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Il furto della memoria
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(da ComeDonChisciotte) http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=7896&mode=thread&order=0&thold=0

L'UNITA' D'ITALIA ? DA 150 ANNI GRONDA SANGUE DI TERRONI

DI STEFANO LORENZETTO
ilgiornale.it

Da direttore di Gente a paladino del Mezzogiorno col libro sui misfatti dei Savoia, Pino Aprile racconta come i 150 anni dell’Unità d’Italia grondino sangue dei terroni. A lui Al Bano al Festival di Sanremo dedica un inno, ma c’è chi lo minaccia di morte

La rappre­sentazione plastica di come sia impossibi­le mettere d’accordo polentoni e terroni l’ho avuta davanti al­la vetrina di una libre­ria di Verona. Sicco­me per la copertina del suo Terroni , edito da Piemme, Pino Apri­le ha scelto una silhouette capovolta dello Sti­vale, con la Sicilia a nord e la Campania a sud, una zelante commessa ha pensato bene di correggergliela esponendo il volume col tito­lo a rovescio. In un solo colpo la libraia ha così ristabilito il primato del planisfero, con­fermato il sottotitolo dell’opera ( Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud di­ventassero «meridionali» ) e ribadito senza volerlo la battuta di Marco Paolini riportata nelle pagine interne: «Quando non si vuole capire la storia, la si trasforma in geografia». Uscito dalla tipografia Mondadori prin­ting di Cles, Trento, Val di Non (a dimostra­zione che l’Italia unita almeno per gli editori è cosa fatta), Terroni è diventato nel giro di dieci mesi bestseller, oggetto di scontro, ma­nifesto dell’orgoglio sudista, testo sacro per i revisionisti del Mezzogiorno, strumento di lotta politica e ora persino brano del Festival di Sanremo: Al Bano, 67 anni, pugliese di Cel­lino San Marco, inserirà nel suo Cd l’inno Gloria, gloria scritto da Mimmo Cavallo e ispirato al saggio di Aprile, 60 anni, pugliese di Gioia del Colle.

Non basta. Terroni è l’edizione multime­diale per iPad, con foto, interviste e spezzoni dal film E li chiamarono briganti di Pasquale Squitieri, in uscita a febbraio. Terroni è lo spettacolo teatrale che andrà in scena il 21 marzo al Quirino di Roma, «per rispondere a Umberto Bossi e alla sua arroganza, per dire basta a questo massacro che dura da 150 an­ni », proclama dalle pagine di Facebook l’at­tore- regista Roberto D’Alessandro, cresciu­to alla scuola di Gigi Proietti. Terroni , insom­ma, è tifo da stadio: non a caso l’autore, pur avendo ormai perso il conto delle ristampe («almeno una ventina»),rivela d’averne ven­duto 150.000 copie, mentre su Wikipedia un biografo infervorato gliene attribuisce addi­rittura mezzo milione, il che, anche a voler considerare le brossure veicolate da Mondoli­bri e gli e­book scaricati da Internet, appare piuttosto esagerato.

Pino Aprile è stato vi­cedirettore di Oggi e poi direttore di Gente . Prima d’avere come tar­g­et fisso Carolina di Mo­naco («ho scoperto che era calva: scoop mon­diale »),s’era sempre oc­cupato di terrorismo e politica. Da pensionato pensava di dedicarsi al­la passione della sua vi­ta: il mare. Ha diretto il mensile Fare vela e ha scritto tre libri dai titoli sanamente monomani­acali: Il mare minore , A mari estremi e Mare, uo­mini, passioni . Poi gli è scappato Terroni ed è fi­nit­o nell’oceano in tem­pesta: «Ho accettato fi­nora quasi 200 presen­tazioni. Nel frattempo sono giunti all’editore altri 500 inviti. In teoria avrei l’agenda piena di appuntamenti sino alla primavera del 2012, se non ricevessi altre ri­chieste. Invece conti­nuano ad arrivarne. Mi chiamano anche al­l’estero. La prima tra­sferta è stata in Svezia, quindi Londra, Zuri­go, Manchester, New York... Sono distrutto».

Ma la invitano solo i circoli dei calabresi o anche quelli degli emigrati veneti?
«Università, centri di cultura, associazioni italiane, come la Dante Alighieri».

È il libro di saggistica che resiste da più mesi in classifica o sbaglio?
«Vero. Spero che mi venga perdonato».

Com’è nata l’idea di Terroni?
«Avevo delle domande, cercavo delle rispo­ste. Se davvero a fine Ottocento i meridiona­li erano poveri, arretrati e oppressi, perché mai reagirono contro i “liberatori” venuti dal Nord con una guerra civile durata a lun­go e successivamente con la fuga, emigran­do? Solo dopo molti anni ho pensato di far­ne un libro».

Ha ricevuto offese o minacce?
«Offese tante. Qualcuno mi chiede se non ho paura. E di che? Su Facebook un tale mi ha scritto: “Farai la fine di D’Antona”. Ho cer­cato di rintracciarlo, ma risultava inesisten­te. Del resto quella è una lavagna collettiva su cui compare di tutto: un estimatore mi ha dedicato lo slogan pubblicitario “Terroni, non ci sono paragoni”. È seccante la suppo­nenza di chi crede di sapere già tutto e non è nemmeno sfiorato dal dubbio».

Alla presentazione di Torino s’è quasi sfiorata la rissa. «Eravamo nella Sala dei Cinquecento, gli al­tri sono rimasti in piedi... Una persona ha in­veito contro Roberto Calderoli, che non era presente, per gli insulti rivolti dal ministro le­ghista ai napoletani. Gli interventi di Marcel­lo Sorgi, Massimo Nava e Pietrangelo Butta­fuoco sono filati via lisci. Quando ha comin­ciato a parlare Giordano Bruno Guerri, che ha scritto un libro sul brigantaggio postunita­rio, la stessa persona lo ha offeso. Lo storico è sceso dal palco per regolare i conti e il conte­statore s’è zittito. Meno male: Guerri discen­de dai pirati etruschi, ha profilo da pugile e mani da cavatore di ciocco».

Si può dire che Terro­ni abbia fatto venire al Sud la voglia di se­cessione che fino a ie­ri serpeggiava solo al Nord?
«No. È stato detto che Terroni incita i meridio­nali alla sollevazione. Fi­guriamoci! Il Mezzogior­no non ha voce: tutti i giornali nazionali, ec­cetto La Repubblica, si pubblicano al Nord e le tre reti televisive private sono di un editore lom­bardo che, da capo del governo, ha voce in capi­tolo pure in quelle pub­bliche. Per la legge di prossimità, la stampa trova più interessante il miagolio del gatto di ca­sa rispetto al ruggito del leone nella savana. Il Nord scopre che cosa sta accadendo dalle mie parti solo quando s’in­terroga sul successo di Terroni o del film Benve­nuti al Sud . Ma Terroni è il dito che indica la lu­na, non la luna. Ci sono libri che cambiano il cuore degli uomini. Mi spiace, il mio non è fra questi: sono nato di feb­braio e non ho avuto per padre putativo un mite falegname. La voglia di secessione del Sud ger­moglia come reazione agli insulti dei mini­stri del Nord. È meno forte e diffusa che in Lombardia o nel Veneto, ma cresce».

Quali sentimenti suscitano in lei i 150 an­ni dell’Unità d’Italia? «Di delusione, talvolta di disgusto. In quale Paese può restare in carica un ministro che ha trattato la bandiera nazionale come carta igienica? O un sindaco che ha marchiato con simboli di partito la scuola dei bambini? L’Italia unita era da fare, perché ogni volta che cade una frontiera gli uomini diventano più liberi, più ricchi, più sicuri, più felici. Ma non era da fare con una parte del Paese schie­­rata contro l’altra. La ricorrenza dei 150 anni poteva diventare l’occasione per fare onesta­mente una volta per tutte i conti con la sto­ria. Così non è».

Che cosa pensa dei Savoia?
«Si sono trovati al posto giusto nel momento giusto. Mentre un’esigua minoranza, non più dell’1-2 per cento della popolazione,era animata dal pio desiderio di unificare l’Ita­lia, loro ne avevano l’impellente necessità: strozzati dai debiti, potevano salvarsi solo con l’invasione e il saccheggio del Sud. Lo scrisse nel 1859 il deputato Pier Carlo Bog­gio, braccio destro di Cavour: “O la guerra o la bancarotta”. Fino al 1860, per ben 126 an­ni, i Borbone mai aumentarono le tasse. Nel Regno di Napoli erano le più basse di tutti gli Stati preunitari».

Bruno Vespa mi ha confessato la sua sor­presa nello scoprire solo di recente che nel regno borbonico le imposte erano soltanto cinque, contro le 22 introdotte dai Savoia.
«I soldi del Sud ripianarono il buco del Nord. Al tesoro circolante dell’Italiaunita,il Regno delle Due Sicilie contribuì per il 60 per cento, la Lombardia per l’1 virgola qualcosa, il Pie­monte per il 4. Negli Sta­ti via via annessi all’Ita­lia nascente, appena ar­rivavano i piemontesi spariva la cassa».

E di Giuseppe Garibal­di che cosa pensa?
«Romantico avventurie­ro, di idee forti, sempli­ci, a volte confuse, ma più onesto di altri nel de­nunciare, solo a cose fat­te però, le stragi e le rapi­n­e compiute nel Mezzo­giorno. Qualche proble­ma di salute, per l’artro­si che gli rendeva dolo­roso cavalcare: a Napoli arrivò in treno. Qualche disavventura familiare: la giovane sposa incinta di un altro. Qualche pa­gina oscura nel suo pas­sato sudamericano: la tratta degli schiavi dalla Cina al Perù. Ne hanno fatto un santino. Ma va bene così, ogni nazione ha bisogno dei suoi miti fondanti. Basta sapere chi erano veramente».

E di Camillo Benso conte di Cavour che cosa pensa?
«Grande giocatore, spe­cie nell’imprevisto. Non voleva la conquista del Regno delle Due Sicilie: gli bastavano il Lombar­do- Veneto e i Ducati. Già la Toscana gli pare­va in più. Ma quando l’avventura meridiona­le ebbe inizio, in breve la fece propria, persuase il re, neutralizzò Ga­ribaldi, ammansì chi si opponeva. Qualche suo vizietto sarebbe stato da galera. Come molti padri del Risorgimento, non mise mai piede al Sud: lo conosceva per sentito dire».

La peggiore figura del Risorgimento?
«Il generale Enrico Cialdini, poi deputato e senatore del Regno. Un macellaio che mena­va vanto del numero di meridionali fucilati, delle centinaia di case incendiate, dei paesi rasi al suolo. Prima di diventare eroe pluride­corato del Risorgimento, fu mercenario nel­la Legione straniera in Portogallo e Spagna. Uccideva i suoi simili a pagamento».

Quali sono gli episodi risorgimentali più rivoltanti,che l’hanno fatta ricredere sul­la sua italianità?
«Non si può smettere di essere italiani. Però mi sono dovuto ricredere circa il racconto bello e glorioso sulla nascita del mio Paese che avevo imparato a scuola. Da adolescente fremi d’indignazione per gli indiani stermi­nati sul Sand Creek e da grande scopri che i fratelli d’Italia nel Meridione fecero di peg­gio. La mitologia risorgimentale cominciò a vacillare quando lessi La conquista del Sud di Carlo Alianello. Vi si narrava la storia di una donna violentata e lasciata morire da 18 bersaglieri, che già le avevano ammazzato il marito. Il figlioletto che assistette alla scena, divenuto adolescente,si vantava d’aver ucci­so per vendetta 18 soldati di re Vittorio Ema­nuele a Custoza. Poi il massacro di Pontelan­dolfo e Casalduni, 5.000 abitanti il primo, 3.000 il secondo, due delle decine di paesi di­­strutti, con libertà di stupro e di saccheggio lasciata dal Cialdini ai suoi soldati, fucilazio­ni di massa, torture, le abitazioni date alle fiamme con la gente all’interno. E le migliaia di meridionali squagliati nella calce viva a Fe­­nestrelle, una fortezza-lager a una settantina di chilometri da Torino, a 1.200 metri di quota, battuta da venti gelidi, dove la vita media degli internati non superava i tre mesi. Per garantire ulteriore tormento ai pri­gionieri, erano state di­velte le finestre dei dor­mitori. Viva l’Italia!».

Gianfranco Miglio, ideologo della Lega, mi confidò che era an­cora terrorizzato da certe storie atroci udi­te da bambino, quan­do il nonno gli rac­contava che, giovane bersagliere in Cala­bria, aveva trovato un suo commilitone crocifisso su un ter­mitaio dai briganti.
«Le ha anche racconta­to che cos’aveva fatto quel bersagliere? Era in un Paese invaso senza manco la dichiarazione di guerra. Maria Izzo, la più bella di Pontelan­dolfo, fu legata nuda a un albero, con le gambe divaricate, stuprata a turno dai bersaglieri e poi finita con una baio­nettata nella pancia. A Palermo uccisero sotto tortura un muto dalla nascita perché si rifiuta­va di parlare. Riferirono in Parlamento d’aver fucilato, in un anno, 15.600 meridionali: uno ogni 14 minuti, per die­ci ore al giorno, 365 giorni su 365. Ma il conto delle vittime viene prudentemente stimato in almeno 100.000 da Giordano Bruno Guer­ri. Altri calcoli arrivano a diverse centinaia di migliaia. La Civiltà Cattolica , rivista dei gesuiti, nel 1861 scrisse che furono oltre un milione. La cifra vera non si saprà mai».

Da Terroni :«“Ottentotti”, “irochesi”, “be­duini”, “peggio che Affrica”, “degenera­ti”, “ritardati”, “selvaggi”, “degradati”: così i meridionali vennero definiti, e de­scritti con tratti animaleschi, dai fratelli del Nord scesi a liberarli». Io sono vene­to. Ha idea di quante ce ne hanno dette e ce ne dicono? Razzisti, analfabeti, beoti, ubriaconi, bestemmiatori, evasori fisca­li, sfruttatori di clandestini. Non crede che se cominciamo a tenere questo gene­re di contabilità, non la finiamo più?
«Devono finirla i Bossi, i Calderoli, i Borghe­zio, i Salvini, i Brunetta. Quella degradazio­ne dei meridionali ad animali preparò e giu­stificò il genocidio. Ricordo le parole di un intellettuale di Sarajevo: “Non è stato il fra­casso dei cannoni a uccidere la Jugoslavia. È stato il silenzio. Il silenzio sul linguaggio del­la violenza, prima che sulla violenza”. Un mi­nistro della Repubblica ha minacciato il ri­corso ai fucili. In Italia, adesso. Non a Sa­rajevo, allora».

Lei scrive che Luigi Federico Menabrea, presidente del Consiglio dei ministri del Regno, nel 1868 voleva deportare in Pata­gonia i meridionali sospettati di brigan­taggio. Che cosa dovrebbero dire i veneti deportati per davvero da Benito Mussoli­ni n­elle malariche paludi pontine per bo­nificarle?
«Menabrea voleva deportare i meridionali per sterminarli. I veneti nelle paludi pontine non furono deportati: ebbero lavoro, casa, terra risanata con i soldi di tutti e a danno di quelli che vi morivano di malaria da secoli per trarne pane. Ma vediamo il lato positivo: fra poveri s’incontrarono.E dove il sangue si mischia, nasce la bellezza. La provincia oggi chiamata Latina ha dato all’Italia la più alta concentrazione di miss da calendario per chilometro quadrato. E pure Santa Maria Goretti, che si fece uccidere per difendere la propria femminilità».

Scrive anche: «La Calabria non appartie­ne, geologicamente, al Mezzogiorno, ma al sistema alpino: si staccò con la Corsica dalla regione ligure-provenzale e migrò, sino a incastrarsi fra Sicilia e Pollino». Recrimina persino sull’orografia?
«O è un modo per dire che a Sud vogliono venirci tutti?».

Si dilunga sul caso di Mongiana, che in effetti è impressionante. Però che cosa dimostra? Da Nord a Sud, ogni distretto industriale piange i suoi dinosauri.
«Mongiana, in Calabria, era la capitale side­rurgica d’Italia e oggi contende alla confinan­te Nardodipace lo scomodo primato di Co­mune più povero d’Italia. I mongianesi, sra­dicati dal loro paese, si sono trovati a lavora­re nelle fonderie del Bresciano: 150 famiglie, circa 500 persone, solo a Lumezzane, che è ormai la vera Mongiana. Dove prima 1.500 operai e tecnici siderurgici specializzati ren­devano autosufficiente l’industria pesante del Regno delle Due Sicilie, adesso non è ri­masto neppure un fabbro. Il più ricco distret­to minerario della penisola fu soppresso dal governo unitario per un grave difetto struttu­rale: si trovava nel posto sbagliato, nel Meri­dione. Il Sud non doveva far concorrenza al Nord nella produzione di merci. E questo fu imposto con le armi e una legislazione squili­brata a danno del Mezzogiorno. La vicenda di Mongiana è esemplare, nell’impossibilità di raccontare tutto. Ma accadde la stessa co­sa con la cantieristica navale, l’industria fer­roviaria, l’agricoltura».

In occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, la città di Gaeta vuol chiedere un risarcimento per l’assedio savoiardo del 1861: 500 milioni di euro. Mi ricorda il Veneto, che pretende i danni di guerra dalla Francia per il saccheggio napoleo­nico del 1797: 1.033 miliardi di euro.
«C’è una differenza: al risarcimento di Gae­ta s’impegnò il luogotenente, principe di Ca­rignano, in nome del quale il generale Cialdi­ni, responsabile di quelle macerie, garantì per iscritto: “Il Governo di Sua Maestà prov­v­ederà all’equo e maggiore possibile risarci­mento”. Quando gli amministratori comu­nali andarono per riscuotere, il nuovo luogo­tenente, Luigi Farini, già distintosi con mo­glie e figlia nel patriottico furto dell’argente­ria dei duchi di Parma, consigliò loro di rivol­gersi “alla carità nazionale”».

Lei è arrivato al punto da dichiarare che Giulio Tremonti ruba al Sud per dare al Nord. Forse dimentica che il Veneto ha solo 225 dirigenti regionali mentre la Si­cilia ne ha 2.150. L’855 per cento in più. Che si aggiungono ai 100.000 dipendenti ordinari. Allora le chiedo: chi ruba a chi, se non altro lo stipendio?
«I fondi per le aree sottoutilizzate sono, per legge, all’85 per cento del Sud, e invece sono stati abbondantemente spesi al Nord. I 3,5 miliardi di euro con cui è stata abbuonata l’Ici a tutt’Italia erano quelli destinati alle strade dissestate di Calabria e Sicilia. I citta­dini della Val d’Aosta spendono il 10.195 per cento in più della Lombardia, pro capite, per i dipendenti regionali. Ma è una ragione a statuto speciale, si obietta. Giusto. Pure la Sicilia lo è. Il che non assolve né l’una né l’al­tra. Ma il paragone si fa sempre con l’altra».

Il sociologo Luca Ricolfi in Il sacco del Nord documenta che ogni anno 50 miliar­di­di euro lasciano le regioni settentriona­li diretti al Sud. E lei me lo chiama furto?
«Intanto i conti andrebbero fatti sui 150 an­ni. E poi lo stesso Ricolfi spiega che quei dati, valutati diversamente, portano a conclusio­ni diametralmente opposte. Non tutti sono d’accordo sul metodo scelto da Ricolfi. Va­da a farsi due chiacchiere col professor Gian­franco Viesti, bocconiano che insegna politi­ca economica all’Università di Bari».

