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  L’eredità di Sharon di Tanya Reinhart

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  •  schiumaqua
      schiumaqua
L’eredità di Sharon di Tanya Reinhart
#1
Mi sento vacillare
Iscritto il: 2/6/2004
Da dalla grotta
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Copio-incollo un testo di Tanya Reinhart che presentò a Siena in un corso di conferenze nel 2006. Tanya Reinhart è morta nel 2007 ma il suo messaggio è sempre attuale, vale la pena di leggerlo.


L’eredità di Sharon
Tanya Reinhart

Oggi, il mondo occidentale pare ancora essere incantato dalla leggenda di Ariel Sharon, il quale, così si narra, ha portato a un cambiamento profondo nella politica israeliana - dall’espansione e dall’occupazione alla ragionevolezza e alle concessioni, una visione che deve essere ulteriormente implementata dal suo successore, Ehud Olmert.
Dall’evacuazione degli insediamenti della striscia di Gaza, il racconto dominante dell’occidente è stato che Israele aveva fatto la sua parte per terminare l’occupazione e dichiarava la sua pronta disponibilità ad ulteriori passi, ma ora toccava ai palestinesi mostrare che essi erano in grado di vivere in pace con il loro volonteroso vicino.
Come è potuto accadere che Sharon, il leader più brutale, cinico, razzista e manipolatore che Israele ha mai avuto, abbia terminato la sua carriera politica come eroe di pace leggendario?
La risposta, credo, è che Sharon non è mai cambiato. Piuttosto il mito intorno a lui riflette l’onnipotente presenza del sistema di propaganda, che, per parafrasare un concetto di Chomsky, ha raggiunto la perfezione nel fabbricare consenso.
La magia che ha trasformato Sharon agli occhi del mondo è stata l’evacuazione dagli insediamenti di Gaza. Ritornerò su questo punto e sosterrò che perfino questo Sharon non lo ha fatto di sua volontà, ma è stato costretto ad agire in questo modo dalla pressione senza precedenti degli USA.
In ogni caso egli aveva chiarito sin dall’inizio che l’evacuazione degli insediamenti non significava lasciare libera Gaza. Il piano di arretramento, pubblicato sui giornali israeliani il 16 aprile 2004, specificava in anticipo:
“Israele avrà la supervisione e controllerà il confine esterno sulla terra, manterrà l’esclusivo controllo dello spazio aereo di Gaza e continuerà a condurre le attività militari nello spazio di mare nella Striscia di Gaza.”
Diamo un rapido sguardo a cos’altro ha fatto Sharon. Durante i suoi quattro anni di governo, Sharon ha bloccato ogni possibilità di negoziazione con i palestinesi:

• Nel 2003 -periodo della road map-i palestinesi accettarono il piano e dichiararono il cessate il fuoco, ma mentre il mondo occidentale stava celebrando la nuova era di pace, l’esercito israeliano, al comando di Sharon, intensificò la propria politica di assassinio, continuò a vessare quotidianamente i palestinesi, e infine dichiarò una guerra senza quartiere ad Hamas, uccidendo tutta la prima fila dei leaders politici e militari.
• Più tardi, mentre il mondo occidentale stava di nuovo trattenendo il respiro, durante un anno e mezzo di attesa per l’evacuazione pianificata di Gaza, Sharon fece tutto il possibile per far intralciare il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, che era stato eletto nel gennaio 2005. Sharon dichiarò che Abbas non era un partner affidabile (perché non combatteva il terrorismo) e respinse tutte le sue offerte di rinnovo dei negoziati.
La realtà quotidiana dei Palestinesi nei territori occupati non è mai
stata così dura come nel periodo di Sharon.

• Nel West Bank, Sharon ha iniziato un massiccio progetto di pulizia etnica nelle aree ai confini con Israele. Il suo progetto del muro ruba la terra dei villaggi palestinesi in queste aree, imprigiona le città, e lascia i suoi abitanti senza mezzi di sostentamento. Se il progetto continua, molti dei 400.000 palestinesi colpiti dovranno partire e cercare mezzi di sostentamento nelle periferie delle città nel centro del West Bank, come è già accaduto a Qalqilia, nel nord del West Bank.
