrutture PRODUCONO ALTRI SOLDI. Quelli spesi per l'assistenzialismo (come giustamente lo chiami tu) NO. Sicché, anche a voler ammettere che siano stati spesi soldi (sul "quanto" ci sono migliaia di documenti che dicono tutto e il suo contrario), sono stati spesi volutamente male. E con il precipuo scopo di evitare che una zona ben precisa si sviluppasse. Perché lo sviluppo impedisce lo sfruttamento e consente un altro (gravissimo!) fenomeno: la "graziosa donazione". Quella regalìa che priva il cittadino del suo status e lo fa regredire a suddito, che gli fa piovere dall'alto il "dono", come da un principe, da un re. Una specie di quella che il nano fa (con magnanima e principesca elargizione) alle sue minorenni. Ecco che il lavoro diventa un "dono". Ma come?!?!? Io lavoro e ti devo pure ringraziare??? Il sud serve così com'è. Un allevamento di mucche da mungere finché serve e infine da macellare. Vi do un'altra chicca. Quando finì la II Guerra Mondiale, il Belgio chiese E OTTENNE (!!!!!!!!!!!!) che l'Italia risarcisse i danni di guerra inviando decine di migliaia di operai nelle miniere belghe. Si svuotarono interi paesi al sud. Ecco perché serve il sud così com'è. Ed ecco (ancora una volta) perché PERSINO SU QUESTO SITO è difficile parlarne.

Ovviamente ti quoto in toto, pensavo che fosse chiaro che esprimevo il pensiero dei leghisti che, lo ripeto, si basa SOLO SU DI UN FATTORE ECONOMICO, gli sghei, quel pensiero che ci costringe con questa classe politica agghiacciante, non il mio pensiero.

Quello che scrivi lo avevo gia' espresso, limitatamente, nel mio post.

In quella storia, per motivi politici e clientelari, il meridione, nonostante gli ingenti capitali piovutogli addosso, non si e' sviluppato come avrebbe dovuto. Sono state fatte scelte politiche chiare di assistenzialismo, pensioni, invalidita' fasulle, cassa per il mezzogiorno ecc.
Faceva comodo questo stato di cose, perche' garantiva un serbatoio di consenso elettorale granitico e inattaccabile.


@ Audisio

non è che puoi fare iniziare la storia quando vuoi tu, come quando giochi ad un videogame e metti in sospeso la partita. L'assistenzialismo anni '60 e post è figlio dell'impoverimento del Sud a favore del Nord che si è protratto per i 100 anni precedenti.

L'assistenzialismo e' stata UNA SCELTA POLITICA, una VOLONTA' POLITICA e quello che la gente conosce e' QUESTA STORIA, quella dell'assistenzialismo per averla VISSUTA e metabolizzata.

Abbiamo appena detto che la storia CHE SI STUDIA, non e' quella di cui stiamo parlando.

Ora dato questi elementi ti risulta piu' chiaro perche' esista il fenomeno lega?

Il mio ragionamento cercava di togliere l'illusione che, il conoscere la storia vera dell'Italia eliminasse l'ignoranza cronica dei leghisti e gli togliesse consenso.

Infatti Notturno finiva il suo post con questa frase:

Oggi partiti come la Lega sono forti di QUESTA IGNORANZA!

Tutto quel che accade oggi è figlio diretto di questa storia.

E prima ce ne rendiamo conto e prima le cose cambieranno.

Sempre ammesso che le si voglia cambiare.

Per alcuni è "scomoda anche questa ipotesi.


Il mio pensiero e' che il dossier di Aprile, se dovesse mai scuotere qualcosa, scuotera' quell'orgoglio meridionale da contrapporre alla insopportabile prosopopea leghista, non certo il contrario.

Un saluto
Inviato il: 27/1/2011 18:14
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Re: Il furto della memoria
#32
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1735: Prima Cattedra di Astronomia, in Italia, affidata a Napoli a Pietro De Martino

1751: Il piú grande palazzo d’Europa a pianta orizzontale, il Real Albergo dei Poveri a Napoli

1754: Prima Cattedra di Economia, nel mondo, affidata a Napoli ad Antonio Genovesi

1762: Accademia di Architettura, una delle prime e piú prestigiose in Europa

1763: Primo Cimitero italiano per poveri (il "Cimitero delle 366 fosse", nei pressi di Poggioreale a Napoli, su disegno di Ferdinando Fuga)

1781: Primo Codice Marittimo nel mondo (opera di Michele Jorio)

1782: Primo intervento in Italia di Profilassi Anti-tubercolare

1783: Primo Cimitero in Europa ad uso di tutte le classi sociali (Palermo)

1789: Prima assegnazione di "Case Popolari" in Italia (San Leucio presso Caserta).

Prima istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio)

1792: Primo Atlante Marittimo nel mondo (Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, Atlante Marittimo delle Due Sicilie. (vol. I) elaborato dalla prestigiosa Scuola di Cartografia napoletana)

1801: Primo Museo Mineralogico del mondo

1807: Primo "Orto botanico" in Italia a Napoli di concezione moderna

1812: Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo

1813: Primo Ospedale Psichiatrico italiano (Reale Morotrofio di Aversa)

1818: Prima nave a vapore del Mediterraneo "Ferdinando I"

1819: Primo Osservatorio Astronomico in Europa, a Capodimonte

1832: Primo Ponte sospeso (il Ponte "Real Ferdinando" sul Garigliano), in ferro, in Europa continentale

1833: Prima Nave da crociera in Europa "Francesco I"

1835: Primo istituto italiano per sordomuti

1836: Prima Compagnia di Navigazione a vapore nel Mediterraneo

1837: Prima Città d’Italia ad avere l’illuminazione a gas (primo esperimento nei portici di San Francesco di Paola)

1839: Prima Ferrovia italiana, tratto Napoli-Portici, poi prolungata sino a Salerno e a Caserta e Capua.

1839: Prima galleria ferroviaria del mondo.

Prima Illuminazione a Gas di una città italiana (terza in Europa dopo Londra e Parigi) con 350 lampade

1840: Prima Fabbrica Metalmeccanica d’Italia per numero di operai (1050) a Pietrarsa presso Napoli

1841: Primo Centro Vulcanologico nel mondo presso il Vesuvio. Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia

1843: Prima Nave da guerra a vapore d’Italia (pirofregata "Ercole"), varata a Castellammare.

Primo Periodico Psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglia

1845: Prima Locomotiva a Vapore costruita in Italia a Pietrarsa. Primo Osservatorio Meteorologico italiano (alle falde del Vesuvio)

1848: Primo esperimento di illuminazione a luce elettrica d’Italia a Lecce, per opera di mons. Giuseppe Candido. Illuminazione dell’intera piazza in occasione della festa patronale.

1852: Primo Telegrafo Elettrico in Italia (inaugurato il 31 luglio). Primo Bacino di Carenaggio in muratura in Italia (nel porto di Napoli).

1853: Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l’America (Il "Sicilia" della Società Sicula Transatlantica di Salvatore De Pace: 26 i giorni impiegati).

Prima applicazione dei principi Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi.

1856: Premio Internazionale per l’industria del corallo all’Esposizione Internazionale di Parigi.

Primo Sismografo Elettromagnetico nel mondo costruito da Luigi Calmieri

1859: Primo Stato Italiano in Europa produzione di Guanti (700.000 dozzine di paia ogni anno)

1860: Prima Flotta Mercantile d’Italia (seconda flotta mercantile d’Europa) e prima Flotta Militare (terza flotta militare d’Europa).

Prima nave ad elica (Monarca) in Italia varata a Castellammare.

Piú grande Industria Navale d’Italia per operai (Castellammare di Stabia 2000 operai).

Primo tra gli Stati italiani per numero di Orfanotrofi, Ospizi, Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza e Formazione.

Istituzione di Collegi Militari (La Scuola Militare Nunziatella è il piú antico Istituto di Formazione Militare d’Italia, ed uno dei più antichi del mondo.

Prime agenzie turistiche italiane.

La piú bassa percentuale di mortalità infantile d’Italia.

La piú alta percentuale di medici per abitanti in Italia.

Prima città d’Italia per numero di Teatri (Napoli), il Teatro San Carlo è il piú antico teatro operante in Europa, costruito nel 1737.

Prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli).

Primo "Piano Regolatore" in Italia, per la Città di Napoli.

Prima città d’Italia per numero di Tipografie (113, in Napoli).

Prima città d’Italia per numero di pubblicazioni di Giornali e Riviste.

Primi Assegni Bancari della storia economica (polizzini sulle Fedi di Credito).

La piú alta quotazione di rendita dei titoli di Stato (120% alla Borsa di Parigi).

Il Minore carico Tributario Erariale in Europa.

Maggior quantità di Lire-oro nei Banchi Nazionali (dei 668 milioni di Lire-oro, patrimonio di tutti gli Stati italiani messi insieme, 443 milioni erano del regno delle Due Sicilie).

Monopolio mondiale dello zolfo, avendo oltre 400 miniere di zolfo, copriva circa il 90% della produzione mondiale di zolfo e affini.

(Link: http://www.duesicilie.org/spip.php?article33)

E questo fatto da una capitale, Napoli, che era culturalmente "periferica", vero?
Inviato il: 27/1/2011 17:47
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Re: Il furto della memoria
#31
Dubito ormai di tutto
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Guardate l'emigrazione dopo l'unificazione, ad esempio.

Inizio dell'emigrazione meridionale [modifica]

La grande emigrazione meridionale ha inizio solo alcuni decenni dopo l'unità d'Italia, laddove nella prima metà del XIX secolo aveva già riguardato diverse zone del Nord, in particolare del Piemonte, del Comacchio e del Veneto. Le ragioni storiche della prima emigrazione meridionale della seconda metà del XIX secolo sono da ritrovare per letteratura diffusa sia per la crisi delle campagne e del grano, sia per la situazione di impoverimento economico che colpisce il Sud all'indomani dell'unità, quando gli investimenti industriali si concentrano nel Nord[25], nonché per altri fattori[26].


(Tratto da Wikipedia. Link: http://it.wikipedia.org/wiki/Questione_meridionale#Inizio_dell.27emigrazione_meridionale)

Nota Bene: prima metà dell'800 (PRIMA dell'unificazione) emigrano dal nord Italia. Dopo l'unificazione parte l'emigrazione dal SUD!

Come mai?

Leggete questo passo. (op. cit. Link: http://www.morronedelsannio.com/sud/quarta.htm)

L’emigrazione, la diaspora meridionale

Fu una delle più grandi ondate migratorie di tutti i tempi: alle popolazioni meridionali, sconfitte e colonizzate altro non rimaneva che battere la via dell’oceano: "Partetemmo pè mmare, eravamo sciumme!" [partimmo per mare ed eravamo un fiume]. I porti di Napoli e Palermo diventarono i più grandi centri di espatrio dei Meridionali, (Genova lo fu per i Settentrionali). Pasquale D’Angelo così descriveva il suo commiato dalla madre: "Mi gettò le braccia al collo singhiozzando e mi strinse a sé. Serrato nel buio di quell’abbraccio stretto, chiusi gli occhi e piansi. Piangevamo entrambi, fermi sui gradini, ed ella mi baciava e ribaciava le labbra. Sentivo le sue lacrime calde irrigarmi il volto. "Tornerò presto", le dicevo singhiozzando "Tornerò presto". Ma non fu così. I timori della mamma presagivano la verità. Non ritornai più. Mi strinse ancora fra le braccia, quasi volesse farmi addormentare sul suo petto. E tornò a baciarmi. Così rimanemmo a lungo finché su di noi discese una gran pace" (16). Disse lo statista lucano Nitti: "Io vorrei fare, io farò forse un giorno una carta del brigantaggio e una dell’emigrazione, e l’una e l’altra si completeranno e si potrà vedere quali siano le cause di entrambi (…) la miseria non ha ucciso le intime energie della razza, l’anima essenziale della stirpe; il brigante e l’emigrante con la rivolta e l’esodo sono la prova di una mirabile forza espansiva. "Che cosa farai?" io chiedeva al vecchio contadino che partiva, "Chi lo sa!" egli mi rispondeva; non chiedeva nulla, non voleva nulla, andava a lottare, a soffrire: aspirava alla sazietà. In altri tempi sarebbe stato brigante o complice; ora andava a portare la sua forza di lavoro, il suo misticismo doloroso nella terra lontana, a costituire forse con i suoi compagni quella che dovrà essere la nuova Italia ." (17). Gli emigranti arrivavano sulla costa orientale degli Stati Uniti dopo trenta giorni di navigazione a vapore (prevalentemente in terza classe), terre "assai luntane" di cui ignoravano la lingua. La maggior parte di loro non aveva mai vissuto in una grande città e l’85% dichiarava all’ufficio dell’immigrazione di essere agricoltore. Nonostante ciò, presto si trasformarono in operai, minatori o ferrovieri (le strade ferrate erano in rapidissima espansione). Essendo privi di denaro non riuscivano infatti ad acquistare le terre che le leggi fondiarie americane mettevano a disposizione a buon mercato. Inoltre "nel decennio 1870-1880 le retribuzioni offerte dalle fabbriche e dalle miniere superarono quelle offerte dalla media azienda agricola americana" (18). Alcuni emigrati si adattarono ai lavori più disparati, compresi i più umili, che però rendevano, come salario, il triplo di quello d’Italia, con un costo della vita solo di poco superiore. Ma le origini non si dimenticavano! Dopo qualche anno infatti, un buon numero di loro lasciò le grandi metropoli della costa orientale americana e fece il gran salto verso le terre sconfinate del Far West, perché "la cosa di cui gli italiani più si struggevano era di diventare padroni del loro pezzetto di terra e della loro casa. Diventare proprietario di terra significava dare la prova del proprio valore. Non c’era sacrificio troppo grave per uno scopo simile. Frugale all’eccesso, l’italiano non sprecava niente (si diceva che "risparmiavano religiosamente il denaro") (…) sa vivere di tanto poco che chiunque, salvo forse il cinese, morirebbe di fame (…) quando l’italiano acquista un pezzo di terreno incolto, impiega il suo tempo a zapparlo e a prepararlo per la coltura (…) tutta la sua famiglia lavora spesso da mattina a sera e per parecchie ore della notte (…) paga in contanti lo scavo della cantina e la pompa per l’acqua, e al costruttore che gli tirerà su la casa dà una o più cambiali". Il sogno della terra, coltivato in Patria per secoli, finalmente diventava realtà e con esso arrivava il benessere tanto che i meridionali riuscivano, insieme ai "pacchi alimentari e di vestiario", ad inviare in Italia parte dei risparmi per aiutare le famiglie di origine. "Il successo è così normale, fra gli italiani, che pochi sono quelli che non hanno un conto in banca e non mandano regolarmente del denaro in Italia". L'emigrazione non fu, quindi, solo una valvola di sfogo per l'eccesso di lavoratori, ma anche un preziosissimo strumento per lo Stato italiano per rastrellare valuta pregiata. Si trattò di cifre enormi: due miliardi di lire all'anno dal 1896 al 1900, più di quattro miliardi all'anno dal 1909 al 1914. Molti emigrati giunsero in vetta: citiamo i fratelli Di Giorgio che diventarono i più grandi distributori di frutta del mondo. Ricordiamo Amedeo Pietro Giannini che da venditore ambulante e possessore di un primo "banco" formato da un asse poggiato su due barili, conquistò la fiducia di piccoli risparmiatori fornendo prestiti a bassi interessi. La Bank of Italy di Giannini divenne prima l’istituto più grande della California, poi degli Stati Uniti ed infine del mondo sotto il nuovo nome di Bank of America. Anche in politica gli italiani fecero strada e ci furono momento in cui i sindaci delle principali città delle due sponde degli Stati Uniti (S.Francisco e New York) erano emigranti della Penisola.