S’ode a destra uno squillo di tromba: Ter­roni. A sinistra risponde uno squillo: Vi­va l’Italia! di Aldo Cazzullo. Che l’ha ac­cusata d’aver paragonato i piemontesi ai nazisti solo per vendere più copie.
«Incapace di tanta eleganza, a Cazzullo con­fesso che scrivo nella speranza di essere let­to. E non capisco perché il suo editore spen­da tanti soldi per pubblicizzare Viva l’Italia! se lo scopo è quello di non vendere copie. Il mio libro s’è imposto col passaparola».

Non nominare il nome di Marzabotto in­vano, le ha ricordato Cazzullo.
«Che differenza c’è fra Pontelandolfo e Marzabotto? Mettiamola così: il mio edito­re ha nascosto l’esistenza di Terroni , l’edi­tore di Cazzullo ha fatto il contrario. Nessu­no dei due ha ottenuto il risultato sperato».

Anche Ernesto Galli della Loggia e Fran­cesco Merlo hanno maltrattato il suo pamphlet.
«Libera critica in libero Stato: non si può pia­cere a tutti. A me piace non piacere a Galli della Loggia, per esempio. Prima ha parlato di “fantasiose ricostruzioni”. Poi, al pari di Merlo e di qualche altro, ha obiettato che le stragi risorgimentali nel Sud erano note e da considerarsi “normali” in tempo di guerra. A parte che a scuola tuttora non vengono stu­diate, allora scusiamoci con i criminali nazi­sti Herbert Kappler e Walter Reder per l’in­giusta detenzione; critichiamo gli Stati Uniti che hanno inflitto l’ergastolo all’ufficiale americano responsabile dell’eccidio di My Lai in Vietnam; chiediamoci perché si con­danni il massacro dei curdi a opera di Sad­dam Hussein. Insomma, solo l’uccisione in massa dei meridionali è “normale”?».

Sergio Romano sul Corriere della Sera s’è dichiarato infasti­dito dai «lettori meri­dionali che deplora­no i soprusi dei pie­montesi, l’arroganza del Nord, il sacco del Sud, e rimpiangono una specie di età del­l’oro durante la qua­le i Borbone di Napoli avrebbero fatto del lo­ro regno un modello di equità sociale e svi­luppo economico». E vi ha ricordato che, per unanime consen­so­dell’Europa d’allo­ra, «il Regno delle Due Sicilie era uno degli Stati peggio go­vernati da una aristo­crazia retriva, pater­nalista e bigotta».
«Senta, foss’anche tutto vero, e non lo è, questo giustifica invasione, sac­cheggio e strage? Mi pa­re la tipica autoassolu­zione del colonizzatore: ti distruggo e ti derubo, però lo faccio per il tuo bene, neh? Infatti, l’Ita­lia riconoscente depo­ne ogni anno una coro­na d’alloro dinanzi alla lapide che ricorda il co­lonnello vicentino Pier Eleonoro Negri, il carne­fice di Pontelandolfo e Casalduni, e nega ai pae­si ridotti in cenere - ri­masero in piedi solo tre case - persino il rispetto per la memoria».

Lei ha fatto il servizio militare?
«Arruolato, C4 rosso, se non ricordo male: mi dissero che, se fosse scoppiata la guerra, sarei finito in ufficio. I miei polmoni non da­vano affidamento: postumi di Tbc e quattro pacchetti di Gauloises al giorno».

Se scoppiasse una guerra, difenderebbe l’Italia o no?
«Oh, ma che domande sono? Lo chieda a Bos­si e a Calderoli! Io sono un italiano che preten­de la verità critica su com’è nato il suo Paese e la fine della sperequazione e degli insulti a danno del Sud. La questione meridionale non esisteva 150 anni fa, il Consiglio naziona­le delle ricerche ha dimostrato che prodotto lordo e pro capite erano uguali al Nord e al Sud. I meridionali, con un terzo della popola­zione, diedero circa la metà dei caduti nelle trincee della prima guerra mondiale».

Silvius Magnago, lo storico leader della Svp, mi disse: «La patria è quella cui si sente di appartenere con il cuore. La mia Heimat è il Tirolo. Heimat, terra natia. Voi italiani non possedete questo concet­to. Non potete capire». Che cosa signifi­ca patria per lei? E qual è la sua Heimat?
«Lo dico nell’esergo del mio libro, con paro­le rubate allo scrittore francese Emmanuel Roblès: patria è “là do­ve vuoi vivere senza su­bire né infliggere umi­liazione” ».

Sarebbe favorevole a un’Italia divisa in cantoni, come la Sviz­zera?
«No. Una frontiera non migliora gli uomini. Al più, può peggiorarli. Ma se la Lega, dopo vent’anni di strappi, re­cidesse l’ultimo filo che tiene ancora unito il Pa­ese, un attimo prima il Sud dovrebbe andarse­ne, contrattando l’usci­ta, per evitare di essere derubato di nuovo».

Su quali basi andreb­be­rifatta l’Unità d’Ita­lia?
«Eque. La forma garanti­sce poco la sostanza: va­da a spiegare ai giovani che la nostra è una Re­pubblica fondata sul la­voro. O che la legge è uguale per tutti. O che le Ferrovie dello Stato assi­curano il servizio in tut­to il Paese: Matera, ame­na località europea, è ignota alle Fs, lì il treno non è mai arrivato».

Fosse lei il presiden­te del Consiglio, che farebbe per ripulire Napoli dai rifiuti?
«Nominerei commissa­rio Vincenzo Cenname, il sindaco che ha fatto di Camigliano, provincia di Caserta, un esempio virtuoso nello smalti­mento, grazie alla raccolta differenziata che copre il 65 per cento del totale. Cenname s’è rifiutato di affidarne la gestione a un ente pro­vinciale, la cui inefficienza è testimoniata dalle immondizie che vengono lasciate nel­le strade per scoraggiare la raccolta differen­ziata a favore degli inceneritori. Per questo Cenname è stato rimosso dal prefetto, quasi fosse a capo d’una Giunta camorrista».

Siamo alla domanda delle cento pistole: i terroni hanno voglia di lavorare sì o no?
«Capisco che la domanda lei deve porla e im­magino che le costi dar voce agli imbecilli. Se fossi maleducato, risponderei: ma mi faccia il piacere! Non lo sono e quindi rispondo: quei 5 milioni di meridionali che stanno nel­le fabbriche del Nord, dall’abruzzese Sergio Marchionne in giù, come li vede? Sfaticati? Quei 20 milioni di emigrati nel mondo, che per la prima volta nella loro storia millenaria presero la via dell’esilio volontario dopo i di­sastri dell’Unità d’Italia, sono andati altrove a far nulla? La mia regione fu l’unica in cui per l’aridità della terra fallì il sistema di pro­duzione dell’impero romano, imperniato sulla villa. Ebbene di quei deserta Apuliae , de­serti di Puglia, la mia gente nel corso dei seco­­li, col sudore della fronte, ha fatto un giardi­no, rubando l’umidità alla notte con i muretti di pietra e piantando 60 milioni di ulivi. Mica co­me Bossi, che non ha la­vorato un giorno in vita sua. Anzi, sa che le dico, senza offesa, eh? Ma mi faccia il piacere!».

Il 52 per cento della popolazione di Terzi­gno, provincia di Na­poli, campa a carico dell’Inps. Sarà mica colpa dell’Inps? «Se mi togli tutto, mi at­tacco a quello che c’è. Assistenza? Assistenza! Non mi piace, ma non ho altra scelta. A Parma, 170.000 abitanti, il mini­stero ha deciso di eroga­re lo stesso i soldi per la metropolitana progetta­ta per 24 milioni di uten­ti, poi ridotti a 8, infine abbandonata, per ver­gogna, spero, nonostan­te lo studio costato 30 milioni di euro. È la città della Parmalat, la peg­gior truffa di tutti i tem­pi. Però la truffa del fal­so invalido scandalizza maggiormente. Be’, a me le truffe danno fasti­dio tutte. Quella del po­vero la capisco di più».

La metà delle cause contro l’Inps si con­centra in sei città del Sud: Foggia, Napoli, Bari, Roma, Lecce e Taranto. A Foggia è pendente circail 15 per cento dell’intero contenzioso nazionale dell’istituto. Tut­ti i 46.000 braccianti iscritti alle liste di Foggia hanno fatto causa all’Inps. Dipen­derà mica dai Savoia.
«Per quanto possa sborsare l’Inps da Terzi­gno a Lecce, non si arriverà mai ai miliardi di euro che ci costano le multe pagate per colpa degli allevatori padani disonesti, grandi elet­tori della Lega. O assolviamo tutti, ed è sba­gliato, o condanniamo quelli che lo merita­no. Con una differenza: la truffa delle quote latte è già accertata. Aspettiamo di vedere co­me finiscono i procedimenti contro l’Inps».

C’è poco da aspettare: a Foggia, su 122.000 cause presentate, 25.000 sono state spontaneamente ritirate dagli avvo­cati. Erano state avviate per lo più a no­me di persone morte o inesistenti.
«Ma non è detto che tutte le altre siano im­motivate. Ripeto: aspettiamo».

Non sarà che lei mi diventa il Bossi del Sud?
«Già l’accostamento è offensivo. Io non giu­dico il mio prossimo dalla latitudine e ho sempre lavorato; né ho festeggiato tre volte la laurea, senza mai prenderla. Mi hanno of­­ferto candidature, ma ho ringraziato e rifiu­tato, perché inadatto: sono incensurato, ho pagato la casa con i miei soldi e voglio mori­re giornalista».

Eppure Giordano Bruno Guerri ha scrit­to che Terroni è sostenuto da piccoli ma combattivi gruppi neoborbonici e dal Partito del Sud di Antonio Ciano, assesso­re a Gaeta, e potrebbe diventare il testo sacro di una futura Lega meridionale, contrapposta a quella di Bossi.
«Il libro, una volta uscito, va per la sua stra­da, come i figli. Non puoi dirgli tu dove anda­re. Terroni non è sostenuto: è letto. E chi lo legge ne fa l’uso che vuole, a patto di non attribuirlo a me. Stimo Ciano e seguo con attenzione il Partito del Sud, i Neoborboni­ci, l’Mpa del governatore siciliano Raffaele Lombardo, l’associazione Io resto in Cala­bria di Pippo Callipo, il movimento Io Sud di Adriana Poli Bortone. Ma resto un osservato­re interessato ed esterno. Ero anche amico di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ucci­so dalla camorra con nove colpi di pistola. Ricordo i suoi funerali, con quei fogli tutti uguali attaccati alle saracinesche dei negozi chiusi e ai portoni delle case: “Angelo,il pae­se muore con te”. Oggi per fortuna Pollica va avanti nel suo nome. In una ventina d’anni da sindaco, Angelo aveva arricchito tutti, senza distruggere niente del territorio, vero capitale del paese. Ammiravo il suo corag­gio, la sua fantasia, la sua capacità di trasfor­mare le idee in fatti. Ho pianto accompa­gnandolo al cimitero. Se avesse potuto ve­dermi, si sarebbe messo a ridere».

Per chi vota?
«La prima volta votai Dc per ingenuità, su consiglio d’un amico. Delusione feroce. Poi a sinistra, senza mai avere un partito, cosa che ritengo incompatibile col giornalismo. Infine quasi stabilmente per i repubblicani di La Malfa, padre, ov­viamente. Alle prossi­me elezioni forse non vo­terò, anche se so di fare un regalo ai peggiori».

Non mi pare che la si­nistra, con l’unico presidente del Consi­glio originario di Gal­lipoli, abbia migliora­to la condizione del Sud.
«Massimo D’Alema ha il collegio elettorale a Gallipoli e la moglie pu­gliese. Ma è romano. E poi, ripeto, l’essere di qui o di là non significa nulla. Il meridionali­smo è una dottrina solo italiana, nel mondo. È stata praticata da uomi­ni eccelsi per cultura e moralità,ma è un’inven­zione di italiani del Nord, specie lombardi. Solo dopo una genera­zione sono sorti i meri­dionalisti meridionali. Che mi frega di dove sei? Fammi vedere cosa fai!».

Lei lamenta l’invasio­ne burocratica pie­montese del Meridio­ne, però Mario Cervi le ha ricordato che og­gi il Sud amministra col proprio persona­le la macchina buro­cratica e giudiziaria dello Stato nell’Italia intera. E i risultati non sono brillanti. «Tutti, ma proprio tutti gli enti, le banche, le aziende pubbliche o parapubbliche d’Italia sono in mano a settentrionali, in particolare lombardi, a parte un napoletano e tre roma­ni. Vuol dire che se cotanti capi non riesco­no a raggiungere buoni risultati la colpa è dei sottoposti? Se si vince è bravo il generale e se si perde sono cattivi i soldati? Quando dirigevo un giornale, la mia regola era: chiunque abbia sbagliato, la colpa è mia».

Stefano Lorenzetto
Fonte: www.ilgiornale.it/
Link; http://www.ilgiornale.it/interni/lunita_ditalia_da_150_anni_gronda_sangue_terroni/23-01-2011/articolo-id=501205-page=0-comments=1
23.01.0211b
Inviato il: 24/1/2011 15:26
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  •  Notturno
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Re: Il furto della memoria
#2
Dubito ormai di tutto
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Pensate se queste stesse cose le avessero fatte gli israeliani ai palestinesi.

Questo post brulicava di indignati a tempo pieno....

E invece c'è il deserto.

Strano, perché queste sono cose che ci riguardano direttamente e un pelino più da vicino.

Non solo e non tanto per le cose commesse 150 anni fa.

Ma per quello che stanno facendo OGGI a noi e ai nostri figli, nascondendoci ogni fatto, azione, evento accaduti, con l'effetto che si crea terreno fertile per i leghisti, gli egoisti, gli opportunisti e tutti gli "isti" del mondo.

Nelle scuole continuiamo a leggere le eroiche gesta di Vittorio Emanuele II (Il "Re Galantuomo"), dell'EroeDeiDueMondi e dei suoi "Mille", della "liberazione" del sud Italia ad opera di idealisti generosi, corsi in soccorso dei "vessati": "Non resteremo insensibili al grido di dolore che si leva da tante parti d'Italia!!!" (evvai con le cazzate!).

Se leggete i commenti a questo articolo, nel sito ComeDonChisciotte, troverete alcuni (immagino che abitino al nord Italia) che reagiscono "da manuale", e tirano fuori argomenti tipo: "Qui al nord non esiste più un solo impiegato pubblico che non sia terrone", come se questo avesse un qualche senso logico, sia in questo argomento che altrove.

Questo modo di pensare è l'esatta conseguenza di questa mistificazione della storia.

Un signore si sente sereno e tranquillo nell'affermare che "Il nord (in buona sostanza) è stato INVASO dai terroni".

Capito?

E questo non urta nessuno di voi.

E questo non vi fa scattare nessuna molla, nessuna indignazione, nessun desiderio di condanna dell'operato.

Ma neanche nessuna voglia di approfondire i fatti?

C'è la reale, concreta possibilità che (non a mille miglia di distanza, ma QUI, A CASA NOSTRA) siano state commesse stragi da far impallidire la Bosnia e Sabra e Chatila messe assieme.

E che tutto questo abbia contribuito a creare lo Stato come lo conosciamo oggi (falso, aggressore anzicché tutore del suo cittadino), vessatore del debole.

Il tesoro del Banco di Napoli (tanto oro quanto e più di TUTTI GLI ALTRI REGNI ITALIANI dell'epoca) è finito in parte in tasca a Cavour e in parte ha creato la Banca d'Italia PRIVATA.

E a nessuno salta la mosca al naso?

Quanti cazzo di post abbiamo letto sulla moneta e sul signoraggio? Migliaia, proprio qui, vero?

Beh, sarebbe stato utile parlarne con questo dato in piu', no?

Pare di no.

Pare proprio di no.

E mi chiedo perché.

Perché persino qui, dove ci si affanna a scoprire complotti e ingiustizie ovunque, queste cose possano passare sotto silenzio.

Silenzio? Peggio.... indifferenza assoluta.
Inviato il: 25/1/2011 9:35
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Re: Il furto della memoria
#3
Sono certo di non sapere
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Da Asia
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Pensate se queste stesse cose le avessero fatte gli israeliani ai palestinesi. Questo post brulicava di indignati a tempo pieno.... E invece c'è il deserto. Strano, perché queste sono cose che ci riguardano direttamente e un pelino più da vicino.

Credo che sia giusto il tuo ragionamento, ma questo libro non aggiunge nulla a quello che gia' si sa, cioe' che i libri di storia sono scritti dai vincitori.

Esempi come quello denunciato da Aprile, ne abbiamo a tutte le latitudini e in tutte le epoche.

Quando si capisce che i libri di storia sono scritti dalla massoneria, che TUTTI i personaggi storici citati come eroi, o fini pensatori e politici, o rivoluzionari vari erano appartenenti a questa organizzazione, che tutte le "rivoluzioni" e i "cambiamenti epocali' hanno come UNICO filo conduttore il denaro ed il potere, non ci si puo' stupire delle verita' storiche riportate da Aprile.

Chi considera i meridionali come terroni o peggio scimmie, non cambiera' idea leggendo questo libro, chi li considera come persone avra' qualche informazione in piu' a supporto delle sue convinzioni ma chi ha approfondito gli avvenimenti storici e quale sia i filo rosso che lega gli eventi, non puo' stupirsi per queste rivelazioni.

Che sia forse e' per questo che questo forum non abbia molti commenti?
Molti non saprebbero esprimere altro che banalita' e sconcerto, non aggiungendo nessun elemento a questo quadro.

Un saluto
Inviato il: 25/1/2011 10:03
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  •  Notturno
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Re: Il furto della memoria
#4
Dubito ormai di tutto
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Ciao Incredulo.

Avevo pensato anche io, come te, che il silenzio fosse frutto di "consapevolezza".

Come a dire: "Tutta roba già saputa, che ne parliamo a fa'...."

Per alcuni forse è così, non saprei.

Se così fosse, purtuttavia, non si capisce perché le stesse persone che qui tacciono, esplodono in (giuste!!!) invettive nei post che riguardano Israele e tante altre situazioni simili.

Seguendo quella logica (tua, ma anche mia) non si avrebbero reazioni nemmeno per l'11.9. Troppo facile applicare la stessa logica, dare una scrollatina di spalle e proseguire la propria giornata come se niente fosse.

Ma io sospetto che il motivo sia un altro: il senso di colpa.

Forse (e dico FORSE!) scoprire che i nostri nonni erano bastardi tanto quanto gli israeliani o quelle jene della bosnia è troppo. Ci ammutolisce.

Ho la sensazione che questo argomento ingeneri disagio e fastidio.

Ho l'impressione che molti, al nord, ma anche al sud, avevano trovato un proprio equilibrio, interpretando la vita sulla base di quelle nozioni storiche ammanniteci a scuola.

E oggi, scoprire che tutto quel che credevamo di sapere E' FALSO (sempre con il "forse" in mezzo) ci destabilizza.

Pino Aprile non lo dice chiaramente in questo stesso mio modo.

Però annota la reazione delle persone a cui parlava prima di scrivere il libro, via via che scopriva le atrocità commesse.

Le stesse reazioni che annoto io quando ne parlo ai miei amici (e anche in parte qui su questo forum): stupore, incredulità all'inizio. Poi via via lo sguardo cambia, gli occhi si abbassano, e infine giunge il fastidio, il rifiuto di parlarne, il rifiuto di affrontare la questione.