• Gli insediamenti Israeliani sono stati evacuati dalla Striscia di Gaza, ma la Striscia rimane una grande prigione, completamente sigillata dal mondo esterno, prossima alla carestia e minacciata col terrore da terra, mare e aria dall’esercito israeliano.
Il problema che ha preoccupato l’elite politica e militare israeliana, fin dall’occupazione dei territori Palestinesi nel 1967, è stato in che modo tenersi il più possibile di questa terra con il minimo di palestinesi. Il piano Alon del partito laburista, che fu realizzato ad Oslo, era di mantenere il 40% del West Bank, ma di permettere ai palestinesi un autonomia sull’altro 60%. In ogni caso Barak e Sharon hanno distrutto gli accordi di Oslo.
Il modello che Israele ha sviluppato sotto Sharon è un complesso sistema di prigioni. I palestinesi sono stati spinti in enclaves chiuse a chiave e sigillate, completamente controllate dall’esterno dall’esercito israeliano che entra anche nelle enclaves quando vuole. Per quanto ne so, questo imprigionamento di un popolo intero è un modello di occupazione senza precedenti, ed è stato eseguito con una rapidità ed efficienza spaventose.
Allo stesso tempo ciò che Sharon ha portato alla perfezione è il fatto che i crimini di guerra possono essere sempre ‘venduti al pubblico’ come il perseguimento senza sosta della pace. Egli ha mostrato come Israele può imprigionare i palestinesi, bombardarli dall’aria, rubare la loro terra nel West Bank, procrastinare ogni possibilità di pace e ancora essere osannato dal mondo occidentale come la parte pacifica nel conflitto Israelo-Palestinese.
Ormai Sharon ha lasciato la vita politica ed è attualmente privo di conoscenza in un ospedale di Gerusalemme. Ma questo di per sé non comporta alcun cambiamento. Sharon se ne è andato, ma la sua eredità è ben viva. E’ stata preparata per oltre un decennio nell’ambiente militare Israeliano, che in effetti è il fattore dominante nella politica d’Israele.


L’esercito è il più stabile e più pericoloso fattore politico in Israele.
Come un analista politico ha affermato già nel 2001, “negli ultimi sei anni, dall’ottobre 1995, ci sono stati cinque primi ministri e sei ministri della difesa, ma solo due capi fuori dello stato maggiore”.
I sistemi militari e politici Israeliani sono sempre stati fortemente interconnessi con i generali che si spostano direttamente dall’esercito al governo, ma la posizione dell’esercito si è rafforzata ulteriormente durante il mandato di Sharon.
E’ spesso evidente che le decisioni reali sono prese dall’ambiente militare piuttosto che dal gruppo politico. I militari anziani fanno le loro conferenze stampa (essi hanno influenza almeno sulla metà degli spazi d’informazione nei media Israeliani), e riferiscono e ridisegnano i punti di vista dei diplomatici stranieri; vanno all’estero in missioni diplomatiche, delineano i piani politici per il governo ed esprimono il loro punti di vista politici in ogni occasione.
A confronto con la stabilità dei militari, il sistema politico Israeliano è in un graduale processo di sgretolamento. In un resoconto della Banca Mondiale dell’aprile 2005, Israele è uno dei [paesi] più corrotti e meno efficienti del mondo occidentale, secondo soltanto all’Italia per l’indice di corruzione del governo, e il più basso nell’indice della stabilità politica.
Sharon è stato accusato personalmente, insieme ai suoi figli, truffa aggravata, ma queste accuse non sono mai arrivate alla corte di giustizia. Il nuovo partito che Sharon ha fondato, Kadima, e che ora è al governo, è una agglomerato gerarchico di individui e non ha nessuna struttura di partito o sezioni locali. Le sue linee guida, pubblicate il 22 novembre 2005, danno la possibilità al suo leader di oltrepassare tutti i processi democratici standard e permettono di formare la lista dei candidati di partito al parlamento senza il voto o l’approvazione di alcuna base del partito.
Il Labor non è stato capace di offrire un’alternativa. Nelle ultime due elezioni israeliane, il Labor elesse due candidati colombelle per il posto di primo ministro – Amram Mitzna nel 2003 e Amir Peretz nel 2006. Entrambi sono stati accolti con enorme entusiasmo, ma sono stati immediatamente zittiti dal loro partito, dai sottoscrittori della campagna e dalla loro stessa censura che tendeva a collocarli “al centro della mappa politica”.