Non era, però, tutto rose e fiori perché il successo degli immigrati italiani era inevitabilmente destinato ad alimentare i rancori degli americani "indigeni" e delle altre nazionalità emigrate in America; ci furono molti episodi di violenza xenofoba e alla fine si costruì lo stereotipo dell'Italiano mafioso. "La massima parte degli italiani detestava e respingeva con sdegno questa immeritata nomea, di cui ben presto gli Al Capone e i Lucky Luciano li avrebbero bollati. I molti immigranti onesti e ossequienti alla legge consideravano i sindacati della violenza come un prodotto degli slum americani (…) l’americano medio non si rese mai conto del fatto che la percentuale di condanne per cause criminali fra gli immigrati italiani degli Stati Uniti era e rimase a lungo suppergiù eguale a quella degli altri gruppi nazionali e addirittura inferiore a quella dei "nativi". Ciò non impedì che i delitti commessi dagli italiani ricevessero particolare pubblicità da parte della stampa. In qualche modo gli italiani e soprattutto i meridionali, sembravano più "drammatici" nel commettere i loro delitti, e così evocavano lo spauracchio dell’italiano assetato di vendetta e di sangue". Le differenze somatiche, di usi e costumi tra gli emigranti italiani provenienti dalle varie regioni della Penisola erano marcatissime "Fra italiani del Nord e italiani del Sud continuavano a manifestarsi secolari e non sopiti conflitti (…) agli italiani del Nord non piaceva che l’immagine dell’italiano tipico, che andava formandosi nella mente degli americani, corrispondesse a quella dell’italiano del Sud, piccolo e bruno (…) e l’italiano del Sud, che si vedeva trattato con alterigia dall’italiano del Nord, lo chiamava tight (spilorcio), e mean (meschino e con la puzza sotto il naso) (…) La United States Immigration Commission era solita tenere distinte le cifre degli immigrati del Nord e del Sud d’Italia, mentre non usava fare altrettanto per nessuna delle altre nazionalità ". Per quanto riguarda il numero degli emigrati, sebbene vi siano dati ufficiali solo a partire dal 1875, le tabelle Nitti ci offrono, comunque, per il periodo precedente, una eloquente panoramica: 1861: 5.525; 1862: 4.287; 1863: 5.070; 1864: 4.879; 1865: 9.742; 1866: 8.790; 1867: 18.447; 1868: 18.120; 1869: 23.325; 1870: 15.473; 1871: 15.027; 1872: 16.256; 1873: 26.183; in quei primi anni l’85% degli emigrati proveniva dalle regioni del Nord d’Italia, fu solo dopo la crisi agraria degli anni ’80 che i meridionali presero il sopravvento. Nell’anno 1900 l'emigrazione italiana complessiva aveva già raggiunto la enorme cifra di 8 milioni di individui di cui 5 milioni provenivano dalle ex Due Sicilie (di essi 3.4 milioni andarono oltreoceano); espatriò dal Sud oltre il 30% della popolazione; "Nel 1901 il sindaco di Moliterno, in Lucania, porgendo il saluto della città al capo del governo, venuto a visitarla, diceva:" La saluto in nome di ottomila concittadini, tremila dei quali risiedono in America, mentre gli altri cinquemila si preparano a seguirli"; nel 1898 l’Italia era già balzata al primo posto, tra tutti i paesi, per numero di emigranti in America; nel successivo decennio 1901-1910 partirono per nave più di 350.000 persone all'anno, poi aumentarono negli anni successivi e nel solo 1913, che fu l'anno della più forte emigrazione, lasciarono l'Italia per le Americhe 560.000 persone, cui si devono aggiungere 313.000 partenze per Paesi europei. Ancora negli anni '50 e '60 del Novecento altri sei milioni di meridionali emigrarono dal Sud verso il Nord (d’Europa e d’Italia), ai giorni nostri la diaspora continua e ben 90mila meridionali sono costretti a lasciare ogni anno le loro terre; la "questione meridionale", dopo più di 140 anni, non si riesce a risolvere (il meridionalista Nicola Zitara dice non si vuole risolvere per lasciare perennemente il Sud allo stato di "colonia interna" del Nord).

Espatriò dal Sud oltre il 30% della popolazione.

Basterebbe questo rigo per comprendere tutto il resto.

Tutta la storia di disastri economici, di vessazioni, di scientifico impoverimento, di sradicamento della produttività di un intero popolo nasce da qui.

La Cassa del Mezzogiorno è semplicemente ridicola, sia come quantità di impegno che come reale intento.

C'è un elemento che da solo lo dimostra, senza ricorrere a statistiche e a voli pindarici: la II emigrazione.

Questa volta non all'estero.

Ma da sud a nord, quando alla fiat servirono braccia.

Se la Cassa del mezzogiorno avesse anche solo lontanamente mantenuto i suoi impegni questa II emigrazione non avrebbe mai avuto luogo.

Ma Giovanni Agnelli doveva comprarsi una nuova barca a vela più lunga di quella precedente, sicché......
Inviato il: 27/1/2011 17:30
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Re: Il furto della memoria
#30
Dubito ormai di tutto
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Citazione:

incredulo ha scritto:
Citazione

Questo intendevo dire quando dicevo che è strano che anche qui nessuno parli di questo. Perché "questo" è scomodo.... Ed è SCOMODO ANCORA OGGI!
Oggi partiti come la Lega sono forti di QUESTA IGNORANZA!
Tutto quel che accade oggi è figlio diretto di questa storia.
E prima ce ne rendiamo conto e prima le cose cambieranno. Sempre ammesso che le si voglia cambiare. Per alcuni è "scomoda anche questa ipotesi.


Vedi Notturno, quello che accade oggi con la lega, e' figlio di un'altra storia.

Non sto parlando della storia che si studia a scuola ma della storia del meridione dal dopoguerra ad oggi.

In quella storia, per motivi politici e clientelari, il meridione, nonostante gli ingenti capitali piovutogli addosso, non si e' sviluppato come avrebbe dovuto.

Sono state fatte scelte politiche chiare di assistenzialismo, pensioni, invalidita' fasulle, cassa per il mezzogiorno ecc.

Faceva comodo questo stato di cose, perche' garantiva un serbatoio di consenso elettorale granitico e inattaccabile.

Su quelle scelte si e' sviluppato il sentimento della lega, solo esclusivamente, STRANO EH ?, PER I SOLDI.

L'idea della lega e' semplice ( e non potrebbe essere altrimenti vista l'intellegenza media dell'elettorato )

Se smetto di mandare soldi al sud, che sono un popolo di parassiti, avro' piu' denaro per me.

E' solo per questo che, alla fine, non frega niente a nessuno di come sono andate veramente le cose.

Un saluto


Un saluto anche a te, Incredulo.

La tua analisi è corretta, ma lacunosa.

E' ben vero che sono stati spesi molti soldi, dicendo che fossero a beneficio del sud, ma vanno dette due cose:

1) Non erano a beneficio del sud, ma solo di una casta politica ristretta. Non c'entra un benemerito piffero "il sud". Se, a titolo di esempio, mandi soldi a 1.000 elettori di Mastella, puoi anche dire che "mandi soldi al sud", ma in effetti li mandi a Mastella.

2) Se, nello stesso momento in cui mandi quei soldi a 1000 "mastelliani", aumenti le tasse per tutti (nord e sud) e investi SOLO AL NORD (infrastrutture, strade, ferrovie, ecc...) è sempre vero che hai mandato soldi verso sud (ai mille selezionatissimi mastelliani), ma nel contempo hai speso i VERI SOLDI al nord.

Sai perché?

Perché i soldi spesi per le infrastrutture PRODUCONO ALTRI SOLDI.

Quelli spesi per l'assistenzialismo (come giustamente lo chiami tu) NO.

Sicché, anche a voler ammettere che siano stati spesi soldi (sul "quanto" ci sono migliaia di documenti che dicono tutto e il suo contrario), sono stati spesi volutamente male.

E con il precipuo scopo di evitare che una zona ben precisa si sviluppasse.

Perché lo sviluppo impedisce lo sfruttamento e consente un altro (gravissimo!) fenomeno: la "graziosa donazione". Quella regalìa che priva il cittadino del suo status e lo fa regredire a suddito, che gli fa piovere dall'alto il "dono", come da un principe, da un re.

Una specie di quella che il nano fa (con magnanima e principesca elargizione) alle sue minorenni.

Ecco che il lavoro diventa un "dono".

Ma come?!?!? Io lavoro e ti devo pure ringraziare???

Il sud serve così com'è.

Un allevamento di mucche da mungere finché serve e infine da macellare.

Vi do un'altra chicca.

Quando finì la II Guerra Mondiale, il Belgio chiese E OTTENNE (!!!!!!!!!!!!) che l'Italia risarcisse i danni di guerra inviando decine di migliaia di operai nelle miniere belghe.

Si svuotarono interi paesi al sud.

Ecco perché serve il sud così com'è.

Ed ecco (ancora una volta) perché PERSINO SU QUESTO SITO è difficile parlarne.
Inviato il: 27/1/2011 17:03
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Re: Il furto della memoria
#29
Sono certo di non sapere
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@ incredulo:
non è che puoi fare iniziare la storia quando vuoi tu, come
quando giochi ad un videogame e metti in sospeso la partita.
L'assistenzialismo anni '60 e post è figlio dell'impoverimento
del Sud a favore del Nord che si è protratto per i 100 anni
precedenti.
A Gheddafi è stato riconosciuto un risarcimento per fatti risalenti
al 1911, perchè non anche al Sud?
Il Nord paghi i suoi debiti colonialisti, poi si può anche riparlare di
federalismo.
Ma a quel punto, ne son sicuro, il Nord ridotto con le pezze al culo
com'è stato il Sud per un secolo e mezzo, non lo vorrebbe più il
federalismo.
Inviato il: 27/1/2011 16:35
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  •  incredulo
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Re: Il furto della memoria
#28
Sono certo di non sapere
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Da Asia
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Questo intendevo dire quando dicevo che è strano che anche qui nessuno parli di questo. Perché "questo" è scomodo.... Ed è SCOMODO ANCORA OGGI!
Oggi partiti come la Lega sono forti di QUESTA IGNORANZA!
Tutto quel che accade oggi è figlio diretto di questa storia.
E prima ce ne rendiamo conto e prima le cose cambieranno. Sempre ammesso che le si voglia cambiare. Per alcuni è "scomoda anche questa ipotesi.


Vedi Notturno, quello che accade oggi con la lega, e' figlio di un'altra storia.

Non sto parlando della storia che si studia a scuola ma della storia del meridione dal dopoguerra ad oggi.

In quella storia, per motivi politici e clientelari, il meridione, nonostante gli ingenti capitali piovutogli addosso, non si e' sviluppato come avrebbe dovuto.

Sono state fatte scelte politiche chiare di assistenzialismo, pensioni, invalidita' fasulle, cassa per il mezzogiorno ecc.

Faceva comodo questo stato di cose, perche' garantiva un serbatoio di consenso elettorale granitico e inattaccabile.

Su quelle scelte si e' sviluppato il sentimento della lega, solo esclusivamente, STRANO EH ?, PER I SOLDI.

L'idea della lega e' semplice ( e non potrebbe essere altrimenti vista l'intellegenza media dell'elettorato )

Se smetto di mandare soldi al sud, che sono un popolo di parassiti, avro' piu' denaro per me.

E' solo per questo che, alla fine, non frega niente a nessuno di come sono andate veramente le cose.

Un saluto
Inviato il: 27/1/2011 16:31
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Re: Il furto della memoria
#27
Dubito ormai di tutto
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"Sulla tomba di Tanucci, ministro delle finanze per 40 anni
(dei Borboni - ndr), troviamo scritto che non impose nuovi balzelli, viceversa nel periodo 1848-1860 il governo piemontese impone ben 22 nuovi tributi."

(tratto da: "Il Regno delle Due Sicilie prima dell’Unità - Il sistema monetario e bancario, il costo della vita, la tassazione, il bilancio statale", di Giuseppe Ressa. Link: http://www.ilportaledelsud.org/mr12.htm)
Inviato il: 27/1/2011 16:15
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Re: Il furto della memoria
#26
Sono certo di non sapere
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@ Notturno:
è normale infervorarsi per le cose di cui si è convinti.
Ma è anche un grosso rischio perchè si finisce per incorrere
in una tentazione pedagogica che non serve a nulla ma anzi
fa alzare barriere.
Per cui quando mi rendo conto che sto per cascarci cerco di
bloccarmi, come prima nella discussione con Pike.
L'ho solo invitato a leggere anche tesi e documenti portati da
chi non la pensa come lui e poi, chissà, riparlarne.
Ma spesso mi lascio trascinare anch'io in inutili e dannose diatribe...
Inviato il: 27/1/2011 16:11
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Re: Il furto della memoria
#25
Dubito ormai di tutto
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Citazione:

audisio ha scritto:
@ Notturno:
grazie, m'hai risparmiato una gran fatica che, in effetti, non
mi andava tanto di fare.


P.S.: mi spiace per qualche incomprensione recente...


Ma figurati, Audisio.

Le liti per le idee sono le più belle possibili.

Non so se si nota, ma ho ridotto di parecchio la mia attività qui.

Non per malizia o altro, ma per una semplice riflessione: sento di dover dire la mia. Stop. Non sento alcun obbligo di convincere nessuno.

E mi son reso conto che non sempre mi sono comportato così, anzi. Ho fin troppo insistito sulle mie idee, anche a scapito di buon senso ed educazione.

Spiace anche a me.

Prosit.
Inviato il: 27/1/2011 16:02
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Re: Il furto della memoria
#24
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Ecco perché sentire dire ancora oggi che "fiumi di denaro" sono stati spediti dal nord al sud è frutto di colossale ignoranza.