Forse è facile addebitare le peggiori ignominie a qualcuno che vive a 2000 km da te e da tutto il tuo mondo.

Diventa un po' come un Risiko, in cui gli "altri" sono sempre i cattivi.

Qui non puoi fare questo stesso gioco.

Perché gli "altri" siamo "noi".

Quel che tu dici è giusto: il Potere mente.

Quel che invece è sbagliato è accogliere la menzogna senza reazione, senza indignazione, senza scandalo.

Siamo noi che creiamo il nostro futuro e quello dei nostri figli.

Se continueremo così, sarà sempre più nero.

Non posso accettare quel che vedo in tv.

Non posso tacere mentre un ex-partigiano, che oggi brilla per il suo sopore, mentre attorno tutto si squaglia, promuova i "festeggiamenti" per il centocinquantenario.

Di che cosa?

Di cosa dovrei esser lieto?

Cosa dovrei festeggiare?

Perché mi sento solo in questa mia indignazione?

Apprezzo davvero il tuo intervento, Incredulo. Non lo dico per affettazione, ma in tutta sincerità.

Ma non lenisce il mio cruccio.
Inviato il: 25/1/2011 10:28
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Re: Il furto della memoria
#5
Sono certo di non sapere
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@ Notturno:
il libro di Aprile lo avevo segnalato già mesi fa ed effettivamente
nessuno mi si è filato.
E' un vecchio e noto riflesso condizionato, lo stesso su cui poggia
il 911 e la narrazione filoisraeliana.
Nessuno ama ammettere che il proprio paese debba la propria nascita
a un grande mattatoio o che il proprio governo sia costituito da criminali
in doppio petto.
Mostrare che il Re è Nudo a chi si gira dall'altra parte per non vedere è
cosa assai dura...
Inviato il: 25/1/2011 12:23
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Re: Il furto della memoria
#6
Sono certo di non sapere
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Intanto la Gelmini prepara l'università del futuro, eliminando dalla
ricerca le facoltà umanistiche e quindi anche la storia e facendo in
modo che i finanziamenti futuri vadano solo alle università del nord.
E' questo il federalismo che vogliono, una replica dello Stato sabaudo
massacratore, uno Stato in cui il Sud serva solo da riserva di manodopera
e come alimentatore di finanza criminale che poi verrà gestita a Milano
per produrre ricchezza nel Nordest.
http://www.repubblica.it/scuola/2011/01/25/news/universit_senza_umanisti-11623683/?ref=HREC1-6
Inviato il: 25/1/2011 12:37
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Re: Il furto della memoria
#7
Sono certo di non sapere
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Da Asia
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Se così fosse, purtuttavia, non si capisce perché le stesse persone che qui tacciono, esplodono in (giuste!!!) invettive nei post che riguardano Israele e tante altre situazioni simili. Seguendo quella logica (tua, ma anche mia) non si avrebbero reazioni nemmeno per l'11.9. Troppo facile applicare la stessa logica, dare una scrollatina di spalle e proseguire la propria giornata come se niente fosse.

Ciao Notturno, secondo il mio parere, le persone si sentono piu' coinvolte in avvenimenti contemporanei, avvenimenti che vivono in prima persona, come l'11 settembre oppure le porcate attuali effettuate ai danni di popolazioni ed etnie diverse.

C'e' l'illusione che interessandosi di questi avvenimenti, essendone spettatori, si possa anche esserne protagonisti, quindi le denunce e l'indignazione su avvenimenti attuali che contribuiscono almeno ad informare soggetti che non lo sono, contribuiscono ad alzare il livello di consapevolezza offrendo altre capacita' di analisi.

Purtroppo o per fortuna gi avvenimenti passati non si possono modificare, ricordiamoci che noi ci immedesimiamo negli avvenimenti della nostra vita e tendiamo a scordarci del passato, lo stesso meccanismo si applica agli avvenimenti storici.

Aggiungiamo il sentire comune, che tende a macinare e consumare tutto molto rapidamente, oggi un oggetto di 6 mesi e' gia' percepito come vecchio e superato e avrai il quadro attuale con il perche' questo accada.

Lo sconforto che provi e' comprensibile ma, su questo tema la reazione piu' comune ( ricordiamoci che il senso comune e' il metro della consapevolezza di un popolo) e' quella che recita " quel che e' stato e' stato scordiamoci il passato e pensiamo al "futuro"

Non so se esista quel senso di colpa che intravedi tu, non abbiamo bisogno di scoprire che i nostri avi sono stati figli di puttana e neanche di sapere che questa gente e' ancora ben rappresentata, penso piuttosto a un sentimento piu' vicino all'analisi di Audisio cioe' che le persone preferiscono non vedere, non RIVEDERE le proprie certezze, anche tra coloro che si sentono superiori alla massa perche' LORO SANNO ed il popolo bue ignora.

Personalmente l'analisi di Pino Aprile mi lascia confuso.

Credo sia assolutamente vera, ma qualcosa dentro di me si allarma sempre quando una analisi cosi' rivoluzionaria trova enorme spazio nell'informazione, per cui sospendo il giudizio e aspetto, gli avvenimenti futuri mi daranno piu' elementi per inquadrarlo meglio.

Un saluto
Inviato il: 25/1/2011 12:53
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Re: Il furto della memoria
#8
Dubito ormai di tutto
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Citazione:

Personalmente l'analisi di Pino Aprile mi lascia confuso.

Credo sia assolutamente vera, ma qualcosa dentro di me si allarma sempre quando una analisi cosi' rivoluzionaria trova enorme spazio nell'informazione, per cui sospendo il giudizio e aspetto, gli avvenimenti futuri mi daranno piu' elementi per inquadrarlo meglio.

Un saluto


Dopo aver letto dei 18 bersaglieri e della donna ho dovuto aspettare un giorno prima di continuare l'articolo
Sono terrone e me ne vanto,ma temo il revisionismo risorgimentale
Come buttare paglia sul fuoco mi dico,poi penso:
la linea è tracciata bisognerà seguirla,il destino è la frammentazione dell'Italia in due o in tre parti

Vado in giro per la città. I pedoni odiano i ciclisti, gli automobilisti odiano i motociclisti, i ciclisti odiano gli automobilisti, eccetera.
Leggo il Corriere: nelle lettere tutti sono sicuri che l'altro imbrogli, "non ce la conta giusta", hanno dunque loro la verità in tasca; chiunque abbia a che fare con l'opposta parte politica viene odiato, ripeto, odiato; si augura la morte a chi non la pensa uguale. Si è sicuri, ripeto, sicuri, che l'altro sia in malafede, che ci sia sotto un complotto, che "quanto ti pagano per dire o fare questo".
L'ambiente è carico di animosità, faziosità, odio. La verità non è quello che è, è quello che diciamo noi.
Le amministrazioni di ogni tipo sembrano messe lì solo per contrastarci, per impedirci la vita: per odiarci

A 150 anni dall' Unità mi accorgo che alcune frasi storiche non sono del tutto compatibili coi bisogni reali di una nazione come la nostra. è vero che qualcuno disse che l' Italia era fatta, e bisognava fare gli Italiani, ma questo a mio avviso è stata una fregatura : ci siamo ritrovati cucito addosso uno stato che aveva ed ha tuttora i limiti funzionali di una monarchia feudale, con tanto di burocrazia, balzelli e privilegi di casta. Siamo ormai alla canna del gas, e qualche dubbio diventa legittimo sul fatto che l' Italia sia una creatura integra come auspicato dalla sua Costituzione.
Non si tratta di intentare processi alle intenzioni, ma alla scelta e alla manutenzione degli strumenti per perseguire tali nobili fini. In molte regioni si è sempre messo in atto una forma di federalismo autoctono e spontaneo, che altrove ( nei luoghi dove ciò non si è voluto in nome di una potenziale uguaglianza fra Italiani, o dove non si è saputo manovrare con sufficiente scaltrezza) ha portato a queste proposte di autonomia dei giorni nostri. Idealisticamente sono condannabili entrambe, ma la formula più anziana ha avuto il privilegio di essere assimilata al sistema di governo centrale, e gode di una certa immunità, nonche di molti privilegi.
La guerra civile è alle porte, e ormai è il tempo per contromisure di emergenza, una forma di quarantena fiscale che si spera renda possibile una gestione meritocratica delle risorse di tutti, e la conservazione di patrimoni di cultura locale che non trovarono la salvaguardia delle istituzioni.
Certo non sarà una scelta saggia sostituire i moduli del 740 con altri stampati in dialetto, ma le minoranze linguistiche, la nostra bella lingua nazionale, nonchè l' inglese già parlato su tutti i cinque Continenti, starebbero davvero bene gli uni a fianco agli altri.
Come starebbero bene linee di produzioni alternative nei colossi industriali che così spesso godono della cassa integrazione per gli intasamenti del mercato che essi stessi creano ( va tenuto anche presente che un libero imprenditore, se non lavora o non vende la merce -perlopiù prodotta a sue spese- va "di baracca" senza tanti ammortizzatori sociali !) ... e così via...
.
Per paradosso, l'unica soluzione in certe occasioni sarebbe la presenza di difficoltà comuni enormi Per esempio, sotto un bombardamento, i fastidi per delle piccolezze ritroverebbero la loro giusta e modesta dimensione, anzi, nascerebbe una inaspettata solidarietà.

Servaj,Ginogost
PS
Il nonno di Albano secondo alcuni era un Brigante
Quìil covo dei briganti nel parco divertimenti di Cellino del fratello,Franco Carrisi
Inviato il: 26/1/2011 4:14
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Re: Il furto della memoria
#9
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Il "libero imprenditore" non produce un beato cazzo.
Sono i lavoratori che producono, lui passa solo alla cassa...
E basta cò 'sta retorica dei poveri imprenditori.
Pure l'imprenditore fallito 30 volte c'ha il SUV...
Inviato il: 26/1/2011 15:17
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Re: Il furto della memoria
#10
Sono certo di non sapere
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Citazione:
Sono terrone e me ne vanto,ma temo il revisionismo risorgimentale

Io non lo temo, ma mi puzza parecchio.
Anche se e' pure tutto vero (purtroppo) e lo si sapeva gia' da decenni non certo per l'ultimo libro strombazzato che copia solo produzione precedente, tengo a precisare che si dice "chiagni e fotti" e non "pianz e ciula", non so se e' abbastanza chiaro...
Inviato il: 26/1/2011 16:54
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Re: Il furto della memoria
#11
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Bè, perchè senti la puzza?
Come minimo dovrebbe essere coperta dal tanfo di 20 anni
di propaganda sul Nord motore d'Italia.
L'Italia dovrebbe pagare i risarcimenti di guerra al Sud, altro che
Gheddafi.
Per andare al paese di mia madre in Calabria ci voleva una giornata
e gli ultimi 50 chilometri li facevi con la littorina, recante questo nome
perchè risalente ai tempi del Duce, un trenino a vapore con i sedili
di legno.
Parlo di inizio anni '80.
Manco sulle montagne della Colombia...
Con i cessi che vomitavano orina sui quali dormivano decine di disperati
morti di fame abbracciati alle valigie.
E vogliono il federalismo?
Io gli darei cannonate...
Inviato il: 26/1/2011 17:17
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Re: Il furto della memoria
#12
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Citazione:
Per andare al paese di mia madre in Calabria ci voleva una giornata
e gli ultimi 50 chilometri li facevi con la littorina, recante questo nome
perchè risalente ai tempi del Duce, un trenino a vapore con i sedili
di legno.

Non era una littorina, allora. Le littorine erano Diesel. Le ferrovie non principali in Piemonte fino ad una ventina di anni fa erano ancora pre-fascismo (stile Far West, ma elettriche a corrente continua). Mal comune...

Come sempre c'e' chi ha vinto la guerra e c'e' chi ha vinto la pace. Il Piemonte ha vinto la guerra, ma alcune caste del Sud hanno vinto la pace ed ora pure piangono. La responsabilita' per lo stato attuale del Sud e' anche e soprattutto loro. Esempio classico: di chi credi e sulla pelle di chi sono i soldi del bandanato, che e' solo un burattino per fare credere a quelli del Nord di avere ancora il polso della situazione?
Inviato il: 26/1/2011 17:34
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Re: Il furto della memoria
#13
Sono certo di non sapere
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Per la littorina, sicuramente sarà stata diesel.
Sai, ero ragazzino, mi ricordo solo 'sto viaggio allucinante,
'na sofferenza unica, il dolore al culo per quei sedili di legno,
il tutto poi per arrivare in un posto dove c'era l'acqua un giorno
su tre e dovevo tirare l'acqua con la "concolina" quando facevo
la cacca.
Per non parlare delle decine di mosche dentro al piatto.
Capirai che ancora c'ho gli incubi...
E che m'incazzo quando i milanesi dicono che l'Italia l'hanno fatta
loro.
Inviato il: 26/1/2011 17:39
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Re: Il furto della memoria
#14
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@ Pike:
a me non interessano i politici e le caste.
Io dico una cosa ben precisa:
se oggi Nord, Centro e Sud andassero ognuno per i fatti loro
chi ci guadagnerebbe?
Il Nord ha le fabbriche, le infrastrutture, la distribuzione, tutte le
grandi banche e le assicurazioni, ora anche Alitalia.
Il Centro e in particolare Roma ha solo i Ministeri, capirai che se l'Italia
si spezza Roma torna alla miseria dei ricavi del pellegrinaggio.
Il Sud non ha più nulla, neanche le campagne.
Per cui mi spiace, ma se il progetto è quello di dire "quel che è fatto,
è fatto, scurdammoce 'o passato", ossia lo stock, la ricchezza, quella
ormai è mia, in più mi tengo anche il flusso che origina da quella
ricchezza che è stata creata anche dal Sud con l'emigrazione e anche
da Roma con l'insulto costante alle proprie bellezze artistiche da
sacrificare al ruolo di capitale senza aver mai ricevuto un quibus in
più per tale sacrificio,
ripeto se questo è il progetto allora la prospettiva è solo la guerra
civile.
Il Nord lo sappia, siamo già abbastanza poveri, non accetteremo di fare
i sudditi di lor signori.
Uomo avvisato...
Inviato il: 26/1/2011 17:47
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Re: Il furto della memoria
#15
Sono certo di non sapere
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Citazione:
se oggi Nord, Centro e Sud andassero ognuno per i fatti loro
chi ci guadagnerebbe?

Non so, vediamo...

Citazione:
Il Nord ha le fabbriche, le infrastrutture, la distribuzione, tutte le
grandi banche e le assicurazioni, ora anche Alitalia.

Vuoi dire le fabbriche chiuse o in via di chiusura perche' ora che le infrastrutture ce le ha anche la Badombia e che la pressione fiscale e' totalmente fuori controllo sono condannate? La distribuzione, banche e assicurazioni possono andare tutte quante in Bassa Cuccumia anche domattina, se conviene. Alitalia... ma dai, un po' di pudore!

Citazione:
Il Centro e in particolare Roma ha solo i Ministeri, capirai che se l'Italia si spezza Roma torna alla miseria dei ricavi del pellegrinaggio

Che sono meglio del niente spinto che attende il Nord.

Citazione:
Il Sud non ha più nulla, neanche le campagne

Tutto per colpa degli sfruttatori nordisti. Sbarazzandosi di loro risorgera' nella Nuova Borbonia dei tempi belli.

Chi ci guadagna? Quando il piatto e' vuoto fare cooperativa o stare a casina propria non e' che cambi molto...

Citazione:
Roma con l'insulto costante alle proprie bellezze artistiche da
sacrificare al ruolo di capitale senza aver mai ricevuto un quibus in
più per tale sacrificio,

All'anima del quibus, cosa dovevamo ancora dare, le protesi dentarie?
Inviato il: 26/1/2011 17:58
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      audisio
Re: Il furto della memoria
#16
Sono certo di non sapere
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Perchè, di grazia, cosa avete dato?
Roma ha solo due linee di metro quando ogni altra grande capitale
ne ha 10.
Ha un GRA con molti tratti a due corsie sul quale i romani passano
gran parte della loro vita e nessuno ci risarcirà mai per questo.
Ha una tangenziale sempre con due corsie e pure strette in cui
c'è un incidente un giorno sì e l'altro pure che la paralizza, perchè
ci sono le curve strette in discesa e le uscite che si vedono all'ultimo.
Non abbiamo un servizio taxi decente, affitti allucinanti.
Ma de che stamo a parlà?
Lo Stato italiano dovrebbe spendere 10 volte quello che spende per
Roma sia perchè è la capitale, sia perchè è un patrimonio artistico
unico.
I francesi lo fanno con Parigi e gli inglesi con Londra e nessuno dice
nulla.



P.S.: comunque, il Sud stava benissimo prima che la cricca sabauda
arrivasse a saccheggiarlo...
Napoli era il centro culturale d'Europa, questi sò fatti, non chiacchiere...
Inviato il: 26/1/2011 18:12
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Re: Il furto della memoria
#17
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Citazione:

audisio ha scritto:

P.S.: comunque, il Sud stava benissimo prima che la cricca sabauda
arrivasse a saccheggiarlo...
Napoli era il centro culturale d'Europa, questi sò fatti, non chiacchiere...


La storia si ripete apportando sempre qualcosa di nuovo,altrimenti non avrebbe senso,il problema potrebbe essere il periodo di transizione
Inviato il: 27/1/2011 3:54
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Re: Il furto della memoria
#18
Sono certo di non sapere
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Citazione:
Roma ha solo due linee di metro quando ogni altra grande capitale

E gli amerriccani c'avevano John Wayne mentre i romani solo Renato Rascel, bisognerebbe dare piu' fondi...
E da dove li prendi i soldi? Dagli stipendi degli operai della Fiatte, come al solito, perche' a loro non serve mica la tangenziale per le merci o magari pure per andare a lavorare in auto serve solo ai romani non si sa bene per cosa, e gli affitti ai romani devono essere ridotti perche' la Citta' Eterna non fu fatta in un giorno e si sa.

Citazione:
Lo Stato italiano dovrebbe spendere 10 volte quello che spende per
Roma sia perchè è la capitale, sia perchè è un patrimonio artistico
unico.
I francesi lo fanno con Parigi e gli inglesi con Londra e nessuno dice
nulla.

Nessuno dice nulla anche perche' quelle citta' producono molto di piu' di quanto non incassino dallo stato. Roma produce solo perche' c'e' l'odiato capo della chiesa che bisognerebbe abolire, ma che attira turisti da tutto il mondo che non verrebbero di sicuro per il patrimonio artistico: per quello possono anche andare altrove, ad esempio a Firenze o a Venezia. Il patrimonio artistico ce l'hanno anche tutte le altre grandi citta' in Italia, che non si puo' dire certo di quelle inglesi e nemmeno di quelle francesi.