Presto, il loro programma è diventato indistinguibile da quello di Sharon. Peretz ha persino dichiarato che in tema di “Estero e Sicurezza” egli avrebbe fatto esattamente come Sharon o più tardi Olmert, ed egli si distingue da loro soltanto per i problemi sociali. Perciò, questi candidati hanno contribuito a convincere gli elettori israeliani che il percorso di Sharon era quello giusto. Negli ultimi anni, non c’è mai stata una sostanziale opposizione al governo di Sharon e dei generali, poiché dopo le elezioni, il Labor era sempre disponibile ad entrare nel governo, fornendo l’immagine mite di cui i generali avevano bisogno per lo spettacolo internazionale.
Con il collasso del sistema politico, l’esercito rimane la base che ridisegna ed esegue la politica Israeliana, e come è già visibile nei pochi mesi da quando Sharon ha lasciato l’incarico, l’esercito è determinato a portare avanti il suo lascito, con il successore di Sharon, Ehud Olmert. Per questo è essenziale che qualsiasi cosa Israele faccia sia presentata come concessione sofferta. Proprio ora, siamo all’inizio di un “nuovo piano di pace” promosso da Olmert.
Olmert può aver coniato il nome di questo piano, ma i diritti d’autore sono di Sharon.
Il 2 gennaio 2006, poco prima che Sharon lasciasse l’incarico, il giornale Israeliano Ma’riv mostrò il piano che egli intendeva presentare per il West Bank. Il piano si appoggia sull’ammissione finale degli Stati Uniti che la road map era a un punto morto – e che in effetti essa è sempre stata una “non partenza”, poiché non c’è mai stato un vero partner palestinese per la pace.
Questo avveniva ancora prima delle elezioni palestinesi che hanno portato Hamas al potere, ma dal punto di vista di Israele nessuna leadership palestinese aveva mai trovato un partner adatto. Sharon aveva affermato che l’Autorità Palestinese con Abbas aveva fallito nell’ adempiere ai propri obblighi nel combattere la rete terroristica. Mancando un partner adatto, Israele avrebbe stabilito unilateralmente i propri confini – cioè avrebbe deciso da solo l’entità di territorio Palestinese che doveva prendersi ed evacuare il resto.
Secondo questo piano, i negoziati con gli Stati Uniti porterebbero a “firmare un accordo con Washington che definisca il confine orientale definitivo di Israele.” L’accordo Americano-Israeliano includerà “il rapido completamento della barriera [muro] che diverrebbe una vera barriera di confine.”
Alla vigilia delle elezioni Israeliane Olmert svelò pubblicamente il piano, che in seguito è divenuto il piano ufficiale del nuovo governo israeliano, sotto il titolo consolidamento, o convergenza. Egli ha sottolineato che il nuovo confine d’Israele corrisponderebbe al percorso del muro, che dovrebbe essere completato prima che inizi l’evacuazione. Per portare il piano alla sua realizzazione, il muro dovrebbe essere spostato ancora più a est del presente percorso, e Olmert è esplicito riguardo alla sua collocazione finale.
Egli vuole assicurare che “Israele comprenderà [gli insediamenti] di Ariel, Ma’aleh Adumim, la cintura di Gerusalemme e Gush Etzion” e insieme stabilire il controllo Israeliano nella valle del Giordano.
Un’occhiata alla mappa rivelerebbe che le aree che Israele, in questo piano, vuole annettere unilateralmente rappresentano circa il 40% del West Bank.
Olmert pensa che in questa fase le circostanze sono favorevoli per costringere i palestinesi ad accettare questa soluzione, poiché in seguito alla vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi dovrebbe diventare sempre più evidente al mondo che non c’è un partner palestinese per negoziati di pace. Egli ha detto:
“C’è ora una ‘finestra di opportunità’ per raggiungere un accordo internazionale per fissare il confine, in seguito all’ascesa al potere di Hamas e…..al sostegno provocato dal ritiro da Gaza”.