Ed ecco perché si prova quel "senso di colpa" di cui parlavo prima.

Un popolo ha aggredito un altro popolo.

Lo ha spogliato di tutto: oro, risorse e dignità.

Poi gli ha tolto la memoria.

E infine ha ribaltato la verità, facendo apparire il sud come un "ciuccia-soldi".

Sia ben chiaro: togliere in maniera massiccia le risorse a un popolo significa IMPEDIRGLI LO SVILUPPO. Anche per il futuro.

Se qualcuno avrà voglia e pazienza e leggerà anche solo poche delle righe che ho riportato sopra, scoprirà che DOPO l'unità d'Italia, le tasse sono aumentate a dismisura SOLO AL SUD.

E gli investimenti sono stati fatti SOLO AL NORD.

Questo stato di cose non si può pensare come "occasionale".

E' stato voluto.

E oggi ci ritroviamo gente come PikeBishop, che non crederebbe a un telegiornale o a un giornale di carta manco se lo pagassero in moneta contante, che (guarda caso) si sente serenamente in diritto di affermare che:
"Dai, siamo seri. Napoli era una citta' alla periferia culturale d'Europa. I centri culturali, alla meta' del diciannovesimo secolo, erano appunto Parigi e Londra. Napoli era una citta' dove giravano soldi (i soldi fatti soprattutto con lo zolfo siciliano) e c'era un tenore di vita invidiabile soprattutto da tutti gli altri con le pezze al culo nel resto del regno , ma da qui a farne il centro culturale d'Europa... mi sa che e' come parlare con un tifoso di calcio della sua squadra del cuore."

Il più tronfio e logoro dei luoghi comuni, triste eredità della menzogna.

Questo intendevo dire quando dicevo che è strano che anche qui nessuno parli di questo.

Perché "questo" è scomodo....

Ed è SCOMODO ANCORA OGGI!

Oggi partiti come la Lega sono forti di QUESTA IGNORANZA!

Tutto quel che accade oggi è figlio diretto di questa storia.

E prima ce ne rendiamo conto e prima le cose cambieranno.

Sempre ammesso che le si voglia cambiare.

Per alcuni è "scomoda anche questa ipotesi.
Inviato il: 27/1/2011 15:59
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Re: Il furto della memoria
#23
Sono certo di non sapere
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@ Notturno:
grazie, m'hai risparmiato una gran fatica che, in effetti, non
mi andava tanto di fare.


P.S.: mi spiace per qualche incomprensione recente...
Inviato il: 27/1/2011 15:51
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Re: Il furto della memoria
#22
Dubito ormai di tutto
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La Politica Fiscale unitaria

Nelle Due Sicilie, la tassazione complessiva raddoppiò in soli sei anni dall'annessione (da 14 lire pro-capite del 1859, alle 28 del 1866) (18)

Tav.5 - Le imposizioni fiscali al Sud subito dopo la conquista piemontese (19)

Imposta personale

Tassa sulle successioni

Tassa sulle donazioni, mutui e doti; sull'emancipazione ed adozione

Tassa sulle pensioni

Tassa sanitaria

Tassa sulle fabbriche

Tassa sull'industria

Tassa sulle società industriali

Tassa per pesi e misure

Diritto d'insinuazione

Diritto di esportazione sulla paglia, fieno, ed avena

Sul consumo delle carni, pelli, acquavite e birra

Tassa sulle mani morte

Tassa per la caccia

Tassa sulle vetture

Accorpando i dati complessivi sulle imposte, dividendoli per categorie di entrate, notiamo che nel periodo 1861-1873 le imposte dirette davano la metà delle entrate fiscali delle indirette, che com'è noto colpiscono i consumi e quindi gravano proporzionalmente di più sui redditi più bassi. Ma non è tutto, le imposte dirette erano proporzionali e non progressive rispetto al reddito individuale per cui i cittadini con poche sostanze e le classi agiate pagavano la stessa aliquota fissa di tasse. La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu, poi, un caso di vero e proprio drenaggio di capitali dal Sud verso il Nord, infatti, la pressione fiscale in agricoltura crebbe nel regno d'Italia in maniera sperequata, così, mentre nelle Due Sicilie si pagano 40 milioni d'imposta fondiaria, nel 1866 se ne pagheranno 70, contro i 52 del Nord. La differenza è anche più evidente se si considerano le aliquote per ettaro: nelle province di Napoli e Caserta si pagavano 9,6 lire per ettaro, contro la media nazionale di 3,33. Lo stesso avveniva per le tasse sugli affari che incidevano per 7,04 lire pro-capite in Campania, contro 6,70 in Piemonte e 6,87 in Lombardia (20). In seguito, quando si pose il problema di perequare l'imposta nelle province (Lombardia, Napoletano) che pagavano di più [l'imposta non era sul reddito, ma si stabiliva, secondo certi parametri, su base regionale], il risultato fu che le tasse diminuirono in Lombardia ed aumentarono nel Napoletano (21). Si calcola che l'ingiustizia fiscale sia costata al Sud 100 milioni/anno e che quest'ultimo abbia ricevuto dall'erario nei primi 40 anni dell'Unità meno di quanto sborsasse; anche dopo le cose non cambiarono, così, nel primo decennio del secolo ventesimo, una provincia depressa come quella di Potenza pagava più tasse d'Udine e la provincia di Salerno, ormai lontana dalla floridezza dell'epoca borbonica essendo state chiuse cartiere e manifatture, pagava più tasse della ricca Como (22). Non è tutto: il 18 febbraio 1861 fu abrogato il Concordato in vigore tra le Due Sicilie e lo Stato della Chiesa. I beni ecclesiastici furono espropriati e venduti, fruttando allo Stato unitario oltre 600 milioni (23). Gli acquirenti furono i borghesi liberali che se ne impossessano a prezzi irrisori, i capitali del Sud furono così rastrellati e resi disponibili per l'imprenditoria del nord, mentre al Sud si ebbe un incremento dei latifondi , sottraendo ai contadini gli "Usi Civici". Indicative sono le cifre delle espropriazioni per il mancato pagamento di tasse (da una per ogni 27mila abitanti nel Piemonte e Lombardia, si passa ad una a 900 per Puglia e Lucania e una a 114 in Calabria) (24).

La Spesa Pubblica

La spesa pubblica appare prevalentemente concentrata al Nord tanto che "Lo Stato spendeva mediamente 50 lire per ogni cittadino del Nord e 15 per quello del Sud" (25). La ripartizione della spesa tra i singoli ministeri (26) mostra altre sorprese: a quello della Guerra (così si chiamava il Ministero della Difesa) andava il 19.52 % del totale mentre ai Lavori Pubblici solo il 9.62%. Vi era poi una grossa sperequazione nella distribuzione della spesa tra Nord e Sud; per le opere idrauliche in agricoltura, ad esempio, che era la principale attività economica italiana, troviamo questi dati:

Tav.6 - Distribuzione della spesa per le opere idrauliche per l'agricoltura in Lire (1860-1898) (27)

Lombardia: 92.165.574

Veneto: 174.066.407

Emilia: 130.980.520

Sicilia: 1.333.296

Campania: 465.533

Dalle cifre si evince l'enorme disparità di finanziamenti tra il Nord e il Sud. L'unica spesa di un certo rilievo per il Meridione fu l'acquedotto pugliese (peraltro realizzato dopo il 1902); la media pro-capite per queste spese fu di lire 0,39 nel Mezzogiorno (0,37 in Sicilia) contro la media nazionale di lire 19,71 (28). I prestiti di favore per costruire gli edifici scolastici raggiunsero nel Sud la punta massima in Puglia di lire 5.777 per ogni 100.000 abitanti (Campania l.641, Calabria 80); nel Nord le punte sono lire 13.345 in Piemonte e 15.625 in Lombardia (29); al Nord le scuole tecniche sono distribuite in ragione di una ogni 141 mila abitanti, al Centro una ogni 161 mila abitanti, al Sud una ogni 400 mila abitanti,analoga la situazione delle Università (30). Gli appalti vennero concessi quasi esclusivamente alle ditte del Centro-Nord e cosi pure le società dei Monopoli.



Trasporti

Anche per i trasporti il Sud è svantaggiato: mandare una merce via mare da Genova a Napoli costa 0,85 lire/quintale; in senso inverso costa 1,50 (31). Le spese per spiagge, fari e fanali ammontano per il Nord a 278 mila lire/ km. di costa, a 83 mila al Centro, a 43 mila per il Sud e 31 mila in Sicilia; nella stessa epoca il Parlamento respinge i progetti di leggi speciali per i porti del Sud ed approva quelli per il Centro-Nord. Un gran parlare si è fatto sulle spese ferroviarie che lo Stato unitario ha fatto al Sud: l. 863 milioni per la parte continentale, 479 milioni per la Sicilia (32). Il tutto va però commisurato al totale di 4.076 milioni di lire spese nello stesso periodo per l'Italia intera: il Sud ebbe meno di un terzo dello stanziamento complessivo (33). In tal modo il Nord ottenne, a scapito del Sud, il progressivo miglioramento dei collegamenti ai mercati. Il 15 Ottobre del 1860 fu promulgato dal governo prodittatoriale di Garibaldi il decreto di concessione per la costruzione di strade ferrate in favore della Società Adami e Lemmi di Livorno (quest'ultimo futuro potentissimo Gran Maestro della Massoneria Italiana) assicurando per contratto un utile netto del 7%; le precedenti convenzioni con ditte meridionali furono annullate anche se i lavori erano a buon punto tanto che tutte le gallerie e i ponti erano già stati costruiti; per ordine del governo prodittatoriale i lavori furono sospesi e a nulla valsero le rimostranze del titolare della concessione, il pugliese Emmanuele Melisurgo, che insisteva perché il divieto fosse revocato e gli fosse permesso di far lavorare i suoi operai (34).



Spese amministrative

Si deve al Nitti se la leggenda del "burocratismo" meridionale sia stata smantellata, poiché egli ha provato, con un'analisi condotta con puntiglio teutonico, come gli uffici dello Stato fossero prevalentemente concentrati al Nord (scuole, magistratura, esercito, polizia, uffici amministrativi ecc.) e tutti i codici e l'intera struttura statale erano piemontesi. Eppure ci si continua a riferire dispregiativamente alla burocrazia borbonica come in un'estasi d'ignoranza quasi intenzionale.


L'attacco dello Stato all'industria meridionale

Si sostiene che fu la concorrenza dei prodotti del Nord ed esteri a mettere in ginocchio l'industria meridionale dopo l'Unità, tesi tuttavia poco credibile poiché l'industria settentrionale copriva a stento il fabbisogno del suo mercato. Perché allora l'industria meridionale scomparve, malgrado fosse globalmente considerata ad un livello superiore a quella del Nord? La concorrenza estera c'era sia al Nord sia al Sud, eppure il primo sopravvisse e si sviluppò, mentre il Sud perse terreno anche nei settori in cui, al momento dell'Unità, era alla pari o ad un livello più avanzato. La spiegazione va dunque ricercata in quel preciso disegno politico dei "vincitori", che prevedeva uno sviluppo accelerato del Nord, finanziato proprio dalle risorse rastrellate al Sud. Tale progetto fu costantemente perseguito, tanto che il triangolo Torino-Milano-Genova (più vicino ai mercati europei) divenne ben presto il polo industriale italiano. Gli strumenti di questa politica furono: la fiscalità, il rastrellamento di capitali e del risparmio, la strozzatura del credito, gli investimenti pubblici preferenziali per il Nord e la diminuzione delle commesse alle imprese del Sud. "Il dissidio tra la Lombardia (...) e molta altra parte d'Italia ha origini in una serie di fatti: sopra tutto il sacrificio continuo che si è fatto degli interessi meridionali" (35). Non deve quindi destare meraviglia che la frattura economica Nord-Sud cominciasse a delinearsi già dopo 20 anni d'unità, e che dopo 40 era già netta. Piuttosto stupisce che l'economia del Sud abbia retto per decenni ad una simile politica di sistematica rapina.

I fiori all'occhiello dell'economia meridionale come Pietrarsa, che era la più grande industria metalmeccanica d'Italia, i cantieri navali, gli stabilimenti siderurgici come Mongiana o Ferdinandea, l'industria tessile e le cartiere caddero in rovina o furono immediatamente chiusi, contemporaneamente al Nord sorsero quasi dal nulla analoghi stabilimenti come l'Arsenale di La Spezia o colossi come l'Orlando. Pietrarsa, dopo vari passaggi di proprietà, nel 1885 venne addirittura declassata a officina di riparazione; nel 1900 ebbe un rapido declino fino ad essere chiusa definitivamente il 20 dicembre 1975 (attualmente è sede di un Museo ferroviario). Mongiana nel 1862 vide la produzione più che dimezzata, così come il numero dei suoi dipendenti; il 25 giugno 1874, in "ottemperanza" alla Legge 23 Giugno 1873, Mongiana venne chiusa e fabbriche, officine, forni di fusione, boschi, segherie, terreni, miniere, alloggi e caserme, tutto il complesso diventò la "casa di campagna" di Achille Fazzari, ex garibaldino, che l'acquistò per poco più di cinquecentomila lire. La costruzione della ferriera di Atina (al momento dell'Unità due altoforni erano già pronti, venne subito sospesa, mentre contemporaneamente si registrò un incremento di analoghi complessi nell'area ligure-piemontese (l'Ansaldo, che prima del 1860 contava soltanto 500 dipendenti, li raddoppiò in due anni). Paradigmatico, poi, è l'esempio della marina mercantile meridionale: prima dell'Unità era tra le più grandi del mondo, dopo il 1860 il governo di Torino preferì stanziare anticipi di capitale e sovvenzioni per le società di navigazioni genovesi, negandoli a quelle meridionali che furono così costrette a ridurre e sospendere le attività. "Il trentennio dal 1860 al 1890 segnò per l'armamento a vapore napoletano un periodo di decadenza e di stasi completa" (36). Nel ventennio 1879-1898 le commesse alla cantieristica del Sud furono solo il 33% del totale nel settore pubblico e circa l'11% di quello privato.

Anche il settore tessile fu danneggiato dalla mancanza di commesse, dopo l'unità l'opificio di San Leucio venne chiuso per cinque anni e poi dato in appalto ad un piemontese, successivamente passò al Comune, poi in fitto ai privati e nel 1910 fu chiuso per sempre. Per quanto riguarda la fiorente industria della carta, lo Stato preferì acquistare il prodotto all'estero mandando sul lastrico migliaia di operai meridionali. Ricordiamo, per inciso, che in ogni caso l'industria italiana nei primi 90 anni postunitari rimase a livelli molto inferiori alla media europea: il Paese rimase sostanzialmente agricolo tanto che fino agli anni 50 del 1900 le maggiori entrate del bilancio dello Stato erano dovute alle esportazioni di agrumi meridionali e alle rimesse degli emigranti, anch'essi in gran parte del Sud. Ancora nel 1954 il 42,4% della popolazione attiva italiana era occupata nell'agricoltura contro il 31.6 % dell'industria.