Citazione:
Napoli era il centro culturale d'Europa

Dai, siamo seri. Napoli era una citta' alla periferia culturale d'Europa. I centri culturali, alla meta' del diciannovesimo secolo, erano appunto Parigi e Londra. Napoli era una citta' dove giravano soldi (i soldi fatti soprattutto con lo zolfo siciliano) e c'era un tenore di vita invidiabile soprattutto da tutti gli altri con le pezze al culo nel resto del regno , ma da qui a farne il centro culturale d'Europa... mi sa che e' come parlare con un tifoso di calcio della sua squadra del cuore.
Inviato il: 27/1/2011 4:20
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  •  audisio
      audisio
Re: Il furto della memoria
#19
Sono certo di non sapere
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@ Pike:
non voglio fare polemiche, ti consiglio solo di studiare un pò
di più la storia, anche quella dell'arte.
Inviato il: 27/1/2011 12:57
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  •  Notturno
      Notturno
Re: Il furto della memoria
#20
Dubito ormai di tutto
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@pike


8. Il Sud prima dell'Unità

Come risultò dalla Esposizione Internazionale di Parigi del 1856, le Due Sicilie erano lo Stato più industrializzato d'Italia ed il terzo in Europa, dopo Inghilterra e Francia. Dal censimento del 1861 si deduce che, al momento dell'Unità, le Due Sicilie impiegavano nell'industria ad una forza-lavoro pari al 51% di quella complessiva italiana (1). I settori principali erano: cantieristica navale, industria siderurgica, tessile, cartiera, estrattiva e chimica, conciaria, del corallo, vetraria, alimentare. Nel periodo borbonico (1734-1860) la popolazione si era triplicata ad indicare l'aumentato benessere, relativamente ai livelli di quei tempi. Nel 1860 vi erano poco più di nove milioni d'abitanti e la parte attiva era circa il 48%. Le Due Sicilie erano lo Stato italiano preunitario più esteso: comprendeva tutto il Sud dell'Italia, la Sicilia, l'Abruzzo, il Molise e la parte meridionale dell'attuale Lazio. La sua storia era cominciata nel 1130 con l'unificazione compiuta da Ruggero II d'Altavilla. Il regno durò quindi 730 anni, durante i quali i suoi confini rimasero in pratica invariati. Le dinastie che si susseguirono ebbero origini straniere e questo avvenne per l'oggettiva incapacità di generarne una propria, ma occorre rilevare che i sovrani divennero in breve dei Meridionali a tutti gli effetti, assumendone la lingua e le usanze (2). Dopo l'Unità, la classe liberale meridionale contribuì a seppellire sotto una valanga di mistificazioni gli aspetti positivi del Regno delle Due Sicilie, per giustificare la propria adesione alla causa unitaria. Francesco Saverio Nitti ai primi del 1900 rilevava: "Una delle letture più interessanti è quella dell'Almanacco Reale dei Borboni e degli organici delle grandi amministrazioni borboniche. Figurano quasi tutti i nomi di coloro che ora esaltano più le istituzioni nostre [del regno d'Italia] o figurano, tra i beneficiati, i loro padri, i loro figli, i loro fratelli, le loro famiglie (3)". In realtà l'opera dei sovrani meridionali fu per molti versi meritoria: con loro il Sud non solo riaffermò la propria indipendenza ma vide un indiscutibile progresso dell'economia, lo sviluppo del commercio ed il fiorire dell'industrializzazione. All'epoca di Francesco II, l'ultimo re, l'emigrazione era sconosciuta, le tasse molto basse come pure il costo della vita, il tesoro era floridissimo. In campo culturale Napoli contendeva a Parigi la supremazia europea. "La storiografia ufficiale continua ancora a sostenere che, al momento dell'unificazione della penisola, fosse profondo il divario tra il Mezzogiorno d'Italia e il resto dell'Italia: Sud agricolo ed arretrato, Nord industriale ed avanzato. Questa tesi è insostenibile a fronte di documenti inoppugnabili che dimostrano il contrario, ma gli studi in proposito, già pubblicati all'inizio del 1900 e poi proseguiti fino ai giorni nostri, sono considerati dai difensori della storiografia ufficiale, faziosi, filoborbonici, antiliberali e quindi non attendibili (4)". In realtà la Questione Meridionale, tutt'oggi irrisolta, nacque dopo e non prima dell'unità.

La politica economica dei sovrani meridionali fu improntata a diversificare l'economia, allora prevalentemente agricola come nel resto d'Italia e di gran parte d'Europa, favorendo lo sviluppo dell'industria, dell'artigianato e del terziario. Come in altri Stati, anche le Due Sicilie adottarono un iniziale sistema di protezione doganale, che consolidò la nascente industrializzazione, permettendole di raggiungere dimensioni tali da reggere il confronto con il mercato. In tale prima fase, l'obiettivo di Ferdinando II era quello di avere un'industria in grado di soddisfare la domanda interna, per limitare al massimo le importazioni e quindi la dipendenza dall'estero. Il protezionismo fu poi gradualmente mitigato dal 1846 per inserire l'industria, ormai matura, nel meccanismo del commercio europeo: al posto delle vecchie barriere doganali, si strinsero numerosi trattati commerciali. Grazie alla guida di Ferdinando II già nel 1843 gli operai e gli artigiani raggiunsero il 5% dell'intera popolazione occupata (il 7 % alla vigilia dell'Unità), con punte dell'11% in Campania che divenne la regione più industrializzata d'Italia. Complessivamente, per quanto riguarda la parte continentale del Regno, nel 1860 vi erano quasi 5000 opifici. All'epoca era il datore di lavoro a fissare salario ed orario, e il ceto operaio del Sud fu il primo in Italia ad acquisire coscienza, reclamando aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro (5). In occasione del Congresso degli Scienziati, tenutosi a Napoli nel 1845, si cercò di arginare le rivendicazioni affermando che essendo nelle Due Sicilie "più facile e meno caro il vitto, non è il caso di apportare variazioni salariali (6)". Al momento dell'Unità la bilancia commerciale del Regno delle Due Sicilie presentava un bilancio era attivo di 35 milioni di ducati (pari a circa 560 milioni di Euro) (7). Sempre nel 1861 la percentuale dei poveri nel Sud era pari al 1,34% (come si ricava dal primo censimento ufficiale) in linea con quella degli altri stati preunitari. Per attuare la sua politica di sviluppo, Ferdinando II creò grandi aziende statali, ma incentivò anche il sorgere di aziende con capitale suddiviso in azioni di piccolo taglio, per coinvolgere nella proprietà anche i ceti medi. Nel 1851 fu istituita la "Commissione di Statistica generale pe' reali domini continentali" allo scopo di guidare la politica economica del Paese, cui si affiancavano le Giunte Statistiche costituite in ogni provincia e circondario. Altra importante istituzione governativa fu l'Istituto d'Incoraggiamento che incentivava l'iniziativa degli imprenditori privati. Da parte sua il Ministero dei Lavori Pubblici si dedicò allo sviluppo delle comunicazioni interne: di fronte ad una simile politica economica, capitali e imprenditori, nazionali ed esteri, accorsero nel Regno. La critica liberistica ha denunziato gli elevati costi di produzione dell'industria statale delle Due Sicilie, sottacendo l'organica visione dell'economia ferdinandea, in cui si privilegiava lo sviluppo occupazionale senza spostare masse dai luoghi di origine. Lo sviluppo guidato dallo Stato rappresentò un modello originale, e per certi versi pericoloso, in quanto metteva in crisi le logiche meramente liberiste, all'epoca prevalenti. Per questo motivo la propaganda liberale si scagliò contro tale modello di sviluppo. Il rapporto privilegiato del Re con i ceti popolari fu presentato come paternalismo che, assieme al protezionismo, fu bollato dalla storiografia ufficiale quale espressione di una politica miope e retrograda. Si trattò di un modo per nascondere la verità, ad uso e consumo dei vincitori: i proprietari terrieri, eredi del feudalesimo, e la inconcludente borghesia dei "paglietti" contro di cui Ferdinando II aveva invano combattuto. Passiamo ora ad esaminare le varie fonti di ricchezza economica del Sud.


Industria metalmeccanica e siderurgica

Nei pressi di Napoli, a Pietrarsa, era attiva la più grande industria metalmeccanica d'Italia, estesa su una superficie di oltre tre ettari. Tra l'altro, era l'unica fabbrica italiana in grado di costruire motrici a vapore per uso navale (8). A Pietrarsa fu istituita anche la "Scuola degli Alunni Macchinisti" che permise alle Due Sicilie, unico Stato della Penisola, ad affrancarsi dalla necessità di disporre di macchinisti navali inglesi. A Pietrarsa venivano costruiti cannoni ed altri armamenti; venivano realizzati prodotti meccanici per uso civile, vagoni, locomotive ed i binari ferroviari (di cui in Italia solo Pietrarsa disponeva della tecnologia costruttiva). Lo stabilimento, inaugurato nel 1840, precedeva di 44 anni la costruzione della Breda e di 57 quella della Fiat. Era uno stabilimento rinomato in tutta Europa e lo Zar Nicola I, dopo averlo visitato, lo prese come esempio per la costruzione del complesso di Kronstadt. Accanto a Pietrarsa sorgevano la Zino ed Henry (poi Macry ed Henry) e la Guppy, entrambe con 600 addetti. Quest'ultima fornì, tra l'altro, il supporto delle 350 lampade per l'illuminazione a gas di Napoli (che fu la terza città europea ad averla, dopo Londra e Parigi).Viceversa al Nord, alla vigilia dell'unità, solo l'Ansaldo di Genova era a livello di grande industria (aveva 480 operai contro i 1.000 di Pietrarsa). Nel 1861, al momento dell'unità, vi erano tre fabbriche in Italia in grado di produrre locomotive: Pietrarsa e Guppy nelle Due Sicilie ed Ansaldo a Genova: l'efficienza e la concorrenzialità delle aziende del Sud è comprovata dal fatto che prima dell'unità esportassero in Toscana e anche in Piemonte (nel 1846 nelle Officine di Pietrarsa furono realizzate sette locomotive per il Regno di Sardegna: Pietrarsa, Corsi, Robertson, Vesuvio, Maria Teresa, Etna e Partenope) (9).


La ferriera di Mongiana sorgeva nei dintorni di Serra San Bruno, nel cuore dell'aspra montagna calabra ricca di minerale di ferro, ed occupava un'area di più di un ettaro. Poco distante, fu più tardi costruita Ferdinandea: oggi Mongiana è un borgo di pochi abitanti e Ferdinandea è spopolata, ma nel trentennio che precedette la fine del Regno il fermento era vivissimo. Nel marzo del 1861, quando fu proclamato il Regno d'Italia, gli addetti allo stabilimento di Mongiana erano 762 e si produceva ghisa e ferro malleabile d'ottima qualità che servì per la realizzazione delle catene, da circa 150 tonnellate, dei due magnifici ponti sul Garigliano e sul Calore (realizzati rispettivamente nel 1832 e nel 1835). Il complesso siderurgico calabrese di Mongiana e Ferdinandea era, fino al 1860, il maggiore produttore d'Italia di ghisa e semi-lavorati per l'industria metalmeccanica: produsse a pieno regime 13.000 cantaja di ghisa annue (circa 1.150 tonnellate). Altri impianti metallurgici erano attivi in tutti il Sud ma è "impossibile elencare tutti i piccoli e medi opifici metalmeccanici sorti grazie all'intraprendenza degli artigiani locali o di imprenditori del settore tessile interessati ad acquistare le macchine necessarie" (10).



Flotta Mercantile e Cantieristica Navale

Le Due Sicilie disponevano di una flotta mercantile pari ai 4/5 del naviglio italiano ed era la quarta del mondo: ne facevano parte oltre 9800 bastimenti ed un centinaio di questi (incluse le militari) erano a vapore (11); fu la prima flotta italiana a collegare l'Italia con l'America ed il Pacifico. Con circa quaranta cantieri di una certa rilevanza, era nettamente in testa rispetto al resto d'Italia. Il primo vascello a vapore del Mediterraneo fu costruito nelle Due Sicilie nel 1818 e fu anche il primo al mondo a navigare per mare e non su acque interne: era il Ferdinando I, realizzato nel cantiere di Stanislao Filosa al Ponte di Vigliena presso Napoli. l'Inghilterra dovette aspettare altri quattro anni per metterne in mare uno, il Monkey, nel 1822. All'epoca fu tanto grande la meraviglia per quella nave, che fu riprodotta dai pittori in numerosi quadri, ora sparsi per il mondo, come ad esempio quello della Collezione MacPherson e l'altro della Camera di Commercio di Marsiglia. Il cantiere di Castellammare di Stabia, con 1.800 operai, era il più grande del Mediterraneo. Al momento della conquista piemontese stava attrezzandosi per la costruzione di scafi in ferro. L'arsenale-cantiere di Napoli, con 1.600 operai, era l'unico in Italia ad avere un bacino di carenaggio in muratura lungo 75 metri.

Sono patrimonio delle Due Sicilie anche: la prima compagnia di navigazione a vapore del Mediterraneo (1836), che svolgeva un servizio regolare e periodico compreso il trasporto della corrispondenza; navi come il "Real Ferdinando" che potevano trasportare duecento passeggeri da Palermo a Napoli; la prima convenzione postale marittima d'Italia; la stesura del primo codice marittimo italiano del 1781 (ad opera di Michele De Jorio di Procida, che fu copiato da Domenico Azuni il quale se ne assunse la paternità), frutto di una tradizione che risaliva ai tempi delle Tavole della Repubblica Marinara di Amalfi e delle legislazioni meridionali successive. Le principali scuole nautiche erano a Catania, Cefalù, Messina, Palermo, Riposto (CT), Trapani, Bari, Castellammare, Gaeta, Napoli, Procida, Reggio (12). Fu riattivato il porto di Brindisi (1775) che era chiuso da secoli. Nel 1831 entrò in servizio la nave "Francesco I" che copriva la linea Palermo, Civitavecchia, Livorno, Genova, Marsiglia. La stessa nave anche effettuò la prima crociera turistica del mondo, nel 1833, in anticipo di più di 50 anni su quelle che seguirono: durò tre mesi con partenza da Napoli, arrivo a Costantinopoli (dove destò l'ammirazione del sultano) e ritorno con diversi scali intermedi. La crociera fu così splendida per comodità e lusso che fece dire " Non si fa meglio oggi" e " Il Francesco I è il più grande e il più bello di quanti piroscafi siansi veduti fin d’ora nel Mediterraneo, gli altri sono inferiori, i pacchetti francesi "Enrico IV" e " Sully" hanno le macchine di forza di 80 cavalli (mentre la macchina del Francesco I è di 120) (...) i due pacchetti genovesi si valutano poco, il "Maria Luisa" (del Regno di Sardegna) è piccolo, la sua macchina non oltrepassa la forza di 25 cavalli, e quantunque una volta siasi fatto vedere nei porti del Mediterraneo, adesso è destinato per la sola navigazione del Po." (13). Nel 1847 fu introdotta per la prima volta in Italia la propulsione a elica con la nave "Giglio delle Onde". Erano operativi regolari servizi passeggeri che collegavano i principali porti delle Due Sicilie: isole come Ponza, Ustica, Lampedusa, Linosa furono ripopolate affrancando la popolazione residente dall'incubo delle incursioni dei pirati barbareschi.


Produzione tessile

Prima dell’Unità il settore cotoniero vantava quattro stabilimenti con 1.000 o più operai (1425 alla Von Willer di Salerno, 1160 in un’altra filanda della provincia, 1129 nella filanda di Pellazzano, 2159 in quella di Piedimonte e un migliaio nella Aninis-Ruggeri di Messina); nello stesso periodo gli stabilimenti lombardi a stento raggiungevano i 414 operai della filatura Ponti. Tutto il Salernitano divenne il comprensorio in cui si concentrò per eccellenza l’industria tessile, che fiorì anche ad Arpino nella valle del Liri, nel circondario di Sora. "Un particolare riferimento va fatto per il lino e la canapa: con quest’industria, nella quale trovavano impiego ben 100.000 tessitrici e 60.000 telai, fu così dato lavoro a tutto un mondo rurale prevalentemente femminile" (14).Il medesimo sviluppo coinvolse la produzione della lana grazie all'introduzione di capi razza "merino", conservando la manifattura i caratteri di industria domestica. Il Sud era inizialmente indietro nella produzione della seta, che incideva solo per il 17,5% della produzione complessiva italiana. In seguito all’incremento delle piantagioni di gelsi ed all’allevamento del baco si ebbe dal 1835 (15) un rinnovato sviluppo dell’industria della seta e nuove filande sorsero in Calabria, in Lucania, in Abruzzo. Molto famoso in tutta Europa era l’opificio di San Leucio, che godeva di un particolare statuto, redatto da re Ferdinando I. Ricordiamo anche gli stabilimenti di Nicola Fenizio che davano lavoro a più di 4 mila persone e che esportavano in tutto il mondo, tanto che i concorrenti arrivarono a contraffarne il marchio.


Cartiere

Le cartiere meridionali erano fiorenti a livello internazionale. Ricordiamo quella di Fibreno, la più grande d'Italia e una delle più note d'Europa con 500 operai, oltre a quelle del Rapido, della Melfa, della costiera amalfitana. Nella sola valle del Liri (16) il giro d'affari delle nove cartiere della zona era di 8-900 mila ducati annui, grazie anche agli ingenti investimenti fatti per dotarle delle migliori tecniche dell'epoca. Le cartiere avevano destato l’ammirazione dei maggiori industriali del ramo: nel 1829 Niccolò Miliani, proprietario delle note cartiere di Fabriano, visitò la Valle del Liri e si meravigliò di vedere "un foglio di carta grande come un lenzuolo", e si chiese "come diavolo si potevano ottenere formati così grandi". Le cartiere del Sud, grazie all’elevata qualità del prodotto esportavano sia nell’Italia settentrionale che all'estero.


Industria Estrattiva e Chimica

Il Sud disponeva dell'importantissima produzione dello zolfo siciliano, che copriva il 90% della produzione mondiale e da sola assorbiva il 33% degli addetti di tutta l'industria estrattiva italiana. Aveva un peso economico notevolissimo e ancora negli anni immediatamente post-unitari provenivano dal Sud i 2/3 delle produzioni chimiche italiane. La chimica industriale dell’800 era quasi del tutto basata sullo zolfo, specialmente l'industria degli esplodenti per le armi: è pertanto chiaro l’enorme valore strategico di tale produzione ed il conseguente atteggiamento dell’Inghilterra nella questione "degli zolfi siciliani". A Napoli e dintorni sorsero anche fabbriche di amido, di cloruro di calce, di acido nitrico, di acido muriatico, di acido solforico ed infine di colori chimici. Le risorse del sottosuolo (zolfo, ferro, bitume, marmo, pozzolana) erano sapientemente sfruttate a livello industriale.

L’Industria conciaria

Era un settore sviluppato e di gran pregio: a Napoli, a Castellammare, a Tropea, a Teramo; in Puglia erano sorte concerie per i cuoi che giungevano nel Regno per l’ultima finitura. Venivano prodotti finimenti di cavalli e carrozze, selleria, stivali, cuoi di lusso, esportati in Inghilterra, Francia, America. Nell’ambito della lavorazione delle pelli ci si specializzò nella produzione di guanti. A questa lavorazione e dovuto il nome ad uno dei più centrali quartieri di Napoli: "I guantai nuovi". I guanti napoletani erano reputati i migliori d’Europa (se ne producevano il quintuplo di Milano, Torino e Genova messe assieme) e costavano meno di quelli prodotti in Francia: per questo si esportavano ovunque, anche in Inghilterra dove l’Arsay, redigendo le leggi del perfetto gentiluomo, asseriva la necessità dell’uso di sei diverse paia di guanti al giorno.