A livello di dichiarazione, il piano include la potenziale evacuazione degli insediamenti ad est del nuovo confine. Però, a differenza del piano di ritiro da Gaza, non è fissato alcun calendario per questa futura evacuazione, né è stata pubblicata alcuna lista degli insediamenti da evacuare. In ogni caso, anche se dovesse venir fuori un progetto di evacuazione, il piano è di tenere l’enclave palestinese del West Bank sotto il pieno controllo israeliano, come è stato per Gaza. Su questo punto, Olmert è stato esplicito nel suo annuncio pubblico del piano. Le disposizioni per dopo il disimpegno “daranno alle Forze di Difesa di Israele libertà d’azione nel West Bank, come è accaduto dopo il disimpegno nella Striscia di Gaza.”
Il piano di Olmert è dunque di fare divenire realtà l’eredità di Sharon: annettere il 40% del West Bank ed applicare il modello di prigione di Gaza alle rimanenti enclaves palestinesi. Ma Olmert è il nuovo uomo di pace di Israele.
Questi sono tempi difficili, in cui l’eredità di Sharon sembra vincere, senza alcuna barriera di legge o giustizia internazionale sulla sua strada di distruzione.
Meno di due anni fa, il 9 luglio 2004, la Corte Internazionale di Giustizia emise la sua sentenza sulle “Conseguenze legali della costruzione di un muro nel Territorio Palestinese Occupato”. La Corte giudicò che l’attuale percorso del muro costituisce una grave ed enorme violazione del diritto internazionale. La prima reazione di Israele fu di attenzione e preoccupazione. A metà agosto 2004, il Procuratore generale Menachem Mazuz presentò al governo un rapporto che affermava:
“È difficile esagerare le conseguenze negative che la sentenza della Corte Internazionale avrà per Israele a molti livelli, anche su materie diverse dalla barriera di separazione. La decisione crea per Israele una realtà politica a livello internazionale che potrà essere usata per avviare azioni contro Israele nei tribunali internazionali, che potranno tradursi in sanzioni”.
Israele si affrettò a chiarire che il muro era una barriera di sicurezza temporanea, che in nessun modo avrebbe determinato dei fatti sul terreno. Ma nella situazione politica attuale, Israele dichiara che intende fare del muro il suo confine, e nessun governo europeo batte ciglio.
Ancora un anno fa, il mondo occidentale celebrava l’alba della democrazia in Medio oriente. In seguito alla scomparsa di Arafat, i palestinesi si impegnavano in una vera campagna elettorale. Hamas dichiarava la sua intenzione di partecipare alle elezioni e di passare dalla lotta armata alla resistenza politica. Si sarebbe potuto pensare che questo fosse visto come uno sviluppo positivo ed incoraggiante dopo anni di spargimento di sangue. In effetti, gli USA insistettero perché si tenessero le elezioni, nonostante le obiezioni di Israele. Ma, ahimè, i palestinesi hanno eletto il partito sbagliato.
Quanto sembra naturale al mondo occidentale che il popolo palestinese debba essere punito collettivamente per la sua errata comprensione della democrazia. Gli USA impongono, e l’Europa concorda, che siano tagliati tutti gli aiuti ai palestinesi, lasciandoli prossimi alla morte per fame, mentre le rimanenti infrastrutture e il sistema sanitario stanno crollando.
Tuttavia, gli ultimi anni non sono stati soltanto anni di vittoria per l’espansione di Israele. Per la prospettiva di lungo termine di mantenere l’occupazione del West Bank da parte di Israele, l’evacuazione degli insediamenti di Gaza è stata una sconfitta.
Una opinione prevalente negli ambienti critici è che Sharon decise di evacuare gli insediamenti di Gaza perché mantenerli era troppo costoso, ed egli decise di concentrare gli sforzi sul suo obiettivo centrale di tenere il West Bank ed espandere gli insediamenti. Ma, in realtà, non c’è alcuna vera prova di questo. Naturalmente, l’occupazione di Gaza è sempre stata costosa, ed anche dal punto di vista dei più oltranzisti espansionisti israeliani, Israele non ha bisogno di questo pezzo di terra, uno dei più densamente popolati del mondo e privo di qualsiasi risorsa.
Il problema è che non si può lasciare Gaza libera se si vuole tenere il West Bank. Un terzo dei palestinesi occupati vive nella Striscia di Gaza. Se gli viene data la libertà, diventeranno il centro della lotta palestinese per la liberazione, con libero accesso al mondo arabo e a quello occidentale. Per controllare il West Bank, Israele deve rimanere attaccato a Gaza. E, una volta chiarito che Gaza deve essere occupata e controllata, il precedente modello di occupazione era quello ottimale.
