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   Guerre e Terrorismo
  Io mi rendo conto...

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  •  Ribelle
      Ribelle
Re: Io mi rendo conto...
#241
Ho qualche dubbio
Iscritto il: 16/9/2008
Da
Messaggi: 216
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Dev'essersi finalmente fatto giorno...
Inviato il: 21/2/2009 13:25
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  •  Skabrego
      Skabrego
Re: Io mi rendo conto...
#242
Ho qualche dubbio
Iscritto il: 4/12/2006
Da
Messaggi: 178
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Redna

Citazione:

tieni presente che proprio gli anglosassoni li osteggiarono più di tutti, cosa che gli USA non fecero. Capirono, gli inglesi, che la mattanza in palestina ci sarebbe stata e fino allo scadere del mandato britannico sulla palestina lo stato di israele non fu dichiarato.
Ma lo stato di israele che tipo di carta deve avere per essere uno stato visto che la costituzione non ce l'ha ancora !?


Gli stessi inglesi che hanno addestrato Hitler per essere un "agente infiltrato sionista" che, con lo sterminio degli ebrei, unico motivo per cui Rotschlid l'avrebbe finanziato, avrebbe fornito alla causa sionista stessa il motivo per rivendicare Israele?
Le cose cozzano.

Ma appunto, non gli serve nemmeno una costituzione e se ne sbattono delle risoluzioni Onu con una sfacciataggine mai vista, ti sembrano tipi che muovono il mondo per una giustificazione morale?
Bisogna sfoltire un po', troppi indizi sbagliati rovinano una teoria che, di suo, potrebbe anche essere interessante...
Inviato il: 22/2/2009 13:10
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Re: Io mi rendo conto...
#243
Mi sento vacillare
Iscritto il: 30/1/2006
Da Genova
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Propongo come lettura domenicale, un articolo di Blondet, uscito giusto ieri.sabato 21 febbraio. Stante l'impegno che ho assunto in qualità di abbonato del suo sito, l'articolo che copio e incollo, è riprodotto solo parzialmente.


di Maurizio Blondet 21 febbraio 2009

I sei milioni di prima.

A quanto pare, c’è stato un altro olocausto prima dell’olocausto. Nel 1919. Anche allora, sei milioni di ebrei a rischio dela vita. Ecco qui l’interessante documento, che devo a un lettore. Può darsi che alcuni ne siano a conoscenza; io, che non sono un esperto olocaustico, ammetto che non lo conoscevo. Eccone la nostra traduzione [...]:

«In nome del cielo, sollevatevi ebrei d’America!»

Questo è il grido che gli ebrei d’Europa lanciano agli ebrei d’America

«Fate capire loro che stiamo morendo! Che il popolo intero sta morendo! Morendo per mancanza di cibo! Morendo per mancanza di assistenza medica! Morendo per mancanza di tetto!

Fate capire loro che a centinaia e centinaia si stanno togliendo la vita perchè la loro sofferenza, e quella dei loro familiari, ha reso la vita intollerabile.

Fate capire loro che milioni di ebrei sono intrappolati in Europa e non hanno alcuna speranza, se non nell’aiuto americano.

Dichiariamo solennemente agli ebrei d’America che mai nella storia del popolo ebraico, per quanto si vada inietro nei secoli, c’è mai stata una situazione come questa, e che mai nella storia del popolo ebraico c’è stata un’emergenza così grande. Già più volte gli ebrei d’America ci hanno salvato dalla morte. Ed ora, dall’abisso della nostra disperazione, vi imploriamo di aiutarci ancora, altrimenti moriamo» (Da una lettera inviata da un importante ebreo europeo a David A. Brown, presidente nazionale della United Jewish Campaign per 15 milioni di dollari).

________________________________________

Il resto del volantino invita gli ebrei di New York a raccogliere la loro quota: 6 milioni di dollari. Un dollaro a testa per ognuno dei 6 milioni di ebrei euro-orientali da salvare. E’ perfino economico, anche se il dollaro allora valeva molto di più.

Allora, quando? Anche se il volantino non reca una data, era il 1920. Bainbridge Colby, il politico che attesta la verità della tragedia, divenne segretario di Stato nel marzo di quell’anno. Il banchiere Jacob Schiff che appare tra i donatori e i firmatari dell’appello disperato morì nel 1920 (Felix Warburg defunse nel 1937). Nel 1919 l’ebraismo americano lanciò infatti una grande campagna di raccolta fondi, con invio di aiuti materiali e l’apertura di crediti enormi a Lenin, in pratica salvando il sistema sovietico dalla prima grande sua crisi, auto-generata.

La carestia cui alludono i volantini era infatti la conseguenza dellle collettivizzazioni economiche, delle requisizioni forzate e della disorganizzazione che i comunisti avevano creato smantellando gli apparati pubblici (e massacrando i dirigenti più capaci, perchè «borghesi»), il tutto nella «lotta alla controrivoluzione». Il dichiarato «Terrore Rosso».

Nella regione di Arkangelsk, per esempio, «i contadini che non aderivano alle requisizioni forzate erano sottoposti a immersioni prolungate in pozzi dove li si faceva scendere all’estremità di una corda; per il mancato pagamento dell’imposta rivoluzionaria si trasformava la gente in statue di ghiaccio», ricostruisce Solgenitsin («Due secoli insieme, II, 157). A Kiev, nell’agosto del 1919, truppe «bianche» (anticomuniste) prendono la città e scoprono centinaia di corpi di fucilati, o liquidati con colpi alla nuca, in capannoni e scantinati usati dalle «ceke». Il giudice istruttore della Ceka di Kiev, sotto interrogatorio, confessa: «Il numero dei collaboratori della Ceka oscillava tra i 150 e i 300 (...). La proporzione degli ebrei era uno su quattro nell’insieme, ma i posti chiave erano tutti quasi esclusivamente nelle loro mani. Su 20 membri della commissione, ossia quelli che decidevano le esecuzioni, 14 erano ebrei». (Solgenitsin, II, 162).

Ovviamente, congelare i contadini non è il metodo migliore per risolvere una carestia. Nacquero disordini per la fame. Nel febbraio 1921, ci furono a Mosca scioperi operai con la seguente parola d’ordine: «Abbasso i comunisti e gli ebrei!». L’avanguardia del proletariato dovette sterminare quegli operai borghesizzati.

«Fin dal gennaio 1918 funzionava la pena di morte sul posto, senza processo nè istruttoria. Venne poi la retata di centinaia e presto migliaia di ostaggi perfettamente innocenti, fucilati di notte o annegati nei fiumi a barche intere. Lo storico S. Melgunov, che conobbe le prigioni e le minacce della Ceka, ha descritto in modo indimenticabile l’epopea del Terrore rosso nel suo famoso libro appunto ‘Terrore Rosso’: Non c’era un solo luogo (in tutta la federazione) in cui non si procedesse ad esecuzioni mediante fucilazioni». La Ceka pubblicava un settimanale, Gladio Rosso, dove il redatore capo, l’ebreo Lev Kravin, scriveva: «Per noi è da escludere che ci si debba preoccupare dei vecchi principii della morale e dell’umanesimo, inventati dalla borghesia».

Questo succedeva specialmente in Ucraina. Uno storico americano, Bruce Lincoln, ha attestato: «La Ceka ucraina era composta circa all’80% da ebrei». Sicchè avvenne che, nel Paese percorso da armate bianche (generali Denikin, Wrangel, Petliura), quando queste strappavano una città ai bolscevichi, venivano massacrati ebrei a centinaia. «... Nelle fasi di tregua la popolazione ebraica fuggiva in massa, borgate e frazioni si svuotavano completamente; alcuni fuggivano verso la frontiera romena (nella vana speranza di esservi soccorsi); altri presi dal panico, senza direzione nè meta precise» (Solgenitsin, II, 176).

Per qualche ignoto motivo, gli ebrei venivano identificati col bolscevismo. E’ probabilmente questa situazione, con ebrei nel panico fuggenti sena mèta, ad aver mobilitato la raccolta di fondi di Jacob Schiff e per «i sei milioni di affamati, nudi e senza tetto». Per fortuna loro, durò poco. Le armate bianche si disfecero presto, e i lavoratori del proletariato ripresero coraggio. Via via che il bolscevismo riprendeva il terreno perduto, procedeva alla normalizzazione.

«Ecco un avviso della Vetceka pubblicato nell’ottobre 1920 a Kuban: ‘I villaggi dei cosacchi e i borghi che danno rifugio ai Bianchi saranno distrutti, tutta la popolazione adulta fucilata, tutti i beni confiscati». «Essendo le vittime troppo numerose per fucilarle ad uno ad uno», si passa «alle mitragliatrici». «Dopo la partenza del generale Wrangel, la crimea fu soprannominata ‘il cimitero panrusso’ »(il numero dei fucilati è stato valutato in 120-150 mila). «A Sebastopoli, non ci si accontentava di fucilare; si impiccava, a centinaia». La Prospettiva Nakhimov rigurgitava di impiccati (ai lampioni) arrestati per strada e giustiziati senza processo. Il terrore in Crimea proseguì per tutto il 1921. (Solgenitsin, II, 155).

A questa opera rivoluzionaria, gli ebrei si dedicarono massicciamente: «Tra i giudici istruttori incaricati della lotta con la controrivoluzione, - di gran lunga la sezione più importante delle strutture della Vetceka (polizia politica) - la metà era composta da ebrei», dice lo storico Kritchevski («Gli ebrei nell’apparato della Vetceka-Ghepeù negli anni Venti», Gerusalemme, 1999).

Poveri ebrei, scrive un altro storico, G. A. Landau: «La condizioni materiali della vita dopo il colpo di Stato dell’ottobre (1917) crearono un clima tale che gli ebrei furono costretti ad unirsi ai bolscevichi (...) Per non morire di fame, sono stati costretti a prendere servizio presso il governo, senza sottilizzare troppo sul genere di lavoro che veniva loro richiesto... Il numero dei funzionari ebrei, sin dall’inizio della rivoluzione d’ottobre, fu molto elevato» (citato da Solgenitsy, II, 120).

Da New York, i grandi finanzieri erano preoccupati della carestia e della guerra civile. Il 13 marzo 1917, Jacob Schiff aveva salutato le novità in Russia inviando a Milyukov, neo-ministro degli Esteri del governo bolscevico, un telegramma pubblicato dal New York Times: «Mi consenta, come nemico giurato del governo autocratico e tirannico che ha spietatamente perseguitato i nostri correligionari, di congratularmi, attraverso di lei, con il popolo russo per ciò che tanto brillantemente ha compiuto, e di augurare il successo ai vostri compagni di governo e a lei personalmente».