L’Industria del corallo

Particolarmente pregiati i coralli del mare in prossimità di Trapani, della penisola sorrentina, di Capri. Erano dei più vari colori, dal bianco marmoreo, al rosso, al nero d’ebano ed erano destinati all’oreficeria e all’ornamento di arredi e oggetti sacri. La pesca, faticosa e pericolosa, era effettuata calando delle speciali reti lanciate in mare dalle barche in movimento. I più arditi erano i corallari di Trapani, seguiti da quelli di Torre del Greco che vantavano dalle tre alle quattrocento feluche con sette uomini ognuna. Michele di Iorio, insigne autore del "Codice di navigazione" sotto Ferdinando IV, redasse anche un "codice corallino". Fu istituita la "Compagnia del corallo" per facilitare il credito, e furono fondate fabbriche-scuola per la lavorazione a Torre del Greco ed a Napoli. L’industria del corallo era così fiorente che si arrivò in breve a quaranta fabbriche con 3.200 operai. Fu istituita anche un’apposita fiera, dal primo all’otto maggio di ogni anno, molto frequentata da compratori stranieri.


Saline

Situate in Puglia ed in Sicilia erano le più importanti d’Europa. Le prime erano considerate dai Borbone "la perla della loro corona", soprattutto da Ferdinando II che le visitò più volte e migliorò le condizioni di vita dei salinari. Nel 1847, in località San Cassiano, fondò la colonia agricola di San Ferdinando di Puglia (nel 1879 ribattezzata "Margherita di Savoia"), popolandola con i lavoratori delle Saline e distribuendo gratuitamente i terreni ed i capitali per le case popolari. Così, in vent’anni, la popolazione locale raddoppiò di numero. Il sale della Puglia era molto apprezzato, tanto da essere preferito a quello spagnolo ed era sfruttato sia per scopi alimentari sia per usi industriali. Di straordinaria importanza erano anche le saline siciliane "nella sola area di Stagnone (bacino marino antistante Trapani) si trovavano trentuno saline con centinaia di mulini a vento (quelli a sei pale in legno di tipo olandese) che davano una produzione annua di ben 110mila tonnellate di sale" (17).

Vetri e Cristalli

A Napoli sorgevano due grandi fabbriche di vetri e cristalli, per le quali si erano fatti venire operai e macchine dall’estero; in breve la produzione del Regno poté competere con quella di Francia e Germania e i quattro quinti della richiesta nazionale erano soddisfatti dall’industria napoletana, parte dei vetri prodotti era esportata a Tunisi, ad Algeri e persino in America. Ci sembra poi superfluo soffermarsi sulla fabbrica di porcellane di Capodimonte, voluta da Carlo III e famosa in tutto il mondo.

Agricoltura ed allevamento

I dati (18) indicano che nel 1860 il Sud, che conta il 36.7 % della popolazione d’Italia, pur non avendo nulla che si possa paragonare alla pianura padana produce il 50.4% di grano; l’80.2% di orzo e avena; il 53% di patate; il 41.5% di legumi; il 60% di olio, favorito in questo anche dal clima che consente spesso due raccolti l’anno; si svilupparono le coltivazioni di agrumi e di piante idonee al suolo arido: l'olivo, la vite, il fico, il ciliegio ed il mandorlo (19). Nelle Due Sicilie l’ultima vera grande carestia fu negli anni 1763-64 e successivamente, dai dati complessivi si ricava che un meridionale, tra grano e granaglie aveva una razione quotidiana di 418 grammi di carboidrati. Nella restante parte della Penisola la razione si riduceva a 270. La dieta del meridionale dell’epoca era quella tipica mediterranea, ricca di verdura, ortaggi, frutta, pesce, latte e derivati, pane e pasta. (20). Particolare risalto è da dare all’opera di Carlo di Borbone che introdusse riduzioni delle tasse per i proprietari che avessero coltivato i loro terreni ad uliveto. Fu così che nella buona terra pugliese misero radici gli ulivi: oggi su 180 milioni di alberi italiani ben 50 milioni sono localizzati in Puglia, la regione olivicola più importante del mondo con il 10% della produzione totale di olio. Un decreto emanato il 12 dicembre 1844 da Ferdinando II prescriveva la necessità di un "certificato di origine" per l’olio di oliva che era esportato in tutto il mondo, Stati Uniti compresi. L’industria alimentare era legata all'ottima produzione di grano duro e vantava i migliori pastifici d’Italia, circa cento (provincia di Napoli, Crotone e Catanzaro) che esportavano in molti paesi stranieri, compreso Russia, America, Svezia e Grecia. Un accenno alla pizza che, pur presente da secoli sulle tavole mediterranee, ha celebrato i suoi trionfi proprio nella Napoli capitale delle Due Sicilie; presente anche nella mensa dei re Borbone, questi l’apprezzarono ma non imposero nessun nome di famiglia (21)

Per quanto riguarda l’allevamento, considerando il numero dei capi, il Sud era in testa in quello ovino, caprino, equino e dei maiali, poco al di sotto del resto dell’Italia per quello caprino e molto al di sotto per quello bovino (22). Tra gli Abruzzi e la Puglia continuava, come fin dall’epoca romana, la transumanza delle greggi che si svolgeva su sentieri chiamati tratturi e che era regolata da un codice molto particolareggiato che prevedeva il pascolo nel Tavoliere dal 29 settembre all’otto maggio. In quel mese si svolgeva la grande fiera zootecnica di Foggia alla quale era tradizione partecipasse il Re, vestito alla maniera paesana. Vivacissima era anche l’attività dei caseifici la cui lavorazione riguardava particolarmente il latte di pecora, ma il cui fiore all’occhiello era naturalmente la mozzarella di bufala; numerosissimi gli stabilimenti ittici (ad esempio le tonnare di Favignana), del pomodoro, famose le fabbriche di liquirizia in Calabria e dei confetti a Sulmona. Infine segnaliamo la coltivazione e la lavorazione del tabacco dove il Sud era all'avanguardia con la importante manifattura di Napoli che occupava agli inizi degli anni 1850 più di 1.700 operaie (poi ridotte per introduzione di macchinari più moderni), e che esportava in tutta Europa. Inoltre dal primo censimento della popolazione d’Italia del 1861 (a pochi mesi dall’Unità) si ricava che il Sud, che contava 36.7% della popolazione italiana, aveva il 56,3% dei braccianti agricoli e il 55,8% degli operai agricoli specializzati. Quando nel 1887-88 il protezionismo chiuderà gli sbocchi esteri, l’agricoltura del Sud subirà un colpo mortale. Quella non era, infatti, solo un’agricoltura di sussistenza e autoconsumo, bensì mercantile, destinata all’esportazione: a quel punto la enorme massa di operai agricoli non ebbe più lavoro e non poté far altro che emigrare.

Il sistema monetario, il costo della vita, la tassazione

Il 20 aprile del 1818 Ferdinando I emanò una direttiva che uniformava il sistema monetario della parte continentale ed insulare del regno delle Due Sicilie. La moneta, la più solida d’Italia, era il Ducato, presente in circolazione in coni aurei da 3, 4, 6, 15, 30. Il Ducato era suddiviso in 10 Carlini, che equivaleva a sua volta a 10 Grana. Vi era poi il Tornese (2 tornesi equivalevano a un grano, cioè ad un centesimo di Ducato) e infine il Cavallo (6 cavalli equivalevano ad un Tornese). In Sicilia la moneta era l'Oncia, circolante in coni da 1 e da 2, e valeva 3 Ducati. Era suddivisa in 30 Tarì, ovvero in 300 Baiocchi. Il Grano (pari a mezzo Baiocco, o a 6 Piccioli) valeva quindi 2 Grana napoletani. Il cambio nel 1859 era 1 Ducato = 4,25 Lire. Il coefficiente d'aggiornamento ISTAT, opportunamente ricalcolato per tener conto dell'anno 1860, è pari a 7.346,7. Pertanto, un Ducato Napoletano equivale a lire 31.223,47, pari ad Euro 16,13. L'Oncia siciliana valeva 48, 39 Euro. Le monete erano coniate in oro, argento e rame. I maestri incisori della Regia Zecca a S. Agostino Maggiore erano così rinomati in Europa, per la bellezza delle realizzazioni, che i saggi di conio dell’istituto d’emissione inglese erano spesso inviati a Napoli per un parere tecnico. Tutto il sistema monetario nel suo complesso era garantito in oro nel rapporto uno ad uno, la lira piemontese invece era garantita nel rapporto tre ad uno (ogni tre lire in circolazione erano garantite da una sola lira oro). La storia numismatica delle Due Sicilie risaliva a 2500 anni prima con le zecche della Magna Grecia, quando in molte parti d’Italia e del mondo era ancora in uso il baratto in natura! Ci pensò Garibaldi con il decreto del 17 agosto 1860 a sopprimere il millenario sistema monetario siciliano e successivamente il governo unitario mise fuori corso il Ducato con la legge del 24 agosto 1862, triplicando in un sol colpo la massa monetaria incamerata con l'annessione del Sud (23).

Il costo della vita era basso rispetto agli altri Stati preunitari e lo si può dimostrare paragonando i salari con il costo dei generi di prima necessità: la giornata di lavoro di un contadino era pagata il corrispondente odierno di 3 € (15-20 Grana di allora), quella degli operai generici valeva in media 5 € che salivano a 6,50 € per quelli specializzati (dai 20 ai 40 grana); 13 € spettavano ai maestri d’opera (80 grana). A tali retribuzioni veniva aggiunto un soprassoldo giornaliero di 10-15 grana per il vitto. Un impiegato statale percepiva 15 ducati al mese, la paga di un colonnello di fanteria era di 105 ducati (1680 €), quella di un tenente di fanteria 23 ducati (370 €). Sul versante dei costi riportiamo che un rotolo di pane (800 grammi) (24) costava 6 grana (1 €) , un equivalente di maccheroni 8 grana (1,30 €) , di carne bovina 16 grana (2,5 €), un litro di vino 3 grana (0.50 €), tre pizze 2 grana (0,32 €) (25).

Il livello impositivo era il più mite di tutti gli Stati Italiani (sulla tomba di Tanucci, ministro delle finanze per 40 anni, troviamo scritto che non impose nuovi balzelli) (26). La contribuzione diretta era praticamente basata solo sull’imposta fondiaria, quella indiretta solo su quattro tributi.

Tav.1 – Il prelievo fiscale diretto nelle Due Sicilie (27).

1. Imposta fondiaria,

2. Addizionale per il debito pubblico,

3. Addizionali per le Province,

4. Esazione

Tav.2 – Gli strumenti fiscali indiretti nelle Due Sicilie (28)

1.

Dazi (dogane e monopoli).

2. Imposta del Registro e bollo.

3. Tassa postale.

4. Imposta sulla Lotteria.

Entrambi questi tipi di tributi diretti ed indiretti, pur non essendo stati più aumentati né in numero né in aliquota, determinarono un aumento delle entrate da 16 milioni di ducati del 1815 ai 30 milioni del 1859, questo a dimostrazione della crescita generale di quella fiorente economia. Viceversa nel periodo 1848-1860 il governo piemontese impone ben 22 nuove tasse (29).

Le banche ( "i banchi") nel 1700 erano sette (S.Giacomo, del Salvatore, S.Eligio, del Popolo, dello Spirito Santo, della Pietà e dei Poveri) e le loro condizioni si mantennero floridissime fino alla fine del '700. Nel 1803 ci fu un primo accorpamento che fu completato il 12 dicembre del 1816 con la creazione del "Banco delle Due Sicilie" che successivamente si chiamò "Banco di Napoli" nella parte continentale del regno e "Banco di Sicilia" nell’Isola; in questi istituti si aprivano conti correnti e si concedevano prestiti a mutuo o su pegni come negli antichi banchi (30).

Opere pubbliche

Tra le più importanti realizzazioni ricordiamo il ponte Ferdinandeo sul fiume Garigliano del 1832: è stato il primo ponte sospeso in ferro d'Italia (tra i primi del mondo), costruito in 4 anni con 68.857 chilogrammi di ferro (31) e collaudato dallo stesso Ferdinando II che ci fece passare sopra due squadroni di lancieri a cavallo e sedici carri pesanti di artiglieria; orgoglio delle Due Sicilie, resistette fino al 1943 quando i tedeschi, dopo averci fatto transitare il 60 % della propria armata in ritirata, compresi carri e panzer, lo distrussero. Fu seguito dalla costruzione di un ponte simile sul fiume Calore, inaugurato nel 1835.

Segnaliamo poi: il Primo telegrafo elettrico d’Italia (1852), la Prima rete di Fari con sistema lenticolare (1841), la Prima ferrovia e Prima stazione d’Italia Napoli Portici (1839): lungo questa prima linea si sviluppano nuovi agglomerati urbani che costituiscono la struttura del nascente polo industriale attorno alla Capitale. L’anno successivo fu inaugurata dagli Asburgo la Milano-Monza, nel 1845 la prima ferrovia veneta (Padova-Vicenza) e addirittura bisognerà aspettare nove anni per vedere la prima piemontese (Torino-Moncalieri) e la prima toscana (Firenze-Prato).

L’ingenerosa critica storica ha fatto prevalere la tesi della costruzione ferroviaria borbonica per esclusiva vanità della corte di collegare la capitale alle residenze reali di Caserta e di Portici, altri ancora sostennero che la ferrovia fu realizzata per spostare più velocemente le truppe della guarnigione di Capua, in caso di disordini a Napoli; è certamente vero che tutte le ferrovie dei diversi stati nacquero anche con finalità strategiche e militari (32) ma in realtà gli scopi principali erano ben diversi. Ferdinando II, nel discorso pronunciato nell’ottobre 1839, all’inaugurazione della Napoli-Portici, ebbe a dire: "Questo cammino ferrato gioverà senza dubbio al commercio e considerando che tale nuova strada debba riuscire di utilità al mio popolo, assai più godo nel mio pensiero che, terminati i lavori fino a Nocera e Castellammare, io possa vederli tosto proseguiti per Avellino fino al lido del Mare Adriatico" (33). La ferrovia raggiunse nel 1840 Torre del Greco, Castellammare di Stabia nel 1842, Nocera nel 1844, contemporaneamente un altro tronco puntava a nord raggiungendo Caserta nel 1843 e Capua nel 1844; in questo stesso anno sulla Napoli-Castellammare transitarono ben 1.117.713 viaggiatori, in gran parte "pendolari" che quotidianamente si recavano nella capitale per lavoro, le tariffe erano basse sia per il trasporto dei passeggeri (diviso in tre classi) che delle merci .

Dalla cronaca del "Giornale delle Due Sicilie" (34) dell’epoca si legge: "Ad un segnale dato dall’alto della Tenda Reale parte dalla stazione di Napoli il primo convoglio composto di vetture sulle quali ordinatamente andavano gli invitati, gli ufficiali, i soldati e i marinai (...) S.M. con la Real Famiglia prese posto nella Real Vettura". "Le popolazioni di Napoli e delle terre vicine - si leggeva sulla cronaca di altri giornali - accorrevano in grandissimo numero come ad uno spettacolo nuovo, tutte le deliziose ville attraversate dalla strada si andavano riempiendo di gentiluomini e di dame vestite in giorno di festa (...) con tanto entusiasmo traesse d’ogni parte sulla nuova strada e giunto colà facesse allegrezza grande come per faustissimo avvenimento"; erano 7411 metri che furono percorsi in quindici minuti (velocità 20 km/h) dal convoglio guidato dalla locomotiva "Vesuvio".

Dobbiamo ricordare il progetto borbonico di una rete ferroviaria diretta a collegare il Tirreno all’Adriatico con due arterie principali a doppio binario: la Napoli-Brindisi, che tagliava in due parti quasi esatte il regno, e la Napoli-Pescara. Le concessioni furono stipulate il 16 aprile del 1855, con un dettagliato protocollo che prevedeva tempi e modi di realizzazione. La ferrovia avrebbe accorciato notevolmente i tempi di collegamento (previsti in quattro ore al posto dei giorni di navigazione via mare). Erano previste nuove arterie stradali comunicanti con le stazioni ferroviarie in modo da favorire il trasporto sia dei passeggeri che soprattutto delle merci e del bestiame, come pure delle diramazioni per collegare le nuove linee ferrate a quelle dello Stato della Chiesa e di conseguenza a quelle degli altri stati italiani preunitari e del resto d’Europa. Furono anche progettate due litoranee: una da Napoli alla Calabria meridionale con diramazione a Taranto e l’altra da Brindisi ad Ancona (e da lì comunicante con Bologna e Venezia).

L’ultimo re Francesco II diede un’accelerazione alla costruzione delle strade ferrate ma non ebbe il tempo di completarle e così, se è vero che la lunghezza complessiva delle ferrovie meridionali, al momento dell'Unità, era inferiore a quella di altri stati italiani preunitari (37), anche per le caratteristiche del territorio prevalentemente montuoso che in nulla assomigliava alle pianure del Nord e che non ne facilitava la costruzione, è comunque accettato da tutti che come qualità tecnico-costruttiva fossero le migliori.

Per ciò che concerne, invece, le strade, esse erano senza dubbio insufficienti, ma anche in questo campo le Due Sicilie pagavano lo scotto della conformazione del Paese, prevalentemente montuoso, che rendeva più rapido ed economico lo sviluppo delle vie marittime; comunque il governo borbonico si era seriamente impegnato nella costruzione di nuovi tracciati progettati da ingegneri che erano alle dirette dipendenze dello Stato, tra di essi ricordiamo Carlo Afan de Rivera e Ferdinando Rocco. Alcune arterie sono dei veri e propri capolavori come la Civita Farnese (tra Arce e Itri) che, pur correndo quasi completamente in territorio montano, in nessun tratto superava la pendenza del 5% il che permetteva l’agevole trasporto di merci su carri, e la Pescara-Sulmona-Napoli dove ancora oggi si possono osservare le pietre miliari che indicano la distanza dalla antica capitale. L’ossatura di alcune strade borboniche viene attualmente sfruttata per il passaggio di veicoli molto pesanti come i TIR a testimonianza della validità dei loro progetti.

Altre interessanti realizzazioni furono l’illuminazione a gas di Napoli, prima in Italia (1840) e terza in Europa (dopo Londra e Parigi). Napoli fu anche la prima città d’Italia in cui fu organizzato nel 1852 un esperimento d’illuminazione elettrica; la bonifica e conseguente sistemazione idrogeologica delle paludi Sipontine (Manfredonia), di quelle di Brindisi, del bacino inferiore del Volturno e della Terra di Lavoro (Regi Lagni): in quest’ultimo territorio furono restituite al lavoro agricolo 53 miglia quadrate di paludi, realizzati 100 miglia di canali di bonifica, muniti d'argine e controfossi, lungo i quali furono posti a dimora 150.000 alberi; costruite 70 miglia di strade, e furono piantati altri 120.000 alberi che attraversavano la campagna in tutti i sensi.

Ricordiamo inoltre la realizzazione del confine terrestre: col trattato firmato a Roma il 27 Settembre 1840 e ratificato il 15 Aprile 1852 fu stabilita la linea di separazione con l’unico stato confinante, quello Pontificio. Papa Gregorio XVI e re Ferdinando II decisero di posizionare nel terreno ben 686 cippi che partivano da Gaeta sul Tirreno e giungevano fino a Porto d’Ascoli sull’Adriatico. Erano piccole colonne cilindriche in pietra con incisa sulla sommità la direzione del confine: sul lato dello Stato Pontificio due chiavi incrociate e l’anno di apposizione (1846 o 1847) e verso il regno borbonico un giglio stilizzato ed il numero progressivo della colonnina, crescente verso il nord. Alti un metro, del diametro di quaranta centimetri e del peso di 700/800 chili, i cippi furono realizzati da ambedue i confinanti; e sotto ciascuno di essi fu sotterrata una medaglia di lega metallica recante lo stemma dei due Stati. Questa semplice, ma allo stesso tempo elegante e civile demarcazione fu abbattuta all’arrivo dei Piemontesi. Alcuni di essi sono stati di recente restaurati e riposizionati grazie all’opera di un gruppo di ricercatori coordinati da Argentino D’Arpino..