Il ruolo dei parlamentari meridionali a Torino

I deputati meridionali che giunsero a Torino, nel febbraio 1861, per l'inaugurazione del nuovo parlamento erano tutti accesi filopiemontesi e avevano avuto una parte molto rilevante nel favorire la conquista savoiarda prima screditando il governo meridionale e poi collaborando con l'invasione. La maggior parte, pur di rimanere nel gruppo di potere, chiuse tutti e due gli occhi di fronte all'annientamento economico e civile del Sud con un atteggiamento che è perdurato fino ai giorni nostri. Ma alcuni di loro fecero eccezione, presentando coraggiose interpellanze per difendere gli interessi del meridione: ne selezioniamo alcune divise per argomento (37):

1) riguardo lo stato delle finanze il deputato pugliese Valenti così dichiarava nella seduta del 3 aprile 1861 (atto nr.52): "Sotto i Borboni pagavamo gli stessi e forse minori pesi che paghiamo adesso. I Borboni mantenevano un'armata di 120 mila uomini (...) ponevano fondi in tutti i banchi all'estero, dotavano largamente la figliolanza e tuttavia il tesoro era fiorente" e il 4 dicembre il deputato Ricciardi così si esprimeva (atto nr.340): "Come mai questo paese le cui finanze erano così floride, la cui rendita pubblica era salita al 118 è in così misera condizione? "

2) riguardo la sicurezza personale il deputato siciliano Bruno così dichiarava nella seduta del 4 aprile 1861 (atto nr.53): "La Sicilia sotto i Borboni offrì per molti anni l'edificante spettacolo che furti non ne succedevano assolutamente e si poteva passeggiare per tutte le strade, ed a tutte le ore senza la menoma paura di essere aggrediti né derubati".

3) riguardo la proposta di legge abolitiva dei vincoli feudali in Lombardia il deputato Zanardelli così dichiarava il 7 maggio (atto nr.113): "La legge napoletana su tal proposito fu fatta nel 1806, in un tempo non di rivoluzione ma di restaurazione, in un tempo in cui i feudi venivano restaurati in Lombardia (...) e questa legge nella patria di Vico, di Mario Pagano e di Filangeri fu chiamata, anche dal Colletta, argomento al mondo di napoletana civiltà".

4) riguardo la connivenza con i Piemontesi dell'alta ufficialità borbonica prima dell'invasione il deputato Ricciardi così ebbe a dichiarare il 20 maggio 1861 (atto nr.140): "Appena reduce dall'esilio giunsi in Napoli (...) io feci la propaganda nelle caserme a rischio di farmi fucilare (...) gli ufficiali rispondevano: noi saremmo pronti ma i nostri soldati sono talmente fanatizzati che ci fucilerebbero (...) Ma vi pare che senza il lavoro segreto di questi ufficiali, senza il nostro lavoro, avrebbe mai potuto entrare Garibaldi in Napoli, città di mezzo milione di abitanti, con 4 castelli gremiti di truppe? Egli entrò solo in Napoli perché noi liberali, con un buon numero di ufficiali, glie ne aprimmo le porte"

5) riguardo lo strozzamento dell'economia meridionale e la piemontesizzazione: nella seduta del 20 novembre 1861 (atto nr.234) il deputato di Casoria, Proto, duca di Maddaloni, propose il distacco dell'ex Regno di Napoli dal Regno d'Italia e accusò apertamente il governo piemontese di avere invaso e depredato il Napoletano e la Sicilia: "Intere famiglie veggonsi accattar l'elemosina; diminuito, anzi annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e per le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest'uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. Ai mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose: burocrati di Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabbricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio che i napoletani. A facchini della dogana, a camerieri, a birri vengono uomini del Piemonte. Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le provincie meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala". La presidenza della Camera invitò il deputato a ritirare la sua mozione ed egli il giorno successivo per protesta rassegnò le dimissioni. Il 4 dicembre il deputato Ricciardi (atto nr.340) insiste sull'argomento: "Due sono le principali piaghe di quelle provincie (...) la piaga morale è l'offesa profonda recata a sette milioni d'uomini (...) un paese che per otto nove secoli è stato autonomo, ad un tratto ridotto a provincia, un paese che vede distrutte per via di decreti le sue antiche leggi, le sue antiche istituzioni certamente non può essere contento. Aggiungete la invasione d'impiegati non nativi del paese i quali non sono veduti troppo di buon occhio (...) quanto alla piaga materiale la miseria è grandissima (...) e poi, e io ve la dico schietta, da Torino non si governa l'Italia, da Torino non si regge Napoli: questa è la mia convinzione profonda; in questo sta la radice di tutti i nostri mali" Il 20 dicembre il deputato San Donato (atto nr.340): "Tutti gli impiegati che da Torino si sono mandati a Napoli non solo sono stati promossi di soldo, ma si è loro accordata, sul tesoro napoletano, due, tre, sino quattrocento franchi al mese di indennità, mentre ai Napoletani traslocati in Torino nulla si è dato non solo, ma lo sono stati con gradi e soldi inferiori a quelli che lasciavano in Napoli". Nella stessa seduta il deputato Pisanelli: " Non vi è istituzione pubblica, collegi, università, amministrazione, educandati ecc. ecc., a Napoli, che non sieno stati sciolti, unicamente perché non avevano i regolamenti piemontesi. Il ministro della Marina signor Menabrea ha invitato 43 nobili padri di famiglia a ritirare dal collegio di marina i loro ragazzi (che essi vi tenevano da tre o quattro anni messi al tempo dei Borboni), unicamente perché gli è piaciuto dire che questi erano entrati nel 1858 quando a Napoli non vi erano regolamenti piemontesi ". Il 2 febbraio 1867 il conte Ricciardi, eletto a Foggia, e uno dei più tenaci difensori degli interessi del Sud si dimette da deputato, così motivando: "Dopo sei anni di lotta mi persuasi che l'opera mia in Parlamento si riduceva ormai ad un inutile sfogo (...) una opposizione divisa e acefala (...) una maggioranza impotente al bene (...) il governo di nulla di grande e fruttifero mostrasi iniziatore. Continuando io alla Camera mi assumerei una responsabilità tristissima; meglio sarammi tornare all'antico ufficio di scrittore, più umile, ma certo più utile, consolandomi alquanto dè mali di cui sono testimone, di aver fatto ogni sforzo per evitarli ". Più tardi un unitarista convinto come Giustino Fortunato, nella lettera a Pasquale Villari n. 89 del 2 settembre 1899, scrive: "L'unità d'Italia (...) è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L'unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all'opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali". Gli fece eco Gaetano Salvemini (1900): "Se dall'unità d'Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata (...) è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone". Sempre Fortunato in un'altra lettera del 1923 diretta a Benedetto Croce scriveva (38): "Non disdico il mio "unitarismo". Ho modificato soltanto il mio giudizio sugli industriali del nord. Sono dei porci più porci dei maggiori porci nostri. E la mia visione pessimistica è completa".

Continua...


Note
18. Ò Clery, op. cit. (valore espresso in lire, la valuta meridionale era il ducato equivalente a 4,25 lire, N.d.A.)

19. G. Savarese, " Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860", Cardamone, 1862, p.28.

20. Nítti F. S., Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-97, Napoli 1900., p. 107. Anche per l'imposta sui fabbricati il Sud era più gravato (Nitti, op. cit., p. 80).

21. Carono-Donvito G., op. cit., p. 154. Sul modo con cui funzionava l'imposta v. Plebano A., Storia della finanza italiana nei Primi quaranta anni dell'indipendenza, Padova, 1960, pp. 95-96. L'imposta non era sul reddito, ma si stabiliva, secondo certi parametri, su base regionale.

22. Nitti F. S., op. cit., p. 141.

23. Carano-Donvito G., op. cit., p. 165 sgg., dove si nota che Puglia e Basilicata hanno dato all'erario più di Lombardia, Veneto e Liguria messi assieme

24. Luzzatto G., L'economia italiana dal 1861 al 1894 (Torino 1968), p. 172.

25. Lorenzo Del Boca, op. cit.

26. dati compresi tra il 1861 e il 1873 ripresi da Alessendro Mola op. cit.

27. Carano - Convito, " L'economia italiana prima e dopo il Risorgimento", Firenze, 1928, pag. 180

28. Nitti F. S., Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-97, Napoli 1900, p. 294; i dati riguardano il periodo 1862-97.

29-30-31-32. Nitti F. S., Il bilancio cit., p. 268, pp. 254-5, p. 367 nota I, p. 300

33. Carano-Donvito G., op. cit., p. 179.

34. Tommaso Pedìo, "L'economia delle Province napoletane a metà dell'800", Capone, 1984, modif.

35. da una lettera di Nitti del 5 luglio 1898 a Giuseppe Colombo, direttore del Politecnico di Milano in C.G.Lacaita, Nitti e Colombo: carteggio inedito 1896-1919 in " Rivista Milanese di Economia", n.5 ( gennaio-marzo 1983), pag.126

36. L.Radogna, op. cit.

37. tratte dal periodico "Due Sicilie" del marzo 2002, sono il risultato di uno studio di Sator di Ortona sugli Atti parlamentari ufficiali

38. lettera n.58 del 14 giugno 1923

(tratto da: Nexus Co. - No Individuality,No Life
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8. Il Sud prima dell'Unità

Come risultò dalla Esposizione Internazionale di Parigi del 1856, le Due Sicilie erano lo Stato più industrializzato d'Italia ed il terzo in Europa, dopo Inghilterra e Francia. Dal censimento del 1861 si deduce che, al momento dell'Unità, le Due Sicilie impiegavano nell'industria ad una forza-lavoro pari al 51% di quella complessiva italiana (1). I settori principali erano: cantieristica navale, industria siderurgica, tessile, cartiera, estrattiva e chimica, conciaria, del corallo, vetraria, alimentare. Nel periodo borbonico (1734-1860) la popolazione si era triplicata ad indicare l'aumentato benessere, relativamente ai livelli di quei tempi. Nel 1860 vi erano poco più di nove milioni d'abitanti e la parte attiva era circa il 48%. Le Due Sicilie erano lo Stato italiano preunitario più esteso: comprendeva tutto il Sud dell'Italia, la Sicilia, l'Abruzzo, il Molise e la parte meridionale dell'attuale Lazio. La sua storia era cominciata nel 1130 con l'unificazione compiuta da Ruggero II d'Altavilla. Il regno durò quindi 730 anni, durante i quali i suoi confini rimasero in pratica invariati. Le dinastie che si susseguirono ebbero origini straniere e questo avvenne per l'oggettiva incapacità di generarne una propria, ma occorre rilevare che i sovrani divennero in breve dei Meridionali a tutti gli effetti, assumendone la lingua e le usanze (2). Dopo l'Unità, la classe liberale meridionale contribuì a seppellire sotto una valanga di mistificazioni gli aspetti positivi del Regno delle Due Sicilie, per giustificare la propria adesione alla causa unitaria. Francesco Saverio Nitti ai primi del 1900 rilevava: "Una delle letture più interessanti è quella dell'Almanacco Reale dei Borboni e degli organici delle grandi amministrazioni borboniche. Figurano quasi tutti i nomi di coloro che ora esaltano più le istituzioni nostre [del regno d'Italia] o figurano, tra i beneficiati, i loro padri, i loro figli, i loro fratelli, le loro famiglie (3)". In realtà l'opera dei sovrani meridionali fu per molti versi meritoria: con loro il Sud non solo riaffermò la propria indipendenza ma vide un indiscutibile progresso dell'economia, lo sviluppo del commercio ed il fiorire dell'industrializzazione. All'epoca di Francesco II, l'ultimo re, l'emigrazione era sconosciuta, le tasse molto basse come pure il costo della vita, il tesoro era floridissimo. In campo culturale Napoli contendeva a Parigi la supremazia europea. "La storiografia ufficiale continua ancora a sostenere che, al momento dell'unificazione della penisola, fosse profondo il divario tra il Mezzogiorno d'Italia e il resto dell'Italia: Sud agricolo ed arretrato, Nord industriale ed avanzato. Questa tesi è insostenibile a fronte di documenti inoppugnabili che dimostrano il contrario, ma gli studi in proposito, già pubblicati all'inizio del 1900 e poi proseguiti fino ai giorni nostri, sono considerati dai difensori della storiografia ufficiale, faziosi, filoborbonici, antiliberali e quindi non attendibili (4)". In realtà la Questione Meridionale, tutt'oggi irrisolta, nacque dopo e non prima dell'unità.

La politica economica dei sovrani meridionali fu improntata a diversificare l'economia, allora prevalentemente agricola come nel resto d'Italia e di gran parte d'Europa, favorendo lo sviluppo dell'industria, dell'artigianato e del terziario. Come in altri Stati, anche le Due Sicilie adottarono un iniziale sistema di protezione doganale, che consolidò la nascente industrializzazione, permettendole di raggiungere dimensioni tali da reggere il confronto con il mercato. In tale prima fase, l'obiettivo di Ferdinando II era quello di avere un'industria in grado di soddisfare la domanda interna, per limitare al massimo le importazioni e quindi la dipendenza dall'estero. Il protezionismo fu poi gradualmente mitigato dal 1846 per inserire l'industria, ormai matura, nel meccanismo del commercio europeo: al posto delle vecchie barriere doganali, si strinsero numerosi trattati commerciali. Grazie alla guida di Ferdinando II già nel 1843 gli operai e gli artigiani raggiunsero il 5% dell'intera popolazione occupata (il 7 % alla vigilia dell'Unità), con punte dell'11% in Campania che divenne la regione più industrializzata d'Italia. Complessivamente, per quanto riguarda la parte continentale del Regno, nel 1860 vi erano quasi 5000 opifici. All'epoca era il datore di lavoro a fissare salario ed orario, e il ceto operaio del Sud fu il primo in Italia ad acquisire coscienza, reclamando aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro (5). In occasione del Congresso degli Scienziati, tenutosi a Napoli nel 1845, si cercò di arginare le rivendicazioni affermando che essendo nelle Due Sicilie "più facile e meno caro il vitto, non è il caso di apportare variazioni salariali (6)". Al momento dell'Unità la bilancia commerciale del Regno delle Due Sicilie presentava un bilancio era attivo di 35 milioni di ducati (pari a circa 560 milioni di Euro) (7). Sempre nel 1861 la percentuale dei poveri nel Sud era pari al 1,34% (come si ricava dal primo censimento ufficiale) in linea con quella degli altri stati preunitari. Per attuare la sua politica di sviluppo, Ferdinando II creò grandi aziende statali, ma incentivò anche il sorgere di aziende con capitale suddiviso in azioni di piccolo taglio, per coinvolgere nella proprietà anche i ceti medi. Nel 1851 fu istituita la "Commissione di Statistica generale pe' reali domini continentali" allo scopo di guidare la politica economica del Paese, cui si affiancavano le Giunte Statistiche costituite in ogni provincia e circondario. Altra importante istituzione governativa fu l'Istituto d'Incoraggiamento che incentivava l'iniziativa degli imprenditori privati. Da parte sua il Ministero dei Lavori Pubblici si dedicò allo sviluppo delle comunicazioni interne: di fronte ad una simile politica economica, capitali e imprenditori, nazionali ed esteri, accorsero nel Regno. La critica liberistica ha denunziato gli elevati costi di produzione dell'industria statale delle Due Sicilie, sottacendo l'organica visione dell'economia ferdinandea, in cui si privilegiava lo sviluppo occupazionale senza spostare masse dai luoghi di origine. Lo sviluppo guidato dallo Stato rappresentò un modello originale, e per certi versi pericoloso, in quanto metteva in crisi le logiche meramente liberiste, all'epoca prevalenti. Per questo motivo la propaganda liberale si scagliò contro tale modello di sviluppo. Il rapporto privilegiato del Re con i ceti popolari fu presentato come paternalismo che, assieme al protezionismo, fu bollato dalla storiografia ufficiale quale espressione di una politica miope e retrograda. Si trattò di un modo per nascondere la verità, ad uso e consumo dei vincitori: i proprietari terrieri, eredi del feudalesimo, e la inconcludente borghesia dei "paglietti" contro di cui Ferdinando II aveva invano combattuto. Passiamo ora ad esaminare le varie fonti di ricchezza economica del Sud.