Ora Schiff temeva, nel 1919, che quel successo (per cui aveva pagato milioni di dollari di allora) fosse messo in pericolo dalla carestia e dalle armate bianche. Lui, Warburg, Lehman e gli altri banchieri di New York sollevarono un’immensa campagna di stampa (1) per attrarre l’attenzione sugli ebrei affamati in Europa orientale, e organizzarono immani raccolte di fondi.

L’«American Jewish Joint Distribution Committee» che firma il volantino («joint», cioè «unito», in quanto il comitato raccoglieva ebrei ortodossi e non-ortodossi, «non-sectarian») fu lo strumento principale di questo secondo finanziamento ai bolscevichi. Era stato creato nel 1914 per sostenere gli ebrei d’europa e di Palestina a superare le difficoltà del periodo bellico. Il primo appello al soccorso lo lanciò l’ambasciatore statunitense in Turchia (Herny Morgenthau) nell’agosto 1914, per gli ebrei di Palestina: Schiff spedì 50 mila dollari. Nell’insieme, durante la grande guerra, il JDC raccolse 16 milioni di dollari, che andarono esclusivamente a soccorrere ebrei, attraverso comitati ebraici formati in loco.

Ma Schiff e Warburg fecero di meglio che metterci i soldi loro. Convinsero Herbert Hoover (il futuro presidente) a creare un ente pubblico, l’American Relief Administration (ARA) che con denaro pubblico, ma su indicazione del JDC, spedì convogli interi di cibo, medicinali e vestiario alle comunità ebraiche del’Europa orientale e della Russia, dove la condizione degli ebrei era a rischio anche perché «milizie armata giravano per il Paese» (i bianchi, i cosacchi anticomunisti).

Nel 1919, il primo soccorso era stato sostituito da un programma più ambizioso: ricostruire le comunità ebraiche nell’Est. Il Joint Distribution Committee finanziò la ricostruzione di ospedali per ebrei, finanziò l’invio di centinaia di medici e operatori sociali americani in Russia per istituire programmi sanitari e addestramento medico. A questo scopo, nacque in Russia l’OZE (Organizzazione Sanitaria russo-ebraica), completamente mantenuta dal JDC.

In questo modo, gli ebrei russi furono salvati effettivamente dalla «fame» ed esentati dalle restrizioni che essi stessi avevano provocato come classe operativa del bolscevismo, e che colpivano tutto il resto della popolazione russa.

Diamo ancora la parola a Solgenitsin (II, 137). Nel 1919, racconta e documenta, la nuova classe rivoluzionaria si piazza a Mosca, in palazzi aristocratici e grandi edifici celebri dello zarismo. Per esempio l’hotel Il Nazionale diventa «la Prima Casa dei Soviet», un condominio di lusso un cui inquilino, tale Ulrich, usava scherzare: «Perchè non apriamo una sinagoga al Nazionale, visto che ci vivono solo ebrei?». Altri inquilini del genere, la nuova elite sovietica, si insedia al Metropol (Seconda Casa dei soviet), all’ex seminario di via Bojedomski (Terza Casa dei Soviet), nel palazzo di Mokhovaia (Quarta Casa) e di vie Cheremietvski (Quinta casa dei Soviet).

Soffrivano la fame, questi austeri esponenti dell’avanguardia proletaria, spesso costretti a viaggiare a Kiev o a Sebastopoli per reprimere la controrivoluzione contadina, ed eseguire le requisizioni forzose?

«Questi locatari (delle Casse dei Soviet) ricevono abbondanti pacchi da un centro di distribuzione speciale: caviale, formaggi, burro, storione affumicato non mancavano mai sulla loro tavola», racconta uno che ne godeva, tale David Azbel ebreo, ospite di due zie ricche e comuniste nella Prima Casa. E siamo ne 1920, commenta Solgenitsin: per tutti i russi era la fame nera, e il terrore rosso.

«Tutto era speciale, concepito specialmente per la nuova elite: giardini d’infanzia, scuole, club, biblioteche. Nel 1921-22, anno della micidiale carestia del Volga, nella scuola-modello, la mensa era mantenuta dalla fondazione ARA - la famosa American Relief Administration - e serviva colazioni americane: riso al latte, cioccolata calda, pane bianco e uova al tegame». Tanto che «i ragazzi delle case vicine odiavano quelli delle Case Sovietiche, e alla prima occasione li aggredivano» (Solgenitsin, II, 137).

Ecco come soffrivano quegli ebrei dell’Est per i quali a New York Schiff e Warburg chiedevano aiuto urgente, «altrimenti moriranno». Il che getta una luce inquietante, se vogliamo, su tante altre sofferenze e persecuzioni che gli ebrei dicono di aver subito. Ma questo dubbio va rigettato, in quanto potenzialmente negazionista.

Bisogna dunque ringraziare la comunità ebraica, perchè ci ha condonato almeno questo genocidio, precedente al primo; non ci obbliga a ricordarlo. Apparentemente, la comunità stessa l’ha dimenticato. Eppure, anche nel 1919-20, c’erano 6 milioni di ebrei in stato di destituzione per fame, freddo, nudità, tifo, malattie, bande armate controrivoluzionarie. Per fortuna l’ARA li ha salvati, con la cioccolata calda e le uova al tegame; altrimenti la loro volontà rivoluzionaria sarebbe venuta meno - si sa quanto affatichi fucilare decine di migliaia di contadini reazionari, congelarli nei pozzi e affogarli nei fiumi. Oltretutto, tanta attività all’aria aperta mette appetito. Una fame da lupi, è il caso di dire.

Sei milioni di ebrei alla fame, esattamente come le vittime di 20 anni dopo. Sei milioni, 6.000.000. Non uno di più e nemmeno (Dio ci scampi) uno di meno.

E’ un numero confitto nella memoria delle sofferenze ebraiche, stampato a fuoco, incancellable. Tant’è vero che già nel 1911 - 30 anni prima dell’Olocausto - lo confermò Max Nordau (Suedfeld) in pieno Congresso Sionista Mondiale. Erano tempi difficili per il sionismo; gli ebrei tedeschi, molto integrati, non ne volevano sapere. Adducevano la perfetta uguaglianza di cui godevano in Germania, la correttezza del governo tedesco, le ottime posizioni sociali ottenute. Nordau sbottò: «Questi governi così solleciti del diritto, così nobilmente e industriosamente attivi nel preparare la pace universale, stanno preparando il completo annichilimento di sei milioni di persone».

Sei milioni. Nordau già prevedeva l’esatto numero di sei milioni nel 1911.

Misteriosissima anima ebraica: dotata di qualità preternaturali, essa dispone persino di «Memoria Preventiva». Si ricorda delle persecuzioni 30 anni prima di subirle. Il motivo è che questo popolo vittima ha dovuto subire olocausti anche peggiori. Non ci credete? Vediamo.

Nel Talmud (Gittin 57b) si attesta che i Romani, nella sola città di Bethar, trucidarono 4 milioni di ebrei, diconsi 4.000.000, in una città che aveva in tutto, forse, meno di 50 mila abitanti. E non basta: sempre il Talmud (Gittin 58a) dichiara che sempre i romani, in una delle loro ferocissime persecuzioni al povero popolo, avvolsero nei rotoli della Torah e bruciarono vivi 16 milioni di ebrei. Diconsi 16.000.000! Questa è pura verità storica, signori, attestata dal testo più sacro e indubitabile che esista. Guai a contestarla, sareste negazionisti e vi espellerebbero da ogni Paese civile (l’Argentina ad esempio), nonchè dalla Chiesa cattolica apostolica romana.

E’ generoso da parte di tali vittime che non ci obblighino, noi lontani discendenti latini, a ricordare e a pentirci annualmente con visite guidate a Bethar-Birkenau.

Essi però ricordano - ricordano accanitamente, dolorosamente, con sempre nuovi particolari - e ne hanno tutto il diritto: le vittime sono loro. Prendiamo ad esempio Herman Rosenblatt, sopravvissuto di un lager annesso a Buchenwald, ora vivente in USA. Tutta l’America s’è commossa al suo libro di ricordi, in cui racconta come, bambino di 9 anni, fosse stato sfamato da una bambina - ebrea ma adottata da contadini cattolici - che gli tirava da oltre il reticolato mele e pane. E come poi, decenni dopo, ormai americano, Herman abbia incontrato per caso, amandola e poi sposandola, una donna che - oh sorpresa! - era proprio la bambina soccorritrice, il suo «Angelo al reticolato»; «Angel at the fence» è infatti il titolo del libro di vivida memoria. Un successo, due comparsate dalla promotirce libraria più famosa, Oprah Winfrey, un film ricavato da questa autentica preziosa memoria.

Ne abbiamo parlato qualche tempo fa. Aggiungendo che la commovente memoria di Herman Rosenblatt e di sua moglie Roma è stata comprovata falsa da numerosi esperti di storiografia olocaustica. Ma ora qui ci dobbiamo pentire, e ci dichiariamo pentiti di aver dubitato.

Rosenblatt è apparso in un’altra trasmissione di successo, «Good Morning America», ed ha fieramente dichiarato che non ha motivo di chiedere scusa a nessuno. La sua storia, ha detto, «non è una menzogna. Era la mia immaginazione, e nella mia mente, io l’ho creduta. Anche adesso ci credo» (2).

Ha ragione, Rosenblatt! Affrettiamoci a ripetere: ha ragione, ragione da vendere! Lui alla sua storia ci crede, dunque è vera. E’ solo così che è lecito ricostruire la storia dell’olocausto! Solo dei negazionisti incalliti, da espellere, incarcerare e scomunicare (se cattolici), possono trarre dalla sua vicenda motivi per dubitare, malignamente, di tante altre memorie terribili che hanno perfetto corso legale.

Per esempio, Elie Wiesel, Nobel per la pace e sopravvissuto di Auschwitz, ricorda con precisione che gli ebrei venivano gettati vivi in pozzi infocati. E’ un particolare che nemmeno le guide autorizzate ad Auschwitz, e istruite su cosa dire, confermano. Ebbene? Mica hanno sofferto, le guide turistiche polacche; Elie Wiesel ha sofferto, il popolo ebraico ha sofferto - sei milioni di morti - e dunque solo il popolo ebraico ha diritto di ricordare. Se le ricorda così, le persecuzioni, dunque sono avvenute così. Se ha ragione Rosenblatt, ha ragione anche Wiesel.

E mica lui solo: nello sterminio hitleriano, Elie Wiesel è scampato ad Auschwitz, e con lui suo padre e due sue sorelle. Altri testimoni delle veridica memoria dei fatti. Il numero di queste vittime, con la loro precisa memoria della più grande persecuzione mai subita dal popolo-vittima (a parte quelle subite dai Romani: sedici milioni di morti, ma ci sono condonate) aumenta regolarmente.