Menzioniamo ancora l’istituzione dei Monti di Pegno e Frumentari in tutto il Regno, veri e propri crediti agrari che prestavano denaro ad interessi bassissimi. Va ricordata infine la creazione del primo Corpo dei vigili del fuoco italiano e l’Istituzione di Collegi Militari quali la Nunziatella.

Conquiste Sociali e Civili

Nelle Due Sicilie ci fu l’istituzione del primo sistema pensionistico in Italia (con ritenute del 2 % sugli stipendi degli impiegati). Vi era inoltre la più alta percentuale di medici per abitanti in Italia ed il minor tasso di mortalità infantile d'Italia. Il Regno possedeva i maggiori edifici per l'assistenza ai poveri (a Napoli e Palermo) e il Cimitero delle 366 fosse, a Poggioreale, creato per dare degna sepoltura ai poveri (invece delle fosse comuni, vi erano grandi lapidi, una per ogni giorno dell’anno). Da ricordare lo Statuto della seteria di S.Leucio, dettato personalmente da Ferdinando I, rifinito dai suoi giuristi nel 1789, che risentiva fortemente delle idee illuministe di Rosseau e che fu magnificato in tutta Europa- Lo statuto prevedeva, con decenni di anticipo sulle prime normative inglesi del lavoro, diritti e servizi per ogni membro della comunità: casa, attrezzi di lavoro, assistenza medica, istruzione obbligatoria per tutti i bambini dopo i 6 anni, pensione di invalidità e di vecchiaia, mezzi di sussistenza per la vedova e gli orfani dei lavoratori, "nè resti esclusa la femmina dalla paterna eredità ancorché vi siano i maschi". Per questi motivi San Leucio fu definita " repubblica socialista". Degna di nota la Convenzione stipulata il 14 febbraio 1838 con l’Inghilterra e la Francia per la lotta contro la tratta degli schiavi.

Le Due Sicilie: da stato feudale a stato centralistico

All’avvento dei Borbone Lo Stato era ancora feudale, pieno di uomini chiamati "eccellenza" e "don" [riportati anche negli atti ufficiali]. Si trattava di baroni e di alti prelati che possedevano gran parte delle terre, nelle quali esercitavano addirittura una propria giurisdizione penale e civile. "I feudatari del regno non avrebbero mai permesso la realizzazione pacifica di una riforma che intaccava una prerogativa della quale essi erano particolarmente gelosi (...) il potere del baronaggio si fondava specialmente sulla grande potenza economica che i suoi rappresentanti avevano realizzato mediante vari strumenti tra i quali il più efficace era certamente la giurisdizione" (36).

Il Sud era inoltre considerato dal papa uno stato vassallo e Re Carlo, coadiuvato nel governo dal Ministro Bernardo Tanucci (1698-1782), cominciò un'opera di affrancamento da questa secolare sudditanza. Realizzò un Catasto che permise la tassazione dei beni ecclesiastici [cosa più unica che rara in Europa, non esistendo neanche in Francia]. Stipulò il 2 giugno 1741 un Concordato col Papa in cui venivano ridotti alcuni privilegi del clero, come il diritto di asilo e l'immunità penale. Nel 1767 estromise i gesuiti dal regno, confiscando i loro beni e trasformando in pubbliche le loro scuole. Nel 1759, alla morte del fratello Ferdinando VI, Carlo fu proclamato re di Spagna e abdicò in favore del figlio Ferdinando. Questi continuò l’opera di separazione tra Stato e Chiesa. Nel 1776 soppresse l’omaggio feudale della Chinea, "una cavalla bianca ingualdrappata, con sopra il basto uno scrigno di denari e gioielli che, dai tempi di Carlo d’Angiò, il re di Napoli ogni anno, il 29 giugno deve al papa in segno di vassallaggio" (37). Venne limitato l’esorbitante numero di ecclesiastici (che nel 1786 erano circa centomila, con un rapporto di 1 ogni 48 abitanti) che tra l'altro controllavano l’anagrafe (stato civile, nascita, matrimonio, morte) nonché avevano la funzione di pubblica istruzione. Con il Concordato del 25 febbraio 1818, scomparve nelle Due Sicilie qualsiasi forma di immunità ecclesiale, furono ridotte le diocesi del Regno e solo 22 di esse erano direttamente soggette alla Santa Sede, nelle altre si affermò il diritto reale di nominare i vescovi. Nonostante questi provvedimenti, rimase intatta la comune azione tra le istituzioni e il clero nei riguardi del mondo culturale, dell’istruzione e dell’assistenza. La religiosità del popolo meridionale rimase fortissima e scandiva la vita quotidiana del Regno (con le relative funzioni, la recita del rosario, le processioni come quella solenne dell’otto dicembre, festa Nazionale, la tradizione natalizia del presepio). Alcuni viaggiatori stranieri, di religione protestante, affermavano che si trattasse una "cristianità senza Cristo" perché tutti si affidavano ad un santo per intercedere presso Dio (San Gennaro e Sant'Antonio, solo per citare i due più prestigiosi) (38). Nel 1798-99 ci fu la prima invasione francese del regno con l’esperienza della Repubblica Napoletana (liquidata dopo pochi mesi dall’insorgenza dei sanfedisti del cardinale calabrese Fabrizio Ruffo) (39); Ferdinando I non ratificò l’abolizione della feudalità, che la Repubblica aveva deliberato sulla carta, per non inimicarsi la Chiesa che tanta parte aveva avuto nell’insorgenza sanfedista.

Seguì la seconda invasione con la decennale occupazione francese ed i re Giuseppe Buonaparte (1806-1808) e Gioacchino Murat (1808-1815). Terminata l'avventura napoleonica, negli stati tornarono i legittimi sovrani (la Restaurazione). Nelle Due Sicilie re Ferdinando I e i suoi ministri ebbero il merito di lasciare immodificate le innovazioni fatte dai Francesi mentre, Piemonte in prima fila, gli altri Stati procedettero ad una politica reazionaria. Persino Tito Manzi, che era stato un influente esponente del governo del Murat, ebbe ad affermare che, nonostante la presenza nel regno delle truppe austriache fino all’agosto del 1817, Napoli spiccava nel quadro a tinte fosche [della Restaurazione] come la sola capitale italiana dove ci si premurasse con successo di "accrescere la forza del governo" e di migliorare insieme ad essa "la sorte del popolo" (…), di concentrare saldamente il potere nelle mani sovrane e organizzare amministrazioni efficienti e funzionali, dare forza allo Stato, sottrarne ai vecchi corpi privilegiati, la nobiltà e il clero" (40). L’amministrazione dello Stato, trasformata dai francesi da feudale (con i mille "poteri" periferici baronali ed ecclesiastici) in una fortemente centralizzata, rimase intatta, con sette ministeri a Napoli (Interni, Esteri, Grazia e Giustizia, Affari ecclesiastici, Finanze, Guerra e Marina, Polizia) più un luogotenente generale per la Sicilia, in Palermo, con altrettanti dipartimenti alle sue dipendenze. L'autorità periferiche era composta da funzionari di nomina regia, che rispondevano direttamente conto al ministro dell’Interno. A capo delle Province (che avevano la dignità delle attuali regioni) vi erano gli Intendenti, affiancati dal Consiglio Provinciale. I Distretti (corrispondenti alle attuali province) erano guidati dai Vice Intendenti; e dai Consigli Distrettuali. I Comuni erano amministrati da un Consiglio, chiamato Decurionato (tre decurioni ogni 1000 abitanti), nominati dall’Intendente sulla base di liste di eleggibili (che tenevano conto del censo e delle capacità personali). Il consiglio comunale proponeva ogni tre anni una terna di candidati alla carica di sindaco. La scelta veniva quindi eseguita dall’intendente. Il sindaco era a capo dell’amministrazione comunale, ed aveva alle sue dipendenze gli impiegati amministrativi, gli addetti ai vari pubblici servizi e il medico condotto. Quasi tutti i burocrati si erano formati nel decennio di dominazione francese e furono confermati ai loro posti (fu la cosiddetta politica "dell’amalgama") per non disperdere le competenze. Si consolidò quindi l’avanzata di classi sociali che non provenivano dalla nobiltà e che ne acquisirono una con le onorificenze dispensate dal Re (come cavaliere o commendatore dell’Ordine di San Giorgio della Riunione, istituito nel 1818). Nel 1819 Ferdinando I incaricò i suoi giuristi di redigere un nuovo Codice Civile e Penale, che ricalcò quello napoleonico (sopprimendo solo pochi articoli, tra cui quelli relativi al divorzio). Il nuovo codice sancì l’abrogazione della legislazione penale feudale (già effettuata nel 1806 da Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone e primo re francese di Napoli). Le Due Sicilie furono il primo tra gli stati italiani preunitari ad adottare un tale provvedimento (contro il quale le resistenze baronali furono fortissime).

Arte Cultura e Scienza

Dal Settecento, sotto l’impulso dei sovrani regnanti, si assistette alla rinascita culturale e sociale delle Due Sicilie ed al rigoglioso fiorire di studi filosofici, giuridici e scientifici. Le opere di illustri personalità (solo per citarne alcuni ricordiamo: Della Porta, Giannone, Vico, Filangieri, Pagano, Genovesi, Galiani, Cotugno) furono tradotte in diverse lingue. Napoli era il più vivace centro di pensiero d’Italia e in Europa era seconda solo a Parigi per la diffusione delle idee dell’Illuminismo. Lo splendore della Corte e della società napoletana erano proverbiali, e divennero poli di attrazione per le più importanti menti dell’epoca che spesso vi soggiornavano a lungo. Geni assoluti come Goethe riconobbero nelle classi elevate meridionali una preparazione non comune. Ebbe a dire Stendhal: "Napoli è l’unica capitale d’Italia, tutte le altre grandi città sono delle Lione rafforzate". Era di gran lunga la più grande d’Italia e tra le prime quattro d’Europa, e fu definita come: "la città più allegra del mondo, scintillante di carrozze, quasi non riesco a distinguerla da Broadway, la vera libertà consiste nell’essere liberi dagli affanni ed il popolo pare veramente aver concluso un armistizio con l’ansia e suoi derivati" (41). Il Regno vantava quattro università: quella di Napoli, fondata da Federico II nel 1224, quelle di Messina e Catania, rinnovate dai Borbone e la neonata università di Palermo. A Milano la prima università, il Politecnico, fu fondata solo nel 1863 ed il primo ingegnere si laureò nel 1870. Al tempo della nascita dello Stato italiano, il numero degli studenti napoletani era maggiore di quello di tutte le università italiane messe assieme (che ne avevano un totale di appena 6504). A Napoli furono istituite la prima cattedra universitaria al mondo di Economia Politica con Antonio Genovesi (1754) e le cattedre di psichiatria, ostetricia e osservazioni chirurgiche. Notevole importanza scientifica godeva l’Orto Botanico che forniva le erbe mediche alla Facoltà di Medicina. Nella facoltà di Giurisprudenza nacquero l‘Istituto della Motivazione delle Sentenze (Gaetano Filangieri, 1774), il primo Codice Marittimo Italiano ed il primo Codice Militare. I giornali milanesi erano ancora fogli di provincia, mentre quelli napoletani facevano e disfacevano i governi. Le case editrici napoletane pubblicavano il 55% di tutti libri editi in Italia (42). L’Osservatorio Sismologico (1° nel mondo) del Vesuvio, con annessa stazione meteorologica, fu fondato dal fisico Macedonio Melloni e sviluppato da Luigi Palmieri.

Palermo vide l'illustre opera dell’astronomo Giuseppe Piazzi, curatore dell’Osservatorio astronomico fondato nel 1801 e scopritore del primo asteroide battezzato "Cerere Ferdinandea". La capitale siciliana ebbe il suo splendido Orto Botanico, e "la real casa dei Matti", il primo manicomio in Europa, per opera del Barone Pisani e sotto il patrocinio dei Borbone, dove i malati venivano trattati umanamente e non più segregati come bestie furiose.

Furono aperte: Biblioteche, Accademie Culturali (la più famosa l’Ercolanense, fondata nel 1755), il Gabinetto di Fisica del Re ed erano organizzati frequenti Congressi Scientifici. Per quanto riguarda la musica "Fino al settecento l’Italia era vista da tutti i musicisti europei con un particolare atteggiamento di rispetto, in Italia, nel Seicento, era nata l’opera che nel corso degli anni aveva conquistato tutti i più grandi teatri; operisti italiani componevano presso tutte le corti d’Europa e gli stessi musicisti stranieri scrivevano opere in lingua italiana, tanto si identificava allora il melodramma col paese che ne era stato la culla. Non molto diversa era la situazione per la musica strumentale, i conservatori e le accademie italiane erano i più celebri in assoluto e un musicista non poteva affermare di possedere una preparazione completa senza aver compiuto un viaggio d’istruzione in Italia (…) La penisola era considerata quasi una terra promessa per ogni compositore" (43) e Napoli era considerata la Regina mondiale dell’Opera. Basta ricordare che il Teatro di San Carlo è il più antico teatro lirico d'Europa: fu inaugurato il 4.novembre 1737 dopo soli 8 mesi dall'inizio della sua costruzione (ben 41 anni prima del teatro della Scala di Milano e 51 anni prima della Fenice di Venezia). Non ha mai sospeso le sue stagioni, tranne che nel biennio 1874-76, a causa della grave recessione economica di quegli anni. Subì un grave incendio nel 1816 e fu ricostruito in dieci mesi. Re Ferdinando I lo volle "com'era e dov'era" (proviamo a fare il confronto con le storie dei nostri giorni: gli incendi del Petruzzelli di Bari e della Fenice di Venezia....). Anche se non tutti i Borbone amavano la lirica, furono senz’altro dei grandi mecenati tanto che il teatro San Carlo attrasse l'attenzione di tutta la società colta europea, colpita dalla creatività della Scuola musicale napoletana, sia nel campo dell'opera buffa che di quella seria: basti ricordare i nomi di Porpora, Piccinni, Jommelli, Cimarosa, Paisiello (autore quest’ultimo, nel 1787, su commissione di Ferdinando IV, dell’Inno Nazionale delle Due Sicilie). A Napoli guardavano come culmine della loro carriera musicisti del livello di Bach e Gluck. Tra i grandi compositori italiani ricordiamo la triade Rossini-Bellini-Donizetti, che fiorì tra il Conservatorio di Napoli ed il teatro San Carlo. Quest'ultimo divide con la Scala di Milano il primato della più antica scuola di ballo italiana, mentre è nel 1816 che vi nasce la Scuola di Scenografia diretta da Antonio Niccolini. "Vuoi tu sapere se qualche scintilla di vero fuoco brucia in te? Corri, vola a Napoli ad ascoltare i capolavori di Leo, Durante, Jommelli, Pergolese. Se i tuoi occhi si inumidiranno di lacrime, se sentirai soffocarti dall'emozione, non frenare i palpiti del tuo cuore: prendi il Metastasio e mettiti al lavoro il suo genio illuminerà il tuo" (44). I Conservatori musicali (quello di San Pietro a Majella era considerato il più prestigioso del mondo), l’Accademia Filarmonica e la Scuola Musicale Napoletana erano i massimi riferimenti per gli artisti dell’epoca ; la Canzone Napoletana a Piedigrotta ("Te voglio bene assaje", "Luisella", "Santa Lucia", "Tarantella") si diffuse in tutto il mondo. A Napoli, ogni sera, erano aperti una quindicina di teatri, mentre a Milano non tutte le sere c’era un teatro aperto (45). Per le belle arti ricordiamo: la Scuola pittorica di Posillipo (Gigante, Smargiassi, Vianelli, Fergola, Palizzi), le formidabili testimonianze architettoniche come i Palazzi reali (Reggia di Napoli, Portici e Caserta; Palazzina Cinese e Ficuzza a Palermo), il Casino del Fusaro, l’acquedotto Carolino, la masseria il Carditello, San Leucio. Ricordiamo l’interesse per l’archeologia con l’avvio degli Scavi di Ercolano e Pompei, iniziati nel 1738 per volere del primo re Borbone Carlo III, dopo un ritrovamento durante i lavori di restauro di una cisterna di un casale. Da allora, intorno al nome di Ercolano e Pompei (scoperta nel 1748) è prosperato un mito che continua a sedurre coloro che si spingono all’ombra dello "sterminator Vesuvio". "Si può ben dire che la scoperta di Ercolano e Pompei non si limitò a rivoluzionare l’archeologia e la storia del mondo antico, ma segnò in modo indelebile anche la civiltà europea. Non ci fu intellettuale, erudito, scrittore o artista che non sentisse il fascino di quel che stava rendendo al mondo il ventre del Vesuvio (…) De Brosses, Goethe, Melville, Mark Twain (…) fu una vera e propria frenesia (…) da quel fuoco nacque nell’Europa dei Lumi quella che si indica come civiltà neoclassica: così come la scoperta dalla Domus Aurea era nato il Rinascimento (…) le vestigia che venivano alla luce vennero sistemate temporaneamente nella nuova Villa Reale di Portici e più tardi trasferite, in solenne corteo, a Napoli nel Museo Archeologico"(46) (oggi Museo Nazionale). Fu istituita l’Officina dei Papiri, un laboratorio che si occupava del recupero e restauro dei reperti provenienti dagli scavi d’Ercolano "Re Carlo III già nel 1755 aveva emanato un bando in cui si prescriveva la tutela del patrimonio artistico delle Due Sicilie che prevedeva anche pene detentive per chi esportava o vendeva materiale d’epoca; esso fu rinnovato da Ferdinando I nel 1766, nel 1769 e nel 1822. Nel 1839 Ferdinando II nominava una "Commissione di Antichità e Belle Arti" per la tutela e la conservazione dei beni (47).
NOTE:
Note al capitolo 8:

1. circa 1.600.000 addetti su circa 3.131.000 complessivi torna al testo

2. i primi re furono, dunque, i Normanni d'Altavilla (1130-1194), seguiti dagli Svevi (1194-1266), dagli Angioini (1266-1442) e dagli Aragona (1442-1503); a loro subentrarono gli Spagnoli (1503-1707) e poi gli Austriaci per solo 27 anni (1707-1734); i più importanti sovrani delle varie casate furono nell'ordine: Ruggero II d'Altavilla , Federico II di Svevia, Carlo I d'Angiò, Alfonso I d'Aragona e il vicerè spagnolo Pedro de Toledo. Nel 1734 la Spagna rioccupò il Regno strappandolo agli Asburgo e iniziò quindi l'era borbonica con i suoi re (Carlo, Ferdinando I, Francesco I, Ferdinando II e Francesco II) che durò fino all'annessione al Piemonte 1861, con l'intermezzo dei Napoleonidi Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat (1806 -1815). torna al testo

3. A Saitta, Gli scritti sulla questione meridionale, Laterza, 1958 torna al testo

4. Ricordiamo, oltre a Pedio, autore di questa affermazione (da op.cit., modif.) alcuni nomi degli storici controcorrente: Rispoli, Nitti, Salvemini, Coniglio, Bianchini, Luzzato, Lepre, Villani, Demarco, Petrocchi, Mangone, Vocino, Capecelatro e Aianello. torna al testo