Industria metalmeccanica e siderurgica

Nei pressi di Napoli, a Pietrarsa, era attiva la più grande industria metalmeccanica d'Italia, estesa su una superficie di oltre tre ettari. Tra l'altro, era l'unica fabbrica italiana in grado di costruire motrici a vapore per uso navale (8). A Pietrarsa fu istituita anche la "Scuola degli Alunni Macchinisti" che permise alle Due Sicilie, unico Stato della Penisola, ad affrancarsi dalla necessità di disporre di macchinisti navali inglesi. A Pietrarsa venivano costruiti cannoni ed altri armamenti; venivano realizzati prodotti meccanici per uso civile, vagoni, locomotive ed i binari ferroviari (di cui in Italia solo Pietrarsa disponeva della tecnologia costruttiva). Lo stabilimento, inaugurato nel 1840, precedeva di 44 anni la costruzione della Breda e di 57 quella della Fiat. Era uno stabilimento rinomato in tutta Europa e lo Zar Nicola I, dopo averlo visitato, lo prese come esempio per la costruzione del complesso di Kronstadt. Accanto a Pietrarsa sorgevano la Zino ed Henry (poi Macry ed Henry) e la Guppy, entrambe con 600 addetti. Quest'ultima fornì, tra l'altro, il supporto delle 350 lampade per l'illuminazione a gas di Napoli (che fu la terza città europea ad averla, dopo Londra e Parigi).Viceversa al Nord, alla vigilia dell'unità, solo l'Ansaldo di Genova era a livello di grande industria (aveva 480 operai contro i 1.000 di Pietrarsa). Nel 1861, al momento dell'unità, vi erano tre fabbriche in Italia in grado di produrre locomotive: Pietrarsa e Guppy nelle Due Sicilie ed Ansaldo a Genova: l'efficienza e la concorrenzialità delle aziende del Sud è comprovata dal fatto che prima dell'unità esportassero in Toscana e anche in Piemonte (nel 1846 nelle Officine di Pietrarsa furono realizzate sette locomotive per il Regno di Sardegna: Pietrarsa, Corsi, Robertson, Vesuvio, Maria Teresa, Etna e Partenope) (9).


La ferriera di Mongiana sorgeva nei dintorni di Serra San Bruno, nel cuore dell'aspra montagna calabra ricca di minerale di ferro, ed occupava un'area di più di un ettaro. Poco distante, fu più tardi costruita Ferdinandea: oggi Mongiana è un borgo di pochi abitanti e Ferdinandea è spopolata, ma nel trentennio che precedette la fine del Regno il fermento era vivissimo. Nel marzo del 1861, quando fu proclamato il Regno d'Italia, gli addetti allo stabilimento di Mongiana erano 762 e si produceva ghisa e ferro malleabile d'ottima qualità che servì per la realizzazione delle catene, da circa 150 tonnellate, dei due magnifici ponti sul Garigliano e sul Calore (realizzati rispettivamente nel 1832 e nel 1835). Il complesso siderurgico calabrese di Mongiana e Ferdinandea era, fino al 1860, il maggiore produttore d'Italia di ghisa e semi-lavorati per l'industria metalmeccanica: produsse a pieno regime 13.000 cantaja di ghisa annue (circa 1.150 tonnellate). Altri impianti metallurgici erano attivi in tutti il Sud ma è "impossibile elencare tutti i piccoli e medi opifici metalmeccanici sorti grazie all'intraprendenza degli artigiani locali o di imprenditori del settore tessile interessati ad acquistare le macchine necessarie" (10).



Flotta Mercantile e Cantieristica Navale

Le Due Sicilie disponevano di una flotta mercantile pari ai 4/5 del naviglio italiano ed era la quarta del mondo: ne facevano parte oltre 9800 bastimenti ed un centinaio di questi (incluse le militari) erano a vapore (11); fu la prima flotta italiana a collegare l'Italia con l'America ed il Pacifico. Con circa quaranta cantieri di una certa rilevanza, era nettamente in testa rispetto al resto d'Italia. Il primo vascello a vapore del Mediterraneo fu costruito nelle Due Sicilie nel 1818 e fu anche il primo al mondo a navigare per mare e non su acque interne: era il Ferdinando I, realizzato nel cantiere di Stanislao Filosa al Ponte di Vigliena presso Napoli. l'Inghilterra dovette aspettare altri quattro anni per metterne in mare uno, il Monkey, nel 1822. All'epoca fu tanto grande la meraviglia per quella nave, che fu riprodotta dai pittori in numerosi quadri, ora sparsi per il mondo, come ad esempio quello della Collezione MacPherson e l'altro della Camera di Commercio di Marsiglia. Il cantiere di Castellammare di Stabia, con 1.800 operai, era il più grande del Mediterraneo. Al momento della conquista piemontese stava attrezzandosi per la costruzione di scafi in ferro. L'arsenale-cantiere di Napoli, con 1.600 operai, era l'unico in Italia ad avere un bacino di carenaggio in muratura lungo 75 metri.

Sono patrimonio delle Due Sicilie anche: la prima compagnia di navigazione a vapore del Mediterraneo (1836), che svolgeva un servizio regolare e periodico compreso il trasporto della corrispondenza; navi come il "Real Ferdinando" che potevano trasportare duecento passeggeri da Palermo a Napoli; la prima convenzione postale marittima d'Italia; la stesura del primo codice marittimo italiano del 1781 (ad opera di Michele De Jorio di Procida, che fu copiato da Domenico Azuni il quale se ne assunse la paternità), frutto di una tradizione che risaliva ai tempi delle Tavole della Repubblica Marinara di Amalfi e delle legislazioni meridionali successive. Le principali scuole nautiche erano a Catania, Cefalù, Messina, Palermo, Riposto (CT), Trapani, Bari, Castellammare, Gaeta, Napoli, Procida, Reggio (12). Fu riattivato il porto di Brindisi (1775) che era chiuso da secoli. Nel 1831 entrò in servizio la nave "Francesco I" che copriva la linea Palermo, Civitavecchia, Livorno, Genova, Marsiglia. La stessa nave anche effettuò la prima crociera turistica del mondo, nel 1833, in anticipo di più di 50 anni su quelle che seguirono: durò tre mesi con partenza da Napoli, arrivo a Costantinopoli (dove destò l'ammirazione del sultano) e ritorno con diversi scali intermedi. La crociera fu così splendida per comodità e lusso che fece dire " Non si fa meglio oggi" e " Il Francesco I è il più grande e il più bello di quanti piroscafi siansi veduti fin d’ora nel Mediterraneo, gli altri sono inferiori, i pacchetti francesi "Enrico IV" e " Sully" hanno le macchine di forza di 80 cavalli (mentre la macchina del Francesco I è di 120) (...) i due pacchetti genovesi si valutano poco, il "Maria Luisa" (del Regno di Sardegna) è piccolo, la sua macchina non oltrepassa la forza di 25 cavalli, e quantunque una volta siasi fatto vedere nei porti del Mediterraneo, adesso è destinato per la sola navigazione del Po." (13). Nel 1847 fu introdotta per la prima volta in Italia la propulsione a elica con la nave "Giglio delle Onde". Erano operativi regolari servizi passeggeri che collegavano i principali porti delle Due Sicilie: isole come Ponza, Ustica, Lampedusa, Linosa furono ripopolate affrancando la popolazione residente dall'incubo delle incursioni dei pirati barbareschi.


Produzione tessile

Prima dell’Unità il settore cotoniero vantava quattro stabilimenti con 1.000 o più operai (1425 alla Von Willer di Salerno, 1160 in un’altra filanda della provincia, 1129 nella filanda di Pellazzano, 2159 in quella di Piedimonte e un migliaio nella Aninis-Ruggeri di Messina); nello stesso periodo gli stabilimenti lombardi a stento raggiungevano i 414 operai della filatura Ponti. Tutto il Salernitano divenne il comprensorio in cui si concentrò per eccellenza l’industria tessile, che fiorì anche ad Arpino nella valle del Liri, nel circondario di Sora. "Un particolare riferimento va fatto per il lino e la canapa: con quest’industria, nella quale trovavano impiego ben 100.000 tessitrici e 60.000 telai, fu così dato lavoro a tutto un mondo rurale prevalentemente femminile" (14).Il medesimo sviluppo coinvolse la produzione della lana grazie all'introduzione di capi razza "merino", conservando la manifattura i caratteri di industria domestica. Il Sud era inizialmente indietro nella produzione della seta, che incideva solo per il 17,5% della produzione complessiva italiana. In seguito all’incremento delle piantagioni di gelsi ed all’allevamento del baco si ebbe dal 1835 (15) un rinnovato sviluppo dell’industria della seta e nuove filande sorsero in Calabria, in Lucania, in Abruzzo. Molto famoso in tutta Europa era l’opificio di San Leucio, che godeva di un particolare statuto, redatto da re Ferdinando I. Ricordiamo anche gli stabilimenti di Nicola Fenizio che davano lavoro a più di 4 mila persone e che esportavano in tutto il mondo, tanto che i concorrenti arrivarono a contraffarne il marchio.


Cartiere

Le cartiere meridionali erano fiorenti a livello internazionale. Ricordiamo quella di Fibreno, la più grande d'Italia e una delle più note d'Europa con 500 operai, oltre a quelle del Rapido, della Melfa, della costiera amalfitana. Nella sola valle del Liri (16) il giro d'affari delle nove cartiere della zona era di 8-900 mila ducati annui, grazie anche agli ingenti investimenti fatti per dotarle delle migliori tecniche dell'epoca. Le cartiere avevano destato l’ammirazione dei maggiori industriali del ramo: nel 1829 Niccolò Miliani, proprietario delle note cartiere di Fabriano, visitò la Valle del Liri e si meravigliò di vedere "un foglio di carta grande come un lenzuolo", e si chiese "come diavolo si potevano ottenere formati così grandi". Le cartiere del Sud, grazie all’elevata qualità del prodotto esportavano sia nell’Italia settentrionale che all'estero.


Industria Estrattiva e Chimica

Il Sud disponeva dell'importantissima produzione dello zolfo siciliano, che copriva il 90% della produzione mondiale e da sola assorbiva il 33% degli addetti di tutta l'industria estrattiva italiana. Aveva un peso economico notevolissimo e ancora negli anni immediatamente post-unitari provenivano dal Sud i 2/3 delle produzioni chimiche italiane. La chimica industriale dell’800 era quasi del tutto basata sullo zolfo, specialmente l'industria degli esplodenti per le armi: è pertanto chiaro l’enorme valore strategico di tale produzione ed il conseguente atteggiamento dell’Inghilterra nella questione "degli zolfi siciliani". A Napoli e dintorni sorsero anche fabbriche di amido, di cloruro di calce, di acido nitrico, di acido muriatico, di acido solforico ed infine di colori chimici. Le risorse del sottosuolo (zolfo, ferro, bitume, marmo, pozzolana) erano sapientemente sfruttate a livello industriale.

L’Industria conciaria

Era un settore sviluppato e di gran pregio: a Napoli, a Castellammare, a Tropea, a Teramo; in Puglia erano sorte concerie per i cuoi che giungevano nel Regno per l’ultima finitura. Venivano prodotti finimenti di cavalli e carrozze, selleria, stivali, cuoi di lusso, esportati in Inghilterra, Francia, America. Nell’ambito della lavorazione delle pelli ci si specializzò nella produzione di guanti. A questa lavorazione e dovuto il nome ad uno dei più centrali quartieri di Napoli: "I guantai nuovi". I guanti napoletani erano reputati i migliori d’Europa (se ne producevano il quintuplo di Milano, Torino e Genova messe assieme) e costavano meno di quelli prodotti in Francia: per questo si esportavano ovunque, anche in Inghilterra dove l’Arsay, redigendo le leggi del perfetto gentiluomo, asseriva la necessità dell’uso di sei diverse paia di guanti al giorno.


L’Industria del corallo

Particolarmente pregiati i coralli del mare in prossimità di Trapani, della penisola sorrentina, di Capri. Erano dei più vari colori, dal bianco marmoreo, al rosso, al nero d’ebano ed erano destinati all’oreficeria e all’ornamento di arredi e oggetti sacri. La pesca, faticosa e pericolosa, era effettuata calando delle speciali reti lanciate in mare dalle barche in movimento. I più arditi erano i corallari di Trapani, seguiti da quelli di Torre del Greco che vantavano dalle tre alle quattrocento feluche con sette uomini ognuna. Michele di Iorio, insigne autore del "Codice di navigazione" sotto Ferdinando IV, redasse anche un "codice corallino". Fu istituita la "Compagnia del corallo" per facilitare il credito, e furono fondate fabbriche-scuola per la lavorazione a Torre del Greco ed a Napoli. L’industria del corallo era così fiorente che si arrivò in breve a quaranta fabbriche con 3.200 operai. Fu istituita anche un’apposita fiera, dal primo all’otto maggio di ogni anno, molto frequentata da compratori stranieri.