Nel 1956, la Germania colpevole aveva già versato compensazioni a 400 mila sopravvissuti ebrei dei lager, ed altre 852.812 domande erano ancora pendenti (la fonte è Jewish Aufbau, 13 luglio 1956). Nel giugno 1965, il numero dei sopravvisuti era triplicato. A quella data, la Germania federale aveva raccolto richieste di risarcimento, per le inenarrabili sofferenze inflitte dal 1939 al 1945, di ben 3.375.020 vittime - vittime ma sopravvissute per ricordare, e farsi risarcire.

Non ho i dati ultimi, ma sono quasi sicuro che oggi il numero dei sopravvissuti e reclamanti si avvicina a 6 milioni.( Maurizio Blondet. effedieffe- 21 febbraio 2009 )
Inviato il: 22/2/2009 15:45
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Re: Io mi rendo conto...
#244
Mi sento vacillare
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Da Genova
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Certo interesseranno quanti hanno preso parte a questo interessante forum, le ultime notizie "senzazionali" apparse in questi giorni in Germania.
“La realtà dell’Olocausto non ha più bisogno di essere provata”, dichiara un portavoce della casa editrice tedesca Springer, che ha organizzato l’esposizione allestita a Berlino il 16 febbraio scorso; una esposizione delle piante di Auschwitz trovate nel novembre 2008 .
“I progetti originali che mostrano i piani per il campo, le camere a gas dove centinaia di migliaia di deportati ed ebrei vennero assassinati col gas Zyklon B, dimostrano ancora una volta la dimensione di questi crimini».Dice Walter Rauhe : «Ora possono ( i revisionisti) visionare di prima mano questi progetti dell’orrore nutrendo magari l’augurio che un giorno a guardarseli sia anche il vescovo Williamson e tutti gli altri negazionisti».
Ma, la realtà delle cose, a fronte di tante certezze sembra essere, una volta di più, ben diversa.

Mattogno alle parole summenzionate obietta: "Per quanto mi riguarda, questi progetti li ho visionati e me li sono guardati a Mosca fin dal 1995, li ho fatti fotocopiare e li ho studiati con tutta calma. Per la precisione, ho visionato 88.200 pagine di documenti originali, di cui quelli trovati a Berlino sono un’infima parte. E proprio questa documentazione mi ha convinto profondamente che ad Auschwitz-Birkenau non esistettero mai camere a gas omicide". Per chi volesse apprfondire l'argomento, ecco qui di seguito l' articolo di C.Mattogno pubblicato da Andrea Carancini,mercoledì 4 marzo 2009.

Carlo Mattogno su alcuni "Olo-gazzettieri"
I VOLENTEROSI SCOPIAZZATORI DI VALENTINA PISANTY

Di Carlo Mattogno

1) Bild.De: Bufala e controbufala
Il 16 febbraio 2009 è stata allestita a Berlino una esposizione delle piante di Auschwitz trovate nel novembre 2008 e presentate dal quotidiano Bild.De nel numero dell’8 novembre 2008 come una scoperta sensazionale, anzi sconvolgente, perché, per la prima volta su una pianta, era «scritto nero su bianco “Gaskammer”», camera a gas. Ho già dimostrato che questi documenti erano noti da anni e che la “Gaskammer” in questione era semplicemente la camera a gas di dinfestazione ad acido cianidrico progettata e costruita nelle due “baracche di spidocchiamento” dei settori BIa e BIb di Birkenau, designate appunto “Entlausungsbaracken” e indicate come BW 5a e 5b[1].
Bild.De è ritornato sulla questione proprio nel numero del 16 febbraio, con un articolo intitolato Per la prima volta vengono mostrati i documenti dell’atrocità in Germania. I disegni costruttivi di Auschwitz[2]. A differenza della pubblicazione precedente, però, in cui campeggiavano le piante dell’edificio di accesso (Eingangsgebäude) al campo di Birkenau, della “Gaskammer” e del crematorio, in questo numero del quotidiano appare soltanto il crematorio[3]. La pianta della “Gaskammer” è scomparsa. E non solo la pianta. Ecco infatti il relativo commento:
«L’autenticità dei documenti è stata verificata dall’Archivio Federale. Nella perizia si dice: “Il risultato è l’accertamento che sull’autenticità delle fonti di storia contemporanea non sussiste alcun dubbio”. Nell’esposizione tra l’altro vengono mostrati i progetti di ampliamento del campo principale. Un primo disegno in bella copia del futuro KL Birkenau, che fu costruito per ordine di Himmler. Una pianta del crematorio con spogliatoio e camera a gas»(corsivo mio).
In precedenza Bild.De aveva parlato di «un impianto di disinfestazione (Entlausungsanlage) con camera a gas (Gaskammer)» e di un crematorio, che aveva descritto così:
«Particolarmente istruttivo: il disegno del piano interrato. Esso mostra i basamenti per i forni crematori, che furono successivamente forniti dalla ditta “Topf und Söhne” di Erfurt. Nella pianta è schizzato anche il “L-Keller” (Leichenkeller: scantinato obitorio), che ha una larghezza di otto metri. I progettisti delle Waffen-SS non avevano stabilito la sua lunghezza. Vi si può leggere: “Lunghezza a seconda delle esigenze che si presenteranno”».
Ora invece la «camera a gas» trasmigra inspiegabilmente dall’impianto di disinfestazione al crematorio, che acquisisce per di più anche uno «spogliatoio».
Mentre prima si poteva attribuire la bufala soprattutto all’ ignoranza storica dei redattori, nella controbufala la malafede è evidente.
Ma non è per questo che ho esposto questa sordida operazione giornalistica, quanto piuttosto per mostrare la metodologia dei giornalisti (e degli storici) di regime.
Il testo di Bild.De dell’8 novembre 2008 fu semplicemente tradotto – o riassunto – e come tale apparve in una miriade di mezzi di informazione.
Ci fosse stato un giornalista cui sia balenato il dubbio, o che abbia soltanto sentito se non il dovere, almeno la curiosità di ascoltare il parere di uno specialista!

2) Un’eco della controbufala in Italia
Il Messaggero del 22 febbraio 2009, nella rubrica “Esteri”, rende conto dell’esposizione in un breve articolo di Walter Rauhe con un titolo illuminante: Mostra anti-negazionismo. Esposti i progetti per costruire la “fabbrica della morte”. Questo resoconto si arricchisce di ulteriori corbellerie. Apprendiamo così che le piante conterrebbero i
«piani per la costruzione del più gigantesco e moderno campo nazista munito di 174 baracche in grado di accogliere ciascuna fino a 744 deportati (130mila in tutto), progetti per l’aerazione di camere a gas»(!),
e che il ritrovamento avrebbe rappresentato
«una piccola sensazione storica [?] dal momento che documentava le concrete intenzioni del regime nazista di erigere ad Auschwitz un campo di sterminio di dimensioni gigantesche ancor prima dell’approvazione della soluzione finale della questione ebraica e quindi dell’Olocausto durante la famigerata conferenza di Wannsee il 20 gennaio del 1942.
I piani scoperti dalla Bild Zeitung e ora esposti a Berlino risalgono infatti alla primavera del 1941 e sono controfirmati da Heinrich Himmler, il capo delle SS ed uno dei più stretti collaboratori di Adolf Hitler.
Ancor prima dell’invasione dell’Unione Sovietica e dell’avvio sistematico della Shoah, il regime nazista aveva ben chiaro in testa le dimensioni e le modalità dello sterminio degli ebrei europei, camere a gas e forni crematori compresi».
Lasciando da parte il significato attribuito alla conferenza di Wannsee, che risale ad una trentina d’anni fa ed è stato ampiamente superato e invalidato dalle ricerche olocaustiche degli ultimi due decenni, la pretesa che il campo di Birkenau fosse stato progettato fin dall’inizio come “campo di sterminio” è francamente ridicola.
Primo, perché il primo progetto del campo di Bireknau, denominato «Rapporto esplicativo del progetto preliminare per la nuova costruzione del campo per prigionieri di guerra delle Waffen-SS, Auschwitz, Alta Slesia» (Erläuterungsbericht zum Vorentwurf für den Neubau des Kriegsgefangenenlagers der Waffen-SS, Auschwitz O/S)[4], proprio quello che prevede le 174 baracche summenzionate, risale al 30 ottobre 1941, non già «alla primavera del 1941».
Secondo, perché esso fu progettato come Campo per prigionieri di guerra sovietici (Kriegsgefangenenlager), non per detenuti ebrei.
Terzo, perché il campo di Birkenau fu istituito come campo di lavoro nel quadro del “Generalplan Ost”, come ha mostrato lo storico olocaustico Jan Erik Schulte nell’articolo articolo intitolato Dal campo di lavoro al campo di sterminio. Storia della genesi di Auschwitz-Birkenau 1941-1942 (Vom Arbeits- zum Vernichtungslager. Die Entstehungsgeschichte von Auschwitz-Birkenau 1941/42)[5].
Di ciò mi sono occupato nell’articolo Genesi e funzioni del campo di Birkenau. 2008[6].
Quarto, perché, come riconoscono due tra i più considerati storici olocaustici di Auschwitz, Jean-Claude Pressac e Robert Jan van Pelt, il progetto del campo di Birkenau non considerava ovviamente la presenza di camere a gas omicide.
Il nostro valente giornalista aggiunge:
«“La realtà dell’Olocausto non ha più bisogno di essere provata”, dichiara un portavoce della casa editrice tedesca [Springer, che ha organizzato l’esposizione]. “Ma i progetti originali che mostrano i piani per il campo, le camere a gas dove centinaia di migliaia di deportati ed ebrei vennero assassinati col gas Zyklon B, dimostra ancora una volta la dimensione di questi crimini».
Ribadisco, a costo di apparire tedioso, che non esiste alcun piano di una camera a gas omicida.
Ed ecco la chicca finale:
«Ora possono visionare di prima mano questi progetti dell’orrore nutrendo magari l’augurio che un giorno a guardarseli sia anche il vescovo Williamson e tutti gli altri negazionisti».
Per quanto mi riguarda, caro Walter Rauhe, questi progetti li ho visionati e me li sono guardati a Mosca fin dal 1995, li ho fatti fotocopiare e li ho studiati con tutta calma. Per la precisione, ho visionato 88.200 pagine di documenti originali, di cui quelli trovati a Berlino sono un’infima parte. E proprio questa documentazione mi ha convinto profondamente che ad Auschwitz-Birkenau non esistettero mai camere a gas omicide.