5. Tommaso Pedio, op. cit., pagg.1-4, modif. torna al testo

6. Tommaso Pedio, op. cit. pag.92 torna al testo

7. Tommaso Pedio, op. cit., pag. 82 torna al testo

8. "perché il braccio straniero \ a fabbricare le macchine mosse dal vapore \ il Regno delle Due Sicilie più non abbisognasse", così dichiarò Ferdinando II. torna al testo

9. Cfr. Il centenario delle ferrovie italiane 1839-1939 (Pubblicazione celebrativa delle FF.SS.), Roma 1940, pp.106,137 e 139 torna al testo

10. E. Spagnolo in "Due Sicilie" settembre-ottobre 2001 torna al testo

11. Lamberto Radogna, " Storia della Marina Mercantile delle Due Sicilie", Mursia torna al testo

12. L'istruzione nautica in Italia, pagg. 10/15, anno 1931, a cura del Ministero dell'Educazione Nazionale torna al testo

13. Michele Vocino, op. cit. torna al testo

14. F.M. Di Giovine, Atti del primo convegno Lions sul Regno delle Due Sicilie, pag.22 torna al testo

15. In quell’anno si giunse a produrre circa 1.200.000 libbre (pari a 480.000 Kg.) di seta grezza torna al testo

16. V. Demarco, Il crollo del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1960, che parla di 2.000 operai nelle nove cartiere del Liri. Sul carattere avanzato delle cartiere meridionali v. Barbagallo C., Le origini della grande industria contemporanea (Firenze 1951), p. 436 (a p. 422 si nota il carattere arretrato delle cartiere lombarde), Luzzatto G., L’economia italiana dal 1861 al 1894 (Torino 1968). torna al testo

17. dalla rivista "Il gommone", Koster publisher, gennaio-febbraio 2003, pag.107 torna al testo

18. Annuario Statistico Italiano 1864 di Maestri-Correnti riportato in Svimez, "Cento anni di vita nazionale attraverso la statistica delle regioni", Roma, 1961; ISTAT, Annuario Statistico Italiano, 1938 torna al testo

19. l’unità di misura di superficie della terra era il moggio, chiamato anche tomolo, equivalente a 4.115 metri quadri (Lucania). L’unità di peso per i prodotti della terra era la libbra che equivaleva a 480 grammi torna al testo

20-22. Nicola Zitara, op. cit. torna al testo

21. diversamente dai Savoia ai quali fu dedicato il piatto nazionale tipico del Sud battezzando con il nome della regina Margherita una variante della pizza in cui erano presenti i "colori nazionali ". torna al testo

23. La moltiplicazione fu permessa dalle leggi sabaude, che permettevano di mantenere riverve in oro 3 volte inferiori alla moneta circolante torna al testo

24. l’unità di peso era il cantaro o cantaio ed equivaleva a 89,10 chili; il rotolo era la centesima parte del cantaro torna al testo

25. Boeri, Crociati, Fiorentino; " L’esercito borbonico dal 1830 al 1861 ", Stato Maggiore dell’Esercito, Roma, 1998 torna al testo

26. Vincenzo Gulì, "Il saccheggio del Sud", Campania Bella editore torna al testo

27. Decreto del 10 agosto 1815 torna al testo

28-29 Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860 - Giacomo Savarese - Cardamone - 1862 torna al testo

30-31. Michele Vocino, "Primati del regno di Napoli", Mele editore torna al testo

32. Basti pensare agli 866 km realizzati dal rissoso Piemonte fino al 1860, la cui costruzione contribuí non poco alla bancarotta di quello Stato torna al testo

33. Tratto dagli " Annali Civili del Regno delle Due Sicilie ", vol. XX,fasc.XLI, pag.37 torna al testo

34. Michele Vocino, I primati del regno di Napoli, Mele editore, pag. 149 torna al testo

35. il Piemonte aveva approntato 866 km di ferrovie, il Lombardo Veneto 240 km, la Toscana 324 km, i ducati emiliani 180 km; le Due Sicilie 104 km operativi e 150 in via di completamento o in costruzione torna al testo

36. ibidem torna al testo.

37. Enzo Striano, Il resto di niente, Avagliano editore, 2002, pag. 52 torna al testo.

38. A. Mozzillo, "Passaggio a Mezzogiorno", Leonardo editore, 1993, pag. 382, modif. torna al testo.

39. seguì la reazione del restaurato Re che considerava i sudditi ribelli (principalmente intellettuali e aristocratici), dei semplici traditori. Di essi 99 furono giustiziati nel tripudio popolare. Come ha fatto dire a un suo personaggio Enzo Striano (op.cit.), "A Napoli la rivoluzione pochi la capiscono, pochissimi l’approvano, quasi nessuno la desidera" torna al testo.

40. Marco Meriggi "Gli stati italiani prima dell’Unità ", Il Mulino, 2002 torna al testo.

41. Hermann Melville, Napoli al tempo di re Bomba, Princeton, 1855 torna al testo.

42. Nicola Zitara, Fora, rivista elettronica pubblicata nel sito www.duesicilie.org torna al testo.

43. Giovanni Caruselli, "Mozart in Italia", Diakronia, 1991 torna al testo.

44. J. J. Rousseau: Dictionnaire de Musique. Voce: génie. torna al testo.

45. Nicola Zitara, cit. torna al testo

46. Cesare de Seta in AD, giugno 2003, ed. Condè Nast torna al testo

47. da una lezione di Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, all'Università di Cosenza; riportata da "Il Sole 24 Ore" del 19 gennaio 2003, pag. 25 torna al testo

(tratto da: "Il Sud e l'unità d'Italia" - Giuseppe Ressa e Alfonso Grasso.
link: http://www.morronedelsannio.com/sud/index.htm
Parte Seconda: http://www.morronedelsannio.com/sud/seconda.htm#para8)
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Re: Il furto della memoria
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Stendhal: "Napoli è l’unica capitale d’Italia, tutte le altre grandi città sono delle Lione rafforzate"
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Re: Il furto della memoria
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La Politica Fiscale unitaria

Nelle Due Sicilie, la tassazione complessiva raddoppiò in soli sei anni dall'annessione (da 14 lire pro-capite del 1859, alle 28 del 1866) (18)

Tav.5 - Le imposizioni fiscali al Sud subito dopo la conquista piemontese (19)

Imposta personale

Tassa sulle successioni

Tassa sulle donazioni, mutui e doti; sull'emancipazione ed adozione

Tassa sulle pensioni

Tassa sanitaria

Tassa sulle fabbriche

Tassa sull'industria

Tassa sulle società industriali

Tassa per pesi e misure

Diritto d'insinuazione

Diritto di esportazione sulla paglia, fieno, ed avena

Sul consumo delle carni, pelli, acquavite e birra

Tassa sulle mani morte

Tassa per la caccia

Tassa sulle vetture

Accorpando i dati complessivi sulle imposte, dividendoli per categorie di entrate, notiamo che nel periodo 1861-1873 le imposte dirette davano la metà delle entrate fiscali delle indirette, che com'è noto colpiscono i consumi e quindi gravano proporzionalmente di più sui redditi più bassi. Ma non è tutto, le imposte dirette erano proporzionali e non progressive rispetto al reddito individuale per cui i cittadini con poche sostanze e le classi agiate pagavano la stessa aliquota fissa di tasse. La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu, poi, un caso di vero e proprio drenaggio di capitali dal Sud verso il Nord, infatti, la pressione fiscale in agricoltura crebbe nel regno d'Italia in maniera sperequata, così, mentre nelle Due Sicilie si pagano 40 milioni d'imposta fondiaria, nel 1866 se ne pagheranno 70, contro i 52 del Nord. La differenza è anche più evidente se si considerano le aliquote per ettaro: nelle province di Napoli e Caserta si pagavano 9,6 lire per ettaro, contro la media nazionale di 3,33. Lo stesso avveniva per le tasse sugli affari che incidevano per 7,04 lire pro-capite in Campania, contro 6,70 in Piemonte e 6,87 in Lombardia (20). In seguito, quando si pose il problema di perequare l'imposta nelle province (Lombardia, Napoletano) che pagavano di più [l'imposta non era sul reddito, ma si stabiliva, secondo certi parametri, su base regionale], il risultato fu che le tasse diminuirono in Lombardia ed aumentarono nel Napoletano (21). Si calcola che l'ingiustizia fiscale sia costata al Sud 100 milioni/anno e che quest'ultimo abbia ricevuto dall'erario nei primi 40 anni dell'Unità meno di quanto sborsasse; anche dopo le cose non cambiarono, così, nel primo decennio del secolo ventesimo, una provincia depressa come quella di Potenza pagava più tasse d'Udine e la provincia di Salerno, ormai lontana dalla floridezza dell'epoca borbonica essendo state chiuse cartiere e manifatture, pagava più tasse della ricca Como (22). Non è tutto: il 18 febbraio 1861 fu abrogato il Concordato in vigore tra le Due Sicilie e lo Stato della Chiesa. I beni ecclesiastici furono espropriati e venduti, fruttando allo Stato unitario oltre 600 milioni (23). Gli acquirenti furono i borghesi liberali che se ne impossessano a prezzi irrisori, i capitali del Sud furono così rastrellati e resi disponibili per l'imprenditoria del nord, mentre al Sud si ebbe un incremento dei latifondi , sottraendo ai contadini gli "Usi Civici". Indicative sono le cifre delle espropriazioni per il mancato pagamento di tasse (da una per ogni 27mila abitanti nel Piemonte e Lombardia, si passa ad una a 900 per Puglia e Lucania e una a 114 in Calabria) (24).

La Spesa Pubblica

La spesa pubblica appare prevalentemente concentrata al Nord tanto che "Lo Stato spendeva mediamente 50 lire per ogni cittadino del Nord e 15 per quello del Sud" (25). La ripartizione della spesa tra i singoli ministeri (26) mostra altre sorprese: a quello della Guerra (così si chiamava il Ministero della Difesa) andava il 19.52 % del totale mentre ai Lavori Pubblici solo il 9.62%. Vi era poi una grossa sperequazione nella distribuzione della spesa tra Nord e Sud; per le opere idrauliche in agricoltura, ad esempio, che era la principale attività economica italiana, troviamo questi dati:

Tav.6 - Distribuzione della spesa per le opere idrauliche per l'agricoltura in Lire (1860-1898) (27)

Lombardia: 92.165.574

Veneto: 174.066.407

Emilia: 130.980.520

Sicilia: 1.333.296

Campania: 465.533

Dalle cifre si evince l'enorme disparità di finanziamenti tra il Nord e il Sud. L'unica spesa di un certo rilievo per il Meridione fu l'acquedotto pugliese (peraltro realizzato dopo il 1902); la media pro-capite per queste spese fu di lire 0,39 nel Mezzogiorno (0,37 in Sicilia) contro la media nazionale di lire 19,71 (28). I prestiti di favore per costruire gli edifici scolastici raggiunsero nel Sud la punta massima in Puglia di lire 5.777 per ogni 100.000 abitanti (Campania l.641, Calabria 80); nel Nord le punte sono lire 13.345 in Piemonte e 15.625 in Lombardia (29); al Nord le scuole tecniche sono distribuite in ragione di una ogni 141 mila abitanti, al Centro una ogni 161 mila abitanti, al Sud una ogni 400 mila abitanti,analoga la situazione delle Università (30). Gli appalti vennero concessi quasi esclusivamente alle ditte del Centro-Nord e cosi pure le società dei Monopoli.



Trasporti

Anche per i trasporti il Sud è svantaggiato: mandare una merce via mare da Genova a Napoli costa 0,85 lire/quintale; in senso inverso costa 1,50 (31). Le spese per spiagge, fari e fanali ammontano per il Nord a 278 mila lire/ km. di costa, a 83 mila al Centro, a 43 mila per il Sud e 31 mila in Sicilia; nella stessa epoca il Parlamento respinge i progetti di leggi speciali per i porti del Sud ed approva quelli per il Centro-Nord. Un gran parlare si è fatto sulle spese ferroviarie che lo Stato unitario ha fatto al Sud: l. 863 milioni per la parte continentale, 479 milioni per la Sicilia (32). Il tutto va però commisurato al totale di 4.076 milioni di lire spese nello stesso periodo per l'Italia intera: il Sud ebbe meno di un terzo dello stanziamento complessivo (33). In tal modo il Nord ottenne, a scapito del Sud, il progressivo miglioramento dei collegamenti ai mercati. Il 15 Ottobre del 1860 fu promulgato dal governo prodittatoriale di Garibaldi il decreto di concessione per la costruzione di strade ferrate in favore della Società Adami e Lemmi di Livorno (quest'ultimo futuro potentissimo Gran Maestro della Massoneria Italiana) assicurando per contratto un utile netto del 7%; le precedenti convenzioni con ditte meridionali furono annullate anche se i lavori erano a buon punto tanto che tutte le gallerie e i ponti erano già stati costruiti; per ordine del governo prodittatoriale i lavori furono sospesi e a nulla valsero le rimostranze del titolare della concessione, il pugliese Emmanuele Melisurgo, che insisteva perché il divieto fosse revocato e gli fosse permesso di far lavorare i suoi operai (34).



Spese amministrative

Si deve al Nitti se la leggenda del "burocratismo" meridionale sia stata smantellata, poiché egli ha provato, con un'analisi condotta con puntiglio teutonico, come gli uffici dello Stato fossero prevalentemente concentrati al Nord (scuole, magistratura, esercito, polizia, uffici amministrativi ecc.) e tutti i codici e l'intera struttura statale erano piemontesi. Eppure ci si continua a riferire dispregiativamente alla burocrazia borbonica come in un'estasi d'ignoranza quasi intenzionale.


L'attacco dello Stato all'industria meridionale

Si sostiene che fu la concorrenza dei prodotti del Nord ed esteri a mettere in ginocchio l'industria meridionale dopo l'Unità, tesi tuttavia poco credibile poiché l'industria settentrionale copriva a stento il fabbisogno del suo mercato. Perché allora l'industria meridionale scomparve, malgrado fosse globalmente considerata ad un livello superiore a quella del Nord? La concorrenza estera c'era sia al Nord sia al Sud, eppure il primo sopravvisse e si sviluppò, mentre il Sud perse terreno anche nei settori in cui, al momento dell'Unità, era alla pari o ad un livello più avanzato. La spiegazione va dunque ricercata in quel preciso disegno politico dei "vincitori", che prevedeva uno sviluppo accelerato del Nord, finanziato proprio dalle risorse rastrellate al Sud. Tale progetto fu costantemente perseguito, tanto che il triangolo Torino-Milano-Genova (più vicino ai mercati europei) divenne ben presto il polo industriale italiano. Gli strumenti di questa politica furono: la fiscalità, il rastrellamento di capitali e del risparmio, la strozzatura del credito, gli investimenti pubblici preferenziali per il Nord e la diminuzione delle commesse alle imprese del Sud. "Il dissidio tra la Lombardia (...) e molta altra parte d'Italia ha origini in una serie di fatti: sopra tutto il sacrificio continuo che si è fatto degli interessi meridionali" (35). Non deve quindi destare meraviglia che la frattura economica Nord-Sud cominciasse a delinearsi già dopo 20 anni d'unità, e che dopo 40 era già netta. Piuttosto stupisce che l'economia del Sud abbia retto per decenni ad una simile politica di sistematica rapina.

I fiori all'occhiello dell'economia meridionale come Pietrarsa, che era la più grande industria metalmeccanica d'Italia, i cantieri navali, gli stabilimenti siderurgici come Mongiana o Ferdinandea, l'industria tessile e le cartiere caddero in rovina o furono immediatamente chiusi, contemporaneamente al Nord sorsero quasi dal nulla analoghi stabilimenti come l'Arsenale di La Spezia o colossi come l'Orlando. Pietrarsa, dopo vari passaggi di proprietà, nel 1885 venne addirittura declassata a officina di riparazione; nel 1900 ebbe un rapido declino fino ad essere chiusa definitivamente il 20 dicembre 1975 (attualmente è sede di un Museo ferroviario). Mongiana nel 1862 vide la produzione più che dimezzata, così come il numero dei suoi dipendenti; il 25 giugno 1874, in "ottemperanza" alla Legge 23 Giugno 1873, Mongiana venne chiusa e fabbriche, officine, forni di fusione, boschi, segherie, terreni, miniere, alloggi e caserme, tutto il complesso diventò la "casa di campagna" di Achille Fazzari, ex garibaldino, che l'acquistò per poco più di cinquecentomila lire. La costruzione della ferriera di Atina (al momento dell'Unità due altoforni erano già pronti, venne subito sospesa, mentre contemporaneamente si registrò un incremento di analoghi complessi nell'area ligure-piemontese (l'Ansaldo, che prima del 1860 contava soltanto 500 dipendenti, li raddoppiò in due anni). Paradigmatico, poi, è l'esempio della marina mercantile meridionale: prima dell'Unità era tra le più grandi del mondo, dopo il 1860 il governo di Torino preferì stanziare anticipi di capitale e sovvenzioni per le società di navigazioni genovesi, negandoli a quelle meridionali che furono così costrette a ridurre e sospendere le attività. "Il trentennio dal 1860 al 1890 segnò per l'armamento a vapore napoletano un periodo di decadenza e di stasi completa" (36). Nel ventennio 1879-1898 le commesse alla cantieristica del Sud furono solo il 33% del totale nel settore pubblico e circa l'11% di quello privato.

Anche il settore tessile fu danneggiato dalla mancanza di commesse, dopo l'unità l'opificio di San Leucio venne chiuso per cinque anni e poi dato in appalto ad un piemontese, successivamente passò al Comune, poi in fitto ai privati e nel 1910 fu chiuso per sempre. Per quanto riguarda la fiorente industria della carta, lo Stato preferì acquistare il prodotto all'estero mandando sul lastrico migliaia di operai meridionali. Ricordiamo, per inciso, che in ogni caso l'industria italiana nei primi 90 anni postunitari rimase a livelli molto inferiori alla media europea: il Paese rimase sostanzialmente agricolo tanto che fino agli anni 50 del 1900 le maggiori entrate del bilancio dello Stato erano dovute alle esportazioni di agrumi meridionali e alle rimesse degli emigranti, anch'essi in gran parte del Sud. Ancora nel 1954 il 42,4% della popolazione attiva italiana era occupata nell'agricoltura contro il 31.6 % dell'industria.


Il ruolo dei parlamentari meridionali a Torino

I deputati meridionali che giunsero a Torino, nel febbraio 1861, per l'inaugurazione del nuovo parlamento erano tutti accesi filopiemontesi e avevano avuto una parte molto rilevante nel favorire la conquista savoiarda prima screditando il governo meridionale e poi collaborando con l'invasione. La maggior parte, pur di rimanere nel gruppo di potere, chiuse tutti e due gli occhi di fronte all'annientamento economico e civile del Sud con un atteggiamento che è perdurato fino ai giorni nostri. Ma alcuni di loro fecero eccezione, presentando coraggiose interpellanze per difendere gli interessi del meridione: ne selezioniamo alcune divise per argomento (37):

1) riguardo lo stato delle finanze il deputato pugliese Valenti così dichiarava nella seduta del 3 aprile 1861 (atto nr.52): "Sotto i Borboni pagavamo gli stessi e forse minori pesi che paghiamo adesso. I Borboni mantenevano un'armata di 120 mila uomini (...) ponevano fondi in tutti i banchi all'estero, dotavano largamente la figliolanza e tuttavia il tesoro era fiorente" e il 4 dicembre il deputato Ricciardi così si esprimeva (atto nr.340): "Come mai questo paese le cui finanze erano così floride, la cui rendita pubblica era salita al 118 è in così misera condizione? "

2) riguardo la sicurezza personale il deputato siciliano Bruno così dichiarava nella seduta del 4 aprile 1861 (atto nr.53): "La Sicilia sotto i Borboni offrì per molti anni l'edificante spettacolo che furti non ne succedevano assolutamente e si poteva passeggiare per tutte le strade, ed a tutte le ore senza la menoma paura di essere aggrediti né derubati".