La Striscia era controllata all’interno dall’esercito, e gli insediamenti costituivano il sistema di supporto per l’esercito e la giustificazione morale per il brutale lavoro di occupazione dei soldati. Gli insediamenti rendono la loro presenza nel posto una missione di protezione della patria. Il controllo dall’esterno può essere meno costoso ma, a lungo termine, non ha garanzie di successo.
Inoltre, gli insediamenti di Gaza, proprio come gli insediamenti del West Bank, erano usati da Israele come la principale giustificazione per continuare a controllare i territori occupati. Dagli anni di Oslo, gli insediamenti erano concepiti, sia in sede locale che internazionale, come un tragico problema che, malgrado le buone intenzioni di Israele di porre termine all’occupazione, non poteva essere risolto. Questo utile mito è stato infranto con l’evacuazione degli insediamenti di Gaza, che ha dimostrato quanto è facile, in effetti, evacuare gli insediamenti e quanto grande è nella società israeliana il sostegno a farlo.
Ora non posso entrare nei particolari, ma nel mio libro L’heritage de Sharon [l’eredità di Sharon], sostengo che Sharon non ha evacuato gli insediamenti di Gaza di sua volontà, ma piuttosto è stato costretto a farlo. Sharon aveva improvvisato il suo piano di disimpegno come mezzo per guadagnare tempo, nel momento di massima pressione internazionale in seguito al sabotaggio da parte israeliana della ‘road map’ e alla costruzione del muro nel West Bank. Tuttavia, dall’inizio alla fine, ha cercato dei modi per sottrarsi al suo impegno, come aveva fatto prima con tutti gli impegni.
Questa volta però, è stato obbligato a portarlo effettivamente a compimento dall’amministrazione Bush. Benché sia stata tenuta interamente dietro le quinte, la pressione è stata molto pesante, includendo sanzioni militari. Il pretesto ufficiale delle sanzioni è stato la vendita di armi alla Cina da parte di Israele, ma, in precedenti occasioni, la crisi era staat superata non appena Israele accettava di cancellare l’accordo. Questa volta, le sanzioni furono più dure che in qualsiasi altra occasione e durarono fino alla firma dell’accordo nel novembre 2005.
La storia dell’evacuazione di Gaza dimostra che la pressione internazionale può costringere Israele a fare concessioni. Il motivo per cui gli Stati Uniti esercitarono una pressione su Israele, per la prima volta nella storia recente, è che in quel momento non era più possibile ignorare lo scontento mondiale circa la sua politica di cieco sostegno ad Israele; gli Stati Uniti dovettero cedere all’opinione pubblica internazionale.
Questo mostra anche i limiti del potere e della propaganda. Nonostante il silenzio che viene imposto alle critiche della politica israeliana nel discorso politico occidentale, l’impegno per la giustizia verso il popolo palestinese ha penetrato la coscienza globale. L’impegno inizia con la lotta del popolo palestinese, che ha resistito ad anni di brutale oppressione e attraverso la sopportazione, l’organizzazione e la resistenza quotidiane, è riuscito a tenere viva la causa palestinese, cosa che non tutte le nazioni oppresse sono riuscite a fare.
Oggi continua con la lotta internazionale: i movimenti di solidarietà che mandano i loro partecipanti nei territori occupati e organizzano presidi nei propri paesi, i professori che firmano petizioni per il boicottaggio sottoponendosi a molestie quotidiane, alcuni coraggiosi giornalisti che insistono nello scrivere la verità, contro la pressione dei media acquiescenti e delle lobby filo-israeliane. Spesso questa lotta sembra inutile. Tuttavia, ha penetrato la coscienza globale. È questa coscienza collettiva che alla fine ha costretto gli Stati Uniti a fare pressione su Israele per concessioni, benché limitate. La causa palestinese può essere messa a tacere per qualche tempo, come ora, ma tornerà ad emergere.

Traduzione di Diana Carminati e Gigi Viglino, Torino 9 maggio 2006
_________________
La verità, dal momento che me la impongono, non mi interessa.
Inviato il: 7/1/2009 13:27
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