3) La “pensatrice” italiana dell’anti-“negazionismo”
Questi esempio mostrano a sufficienza che la metodologia di questa gente è quella del copia-incolla. La verifica delle fonti non esiste. Ciò dipende dal fatto che, soprattutto in certi campi, non è lecito verificare. Qualcuno ha già pensato per loro. Qualcuno ha già scritto per loro. Essi devono soltanto copiare-incollare.
In campo olo-revisionistico, questo qualcuno è Pierre Vidal-Naquet, un dilettante della storia contemporanea che aveva acquisito qualche nozioncina storica dagli scritti di Georges Wellers e aveva tratto il suo impianto argomentativo dall'articolo di Nadine Fresco Les redresseurs de morts[7], uno dei primi saggi contro il revisionismo in cui erano già fissati quasi tutti gli argomenti capziosi adottati dagli olo-propagandisti successivi[8].
In Italia, per nostra somma fortuna, abbiamo addirittura la versione femminile di Vidal-Naquet: Valentina Pisanty, una dottoressa in semiotica incautamente prestata alla storiografia. Costei fu infatti indotta a redigere un'opera di una mediocrità disarmante, dal titolo L’irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo[9], in cui pretendeva di dimostrare che il revisionismo non è una storiografia scientifica, ma una strategia ingannatrice, basata su una metodologia fallace, mirante a negare per scopi inconfessabili (ma sempre riconducibili all' “antisemitismo”) la realtà della Shoah. Dato che la dottoressa prendeva in esame anche qualche presunta fallacia tratta da qualcuno dei miei scritti, risposi prontamente col libro L'«irritante questione» delle camere a gas ovvero da Cappuccetto rosso ad...Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty, pubblicato nel 1998 dall'Editore Graphos di Genova. Riassumo lapidariamente:
La qualificazione e la competenza specifica della Pisanty in campo storiografico sono nulle, trattandosi di una dottoressa in semiotica, esperta in favole, con specializzazione in Cappuccetto Rosso.
Il titolo stesso del libro è ingannatore, in quanto fa riferimento a una presunta frase di Paul Rassinier contenuta in una inesistente “seconda edizione” del suo memoriale Passage de la ligne.
La bibliografia è in massima parte un’accozzaglia eterogenea di opere di argomento disparato in cui quelle olocaustiche sono poche, mal lette e mal digerite, senza alcuna opera in tedesco, lingua fondamentale per questo genere di studi, che la dottoressa Pisanty ignorava.
Preselezione opportunistica delle opere revisionistiche: Le pochissime opere revisionistiche citate sono il frutto di una spietata preselezione, grazie alla quale la Pisanty ha escluso dal suo campo di indagine tutti gli studi più documentati e più recenti.
Metodologia:
– Citazioni: Si dividono in due grandi categorie: quella dei testi che la Pisanty ha letto e che indica con il riferimento esatto (autore, titolo, anno di pubblicazione e pagina) e quella dei testi che non ha letto ma che finge di aver letto e spaccia per sue. La seconda categoria comprende parecchie citazioni di seconda o di terza mano per le quali l’Autrice non sa indicare il riferimento completo.
– Documenti: La Pisanty non fornisce i riferimenti esatti neppure dei documenti che cita. La cosa non stupisce, perché essa li trae quasi sempre dai testi revisionistici.
– Plagio storico-critico e argomentativo: Nel libro della Pisanty l’appropriazione indebita (senza riferimento alla fonte) di fonti o documenti di altre opere non è un fenomeno sporadico, ma una vera e propria metodologia. Il suo intero libro è, in massima parte, il risultato di un inverecondo saccheggio di testi altrui, revisionistici e non revisionistici, dalle chiavi interpretative alle argomentazioni, dalle obiezioni agli inquadramenti storici, fino alle osservazioni e alle spiegazioni più minute. Ciò che la Pisanty ha aggiunto di proprio, sono soltanto delle osservazioni semiotiche decisamente insulse o cavillose. Ho elencato minuziosamente i passi originali e i passi da lei plagiati. Per quanto riguarda l’aspetto qui considerato, i testi saccheggiati sono quelli di Deborah Lipstadt[10] e di Pierre Vidal-Naquet[11].
Nel mio studio citato sopra Olocausto: dilettanti allo sbaraglio avevo già confutato le elucubrazioni sofistiche dei suoi due maestri, Vidal-Naquet e Lipstadt[12], e si comprende facilmente perché la nostra esperta in favole non l’abbia menzionato neppure di sfuggita.
– Plagio dei miei testi: In relazione al “rapporto Gerstein”, la Pisanty plagia sfrontatamente addirittura il mio libro[13], non solo le mie indicazioni storiografiche relative alla storia processuale dei documenti, ma addirittura le critiche da me rivolte agli altri autori revisionisti, appropriandosi di esse senza il minimo riferimento alla fonte e spacciandole per sue!
Argomenti e strategie ermeneutiche:
– La «premessa indiscussa»: La Pisanty parte dall’assunzione aprioristica, fideistica e indiscutibile della realtà storica dello sterminio ebraico. Da ciò scaturiscono due princìpi ermeneutici aberranti che infirmano radicalmente i suoi argomenti: il primato della testimonianza sul documento (in senso stretto) e l’accettazione aprioristica dell’attendibilità della testimonianza. Il primo principio comporta il rovesciamento della normale metodologia storiografica. Il secondo conduce inevitabilmente alla negazione del più elementare senso critico, alla fede cieca nella veridicità delle testimonianze e, alla fine, al loro travisamento sistematico. Ciò si concretizza infatti nei seguenti
– Sofismi epistemologici
Confondendo «i principi fondamentali del diritto» con i principi fondamentali della storiografia, la Pisanty pretende che le testimonianze abbiano «valore di prova», e presume, sempre fideisticamente, che:
1) tutte le testimonianze siano indipendenti,
2) tutte le testimonianze siano veridiche e contengano solo errori marginali e involontari,
3) al di là di questi errori esse abbiano tutte un «nucleo essenziale» di verità.
Sulla base di questi presupposti dogmatici, la Pisanty si lambicca il cervello nel tentativo di spiegare razionalmente le assurdità e le contraddizioni di cui esse sono cosparse, minimizzandole, arrampicandosi sugli specchi per escogitare una spiegazione plausibile, appellandosi all’ ignoranza generale delle circostanze (che è in realtà soltanto sua), tacendole semplicemente, quando sono troppo assurde e troppo contraddittorie.
Confutazione delle “confutazioni”:
Nel capitolo III ho confutato le “confutazioni” della Pisanty riguardo a:
– Il diario di Anna Frank,
– Il diario del dottor Kremer,
– I “Protocolli di Auschwitz”,
– I manoscritti dei membri del Sonderkommando,
– Le fotografie.
– Il capitolo IV, Il rapporto Gerstein e il “campo di sterminio” di Belzec, contiene la replica, punto per punto, a tutte le argomentazioni addotte dalla Pisanty contro il mio studio Il rapporto Gerstein: Anatomia di un falso.
La Pisanty in questo libro preseleziona alcuni capitoli nei quali preseleziona alcune obiezioni, quasi sempre marginali ed isolate dal contesto. Con questa tecnica ella frantuma la struttura argomentativa dell’opera; indi critica in modo capzioso questi episodi marginali e conclude che, in ogni caso, essi non toccano la «qualità» della «testimonianza oculare» di Gerstein.
La critica della Pisanty alle mie argomentazioni si basa su due presupposti assunti fideisticamente:
1) a Belzec (Treblinka e Sobibór) sono esistite camere a gas omicide, dunque
2) Il rapporto Gerstein è necessariamente veridico.
In altri termini, poiché, per la storiografia ufficiale, il rapporto Gerstein è (ma non per tutti[14]) la prova essenziale dell’esistenza di camere a gas omicide a Belzec, ne consegue che esso è veridico perché è veridico. Sulla base di questi presupposti la Pisanty pretende di spiegare le innumerevoli contraddizioni e assurdità del rapporto Gerstein, ma non sul piano storico e tecnico, bensì su quello meramente semiotico.
La mia replica riguarda:
- Il primo gruppo di argomenti della Pisanty: pretesi «errori di battitura»
- Il secondo gruppo di argomenti: miei pretesi «errori interpretativi»
- Il terzo gruppo di argomenti: presunte «obiezioni inesistenti»
- Le obiezioni di carattere tecnico
- I punti meritevoli di considerazione
- Le critiche indirette
- Il documento “Tötungsanstalten in Polen”
- I garanti di Gerstein: Il barone von Otter, Il vescovo Dibelius, Wilhelm Pfannenstiel, Rudolf Reder
- Le altre testimonianze «non trattate da Mattogno»: Jan Karski, I testimoni SS, Chaim Hirszman.
– Nel capitolo V, Rudolf Höss e il “campo di sterminio” di Auschwitz, ho risposto, anche qui in modo molto dettagliato, alla critica della Pisanty al mio studio Auschwitz le “confessioni” di Höss, prendendo in esame:
- La visita ad Auschwitz di Eichmann
- La prima gasazione omicida
- «La prima gasazione a cui Höss assistette»
- «La prima operazione di sterminio ebraico»
- Le «inesattezze»
- L’ordine di Himmler di sospendere le gasazioni
- Statistiche e cifre
- La visita di Höss a Chelmno [Kulmhof]
- Il grasso umano
- I “Gasprüfer” di Auschwitz
- Il plagio di Filip Müller.
La «cospirazione giudaica mondiale»: dall’anti“negazionismo” al visionarismo.
La Lipstadt sosteneva che il revisionismo è il il risultato di una cospirazione nazista. La Pisanty, sotto la nefasta influenza di questa panzana, congettura che i revisionisti non solo credano ad una «cospirazione giudaica mondiale», ma che questa teoria sia addirittura il fondamento stesso del revisionismo. Le conclusioni generali della Pisanty sull’essenza del revisionismo sono il degno coronamento del suo libro. Ella vi si abbandona ad una sorta di visionarismo apocalittico che chiama in causa - tanto per essere originale - i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, altro tema che ossessiona la povera dottoressa. Alla fine la Pisanty mostra il vero significato delle sue elucubrazioni sulla «cospirazione giudaica mondiale» e rientra nell’ortodossia della maestra solo apparentemente sovvertita: il revisionismo non è solo il risultato di una cospirazione nazista; peggio, molto peggio: è l’epigono di quell’ «antisemitismo storico» che trova il suo culmine, appunto, nei Protocolli dei Savi Anziani di Sion! Donde la solenne conclusione che
«i negazionisti raccolgono il testimone dell’ antisemitismo storico»[15].
“Antisemitismo”, ecco la parola magica, che ci porta allo scopo di questo articolo: mostrare, con un altro esempio autorevole, come giornalisti e storici di regime intendano e trasmettano le fandonie pisantyane[16].