3) riguardo la proposta di legge abolitiva dei vincoli feudali in Lombardia il deputato Zanardelli così dichiarava il 7 maggio (atto nr.113): "La legge napoletana su tal proposito fu fatta nel 1806, in un tempo non di rivoluzione ma di restaurazione, in un tempo in cui i feudi venivano restaurati in Lombardia (...) e questa legge nella patria di Vico, di Mario Pagano e di Filangeri fu chiamata, anche dal Colletta, argomento al mondo di napoletana civiltà".

4) riguardo la connivenza con i Piemontesi dell'alta ufficialità borbonica prima dell'invasione il deputato Ricciardi così ebbe a dichiarare il 20 maggio 1861 (atto nr.140): "Appena reduce dall'esilio giunsi in Napoli (...) io feci la propaganda nelle caserme a rischio di farmi fucilare (...) gli ufficiali rispondevano: noi saremmo pronti ma i nostri soldati sono talmente fanatizzati che ci fucilerebbero (...) Ma vi pare che senza il lavoro segreto di questi ufficiali, senza il nostro lavoro, avrebbe mai potuto entrare Garibaldi in Napoli, città di mezzo milione di abitanti, con 4 castelli gremiti di truppe? Egli entrò solo in Napoli perché noi liberali, con un buon numero di ufficiali, glie ne aprimmo le porte"

5) riguardo lo strozzamento dell'economia meridionale e la piemontesizzazione: nella seduta del 20 novembre 1861 (atto nr.234) il deputato di Casoria, Proto, duca di Maddaloni, propose il distacco dell'ex Regno di Napoli dal Regno d'Italia e accusò apertamente il governo piemontese di avere invaso e depredato il Napoletano e la Sicilia: "Intere famiglie veggonsi accattar l'elemosina; diminuito, anzi annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e per le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest'uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. Ai mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose: burocrati di Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabbricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio che i napoletani. A facchini della dogana, a camerieri, a birri vengono uomini del Piemonte. Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le provincie meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala". La presidenza della Camera invitò il deputato a ritirare la sua mozione ed egli il giorno successivo per protesta rassegnò le dimissioni. Il 4 dicembre il deputato Ricciardi (atto nr.340) insiste sull'argomento: "Due sono le principali piaghe di quelle provincie (...) la piaga morale è l'offesa profonda recata a sette milioni d'uomini (...) un paese che per otto nove secoli è stato autonomo, ad un tratto ridotto a provincia, un paese che vede distrutte per via di decreti le sue antiche leggi, le sue antiche istituzioni certamente non può essere contento. Aggiungete la invasione d'impiegati non nativi del paese i quali non sono veduti troppo di buon occhio (...) quanto alla piaga materiale la miseria è grandissima (...) e poi, e io ve la dico schietta, da Torino non si governa l'Italia, da Torino non si regge Napoli: questa è la mia convinzione profonda; in questo sta la radice di tutti i nostri mali" Il 20 dicembre il deputato San Donato (atto nr.340): "Tutti gli impiegati che da Torino si sono mandati a Napoli non solo sono stati promossi di soldo, ma si è loro accordata, sul tesoro napoletano, due, tre, sino quattrocento franchi al mese di indennità, mentre ai Napoletani traslocati in Torino nulla si è dato non solo, ma lo sono stati con gradi e soldi inferiori a quelli che lasciavano in Napoli". Nella stessa seduta il deputato Pisanelli: " Non vi è istituzione pubblica, collegi, università, amministrazione, educandati ecc. ecc., a Napoli, che non sieno stati sciolti, unicamente perché non avevano i regolamenti piemontesi. Il ministro della Marina signor Menabrea ha invitato 43 nobili padri di famiglia a ritirare dal collegio di marina i loro ragazzi (che essi vi tenevano da tre o quattro anni messi al tempo dei Borboni), unicamente perché gli è piaciuto dire che questi erano entrati nel 1858 quando a Napoli non vi erano regolamenti piemontesi ". Il 2 febbraio 1867 il conte Ricciardi, eletto a Foggia, e uno dei più tenaci difensori degli interessi del Sud si dimette da deputato, così motivando: "Dopo sei anni di lotta mi persuasi che l'opera mia in Parlamento si riduceva ormai ad un inutile sfogo (...) una opposizione divisa e acefala (...) una maggioranza impotente al bene (...) il governo di nulla di grande e fruttifero mostrasi iniziatore. Continuando io alla Camera mi assumerei una responsabilità tristissima; meglio sarammi tornare all'antico ufficio di scrittore, più umile, ma certo più utile, consolandomi alquanto dè mali di cui sono testimone, di aver fatto ogni sforzo per evitarli ". Più tardi un unitarista convinto come Giustino Fortunato, nella lettera a Pasquale Villari n. 89 del 2 settembre 1899, scrive: "L'unità d'Italia (...) è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L'unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all'opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali". Gli fece eco Gaetano Salvemini (1900): "Se dall'unità d'Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata (...) è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone". Sempre Fortunato in un'altra lettera del 1923 diretta a Benedetto Croce scriveva (38): "Non disdico il mio "unitarismo". Ho modificato soltanto il mio giudizio sugli industriali del nord. Sono dei porci più porci dei maggiori porci nostri. E la mia visione pessimistica è completa".

Continua...


Note
18. Ò Clery, op. cit. (valore espresso in lire, la valuta meridionale era il ducato equivalente a 4,25 lire, N.d.A.)

19. G. Savarese, " Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860", Cardamone, 1862, p.28.

20. Nítti F. S., Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-97, Napoli 1900., p. 107. Anche per l'imposta sui fabbricati il Sud era più gravato (Nitti, op. cit., p. 80).

21. Carono-Donvito G., op. cit., p. 154. Sul modo con cui funzionava l'imposta v. Plebano A., Storia della finanza italiana nei Primi quaranta anni dell'indipendenza, Padova, 1960, pp. 95-96. L'imposta non era sul reddito, ma si stabiliva, secondo certi parametri, su base regionale.

22. Nitti F. S., op. cit., p. 141.

23. Carano-Donvito G., op. cit., p. 165 sgg., dove si nota che Puglia e Basilicata hanno dato all'erario più di Lombardia, Veneto e Liguria messi assieme

24. Luzzatto G., L'economia italiana dal 1861 al 1894 (Torino 1968), p. 172.

25. Lorenzo Del Boca, op. cit.

26. dati compresi tra il 1861 e il 1873 ripresi da Alessendro Mola op. cit.

27. Carano - Convito, " L'economia italiana prima e dopo il Risorgimento", Firenze, 1928, pag. 180

28. Nitti F. S., Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-97, Napoli 1900, p. 294; i dati riguardano il periodo 1862-97.

29-30-31-32. Nitti F. S., Il bilancio cit., p. 268, pp. 254-5, p. 367 nota I, p. 300

33. Carano-Donvito G., op. cit., p. 179.

34. Tommaso Pedìo, "L'economia delle Province napoletane a metà dell'800", Capone, 1984, modif.

35. da una lettera di Nitti del 5 luglio 1898 a Giuseppe Colombo, direttore del Politecnico di Milano in C.G.Lacaita, Nitti e Colombo: carteggio inedito 1896-1919 in " Rivista Milanese di Economia", n.5 ( gennaio-marzo 1983), pag.126

36. L.Radogna, op. cit.

37. tratte dal periodico "Due Sicilie" del marzo 2002, sono il risultato di uno studio di Sator di Ortona sugli Atti parlamentari ufficiali

38. lettera n.58 del 14 giugno 1923

(tratto da: Nexus Co. - No Individuality,No Life
Link: http://ienaridensnexus.blogspot.com/2011/01/il-sud-e-lunita-ditalia-dodicesima.html)
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  •  audisio
      audisio
Re: Il furto della memoria
#23
Sono certo di non sapere
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@ Notturno:
grazie, m'hai risparmiato una gran fatica che, in effetti, non
mi andava tanto di fare.


P.S.: mi spiace per qualche incomprensione recente...
Inviato il: 27/1/2011 15:51
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Re: Il furto della memoria
#24
Dubito ormai di tutto
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Ecco perché sentire dire ancora oggi che "fiumi di denaro" sono stati spediti dal nord al sud è frutto di colossale ignoranza.

Ed ecco perché si prova quel "senso di colpa" di cui parlavo prima.

Un popolo ha aggredito un altro popolo.

Lo ha spogliato di tutto: oro, risorse e dignità.

Poi gli ha tolto la memoria.

E infine ha ribaltato la verità, facendo apparire il sud come un "ciuccia-soldi".

Sia ben chiaro: togliere in maniera massiccia le risorse a un popolo significa IMPEDIRGLI LO SVILUPPO. Anche per il futuro.

Se qualcuno avrà voglia e pazienza e leggerà anche solo poche delle righe che ho riportato sopra, scoprirà che DOPO l'unità d'Italia, le tasse sono aumentate a dismisura SOLO AL SUD.

E gli investimenti sono stati fatti SOLO AL NORD.

Questo stato di cose non si può pensare come "occasionale".

E' stato voluto.

E oggi ci ritroviamo gente come PikeBishop, che non crederebbe a un telegiornale o a un giornale di carta manco se lo pagassero in moneta contante, che (guarda caso) si sente serenamente in diritto di affermare che:
"Dai, siamo seri. Napoli era una citta' alla periferia culturale d'Europa. I centri culturali, alla meta' del diciannovesimo secolo, erano appunto Parigi e Londra. Napoli era una citta' dove giravano soldi (i soldi fatti soprattutto con lo zolfo siciliano) e c'era un tenore di vita invidiabile soprattutto da tutti gli altri con le pezze al culo nel resto del regno , ma da qui a farne il centro culturale d'Europa... mi sa che e' come parlare con un tifoso di calcio della sua squadra del cuore."

Il più tronfio e logoro dei luoghi comuni, triste eredità della menzogna.

Questo intendevo dire quando dicevo che è strano che anche qui nessuno parli di questo.

Perché "questo" è scomodo....

Ed è SCOMODO ANCORA OGGI!

Oggi partiti come la Lega sono forti di QUESTA IGNORANZA!

Tutto quel che accade oggi è figlio diretto di questa storia.

E prima ce ne rendiamo conto e prima le cose cambieranno.

Sempre ammesso che le si voglia cambiare.

Per alcuni è "scomoda anche questa ipotesi.
Inviato il: 27/1/2011 15:59
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  •  Notturno
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Re: Il furto della memoria
#25
Dubito ormai di tutto
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Citazione:

audisio ha scritto:
@ Notturno:
grazie, m'hai risparmiato una gran fatica che, in effetti, non
mi andava tanto di fare.


P.S.: mi spiace per qualche incomprensione recente...


Ma figurati, Audisio.

Le liti per le idee sono le più belle possibili.

Non so se si nota, ma ho ridotto di parecchio la mia attività qui.

Non per malizia o altro, ma per una semplice riflessione: sento di dover dire la mia. Stop. Non sento alcun obbligo di convincere nessuno.

E mi son reso conto che non sempre mi sono comportato così, anzi. Ho fin troppo insistito sulle mie idee, anche a scapito di buon senso ed educazione.

Spiace anche a me.

Prosit.
Inviato il: 27/1/2011 16:02
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  •  audisio
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Re: Il furto della memoria
#26
Sono certo di non sapere
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@ Notturno:
è normale infervorarsi per le cose di cui si è convinti.
Ma è anche un grosso rischio perchè si finisce per incorrere
in una tentazione pedagogica che non serve a nulla ma anzi
fa alzare barriere.
Per cui quando mi rendo conto che sto per cascarci cerco di
bloccarmi, come prima nella discussione con Pike.
L'ho solo invitato a leggere anche tesi e documenti portati da
chi non la pensa come lui e poi, chissà, riparlarne.
Ma spesso mi lascio trascinare anch'io in inutili e dannose diatribe...
Inviato il: 27/1/2011 16:11
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Re: Il furto della memoria
#27
Dubito ormai di tutto
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"Sulla tomba di Tanucci, ministro delle finanze per 40 anni
(dei Borboni - ndr), troviamo scritto che non impose nuovi balzelli, viceversa nel periodo 1848-1860 il governo piemontese impone ben 22 nuovi tributi."

(tratto da: "Il Regno delle Due Sicilie prima dell’Unità - Il sistema monetario e bancario, il costo della vita, la tassazione, il bilancio statale", di Giuseppe Ressa. Link: http://www.ilportaledelsud.org/mr12.htm)
Inviato il: 27/1/2011 16:15
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  •  incredulo
      incredulo
Re: Il furto della memoria
#28
Sono certo di non sapere
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Da Asia
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Citazione

Questo intendevo dire quando dicevo che è strano che anche qui nessuno parli di questo. Perché "questo" è scomodo.... Ed è SCOMODO ANCORA OGGI!
Oggi partiti come la Lega sono forti di QUESTA IGNORANZA!
Tutto quel che accade oggi è figlio diretto di questa storia.
E prima ce ne rendiamo conto e prima le cose cambieranno. Sempre ammesso che le si voglia cambiare. Per alcuni è "scomoda anche questa ipotesi.


Vedi Notturno, quello che accade oggi con la lega, e' figlio di un'altra storia.

Non sto parlando della storia che si studia a scuola ma della storia del meridione dal dopoguerra ad oggi.

In quella storia, per motivi politici e clientelari, il meridione, nonostante gli ingenti capitali piovutogli addosso, non si e' sviluppato come avrebbe dovuto.

Sono state fatte scelte politiche chiare di assistenzialismo, pensioni, invalidita' fasulle, cassa per il mezzogiorno ecc.

Faceva comodo questo stato di cose, perche' garantiva un serbatoio di consenso elettorale granitico e inattaccabile.

Su quelle scelte si e' sviluppato il sentimento della lega, solo esclusivamente, STRANO EH ?, PER I SOLDI.

L'idea della lega e' semplice ( e non potrebbe essere altrimenti vista l'intellegenza media dell'elettorato )

Se smetto di mandare soldi al sud, che sono un popolo di parassiti, avro' piu' denaro per me.

E' solo per questo che, alla fine, non frega niente a nessuno di come sono andate veramente le cose.

Un saluto
Inviato il: 27/1/2011 16:31
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  •  audisio
      audisio
Re: Il furto della memoria
#29
Sono certo di non sapere
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@ incredulo:
non è che puoi fare iniziare la storia quando vuoi tu, come
quando giochi ad un videogame e metti in sospeso la partita.
L'assistenzialismo anni '60 e post è figlio dell'impoverimento
del Sud a favore del Nord che si è protratto per i 100 anni
precedenti.
A Gheddafi è stato riconosciuto un risarcimento per fatti risalenti
al 1911, perchè non anche al Sud?
Il Nord paghi i suoi debiti colonialisti, poi si può anche riparlare di
federalismo.
Ma a quel punto, ne son sicuro, il Nord ridotto con le pezze al culo
com'è stato il Sud per un secolo e mezzo, non lo vorrebbe più il
federalismo.
Inviato il: 27/1/2011 16:35
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Re: Il furto della memoria
#30
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 21/8/2008
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Citazione:

incredulo ha scritto:
Citazione

Questo intendevo dire quando dicevo che è strano che anche qui nessuno parli di questo. Perché "questo" è scomodo.... Ed è SCOMODO ANCORA OGGI!
Oggi partiti come la Lega sono forti di QUESTA IGNORANZA!
Tutto quel che accade oggi è figlio diretto di questa storia.
E prima ce ne rendiamo conto e prima le cose cambieranno. Sempre ammesso che le si voglia cambiare. Per alcuni è "scomoda anche questa ipotesi.


Vedi Notturno, quello che accade oggi con la lega, e' figlio di un'altra storia.

Non sto parlando della storia che si studia a scuola ma della storia del meridione dal dopoguerra ad oggi.

In quella storia, per motivi politici e clientelari, il meridione, nonostante gli ingenti capitali piovutogli addosso, non si e' sviluppato come avrebbe dovuto.

Sono state fatte scelte politiche chiare di assistenzialismo, pensioni, invalidita' fasulle, cassa per il mezzogiorno ecc.

Faceva comodo questo stato di cose, perche' garantiva un serbatoio di consenso elettorale granitico e inattaccabile.

Su quelle scelte si e' sviluppato il sentimento della lega, solo esclusivamente, STRANO EH ?, PER I SOLDI.

L'idea della lega e' semplice ( e non potrebbe essere altrimenti vista l'intellegenza media dell'elettorato )

Se smetto di mandare soldi al sud, che sono un popolo di parassiti, avro' piu' denaro per me.

E' solo per questo che, alla fine, non frega niente a nessuno di come sono andate veramente le cose.

Un saluto


Un saluto anche a te, Incredulo.

La tua analisi è corretta, ma lacunosa.

E' ben vero che sono stati spesi molti soldi, dicendo che fossero a beneficio del sud, ma vanno dette due cose:

1) Non erano a beneficio del sud, ma solo di una casta politica ristretta. Non c'entra un benemerito piffero "il sud". Se, a titolo di esempio, mandi soldi a 1.000 elettori di Mastella, puoi anche dire che "mandi soldi al sud", ma in effetti li mandi a Mastella.

2) Se, nello stesso momento in cui mandi quei soldi a 1000 "mastelliani", aumenti le tasse per tutti (nord e sud) e investi SOLO AL NORD (infrastrutture, strade, ferrovie, ecc...) è sempre vero che hai mandato soldi verso sud (ai mille selezionatissimi mastelliani), ma nel contempo hai speso i VERI SOLDI al nord.

Sai perché?

Perché i soldi spesi per le infrastrutture PRODUCONO ALTRI SOLDI.

Quelli spesi per l'assistenzialismo (come giustamente lo chiami tu) NO.

Sicché, anche a voler ammettere che siano stati spesi soldi (sul "quanto" ci sono migliaia di documenti che dicono tutto e il suo contrario), sono stati spesi volutamente male.

E con il precipuo scopo di evitare che una zona ben precisa si sviluppasse.

Perché lo sviluppo impedisce lo sfruttamento e consente un altro (gravissimo!) fenomeno: la "graziosa donazione". Quella regalìa che priva il cittadino del suo status e lo fa regredire a suddito, che gli fa piovere dall'alto il "dono", come da un principe, da un re.

Una specie di quella che il nano fa (con magnanima e principesca elargizione) alle sue minorenni.

Ecco che il lavoro diventa un "dono".

Ma come?!?!? Io lavoro e ti devo pure ringraziare???

Il sud serve così com'è.

Un allevamento di mucche da mungere finché serve e infine da macellare.

Vi do un'altra chicca.

Quando finì la II Guerra Mondiale, il Belgio chiese E OTTENNE (!!!!!!!!!!!!) che l'Italia risarcisse i danni di guerra inviando decine di migliaia di operai nelle miniere belghe.

Si svuotarono interi paesi al sud.

Ecco perché serve il sud così com'è.

Ed ecco (ancora una volta) perché PERSINO SU QUESTO SITO è difficile parlarne.
Inviato il: 27/1/2011 17:03
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