Saline

Situate in Puglia ed in Sicilia erano le più importanti d’Europa. Le prime erano considerate dai Borbone "la perla della loro corona", soprattutto da Ferdinando II che le visitò più volte e migliorò le condizioni di vita dei salinari. Nel 1847, in località San Cassiano, fondò la colonia agricola di San Ferdinando di Puglia (nel 1879 ribattezzata "Margherita di Savoia"), popolandola con i lavoratori delle Saline e distribuendo gratuitamente i terreni ed i capitali per le case popolari. Così, in vent’anni, la popolazione locale raddoppiò di numero. Il sale della Puglia era molto apprezzato, tanto da essere preferito a quello spagnolo ed era sfruttato sia per scopi alimentari sia per usi industriali. Di straordinaria importanza erano anche le saline siciliane "nella sola area di Stagnone (bacino marino antistante Trapani) si trovavano trentuno saline con centinaia di mulini a vento (quelli a sei pale in legno di tipo olandese) che davano una produzione annua di ben 110mila tonnellate di sale" (17).

Vetri e Cristalli

A Napoli sorgevano due grandi fabbriche di vetri e cristalli, per le quali si erano fatti venire operai e macchine dall’estero; in breve la produzione del Regno poté competere con quella di Francia e Germania e i quattro quinti della richiesta nazionale erano soddisfatti dall’industria napoletana, parte dei vetri prodotti era esportata a Tunisi, ad Algeri e persino in America. Ci sembra poi superfluo soffermarsi sulla fabbrica di porcellane di Capodimonte, voluta da Carlo III e famosa in tutto il mondo.

Agricoltura ed allevamento

I dati (18) indicano che nel 1860 il Sud, che conta il 36.7 % della popolazione d’Italia, pur non avendo nulla che si possa paragonare alla pianura padana produce il 50.4% di grano; l’80.2% di orzo e avena; il 53% di patate; il 41.5% di legumi; il 60% di olio, favorito in questo anche dal clima che consente spesso due raccolti l’anno; si svilupparono le coltivazioni di agrumi e di piante idonee al suolo arido: l'olivo, la vite, il fico, il ciliegio ed il mandorlo (19). Nelle Due Sicilie l’ultima vera grande carestia fu negli anni 1763-64 e successivamente, dai dati complessivi si ricava che un meridionale, tra grano e granaglie aveva una razione quotidiana di 418 grammi di carboidrati. Nella restante parte della Penisola la razione si riduceva a 270. La dieta del meridionale dell’epoca era quella tipica mediterranea, ricca di verdura, ortaggi, frutta, pesce, latte e derivati, pane e pasta. (20). Particolare risalto è da dare all’opera di Carlo di Borbone che introdusse riduzioni delle tasse per i proprietari che avessero coltivato i loro terreni ad uliveto. Fu così che nella buona terra pugliese misero radici gli ulivi: oggi su 180 milioni di alberi italiani ben 50 milioni sono localizzati in Puglia, la regione olivicola più importante del mondo con il 10% della produzione totale di olio. Un decreto emanato il 12 dicembre 1844 da Ferdinando II prescriveva la necessità di un "certificato di origine" per l’olio di oliva che era esportato in tutto il mondo, Stati Uniti compresi. L’industria alimentare era legata all'ottima produzione di grano duro e vantava i migliori pastifici d’Italia, circa cento (provincia di Napoli, Crotone e Catanzaro) che esportavano in molti paesi stranieri, compreso Russia, America, Svezia e Grecia. Un accenno alla pizza che, pur presente da secoli sulle tavole mediterranee, ha celebrato i suoi trionfi proprio nella Napoli capitale delle Due Sicilie; presente anche nella mensa dei re Borbone, questi l’apprezzarono ma non imposero nessun nome di famiglia (21)

Per quanto riguarda l’allevamento, considerando il numero dei capi, il Sud era in testa in quello ovino, caprino, equino e dei maiali, poco al di sotto del resto dell’Italia per quello caprino e molto al di sotto per quello bovino (22). Tra gli Abruzzi e la Puglia continuava, come fin dall’epoca romana, la transumanza delle greggi che si svolgeva su sentieri chiamati tratturi e che era regolata da un codice molto particolareggiato che prevedeva il pascolo nel Tavoliere dal 29 settembre all’otto maggio. In quel mese si svolgeva la grande fiera zootecnica di Foggia alla quale era tradizione partecipasse il Re, vestito alla maniera paesana. Vivacissima era anche l’attività dei caseifici la cui lavorazione riguardava particolarmente il latte di pecora, ma il cui fiore all’occhiello era naturalmente la mozzarella di bufala; numerosissimi gli stabilimenti ittici (ad esempio le tonnare di Favignana), del pomodoro, famose le fabbriche di liquirizia in Calabria e dei confetti a Sulmona. Infine segnaliamo la coltivazione e la lavorazione del tabacco dove il Sud era all'avanguardia con la importante manifattura di Napoli che occupava agli inizi degli anni 1850 più di 1.700 operaie (poi ridotte per introduzione di macchinari più moderni), e che esportava in tutta Europa. Inoltre dal primo censimento della popolazione d’Italia del 1861 (a pochi mesi dall’Unità) si ricava che il Sud, che contava 36.7% della popolazione italiana, aveva il 56,3% dei braccianti agricoli e il 55,8% degli operai agricoli specializzati. Quando nel 1887-88 il protezionismo chiuderà gli sbocchi esteri, l’agricoltura del Sud subirà un colpo mortale. Quella non era, infatti, solo un’agricoltura di sussistenza e autoconsumo, bensì mercantile, destinata all’esportazione: a quel punto la enorme massa di operai agricoli non ebbe più lavoro e non poté far altro che emigrare.

Il sistema monetario, il costo della vita, la tassazione

Il 20 aprile del 1818 Ferdinando I emanò una direttiva che uniformava il sistema monetario della parte continentale ed insulare del regno delle Due Sicilie. La moneta, la più solida d’Italia, era il Ducato, presente in circolazione in coni aurei da 3, 4, 6, 15, 30. Il Ducato era suddiviso in 10 Carlini, che equivaleva a sua volta a 10 Grana. Vi era poi il Tornese (2 tornesi equivalevano a un grano, cioè ad un centesimo di Ducato) e infine il Cavallo (6 cavalli equivalevano ad un Tornese). In Sicilia la moneta era l'Oncia, circolante in coni da 1 e da 2, e valeva 3 Ducati. Era suddivisa in 30 Tarì, ovvero in 300 Baiocchi. Il Grano (pari a mezzo Baiocco, o a 6 Piccioli) valeva quindi 2 Grana napoletani. Il cambio nel 1859 era 1 Ducato = 4,25 Lire. Il coefficiente d'aggiornamento ISTAT, opportunamente ricalcolato per tener conto dell'anno 1860, è pari a 7.346,7. Pertanto, un Ducato Napoletano equivale a lire 31.223,47, pari ad Euro 16,13. L'Oncia siciliana valeva 48, 39 Euro. Le monete erano coniate in oro, argento e rame. I maestri incisori della Regia Zecca a S. Agostino Maggiore erano così rinomati in Europa, per la bellezza delle realizzazioni, che i saggi di conio dell’istituto d’emissione inglese erano spesso inviati a Napoli per un parere tecnico. Tutto il sistema monetario nel suo complesso era garantito in oro nel rapporto uno ad uno, la lira piemontese invece era garantita nel rapporto tre ad uno (ogni tre lire in circolazione erano garantite da una sola lira oro). La storia numismatica delle Due Sicilie risaliva a 2500 anni prima con le zecche della Magna Grecia, quando in molte parti d’Italia e del mondo era ancora in uso il baratto in natura! Ci pensò Garibaldi con il decreto del 17 agosto 1860 a sopprimere il millenario sistema monetario siciliano e successivamente il governo unitario mise fuori corso il Ducato con la legge del 24 agosto 1862, triplicando in un sol colpo la massa monetaria incamerata con l'annessione del Sud (23).

Il costo della vita era basso rispetto agli altri Stati preunitari e lo si può dimostrare paragonando i salari con il costo dei generi di prima necessità: la giornata di lavoro di un contadino era pagata il corrispondente odierno di 3 € (15-20 Grana di allora), quella degli operai generici valeva in media 5 € che salivano a 6,50 € per quelli specializzati (dai 20 ai 40 grana); 13 € spettavano ai maestri d’opera (80 grana). A tali retribuzioni veniva aggiunto un soprassoldo giornaliero di 10-15 grana per il vitto. Un impiegato statale percepiva 15 ducati al mese, la paga di un colonnello di fanteria era di 105 ducati (1680 €), quella di un tenente di fanteria 23 ducati (370 €). Sul versante dei costi riportiamo che un rotolo di pane (800 grammi) (24) costava 6 grana (1 €) , un equivalente di maccheroni 8 grana (1,30 €) , di carne bovina 16 grana (2,5 €), un litro di vino 3 grana (0.50 €), tre pizze 2 grana (0,32 €) (25).

Il livello impositivo era il più mite di tutti gli Stati Italiani (sulla tomba di Tanucci, ministro delle finanze per 40 anni, troviamo scritto che non impose nuovi balzelli) (26). La contribuzione diretta era praticamente basata solo sull’imposta fondiaria, quella indiretta solo su quattro tributi.

Tav.1 – Il prelievo fiscale diretto nelle Due Sicilie (27).

1. Imposta fondiaria,

2. Addizionale per il debito pubblico,

3. Addizionali per le Province,

4. Esazione

Tav.2 – Gli strumenti fiscali indiretti nelle Due Sicilie (28)

1.

Dazi (dogane e monopoli).

2. Imposta del Registro e bollo.

3. Tassa postale.

4. Imposta sulla Lotteria.

Entrambi questi tipi di tributi diretti ed indiretti, pur non essendo stati più aumentati né in numero né in aliquota, determinarono un aumento delle entrate da 16 milioni di ducati del 1815 ai 30 milioni del 1859, questo a dimostrazione della crescita generale di quella fiorente economia. Viceversa nel periodo 1848-1860 il governo piemontese impone ben 22 nuove tasse (29).

Le banche ( "i banchi") nel 1700 erano sette (S.Giacomo, del Salvatore, S.Eligio, del Popolo, dello Spirito Santo, della Pietà e dei Poveri) e le loro condizioni si mantennero floridissime fino alla fine del '700. Nel 1803 ci fu un primo accorpamento che fu completato il 12 dicembre del 1816 con la creazione del "Banco delle Due Sicilie" che successivamente si chiamò "Banco di Napoli" nella parte continentale del regno e "Banco di Sicilia" nell’Isola; in questi istituti si aprivano conti correnti e si concedevano prestiti a mutuo o su pegni come negli antichi banchi (30).

Opere pubbliche

Tra le più importanti realizzazioni ricordiamo il ponte Ferdinandeo sul fiume Garigliano del 1832: è stato il primo ponte sospeso in ferro d'Italia (tra i primi del mondo), costruito in 4 anni con 68.857 chilogrammi di ferro (31) e collaudato dallo stesso Ferdinando II che ci fece passare sopra due squadroni di lancieri a cavallo e sedici carri pesanti di artiglieria; orgoglio delle Due Sicilie, resistette fino al 1943 quando i tedeschi, dopo averci fatto transitare il 60 % della propria armata in ritirata, compresi carri e panzer, lo distrussero. Fu seguito dalla costruzione di un ponte simile sul fiume Calore, inaugurato nel 1835.

Segnaliamo poi: il Primo telegrafo elettrico d’Italia (1852), la Prima rete di Fari con sistema lenticolare (1841), la Prima ferrovia e Prima stazione d’Italia Napoli Portici (1839): lungo questa prima linea si sviluppano nuovi agglomerati urbani che costituiscono la struttura del nascente polo industriale attorno alla Capitale. L’anno successivo fu inaugurata dagli Asburgo la Milano-Monza, nel 1845 la prima ferrovia veneta (Padova-Vicenza) e addirittura bisognerà aspettare nove anni per vedere la prima piemontese (Torino-Moncalieri) e la prima toscana (Firenze-Prato).

L’ingenerosa critica storica ha fatto prevalere la tesi della costruzione ferroviaria borbonica per esclusiva vanità della corte di collegare la capitale alle residenze reali di Caserta e di Portici, altri ancora sostennero che la ferrovia fu realizzata per spostare più velocemente le truppe della guarnigione di Capua, in caso di disordini a Napoli; è certamente vero che tutte le ferrovie dei diversi stati nacquero anche con finalità strategiche e militari (32) ma in realtà gli scopi principali erano ben diversi. Ferdinando II, nel discorso pronunciato nell’ottobre 1839, all’inaugurazione della Napoli-Portici, ebbe a dire: "Questo cammino ferrato gioverà senza dubbio al commercio e considerando che tale nuova strada debba riuscire di utilità al mio popolo, assai più godo nel mio pensiero che, terminati i lavori fino a Nocera e Castellammare, io possa vederli tosto proseguiti per Avellino fino al lido del Mare Adriatico" (33). La ferrovia raggiunse nel 1840 Torre del Greco, Castellammare di Stabia nel 1842, Nocera nel 1844, contemporaneamente un altro tronco puntava a nord raggiungendo Caserta nel 1843 e Capua nel 1844; in questo stesso anno sulla Napoli-Castellammare transitarono ben 1.117.713 viaggiatori, in gran parte "pendolari" che quotidianamente si recavano nella capitale per lavoro, le tariffe erano basse sia per il trasporto dei passeggeri (diviso in tre classi) che delle merci .

Dalla cronaca del "Giornale delle Due Sicilie" (34) dell’epoca si legge: "Ad un segnale dato dall’alto della Tenda Reale parte dalla stazione di Napoli il primo convoglio composto di vetture sulle quali ordinatamente andavano gli invitati, gli ufficiali, i soldati e i marinai (...) S.M. con la Real Famiglia prese posto nella Real Vettura". "Le popolazioni di Napoli e delle terre vicine - si leggeva sulla cronaca di altri giornali - accorrevano in grandissimo numero come ad uno spettacolo nuovo, tutte le deliziose ville attraversate dalla strada si andavano riempiendo di gentiluomini e di dame vestite in giorno di festa (...) con tanto entusiasmo traesse d’ogni parte sulla nuova strada e giunto colà facesse allegrezza grande come per faustissimo avvenimento"; erano 7411 metri che furono percorsi in quindici minuti (velocità 20 km/h) dal convoglio guidato dalla locomotiva "Vesuvio".