4) Gli scopiazzatori della “pensatrice” dell’anti-“negazionismo”
Nell’Osservatore Romano del 26-27 gennaio 2009 è apparso il seguente articolo di Anna Foa:
«L'antisemitismo unico movente dei negazionisti
Il negazionismo della Shoah non è un'interpretazione storiografica, non è una corrente interpretativa dello sterminio degli ebrei perpetrato dal nazismo, non è una forma sia pur radicale di revisionismo storico, e con esso non deve essere confuso.
Il negazionismo è menzogna che si copre del velo della storia, che prende un'apparenza scientifica, oggettiva, per coprire la sua vera origine, il suo vero movente: l'antisemitismo. Un negazionista è anche antisemita. Ed è forse, in un mondo come quello occidentale in cui dichiararsi antisemiti non è tanto facile, l'unico antisemita chiaro e palese.
L'odio antiebraico è all'origine di questa negazione della Shoah che inizia fin dai primi anni del dopoguerra, riallacciandosi idealmente al progetto stesso dei nazisti, quando coprivano le tracce dei campi di sterminio, ne radevano al suolo le camere a gas, e schernivano i deportati dicendo loro che se anche fossero riusciti a sopravvivere nessuno al mondo li avrebbe creduti. Il negazionismo attraversa gli schieramenti politici, non è solo legato all'estrema destra nazista, ma raccoglie tendenze diverse: il pacifismo più estremo, l'antiamericanismo, l'ostilità alla modernità. Esso nasce in Francia alla fine degli anni Quaranta a opera di due personaggi, Maurice Bardèche e Paul Rassinier, l'uno fascista dichiarato, l'altro comunista. Dopo di allora, si sviluppa largamente, e i suoi sostenitori più noti sono il francese Robert Faurisson e l'inglese David Irving, nessuno dei due storico di professione.
I negazionisti sviluppano dei procedimenti assolutamente fuori dal comune nella loro negazione della realtà storica. Innanzitutto, considerano tutte le fonti ebraiche di qualunque genere inattendibili e menzognere. Tolte così di mezzo una buona parte dei testimoni, tutta la memorialistica espressa dai sopravvissuti ebrei e la storiografia opera di storici ebrei o presunti tali, i negazionisti si accingono a demolire il resto delle testimonianze, delle prove, dei documenti.
Tutto ciò che è posteriore alla sconfitta del nazismo è per loro inaffidabile perché appartiene alla “verità dei vincitori”. La storia della Shoah l'hanno fatta i vincitori, continuano instancabilmente a ripetere, mettendo in dubbio tutto quello che è emerso in sede giudiziaria, dal processo di Norimberga in poi: frutto di pressioni, torture, violenze. Resta però ancora una parte di documentazione da confutare, quella di parte nazista che precede il 1945. Qui, i negazionisti hanno scoperto che nessuna affermazione scritta dai nazisti dopo il 1943 può dichiararsi veritiera, perché a quell'epoca i nazisti cominciavano a perdere la guerra e avrebbero potuto fare affermazioni volte a compiacere i futuri vincitori. “Et voilà”, il gioco è fatto: la Shoah non esiste!
Il negazionismo si applica in particolare a dimostrare l'inesistenza delle camere a gas, attraverso complessi ragionamenti tecnici: non avrebbero potuto funzionare, avrebbero avuto bisogno di ciminiere altissime e via discorrendo. È questa la tesi che ha dotato di notorietà uno pseudo-ingegnere, Fred Leuchter, e che domina nei siti negazionisti di internet.
Oggi, il negazionismo è considerato reato in molti Paesi d'Europa, anche se una parte dell'opinione pubblica rimane restia – come chi scrive – a trasformare, mettendoli in prigione, dei bugiardi in martiri. Non mancano poi sostenitori del negazionismo in funzione antiisraeliana. Bisogna però ripetere che dietro il negazionismo c'è un solo movente, un solo intento: l'antisemitismo. Tutto il resto è menzogna»[17].
Non mi soffermo a confutare questo concentrato di sciocchezze, che rasentano spesso la comicità. La storiella del «dopo il 1943», ad esempio, è veramente spassosa. Quale mirabile inventiva!
La cosa più grave è che Anna Foa non è una semplice collaboratrice dell’Osservatore Romano, ma è soprattutto una storica di prestigio[18], che però non soltanto non si è mai curata di aprire un libro revisionistico, ma non è stata neppure capace di presentare un riassunto decente delle favole pisantyane, avendo profuso nello scritto sopra citato spropositi assurdi che la stessa Pisanty non ha osato neppure sfiorare. Da ciò si desume che questa storica non ha letto nemmeno il libro della Pisanty, ma si è basata semplicemente su resoconti giornalistici. Un copia-incolla di seconda mano.
E questi sarebbero gli “storici” olocaustici: individui che si riducono ad attingere dagli scopiazzatori-giornalisti, ma che, nonostante ciò, rivendicano orgogliosamente la loro qualifica di “storici” accademici, sottolineando con compiacimento e una punta di disprezzo che né «il francese Robert Faurisson» né «l'inglese David Irving» è uno «storico di professione»!
Un indubbio merito, a paragone di uno “storico di professione” olocaustico.

Come quasi sempre, la verità è il contrario di ciò che proclamano gli adepti della Holocaustica Religio: la Shoah non è un'interpretazione storiografica, ma un articolo di fede, una nuova forma di battesimo in virtù del quale si entra nella communio ecclesiale, ma anche una nuova forma di diritto naturale grazie al quale si viene ammessi nel consesso sociale. I reprobi sono relegati nelle tenebre esteriori, dove c’è pianto e stridor di denti.
La fede nella Shoah non ha nulla a che vedere con la storia o la storiografia, ma ha un carattere essenzialmente ideologico. La stessa storiografia olocaustica, nel suo nucleo centrale, è essenzialmente il risultato di una ideologia[19].
Per questo motivo gli olo-santoni messianici non sono affatto interessati all’accertamento della verità, neppure all’akribéia in campo storico-documentario.
Per questo motivo non si curano minimamente della letterarura scientifica revisionistica.
Valentina Pisanty, novella Pizia, ha vaticinato e non bisogna far altro che diffondere il responso.
E se si trattasse di Oracoli Sibillini?

La risposta ora è alla portata di tutti:
L'“irritante questione” delle camere a gas ovvero da Cappuccetto Rosso ad... Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty. Riedizione riveduta, corretta e aggiornata. 2007: http://vho.org/aaargh/fran/livres7/CMCappuccetto.pdf
Edizione riveduta, corretta e aggiornata 2009:
http://civiumlibertas.blogspot.com/2007/11/slomo-in-grande-emozione-con-veltroni-e.html.

Questa risposta è a disposizione di Valentina Pisanty da più di dieci anni. E da più di dieci anni la nostra dottoressa in semiotica la ignora, pur continuando a sproloquiare sul “negazionismo”, da ultimo nella trasmissione Sorgente di Vita, replicata su RAI 2 il 23 febbraio 2009 alle 9,30[20].
Non è ora che si decida a prenderla in considerazione e a controbattere?
In fondo è così facile confutare le “pseudoargomentazioni” revisionistiche! E allora che cosa aspetta a farlo?

Anna Foa vuole che i revisionisti considerino «tutte le fonti ebraiche di qualunque genere inattendibili e menzognere»: prescindendo dal fatto che si tratta di una scempiaggine, dal punto di vista metodologico e deontologico, non è più grave fingere che le fonti revisionistiche non esistano affatto?


Carlo Mattogno, 3 marzo 2009.


[1] Vedi al riguardo il mio articolo - I “nuovi” documenti su Auschwitz di Bild.DE: Una bufala gigantesca. 12 novembre 2008, in:
http://civiumlibertas.blogspot.com/2007/11/slomo-in-grande-emozione-con-veltroni-e.html, 19. Appendice, e in: http://ita.vho.org/038Bild_Mattogno.htm.
[2] Testo in:
http://www.bild.de/BILD/berlin/aktuell/2009/02/16/die-bauplaene-von-auschwitz/erstmals-in-einer-ausstellung-zu-sehen.html.
[3]Da: http://www.bildblog.de/5904/die-bauplaene-von-auschwitz-2/

[4] RGVA (Archivio russo di Stato della guerra, Mosca), 502-1-233, p. 24.
[5] In: Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte, 1, 2002, pp. 41-69.
[6] In : http://vho.org/aaargh/fran/livres8/CMGeneralplanOst.pdf.
[7] Nadine Fresco, Les redresseurs de morts. Chambres à gaz: la bonne nouvelle. Comment on révise l'histoire, in: “Les Temps Modernes”, 35e année, N° 407, Juin 1980, pp.2150-2211.
[8] Vedi al riguardo il capitolo I, “Pierre Vidal-Naquet”, del mio studio Olocausto: dilettanti allo sbaraglio. Edizioni di Ar, Padova, 1996, pp. 11-89. In rete: http://www.vho.org/aaargh/fran/livres4/sbara1.pdf
[9] Bompiani, Milano, 1998.
[10] Deborah Lipstadt, Denying the Holocaust. The Growing Assault on the Truth and Memory. A Plume Book, New York, 1994.
[11] P. Vidal-Naquet, Gli assassini della memoria. Editori Riuniti, Roma, 1993.
[12] Olocausto: dilettanti allo sbaraglio, op. cit., capitolo III, “Deborah Lipstadt”, pp. 145-159.
[13] Il rapporto Gerstein. Anatomia di un falso. Sentinella d’Italia, Monfalcone, 1985.
[14] Michael Tregenza considera Gerstein inattendibile. Vedi il mio studio Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia. Effepi, Genova, 2006, pp. 69-70.

[15] V. Pisanty, L’irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo, op. cit., p. 251.
[16] Il primo esempio è l’articolo di Bernardo Valli Negazionismo. Gli assassini della memoria che cancellano l’Olocausto (Repubblica, 3 febbraio 2009, pp. 32-33) di cui mi sono già occupato nel mio scritto La “Repubblica” della disinformazione, in: http://civiumlibertas.blogspot.com/2009/02/carlo-mattogno-la-repubblica-della.html.

[17] L’articolo appare in vari siti, ad es.
http://paparatzinger2-blograffaella.blogspot.com/2009/01/giornata-della-memoria-lo-speciale.html
[18] Si veda il suo curriculum qui: http://w3.uniroma1.it/dsmc/docenti/foa.htm.
[19] Vedi il mio articolo già citato La “Repubblica” della disinformazione.
[20] Franco Damiani, “Sorgente di Vita” stronca (?) il “negazionismo”, in:
http://francodamiani.blogspot.com/search?q=sorgente+di+vita+stronca+negazionismo
Pubblicato da Andrea Carancini
Inviato il: 4/3/2009 16:25
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Re: Io mi rendo conto...
#245
Mi sento vacillare
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Mi rendo conto che la vena polemica di questo 3d è in una fase di stanca, tuttavia, ritengo utile rintuzzarla con un fresco articolo di C.Mattogno. Credo che dalla lettura di questo articolo possa sgorgare qualche motivo di riflessione. Il copia e incolla non è sempre sinonimo di vaghezza.
Dal sito VHO riprendo il seguente articolo:

CHIARIMENTI SULLA QUESTIONE DELLE CAMERE A GAS OMICIDE

Di Carlo Mattogno (2009)

Essendomi giunte, tramite una lista di diffusione, al pari degli altri destinatari delle lettere, perplessità e obiezioni sulla questione delle camere a gas omicide, in particolare riguardo al campo di Belzec, ma anche su Auschwitz, e non avendo alcuna intenzione di impelagarmi in una sterile disputa privata, credo di fare cosa utile fornendo a tutti gli interessati i chiarimenti che seguono.

1) La dogmatica olocaustica sui campi di sterminio orientali
In un altro scritto ho presentato il seguente prospetto delle credenze olocaustiche sui campi di sterminio “puri”:

Campo, camere a gas secondo la storiografia olocaustica, numero delle vittime
secondo l’Enzyklopädie des Holocaust, prove documentarie e/o materiali

Chelmno 2 o 3 “Gaswagen”___ 152.000-320.000 __ nessuna
Belzec 3, poi 6 _____ 600.000 ______ nessuna
Sobibor 3 _____ 250.000 ______ nessuna
Treblinka 3, poi 6 o 10 ____ 738.000 ______ nessuna

totale 23 o 28 1.740.000-1.908.000 ______ nessuna

Dunque, secondo la Holocaustica Religio, bisognerebbe credere che esistettero da 23 a 28 camere a gas (mobili e fisse), le quali sterminarono da 1.740.000 a 1.908.000 persone, SENZA LA MINIMA PROVA DOCUMENTARIA O MATERIALE, soltanto sulla base di testimonianze! E quali testimonianze! A titolo di esempio, sotto riassumo quella che è stata per anni fondamentale (e per molti lo è ancora) sul campo di Belzec.
Se qualcuno ci vuole credere, faccia pure. Ma non si invochino “prove” o “argomenti”: questo è soltanto DOGMATISMO FIDEISTICO. Un dogmatismo totalitario e intollerante, come testimoniano la vicenda del vescovo Williamson e le galere austriache e tedesche che ospitano gli eretici revisionisti.

2) Il caso di Belzec
Su questo campo ho scritto tre saggi:
Belzec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia. Effepi, Genova, 2006.
Un nuovo libro olocaustico su Belzec e la sua fonte. Considerazioni storico-critiche. Effepi, Genova, 2007.
Belzec e le Controversie olocaustiche di Roberto Muehlenkamp, in:
http://ita.vho.org/BELZEC_RISPOSTA_A_MUEHLENKAMP.pdf
Sarebbe bene che chi li critica, prima li leggesse, dato che di solito si attingono da siti olo-americani obiezioni cui in questi scritti ho già ampiamente risposto.

L’obiezione classica è questa: se gli Ebrei deportati a Belzec, Sobibor e Treblinka non sono stati gasati in questi campi, dove sono finiti?
Sottolineo anzitutto che il problema essenziale è quello delle CAMERE A GAS OMICIDE. Secondo una prospettiva minimalista, si potrebbe perfino concedere che questi deportati siano stati assassinati, ma risulterebbe comunque non dimostrato che ciò sarebbe avvenuto in camere a gas omicide COME ASSERITO dai testimoni, e tutti i dubbi sorgono appunto dall’inconsistenza delle testimonianze.
D’altra parte, finché ciò non sarà dimostrato, non risulterà dimostrato neppure che questi deportati siano stati assassinati. E questa è la prospettiva massimalista. Il fulcro della questione resta pertanto incentrato sulle camere a gas e sulle relative testimonianze, talché una tale obiezione costituisce soltanto un problema secondario, come spiegherò meglio sotto.

Circa le deportazioni ebraiche all’Est, con certezza, si sa soltanto che oltre 70 trasporti, con almeno 71.000 ebrei furono inviati direttamente a Riga, Minsk, Kaunas ed altre località orientali tra il novembre 1941 e il novembre 1942. A partire dal marzo 1942, almeno 72 trasporti ebraici provenienti dal ghetto di Theresienstadt, da Vienna, dalla Slovacchia, dal Vecchio Reich, con oltre 87.000 ebrei, furono deportati nel distretto di Lublino, per essere poi trasportati nei territori orientali occupati.
I documenti parlano genericamente di trasferimento o deportazione o evacuazione o emigrazione all’Est o nell’Est russo, senza specificare le località.
Due documenti, relativi ad Auschwitz, sono perlomeno eloquenti.
Il 15 settembre il ministro degli armamenti Albert Speer e il capo dell’Ufficio centrale economico e amministrativo delle SS (WVHA) Oswald Pohl concordarono che, nel quadro della «migrazione [ebraica] all’Est» (Ostwanderung), gli ebrei abili al lavoro sarebbero stati trattenuti ad Auschwitz, gli inabili avrebbero continuato il loro viaggio all’Est[1]. E un rapporto dell’ SS-Untersturmführer Ahnert su una riunione che si era tenuta il 28 agosto 1942, con riferimento ai trasporti ebraici che passavano per Auschwitz, si parla di acquisto di baracche per un campo che doveva essere costruito in Russia e si precisa: «Il trasporto delle baracche può essere attuato in modo che da ogni treno siano portate 3-5 baracche»[2].
Per maggiori ragguagli rimando al mio studio Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia (2008)[3].
Secondo alcune fonti, le SS pensavano anche alla bonifica dei territori paludosi del Pripjet, che si estendevano tra Polonia orientale e la Rutenia Bianca, come è attestato, tra l'altro, da due studi che apparvero nel dicembre 1941 e nel giugno 1942 nella Zeitschrift für Geopolitik (Rivista di Geopolitica): Le paludi del Pripjet come problema di drenaggio, di Richard Bergius, e Propjet-Polesia, territorio e abitanti, di Hansjulius Schepers[4]. Inoltre l'idea dell’impiego della manodopera ebraica per una rete di canali che collegassero il Mar Nero al Mar Baltico (Wasserstraßenverbindung) era già stata avanzata da Alfred Rosenberg l'8 maggio 1941 in una direttiva per un commissariato del Reich nei territori orientali[5]. Gli Ebrei dovevano comunque trovare una collocazione nel quadro del Generalplan Ost, che prevedeva una risistemazione dei territori orientali secondo criteri razziali.

3) L’importanza del Führerbefehl (ordine del Führer)
Le deportazioni vanno inquadrate nel contesto della politica nazionalsocialista di emigrazione- evacuazione ebraica, che era stata teorizzata da Hitler fin dal 1919 e fu ufficializzata e attuata dalla fine del 1936 con la creazione di un “Servizio per le questioni ebraiche” presso il Servizio di Sicurezza delle SS preposto alla preparazione di un’emigrazione in massa degli Ebrei tedeschi. Il 24 giugno 1940 Heydrich, che era capo del RSHA (Reichssicherheitshauptamt: Ufficio centrale di Sicurezza del Reich) e incaricato della “soluzione finale” della questione ebraica in Europa, scrisse al ministro degli Esteri Joachim Ribbentrop che dal 1° gennaio 1939 era riuscito a far emigrare dal territorio del Reich oltre 200.000 Ebrei, ma il problema totale costituito dai circa circa 3.250.000 Ebrei nei territori all’epoca sotto sovranità tedesca non poteva più essere risolto mediante emigrazione (durch Auswanderung). Si rendeva perciò necessaria una soluzione finale territoriale (eine territoriale Endlösung)[6]. Ciò fu all’origine del ben noto «Progetto Madagascar» (Madagaskar-Projekt), che fu ufficialmente abbandonato, per il protrarsi della guerra, il 10 febbraio 1942.
Pochi giorni prima, il 20 gennaio, Heydrich, alla conferenza di Wannsee, aveva comunicato al suo uditorio che
«il Reichsführer-SS e capo della Polizia tedesca, in considerazione dei pericoli di una emigrazione durante la guerra e in considerazione delle possibilità dell’Est, ha proibito l’emigrazione degli Ebrei. All’emigrazione, come ulteriore possibilità di soluzione, previa autorizzazione del Führer, è ormai subentrata l’evacuazione degli Ebrei all’Est»[7].
L’emigrazione ebraica fu proibita da Himmler solo il 23 ottobre 1941, oltre due anni dopo lo scoppio della guerra[8]. (La conferenza di Wannsee era stata originariamente programmata per il 9 dicembre 1941[9]).
Il 21 luglio 1942 Martin Luther, un funzionario del Ministero degli Esteri, redasse un importante memorandum che conferma pienamente l’ordine di evacuazione:
«Alla conferenza [di Wannsee] il Gruppenführer Heydrich spiegò che l’incarico del Reichsmarschall Göring gli era stato affidato per ordine del Führer e che il Führer al posto dell’emigrazione aveva ormai autorizzato come soluzione l’evacuazione degli ebrei all’Est (und dass der Führer anstelle der Auswanderung nunmehr die Evakuierung der Juden nach dem Osten als Lösung genehmigt habe)».
In base a quest’ordine, spiegava Luther, fu intrapresa l’evacuazione degli Ebrei dalla Germania. La destinazione era costituita dai territori orientali via Governatorato Generale:
«L’evacuazione nel Governatorato generale è un provvedimento provvisorio (eine vorläufige Massnahme). Gli Ebrei saranno trasferiti ulteriormente nei territori orientali occupati (die Juden werden nach den besetzten Ostgebieten weiterbefördert) appena ce ne saranno i presupposti tecnici»[10].
Ho riassunto molto sommariamente ciò che ho documentato nello studio citato sopra Raul Hilberg e i «centri di sterminio» nazionalsocialisti. Fonti e metodologia, pp. 6-14.