Dobbiamo ricordare il progetto borbonico di una rete ferroviaria diretta a collegare il Tirreno all’Adriatico con due arterie principali a doppio binario: la Napoli-Brindisi, che tagliava in due parti quasi esatte il regno, e la Napoli-Pescara. Le concessioni furono stipulate il 16 aprile del 1855, con un dettagliato protocollo che prevedeva tempi e modi di realizzazione. La ferrovia avrebbe accorciato notevolmente i tempi di collegamento (previsti in quattro ore al posto dei giorni di navigazione via mare). Erano previste nuove arterie stradali comunicanti con le stazioni ferroviarie in modo da favorire il trasporto sia dei passeggeri che soprattutto delle merci e del bestiame, come pure delle diramazioni per collegare le nuove linee ferrate a quelle dello Stato della Chiesa e di conseguenza a quelle degli altri stati italiani preunitari e del resto d’Europa. Furono anche progettate due litoranee: una da Napoli alla Calabria meridionale con diramazione a Taranto e l’altra da Brindisi ad Ancona (e da lì comunicante con Bologna e Venezia).

L’ultimo re Francesco II diede un’accelerazione alla costruzione delle strade ferrate ma non ebbe il tempo di completarle e così, se è vero che la lunghezza complessiva delle ferrovie meridionali, al momento dell'Unità, era inferiore a quella di altri stati italiani preunitari (37), anche per le caratteristiche del territorio prevalentemente montuoso che in nulla assomigliava alle pianure del Nord e che non ne facilitava la costruzione, è comunque accettato da tutti che come qualità tecnico-costruttiva fossero le migliori.

Per ciò che concerne, invece, le strade, esse erano senza dubbio insufficienti, ma anche in questo campo le Due Sicilie pagavano lo scotto della conformazione del Paese, prevalentemente montuoso, che rendeva più rapido ed economico lo sviluppo delle vie marittime; comunque il governo borbonico si era seriamente impegnato nella costruzione di nuovi tracciati progettati da ingegneri che erano alle dirette dipendenze dello Stato, tra di essi ricordiamo Carlo Afan de Rivera e Ferdinando Rocco. Alcune arterie sono dei veri e propri capolavori come la Civita Farnese (tra Arce e Itri) che, pur correndo quasi completamente in territorio montano, in nessun tratto superava la pendenza del 5% il che permetteva l’agevole trasporto di merci su carri, e la Pescara-Sulmona-Napoli dove ancora oggi si possono osservare le pietre miliari che indicano la distanza dalla antica capitale. L’ossatura di alcune strade borboniche viene attualmente sfruttata per il passaggio di veicoli molto pesanti come i TIR a testimonianza della validità dei loro progetti.

Altre interessanti realizzazioni furono l’illuminazione a gas di Napoli, prima in Italia (1840) e terza in Europa (dopo Londra e Parigi). Napoli fu anche la prima città d’Italia in cui fu organizzato nel 1852 un esperimento d’illuminazione elettrica; la bonifica e conseguente sistemazione idrogeologica delle paludi Sipontine (Manfredonia), di quelle di Brindisi, del bacino inferiore del Volturno e della Terra di Lavoro (Regi Lagni): in quest’ultimo territorio furono restituite al lavoro agricolo 53 miglia quadrate di paludi, realizzati 100 miglia di canali di bonifica, muniti d'argine e controfossi, lungo i quali furono posti a dimora 150.000 alberi; costruite 70 miglia di strade, e furono piantati altri 120.000 alberi che attraversavano la campagna in tutti i sensi.

Ricordiamo inoltre la realizzazione del confine terrestre: col trattato firmato a Roma il 27 Settembre 1840 e ratificato il 15 Aprile 1852 fu stabilita la linea di separazione con l’unico stato confinante, quello Pontificio. Papa Gregorio XVI e re Ferdinando II decisero di posizionare nel terreno ben 686 cippi che partivano da Gaeta sul Tirreno e giungevano fino a Porto d’Ascoli sull’Adriatico. Erano piccole colonne cilindriche in pietra con incisa sulla sommità la direzione del confine: sul lato dello Stato Pontificio due chiavi incrociate e l’anno di apposizione (1846 o 1847) e verso il regno borbonico un giglio stilizzato ed il numero progressivo della colonnina, crescente verso il nord. Alti un metro, del diametro di quaranta centimetri e del peso di 700/800 chili, i cippi furono realizzati da ambedue i confinanti; e sotto ciascuno di essi fu sotterrata una medaglia di lega metallica recante lo stemma dei due Stati. Questa semplice, ma allo stesso tempo elegante e civile demarcazione fu abbattuta all’arrivo dei Piemontesi. Alcuni di essi sono stati di recente restaurati e riposizionati grazie all’opera di un gruppo di ricercatori coordinati da Argentino D’Arpino..

Menzioniamo ancora l’istituzione dei Monti di Pegno e Frumentari in tutto il Regno, veri e propri crediti agrari che prestavano denaro ad interessi bassissimi. Va ricordata infine la creazione del primo Corpo dei vigili del fuoco italiano e l’Istituzione di Collegi Militari quali la Nunziatella.

Conquiste Sociali e Civili

Nelle Due Sicilie ci fu l’istituzione del primo sistema pensionistico in Italia (con ritenute del 2 % sugli stipendi degli impiegati). Vi era inoltre la più alta percentuale di medici per abitanti in Italia ed il minor tasso di mortalità infantile d'Italia. Il Regno possedeva i maggiori edifici per l'assistenza ai poveri (a Napoli e Palermo) e il Cimitero delle 366 fosse, a Poggioreale, creato per dare degna sepoltura ai poveri (invece delle fosse comuni, vi erano grandi lapidi, una per ogni giorno dell’anno). Da ricordare lo Statuto della seteria di S.Leucio, dettato personalmente da Ferdinando I, rifinito dai suoi giuristi nel 1789, che risentiva fortemente delle idee illuministe di Rosseau e che fu magnificato in tutta Europa- Lo statuto prevedeva, con decenni di anticipo sulle prime normative inglesi del lavoro, diritti e servizi per ogni membro della comunità: casa, attrezzi di lavoro, assistenza medica, istruzione obbligatoria per tutti i bambini dopo i 6 anni, pensione di invalidità e di vecchiaia, mezzi di sussistenza per la vedova e gli orfani dei lavoratori, "nè resti esclusa la femmina dalla paterna eredità ancorché vi siano i maschi". Per questi motivi San Leucio fu definita " repubblica socialista". Degna di nota la Convenzione stipulata il 14 febbraio 1838 con l’Inghilterra e la Francia per la lotta contro la tratta degli schiavi.

Le Due Sicilie: da stato feudale a stato centralistico

All’avvento dei Borbone Lo Stato era ancora feudale, pieno di uomini chiamati "eccellenza" e "don" [riportati anche negli atti ufficiali]. Si trattava di baroni e di alti prelati che possedevano gran parte delle terre, nelle quali esercitavano addirittura una propria giurisdizione penale e civile. "I feudatari del regno non avrebbero mai permesso la realizzazione pacifica di una riforma che intaccava una prerogativa della quale essi erano particolarmente gelosi (...) il potere del baronaggio si fondava specialmente sulla grande potenza economica che i suoi rappresentanti avevano realizzato mediante vari strumenti tra i quali il più efficace era certamente la giurisdizione" (36).

Il Sud era inoltre considerato dal papa uno stato vassallo e Re Carlo, coadiuvato nel governo dal Ministro Bernardo Tanucci (1698-1782), cominciò un'opera di affrancamento da questa secolare sudditanza. Realizzò un Catasto che permise la tassazione dei beni ecclesiastici [cosa più unica che rara in Europa, non esistendo neanche in Francia]. Stipulò il 2 giugno 1741 un Concordato col Papa in cui venivano ridotti alcuni privilegi del clero, come il diritto di asilo e l'immunità penale. Nel 1767 estromise i gesuiti dal regno, confiscando i loro beni e trasformando in pubbliche le loro scuole. Nel 1759, alla morte del fratello Ferdinando VI, Carlo fu proclamato re di Spagna e abdicò in favore del figlio Ferdinando. Questi continuò l’opera di separazione tra Stato e Chiesa. Nel 1776 soppresse l’omaggio feudale della Chinea, "una cavalla bianca ingualdrappata, con sopra il basto uno scrigno di denari e gioielli che, dai tempi di Carlo d’Angiò, il re di Napoli ogni anno, il 29 giugno deve al papa in segno di vassallaggio" (37). Venne limitato l’esorbitante numero di ecclesiastici (che nel 1786 erano circa centomila, con un rapporto di 1 ogni 48 abitanti) che tra l'altro controllavano l’anagrafe (stato civile, nascita, matrimonio, morte) nonché avevano la funzione di pubblica istruzione. Con il Concordato del 25 febbraio 1818, scomparve nelle Due Sicilie qualsiasi forma di immunità ecclesiale, furono ridotte le diocesi del Regno e solo 22 di esse erano direttamente soggette alla Santa Sede, nelle altre si affermò il diritto reale di nominare i vescovi. Nonostante questi provvedimenti, rimase intatta la comune azione tra le istituzioni e il clero nei riguardi del mondo culturale, dell’istruzione e dell’assistenza. La religiosità del popolo meridionale rimase fortissima e scandiva la vita quotidiana del Regno (con le relative funzioni, la recita del rosario, le processioni come quella solenne dell’otto dicembre, festa Nazionale, la tradizione natalizia del presepio). Alcuni viaggiatori stranieri, di religione protestante, affermavano che si trattasse una "cristianità senza Cristo" perché tutti si affidavano ad un santo per intercedere presso Dio (San Gennaro e Sant'Antonio, solo per citare i due più prestigiosi) (38). Nel 1798-99 ci fu la prima invasione francese del regno con l’esperienza della Repubblica Napoletana (liquidata dopo pochi mesi dall’insorgenza dei sanfedisti del cardinale calabrese Fabrizio Ruffo) (39); Ferdinando I non ratificò l’abolizione della feudalità, che la Repubblica aveva deliberato sulla carta, per non inimicarsi la Chiesa che tanta parte aveva avuto nell’insorgenza sanfedista.

Seguì la seconda invasione con la decennale occupazione francese ed i re Giuseppe Buonaparte (1806-1808) e Gioacchino Murat (1808-1815). Terminata l'avventura napoleonica, negli stati tornarono i legittimi sovrani (la Restaurazione). Nelle Due Sicilie re Ferdinando I e i suoi ministri ebbero il merito di lasciare immodificate le innovazioni fatte dai Francesi mentre, Piemonte in prima fila, gli altri Stati procedettero ad una politica reazionaria. Persino Tito Manzi, che era stato un influente esponente del governo del Murat, ebbe ad affermare che, nonostante la presenza nel regno delle truppe austriache fino all’agosto del 1817, Napoli spiccava nel quadro a tinte fosche [della Restaurazione] come la sola capitale italiana dove ci si premurasse con successo di "accrescere la forza del governo" e di migliorare insieme ad essa "la sorte del popolo" (…), di concentrare saldamente il potere nelle mani sovrane e organizzare amministrazioni efficienti e funzionali, dare forza allo Stato, sottrarne ai vecchi corpi privilegiati, la nobiltà e il clero" (40). L’amministrazione dello Stato, trasformata dai francesi da feudale (con i mille "poteri" periferici baronali ed ecclesiastici) in una fortemente centralizzata, rimase intatta, con sette ministeri a Napoli (Interni, Esteri, Grazia e Giustizia, Affari ecclesiastici, Finanze, Guerra e Marina, Polizia) più un luogotenente generale per la Sicilia, in Palermo, con altrettanti dipartimenti alle sue dipendenze. L'autorità periferiche era composta da funzionari di nomina regia, che rispondevano direttamente conto al ministro dell’Interno. A capo delle Province (che avevano la dignità delle attuali regioni) vi erano gli Intendenti, affiancati dal Consiglio Provinciale. I Distretti (corrispondenti alle attuali province) erano guidati dai Vice Intendenti; e dai Consigli Distrettuali. I Comuni erano amministrati da un Consiglio, chiamato Decurionato (tre decurioni ogni 1000 abitanti), nominati dall’Intendente sulla base di liste di eleggibili (che tenevano conto del censo e delle capacità personali). Il consiglio comunale proponeva ogni tre anni una terna di candidati alla carica di sindaco. La scelta veniva quindi eseguita dall’intendente. Il sindaco era a capo dell’amministrazione comunale, ed aveva alle sue dipendenze gli impiegati amministrativi, gli addetti ai vari pubblici servizi e il medico condotto. Quasi tutti i burocrati si erano formati nel decennio di dominazione francese e furono confermati ai loro posti (fu la cosiddetta politica "dell’amalgama") per non disperdere le competenze. Si consolidò quindi l’avanzata di classi sociali che non provenivano dalla nobiltà e che ne acquisirono una con le onorificenze dispensate dal Re (come cavaliere o commendatore dell’Ordine di San Giorgio della Riunione, istituito nel 1818). Nel 1819 Ferdinando I incaricò i suoi giuristi di redigere un nuovo Codice Civile e Penale, che ricalcò quello napoleonico (sopprimendo solo pochi articoli, tra cui quelli relativi al divorzio). Il nuovo codice sancì l’abrogazione della legislazione penale feudale (già effettuata nel 1806 da Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone e primo re francese di Napoli). Le Due Sicilie furono il primo tra gli stati italiani preunitari ad adottare un tale provvedimento (contro il quale le resistenze baronali furono fortissime).

Arte Cultura e Scienza

Dal Settecento, sotto l’impulso dei sovrani regnanti, si assistette alla rinascita culturale e sociale delle Due Sicilie ed al rigoglioso fiorire di studi filosofici, giuridici e scientifici. Le opere di illustri personalità (solo per citarne alcuni ricordiamo: Della Porta, Giannone, Vico, Filangieri, Pagano, Genovesi, Galiani, Cotugno) furono tradotte in diverse lingue. Napoli era il più vivace centro di pensiero d’Italia e in Europa era seconda solo a Parigi per la diffusione delle idee dell’Illuminismo. Lo splendore della Corte e della società napoletana erano proverbiali, e divennero poli di attrazione per le più importanti menti dell’epoca che spesso vi soggiornavano a lungo. Geni assoluti come Goethe riconobbero nelle classi elevate meridionali una preparazione non comune. Ebbe a dire Stendhal: "Napoli è l’unica capitale d’Italia, tutte le altre grandi città sono delle Lione rafforzate". Era di gran lunga la più grande d’Italia e tra le prime quattro d’Europa, e fu definita come: "la città più allegra del mondo, scintillante di carrozze, quasi non riesco a distinguerla da Broadway, la vera libertà consiste nell’essere liberi dagli affanni ed il popolo pare veramente aver concluso un armistizio con l’ansia e suoi derivati" (41). Il Regno vantava quattro università: quella di Napoli, fondata da Federico II nel 1224, quelle di Messina e Catania, rinnovate dai Borbone e la neonata università di Palermo. A Milano la prima università, il Politecnico, fu fondata solo nel 1863 ed il primo ingegnere si laureò nel 1870. Al tempo della nascita dello Stato italiano, il numero degli studenti napoletani era maggiore di quello di tutte le università italiane messe assieme (che ne avevano un totale di appena 6504). A Napoli furono istituite la prima cattedra universitaria al mondo di Economia Politica con Antonio Genovesi (1754) e le cattedre di psichiatria, ostetricia e osservazioni chirurgiche. Notevole importanza scientifica godeva l’Orto Botanico che forniva le erbe mediche alla Facoltà di Medicina. Nella facoltà di Giurisprudenza nacquero l‘Istituto della Motivazione delle Sentenze (Gaetano Filangieri, 1774), il primo Codice Marittimo Italiano ed il primo Codice Militare. I giornali milanesi erano ancora fogli di provincia, mentre quelli napoletani facevano e disfacevano i governi. Le case editrici napoletane pubblicavano il 55% di tutti libri editi in Italia (42). L’Osservatorio Sismologico (1° nel mondo) del Vesuvio, con annessa stazione meteorologica, fu fondato dal fisico Macedonio Melloni e sviluppato da Luigi Palmieri.