Se si prescinde da questo contesto storico, il presunto ordine di sterminio ebraico di Hitler ne risulta sottovalutato e banalizzato.
Che importa che non sia stato trovato un ordine scritto? – si afferma. L’ordine fu impartito verbalmente.
Qualcuno ritiene anzi che l’argomento della mancanza di un ordine scritto sia un’arma a doppio taglio:
«I “negazionisti” fanno della mancanza di un ordine scritto di sterminio da parte di Hitler uno dei loro cavalli di battaglia. I loro detrattori rispondono che, in un regime come quello nazista, Hitler non poteva non sapere della messa in atto della “soluzione finale”. Ora si da il caso che gli stessi detrattori dei “negazionisti” utilizzano l'argomento della mancanza di un ordine scritto di Pio XII per aprire i conventi agli ebrei perseguitati nei paesi occupati per negare (sì, anche loro sono a modo loro “negazionisti”) il pronto aiuto che quel santo Papa e la Chiesa hanno effettivamente dato agli israeliti, riducendo ogni episodio alla buona volontà di singoli cristiani o di singoli gruppi di cristiani ma senza sollecitazione da parte della Gerarchia. È evidente la faziosità di questo modo di fare storia che pretende sempre e comunque una prova scritta: la mancanza dell'ordine scritto non può essere usata per “assolvere” Hitler ed al tempo stesso “condannare” Pio XII o, viceversa, “condannare” Hitler ed “assolvere” Pio XII. Se Hitler non poteva non sapere, è evidente che anche Pio XII non poteva non sapere quanto si stava facendo nell'intera Chiesa, in Europa, e persino nella sua diocesi di Roma, per salvare gli ebrei»[11].
Qui c’è un duplice equivoco. Sul primo, che riguarda la questione della prevalenza del documento sulla testimonianza, ho già chiarito il mio punto di vista[12]. Aggiungo che questo principio metodologico non implica affatto che si debba pretendere «sempre e comunque una prova scritta», perché esistono altre prove, oltre quelle documentali (considerando in senso stretto il documento come uno scritto), soprattutto quelle materiali. Ad esempio il DNA che inchioda un assassino, o fosse comuni a Belzec con almeno 434.000 cadaveri, che inchioderebbero i revisionisti, se fossero stati trovati nel corso delle locali indagini archeologiche.
Non si tratta dunque della «faziosa» richiesta di una prova SCRITTA, ma della più che «legittima» richiesta di una qualunque PROVA, documentale o non documentale.

Il secondo equivoco riguarda il reale significato e la reale portata storiografica dell’ordine di sterminio.
Lasciando da parte il fatto che la storiografia olocaustica non è d’accordo neppure su un ordine VERBALE - basti solo pensare alle teorie del «cenno della testa» di Martin Broszat e Christopher Browning o a quella parapsicologica della «lettura di pensieri concordanti» di Raul Hilberg -, la questione essenziale è questa: quando, come e perché la politica nazionalsociasta di emigrazione-evacuazione fu abbandonata e sostituita da una politica di sterminio? L’ “ordine del Führer”, infatti, dovrebbe coincidere con questa svolta epocale e determinarla.
La storiografia norimberghiana aveva supposto, secondo le dichiarazioni di Rudolf Höss, che il presunto ordine di sterminio ebraico fosse stato impartito nel giugno 1941. Le insuperabili contraddizioni storiche insite in tale congettura portarono la nuova storiografia ad una revisione radicale della datazione dell’ “ordine del Führer”. Nel 1999 Karin Orth, nell’articolo Rudolf Höss e la “soluzione finale della questione ebraica”. Tre argomenti contro la sua datazione all’estate del 1941[13], la posticipò al giugno 1942, ipotesi del resto già formulata da Pressac.
Ma allora come si spiega l’istituzione del “campo di sterminio” di Belzec nel marzo 1942, tre mesi prima dell’ “ordine del Führer”? Per ordine di chi e perché fu creato?

4) Globocnik e il Generalplan Ost
La faccenda è complicata ulteriormente dal fatto che il 17 luglio 1941 il capo dell’ “azione Reinhardt” (la pretesa operazione di sterminio ebraico nei campi di Belzec, Sobibor e Treblinka, ma anche di Lublino-Majdanek), l'SS- Brigadeführer Odilo Globocnik, che era SS-und Polizeiführer di Lublino, fu nominato da Himmler «Incaricato della costruzione di basi delle SS e della Polizia nel nuovo territorio orientale» (Beauftragte für die Errichtung der SS- und Polizeistützpunkte im neuen Ostraum). Questa nomina rientrava nel Generalplan Ost. In una nota redatta il 21 luglio 1941, punto 13, Himmler ordinò che l'incaricato del Reichsführer-SS doveva mettere in atto entro l'autunno la catena di comando «per la costruzione di basi delle SS e della Polizia nel nuovo spazio orientale»[14]. Come scrive lo storico olocaustico Jan Erik Schulte, «anche altri ordini impartiti da Himmler a Lublino rendono evidente che egli voleva impiegare i detenuti per provvedimenti legati alla colonizzazione dell'Est»[15].
In tale contesto fu istituito il campo di Lublino. Il 1° novembre 1941 l'SS-Oberführer Hans Kammler, capo dell'Amt II-Bauten (Ufficio II-Costruzioni) dell' SS-Hauptamt Haushalt und Bauten (Ufficio Centrale Bilancio e Costruzioni) inviò alla Zentralbauleitung der Waffen-SS und Polizei di Lublino l'ordine postdatato di costruzione del campo, che doveva servire come centro di raccolta di manodopera (prigionieri sovietici) per il Generalplan Ost.
Il 26 novembre, Globocnik, nella sua qualità di «Incaricato della costruzione di basi delle SS e della Polizia nel nuovo territorio orientale», ordinò alla Zentralbauleitung di Lublino «la costruzione di un campo di transito per rifornimenti (Durchgangsnachschublager) per lo Höhere SS- und Polizeiführer di Russia Sud e Caucasia che comprendeva 13 baracche, di cui 11 erano magazzini[16]. Il campo fu completato e consegnato l'11 settembre 1942[17]. Esso era destinato a rifornire i vari uffici addetti alle costruzioni nei territori orientali.
Ma al novembre 1941 risale anche la costruzione del campo di Belzec. Allora:
- poiché nessun documento attesta un cambiamento della politica nazionalsocialista di emigrazione-evacuazione;
- poiché nessun documento attesta l’indispensabile punto di svolta di questa politica, l’“ordine del Führer”;
- poiché Himmler e Globocnik all’epoca erano impegnati in un enorme piano di colonizzazione e di spostamento di popolazioni;
- poiché, secondo questo piano, gli Ebrei dovevano trovare una loro sede all’Est;
- poiché il presunto ordine di sterminio di Hitler sarebbe stato impartito tre mesi dopo l’entrata in funzione del campo di Belzec,
come si può credere seriamente che questo campo fosse stato costruito come “campo di sterminio”?
Congettura, come mostrerò subito, messa in dubbio persino da Jean-Claude Pressac.

5) Una conferma insospettata (e insospettabile)
Ciò chiarito, ritorno alla domanda iniziale: che fine fecero gli Ebrei deportati a Belzec, Sobibor e Treblinka?
Ho già spiegato che al riguardo non esistono documenti specifici.
Sta di fatto, però, che la politica nazionalsocialista di deportazione ebraica all’Est trova un’importante conferma nello studio demografico del prof. Eugene M. Kulischer, membro dell’ International Labour Office di Montreal, Canada, intitolato The displacement of population in Europe[18], che fu pubblicato nel 1943. Per la sua elaborazione, l’autore si avvalse dell’assistenza di una ventina di istituzioni, alcune delle quali ebraiche, come l’American Jewish Joint Distribution Committee, l’American Jewish Committee Research Institute on Peace and Post-War Problems e l’Institute of Jewish Affairs, tutte con sede a New York.
Nel paragrafo dedicato ai Territori di destinazione e metodi di confino egli indicò chiaramente la direttiva principale della deportazione ebraica:
«Alcuni Ebrei dal Belgio furono inviati in una zona limitrofa dell’Europa occidentale per lavoro forzato, ma, generalmente parlando, la tendenza è stata di trasferire gli Ebrei all’Est. Molti Ebrei dell’Europa occidentale, a quanto è stato riferito, furono deportati nelle miniere della Slesia. La grande maggioranza fu mandata nel Governatorato generale e, in numero sempre crescente, nell’area orientale, cioè nei territori che erano stati sotto il regime sovietico dal settembre 1939 e in altre aree occupate dell’Unione Sovietica».
Ho esposto un ampio riassunto di questo studio nell’opera Treblinka: Extermination Camp or Transit Camp?[19], che ho redatto in collaborazione con Jürgen Graf.

6) Il problema delle camere a gas
Gli studi Bełżec nella propaganda, nelle testimonianze, nelle indagini archeologiche e nella storia e Treblinka: Extermination Camp or Transit Camp? vertono essenzialmente sul problema delle camere a gas omicide in questi campi e, a mio avviso, confutano la loro esistenza.
Va ribadito che tale esistenza non è attestata da alcuna prova documentaria o materiale; essa si basa esclusivamente su testimonianze oculari, dimostrabilmente assurde e contraddittorie e prive di qualunque riscontro materiale.

Nel caso specifico di Belzec, i due testimoni fondamentali, Kurt Gerstein e Rudolf Reder, proferirono assurdità talmente grosse da indurre Michael Tregenza, uno dei massimi specialisti olocaustici di tale campo, a dichiararle «contraddittorie» e «inattendibili»; in particolare, egli ha definito «il materiale–Gerstein» una «fonte dubbia», aggiungendo che «anzi, in alcuni punti, bisogna considerarlo fantasticheria»[20].
Bisogna aggiungere che le dichiarazioni di questi due testimoni presentano una contraddizione insuperabile: secondo Gerstein, l’uccisione delle vittime nelle “camere a gas” di Belzec avveniva con i gas di un motore DIESEL convogliati ALL’INTERNO DEI LOCALI; per Reder, invece, i gas, prodotti da un motore A BENZINA, «erano convogliati dal motore DIRETTAMENTE ALL'ESTERNO E NON NELLE CAMERE»[21], talché il poveretto non sapeva neppure come morissero le vittime!
Fino al 1950, quando si aggiunse il testimone Wilhlem Pfannenstiel, presunto accompagnatore di Gerstein nella visita a Belzec, questi furono gli unici due garanti della realtà di camere a gas omicide in tale campo, e rimasero in tre fino al 1965, quando a Monaco fu celebrato il processo Belzec.
Questi tardivi testimoni, a cominciare da Pfannenstiel, sguazzarono letteralmente nel cosiddetto “rapporto Gerstein” come in uno stagno, si alimentarono di esso, ne presentarono uno scialbo riassunto, che costituì una mera verità processuale, che non ha nulla a che vedere con la verità storica.
Così la realtà delle “camere a gas” di Belzec si rivela inconsistente come le testimonianze che l’asseriscono, a cominciare da quella di Gerstein, fondamentale perché su di essa è stata originariamente costruita la storia del campo di sterminio di Belzec.