Palermo vide l'illustre opera dell’astronomo Giuseppe Piazzi, curatore dell’Osservatorio astronomico fondato nel 1801 e scopritore del primo asteroide battezzato "Cerere Ferdinandea". La capitale siciliana ebbe il suo splendido Orto Botanico, e "la real casa dei Matti", il primo manicomio in Europa, per opera del Barone Pisani e sotto il patrocinio dei Borbone, dove i malati venivano trattati umanamente e non più segregati come bestie furiose.

Furono aperte: Biblioteche, Accademie Culturali (la più famosa l’Ercolanense, fondata nel 1755), il Gabinetto di Fisica del Re ed erano organizzati frequenti Congressi Scientifici. Per quanto riguarda la musica "Fino al settecento l’Italia era vista da tutti i musicisti europei con un particolare atteggiamento di rispetto, in Italia, nel Seicento, era nata l’opera che nel corso degli anni aveva conquistato tutti i più grandi teatri; operisti italiani componevano presso tutte le corti d’Europa e gli stessi musicisti stranieri scrivevano opere in lingua italiana, tanto si identificava allora il melodramma col paese che ne era stato la culla. Non molto diversa era la situazione per la musica strumentale, i conservatori e le accademie italiane erano i più celebri in assoluto e un musicista non poteva affermare di possedere una preparazione completa senza aver compiuto un viaggio d’istruzione in Italia (…) La penisola era considerata quasi una terra promessa per ogni compositore" (43) e Napoli era considerata la Regina mondiale dell’Opera. Basta ricordare che il Teatro di San Carlo è il più antico teatro lirico d'Europa: fu inaugurato il 4.novembre 1737 dopo soli 8 mesi dall'inizio della sua costruzione (ben 41 anni prima del teatro della Scala di Milano e 51 anni prima della Fenice di Venezia). Non ha mai sospeso le sue stagioni, tranne che nel biennio 1874-76, a causa della grave recessione economica di quegli anni. Subì un grave incendio nel 1816 e fu ricostruito in dieci mesi. Re Ferdinando I lo volle "com'era e dov'era" (proviamo a fare il confronto con le storie dei nostri giorni: gli incendi del Petruzzelli di Bari e della Fenice di Venezia....). Anche se non tutti i Borbone amavano la lirica, furono senz’altro dei grandi mecenati tanto che il teatro San Carlo attrasse l'attenzione di tutta la società colta europea, colpita dalla creatività della Scuola musicale napoletana, sia nel campo dell'opera buffa che di quella seria: basti ricordare i nomi di Porpora, Piccinni, Jommelli, Cimarosa, Paisiello (autore quest’ultimo, nel 1787, su commissione di Ferdinando IV, dell’Inno Nazionale delle Due Sicilie). A Napoli guardavano come culmine della loro carriera musicisti del livello di Bach e Gluck. Tra i grandi compositori italiani ricordiamo la triade Rossini-Bellini-Donizetti, che fiorì tra il Conservatorio di Napoli ed il teatro San Carlo. Quest'ultimo divide con la Scala di Milano il primato della più antica scuola di ballo italiana, mentre è nel 1816 che vi nasce la Scuola di Scenografia diretta da Antonio Niccolini. "Vuoi tu sapere se qualche scintilla di vero fuoco brucia in te? Corri, vola a Napoli ad ascoltare i capolavori di Leo, Durante, Jommelli, Pergolese. Se i tuoi occhi si inumidiranno di lacrime, se sentirai soffocarti dall'emozione, non frenare i palpiti del tuo cuore: prendi il Metastasio e mettiti al lavoro il suo genio illuminerà il tuo" (44). I Conservatori musicali (quello di San Pietro a Majella era considerato il più prestigioso del mondo), l’Accademia Filarmonica e la Scuola Musicale Napoletana erano i massimi riferimenti per gli artisti dell’epoca ; la Canzone Napoletana a Piedigrotta ("Te voglio bene assaje", "Luisella", "Santa Lucia", "Tarantella") si diffuse in tutto il mondo. A Napoli, ogni sera, erano aperti una quindicina di teatri, mentre a Milano non tutte le sere c’era un teatro aperto (45). Per le belle arti ricordiamo: la Scuola pittorica di Posillipo (Gigante, Smargiassi, Vianelli, Fergola, Palizzi), le formidabili testimonianze architettoniche come i Palazzi reali (Reggia di Napoli, Portici e Caserta; Palazzina Cinese e Ficuzza a Palermo), il Casino del Fusaro, l’acquedotto Carolino, la masseria il Carditello, San Leucio. Ricordiamo l’interesse per l’archeologia con l’avvio degli Scavi di Ercolano e Pompei, iniziati nel 1738 per volere del primo re Borbone Carlo III, dopo un ritrovamento durante i lavori di restauro di una cisterna di un casale. Da allora, intorno al nome di Ercolano e Pompei (scoperta nel 1748) è prosperato un mito che continua a sedurre coloro che si spingono all’ombra dello "sterminator Vesuvio". "Si può ben dire che la scoperta di Ercolano e Pompei non si limitò a rivoluzionare l’archeologia e la storia del mondo antico, ma segnò in modo indelebile anche la civiltà europea. Non ci fu intellettuale, erudito, scrittore o artista che non sentisse il fascino di quel che stava rendendo al mondo il ventre del Vesuvio (…) De Brosses, Goethe, Melville, Mark Twain (…) fu una vera e propria frenesia (…) da quel fuoco nacque nell’Europa dei Lumi quella che si indica come civiltà neoclassica: così come la scoperta dalla Domus Aurea era nato il Rinascimento (…) le vestigia che venivano alla luce vennero sistemate temporaneamente nella nuova Villa Reale di Portici e più tardi trasferite, in solenne corteo, a Napoli nel Museo Archeologico"(46) (oggi Museo Nazionale). Fu istituita l’Officina dei Papiri, un laboratorio che si occupava del recupero e restauro dei reperti provenienti dagli scavi d’Ercolano "Re Carlo III già nel 1755 aveva emanato un bando in cui si prescriveva la tutela del patrimonio artistico delle Due Sicilie che prevedeva anche pene detentive per chi esportava o vendeva materiale d’epoca; esso fu rinnovato da Ferdinando I nel 1766, nel 1769 e nel 1822. Nel 1839 Ferdinando II nominava una "Commissione di Antichità e Belle Arti" per la tutela e la conservazione dei beni (47).
NOTE:
Note al capitolo 8:

1. circa 1.600.000 addetti su circa 3.131.000 complessivi torna al testo

2. i primi re furono, dunque, i Normanni d'Altavilla (1130-1194), seguiti dagli Svevi (1194-1266), dagli Angioini (1266-1442) e dagli Aragona (1442-1503); a loro subentrarono gli Spagnoli (1503-1707) e poi gli Austriaci per solo 27 anni (1707-1734); i più importanti sovrani delle varie casate furono nell'ordine: Ruggero II d'Altavilla , Federico II di Svevia, Carlo I d'Angiò, Alfonso I d'Aragona e il vicerè spagnolo Pedro de Toledo. Nel 1734 la Spagna rioccupò il Regno strappandolo agli Asburgo e iniziò quindi l'era borbonica con i suoi re (Carlo, Ferdinando I, Francesco I, Ferdinando II e Francesco II) che durò fino all'annessione al Piemonte 1861, con l'intermezzo dei Napoleonidi Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat (1806 -1815). torna al testo

3. A Saitta, Gli scritti sulla questione meridionale, Laterza, 1958 torna al testo

4. Ricordiamo, oltre a Pedio, autore di questa affermazione (da op.cit., modif.) alcuni nomi degli storici controcorrente: Rispoli, Nitti, Salvemini, Coniglio, Bianchini, Luzzato, Lepre, Villani, Demarco, Petrocchi, Mangone, Vocino, Capecelatro e Aianello. torna al testo

5. Tommaso Pedio, op. cit., pagg.1-4, modif. torna al testo

6. Tommaso Pedio, op. cit. pag.92 torna al testo

7. Tommaso Pedio, op. cit., pag. 82 torna al testo

8. "perché il braccio straniero \ a fabbricare le macchine mosse dal vapore \ il Regno delle Due Sicilie più non abbisognasse", così dichiarò Ferdinando II. torna al testo

9. Cfr. Il centenario delle ferrovie italiane 1839-1939 (Pubblicazione celebrativa delle FF.SS.), Roma 1940, pp.106,137 e 139 torna al testo

10. E. Spagnolo in "Due Sicilie" settembre-ottobre 2001 torna al testo

11. Lamberto Radogna, " Storia della Marina Mercantile delle Due Sicilie", Mursia torna al testo

12. L'istruzione nautica in Italia, pagg. 10/15, anno 1931, a cura del Ministero dell'Educazione Nazionale torna al testo

13. Michele Vocino, op. cit. torna al testo

14. F.M. Di Giovine, Atti del primo convegno Lions sul Regno delle Due Sicilie, pag.22 torna al testo

15. In quell’anno si giunse a produrre circa 1.200.000 libbre (pari a 480.000 Kg.) di seta grezza torna al testo

16. V. Demarco, Il crollo del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1960, che parla di 2.000 operai nelle nove cartiere del Liri. Sul carattere avanzato delle cartiere meridionali v. Barbagallo C., Le origini della grande industria contemporanea (Firenze 1951), p. 436 (a p. 422 si nota il carattere arretrato delle cartiere lombarde), Luzzatto G., L’economia italiana dal 1861 al 1894 (Torino 1968). torna al testo

17. dalla rivista "Il gommone", Koster publisher, gennaio-febbraio 2003, pag.107 torna al testo

18. Annuario Statistico Italiano 1864 di Maestri-Correnti riportato in Svimez, "Cento anni di vita nazionale attraverso la statistica delle regioni", Roma, 1961; ISTAT, Annuario Statistico Italiano, 1938 torna al testo

19. l’unità di misura di superficie della terra era il moggio, chiamato anche tomolo, equivalente a 4.115 metri quadri (Lucania). L’unità di peso per i prodotti della terra era la libbra che equivaleva a 480 grammi torna al testo

20-22. Nicola Zitara, op. cit. torna al testo

21. diversamente dai Savoia ai quali fu dedicato il piatto nazionale tipico del Sud battezzando con il nome della regina Margherita una variante della pizza in cui erano presenti i "colori nazionali ". torna al testo

23. La moltiplicazione fu permessa dalle leggi sabaude, che permettevano di mantenere riverve in oro 3 volte inferiori alla moneta circolante torna al testo

24. l’unità di peso era il cantaro o cantaio ed equivaleva a 89,10 chili; il rotolo era la centesima parte del cantaro torna al testo

25. Boeri, Crociati, Fiorentino; " L’esercito borbonico dal 1830 al 1861 ", Stato Maggiore dell’Esercito, Roma, 1998 torna al testo

26. Vincenzo Gulì, "Il saccheggio del Sud", Campania Bella editore torna al testo

27. Decreto del 10 agosto 1815 torna al testo

28-29 Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860 - Giacomo Savarese - Cardamone - 1862 torna al testo

30-31. Michele Vocino, "Primati del regno di Napoli", Mele editore torna al testo

32. Basti pensare agli 866 km realizzati dal rissoso Piemonte fino al 1860, la cui costruzione contribuí non poco alla bancarotta di quello Stato torna al testo

33. Tratto dagli " Annali Civili del Regno delle Due Sicilie ", vol. XX,fasc.XLI, pag.37 torna al testo

34. Michele Vocino, I primati del regno di Napoli, Mele editore, pag. 149 torna al testo

35. il Piemonte aveva approntato 866 km di ferrovie, il Lombardo Veneto 240 km, la Toscana 324 km, i ducati emiliani 180 km; le Due Sicilie 104 km operativi e 150 in via di completamento o in costruzione torna al testo

36. ibidem torna al testo.

37. Enzo Striano, Il resto di niente, Avagliano editore, 2002, pag. 52 torna al testo.

38. A. Mozzillo, "Passaggio a Mezzogiorno", Leonardo editore, 1993, pag. 382, modif. torna al testo.

39. seguì la reazione del restaurato Re che considerava i sudditi ribelli (principalmente intellettuali e aristocratici), dei semplici traditori. Di essi 99 furono giustiziati nel tripudio popolare. Come ha fatto dire a un suo personaggio Enzo Striano (op.cit.), "A Napoli la rivoluzione pochi la capiscono, pochissimi l’approvano, quasi nessuno la desidera" torna al testo.

40. Marco Meriggi "Gli stati italiani prima dell’Unità ", Il Mulino, 2002 torna al testo.

41. Hermann Melville, Napoli al tempo di re Bomba, Princeton, 1855 torna al testo.

42. Nicola Zitara, Fora, rivista elettronica pubblicata nel sito www.duesicilie.org torna al testo.

43. Giovanni Caruselli, "Mozart in Italia", Diakronia, 1991 torna al testo.

44. J. J. Rousseau: Dictionnaire de Musique. Voce: génie. torna al testo.

45. Nicola Zitara, cit. torna al testo

46. Cesare de Seta in AD, giugno 2003, ed. Condè Nast torna al testo

47. da una lezione di Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, all'Università di Cosenza; riportata da "Il Sole 24 Ore" del 19 gennaio 2003, pag. 25 torna al testo

(tratto da: "Il Sud e l'unità d'Italia" - Giuseppe Ressa e Alfonso Grasso.
link: http://www.morronedelsannio.com/sud/index.htm
Parte Seconda: http://www.morronedelsannio.com/sud/seconda.htm#para8)
Inviato il: 27/1/2011 15:38
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  •  audisio
      audisio
Re: Il furto della memoria
#19
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 29/4/2008
Da
Messaggi: 3471
Offline
@ Pike:
non voglio fare polemiche, ti consiglio solo di studiare un pò
di più la storia, anche quella dell'arte.
Inviato il: 27/1/2011 12:57
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