7) La “testimonianza oculare” di Kurt Gerstein
Riassumo il suo racconto come risulta dalle sue molteplici testimonianze. Per i riferimenti rimando alla mia replica a Valentina Pisanty.
Il 10 marzo 1941 Gerstein si arruola nelle SS e viene assegnato all'SS-Führungshauptamt, Amtsgruppe D, Sanitätswesen der Waffen-SS, Abteilung Hygiene. In virtù dei suoi successi nel campo della disinfestazione, egli viene presto promosso Leutnant e Oberleutnant, gradi inesistenti nelle Waffen-SS. Nel gennaio e nello stesso tempo nel febbraio 1942 egli viene nominato capo del servizio tecnico di disinfezione delle Waffen-SS. In tale qualità, l'8 giugno 1942, Gerstein riceve la visita dell'SS-Sturmbannführer Günther, del RSHA, il quale gli affida l'incarico di procurare immediatamente, per una missione del Reich segretissima, 100 kg e in pari tempo 260 kg di una sostanza che è sia acido cianidrico (Blausäure, acide prussique), HCN, sia cianuro di potassio (cyanure de potassium), KCN, e di portarla con un'automobile («mit einem Auto») e nello stesso tempo con un autocarro («cammion») in un luogo sconosciuto, noto soltanto all'autista. L'incarico di Günther offre a Gerstein l'opportunità di visitare i campi di sterminio orientali. Tuttavia secondo il documento Tötungsanstalten in Polen Gerstein non viene prescelto inopinatamente dal RSHA per la sua missione segretissima, ma prende egli stesso l'iniziativa: cerca di mettersi in contatto con ufficiali SS in Polonia, guadagna la loro fiducia e riesce ad «ottenere il consenso» per visitare due «stabilimenti dell'uccisione».
L'8 giugno Gerstein riceve dunque da Günther un ordine di missione verbale confermato per iscritto 48 ore dopo, cioè il 10 giugno. Nove settimane dopo, Gerstein e l'autista partono alla volta di Kolin, presso Praga, per caricare la sostanza tossica. Gerstein porta con sé il prof. Pfannenstiel, che è in pari tempo SS-Sturmbannführer e Obersturmbannführer, «più casualmente» («mehr zufällig»), il che significa che Pfannenstiel non aveva nulla a che vedere con la missione di Gerstein.
A questo punto le cose si complicano. Gerstein deve infatti prelevare e in pari tempo trasportare a Kolin 100/260 kg di acido cianidrico/cianuro di potassio; la località del prelievo/trasporto è sia imposta a Gerstein, sia scelta da Gerstein; il quantitativo di sostanza tossica viene ordinato a Gerstein dal RSHA e in pari tempo fissato da Gerstein.
Qui bisogna rilevare che i metodi di lavoro del RSHA, per quanto concerne lo sterminio ebraico, erano a dir poco bizzarri: Günther affidò a Gerstein l'incarico di procurare «immediatamente» («sofort») la sostanza tossica «per una missione del Reich estremamente segreta» («für einen äusserst geheimen Reichsauftrag»), ma Gerstein partì tranquillamente dopo oltre due mesi senza che nessun funzionario del RSHA avesse avuto nulla da eccepire; non solo, ma il RSHA aveva curiosamente rivelato il segreto della destinazione del viaggio di Gerstein ad un autista, ad un estraneo (Pfannenstiel), ma non al diretto interessato: Gerstein stesso!
Lo scopo della missione di Gerstein era di trasformare il sistema di funzionamento delle camere a gas omicide introducendo l'acido cianidrico al posto del gas di scappamento di motori Diesel; ma in contraddizione con ciò Gerstein dichiara:
«Io comprendevo la mia missione, aggiunge Gerstein. Mi si chiedeva di scoprire un mezzo di soppressione più rapido e più efficace di questo sterminio di genere primitivo. Proposi l'impiego di gas più tossici, e specialmente di quelli che sprigiona l'acido prussico».
Dunque egli doveva scoprire proprio quel mezzo di soppressione che gli era stato precedentemente indicato dal RSHA e propose proprio quella sostanza che gli era stata precedentemente ordinata dal RSHA!
A Kolin, Gerstein non prelevò Zyklon B - che vi si produceva regolarmente - ma acido cianidrico liquido in 45 bottiglie, «dietro presentazione di un buono di requisizione del RSHA», dunque per ordine del RSHA, cosa alquanto singolare, dato che, per la sua pericolosità, in Germania, l'acido cianidrico liquido non era più usato nella disinfestazione dall'introduzione del Bottich-Verfahren e dello Zyklon B.
Qui sorge un altro problema: perché il RSHA ordinò a Gerstein di portare con sé un quantitativo così ingente di acido cianidrico? Considerato il volume effettivo delle 6 presunte camere a gas di Bełżec – circa 145 m3 tenuto conto del volume occupato dai corpi delle vittime - 500 grammi di acido cianidrico sarebbero stati sufficienti a produrre in ciascuna di esse una concentrazione teorica di gas 10 volte superiore a quella immediatamente mortale. I 100 kg di acido cianidrico presuntamente trasportati da Gerstein sarebbero dunque bastati a uccidere 300.000 persone in 200 gasazioni! Decisamente un po’ troppo per dei semplici esperimenti. Per questi sarebbero stati sufficienti una decina di barattoli di Zyklon B, che Gerstein, visto che si doveva recare a Lublino, avrebbe potuto comodamente prelevare al campo di Majdanek, al quale, appena due settimane prima, il 30 luglio 1942, la ditta Tesch und Stabenow aveva consegnato 360 barattoli di Zyklon B da 1,5 kg ciascuno, per complessivi 540 kg di acido cianidrico.
Invece il RSHA, incomprensibilmente, costrinse Gerstein a fare un viaggio di circa 700 km da Kolin a Lublino con un carico tanto pericoloso che, a norma di legge, poteva essere trasportato solo refrigerato (unter Kühlung), di notte e con un autocarro speciale (mit besonderem Furhwerk).
A Lublino, Globocnik anzitutto chiese a Gerstein di effettuare la disinfestazione della raccolta di tessuti (stracci e vestiario), che ammontavano a «circa 40 milioni di kg = 60 treni merci completamente pieni»! Dal documento NO-1257 risulta che 2.700 tonnellate di stracci occupavano 400 vagoni. Ne consegue che 40.000 tonnellate richiedevano circa 5.925 vagoni (sicché ciascuno dei 60 treni di Gerstein aveva la bellezza di 98 vagoni!). Curiosamente però, alla conclusione dell’ “azione Reinhardt”, il 15 dicembre 1943, Globocnik era riuscito a mettere insieme soltanto 3.400 vagoni di tessuti (per la precisione:«vestiario, biancheria, piume da letto e stracci»), cioè 2.525 vagoni meno di quanto avesse fatto fino al 17 agosto 1942! Non è poi molto chiaro per quale ragione Globocnik avesse affidato proprio a Gerstein questo compito, dato che a Lublino esistevano «lavanderie e impianti di disinfestazione», oltre a ditte specializzate nella disinfestazione, né come questo compito si conciliasse con la missione segretissima di trasformare le camere a gas funzionanti con i gas di scappamento di un motore Diesel in camere a gas ad acido cianidrico. Gerstein, come è noto, si recò con il suo carico letale a Belzec, ma non adempì la sua missione, e poi se ne tornò tranquillamente a Berlino, senza che nessuno gli chiedesse conto di questa missione, che, ricordo, era un segreto di Stato. A questo riguardo il giudice istruttore francese Mattei gli chiese:
«A chi avete reso conto dell'esecuzione della vostra missione?
[Gerstein] - Al mio ritorno a Berlino da un viaggio che è durato circa due settimane, non ho reso conto a nessuno dell'esecuzione della mia missione. Nessuno mi ha chiesto nulla».
Un'altra bizzarria dei metodi di lavoro del RSHA!
Circa la sorte dell'acido cianidrico prelevato a Kolin, Gerstein racconta di aver portato al campo di Belzec 44 delle 45 bottiglie e in pari tempo di averle nascoste a 1.200 metri dal campo.
Giunto in Polonia, Gerstein visita i campi di Belzec, Treblinka e Majdanek, e in pari tempo di Belzec, Sobibór e Treblinka e nello stesso tempo soltanto di Belzec e Treblinka. La cronologia di questi viaggi è a dir poco sorprendente. Egli menziona due date precise, il 17 agosto 1942, giorno del suo arrivo a Lublino, e il 19 agosto 1942, giorno del suo arrivo a Treblinka: tra queste due date Gerstein fornisce due cronologie diverse ed entrambe contraddittorie.
Il 17 agosto è a Lublino, il giorno dopo va a Belzec: 18 agosto; il mattino seguente egli assiste alla famosa gasazione omicida: 19 agosto; «il giorno dopo, il 19 agosto» («am nächsten Tage, den 19.August») va a Treblinka: in realtà si tratta del 20 agosto. Seconda cronologia: il 17 agosto a Lublino, un altro giorno va a Belzec: 18 agosto; un'altra mattina assiste alla gasazione: 19 agosto; un altro giorno le fosse comuni vengono riempite di sabbia: 20 agosto; un altro giorno Gerstein va a Treblinka: 21 agosto. Inoltre Gerstein ha trascorso nei campi di Globocnik «soltanto tre giorni» e in pari tempo due giorni, cioè «il 17 e 18 agosto» 1942, il che è in ulteriore contraddizione con la cronologia esposta sopra.
A Belzec, Gerstein vede entrare nel campo un treno merci di 45 vagoni, cosa alquanto improbabile, dato che il binario di raccordo all'interno del campo di Belzec era lungo 260 metri mentre 45 carri bestiame sono lunghi circa 498 metri.
Egli vede anche una montagna di scarpe alta 35-40 metri e un bambino ebreo di tre anni (sic) che distribuisce a oltre 5000 deportati delle cordicelle per legare insieme le loro scarpe.
La gasazione omicida alla quale Gerstein pretende di avere assistito avviene nello stesso tempo a Belzec e a Majdanek.
Essa si svolge in una installazione che conteneva 5 camere a gas e nello stesso tempo 6, le quali misuravano in pari tempo m 4 x 5 e m 5 x 5, m 1,90 di altezza. Sorprendentemente, però, esse avevano comunque una superficie di 25 m2 e un volume di 45 m3!
Le camere a gas si riempiono. «Gli uomini stanno gli uni sui piedi degli altri, 700-800 in 25 metri quadrati, in 45 metri cubi!», ossia 28-32 persone per metro quadrato! Ma queste 700-800 persone si trovavano nello stesso tempo sia in una camera a gas, sia nell'intero edificio. L'uccisione degli Ebrei avviene il giorno stesso dell'arrivo del treno e in pari tempo «il giorno seguente o alcuni giorni dopo». Il gas tossico viene prodotto da un vecchio motore Diesel smontato dal veicolo e nello stesso tempo da «un grosso trattore». Dopo la gasazione i cadaveri vengono portati via su «carri di legno» («auf Holzwagen») e nello stesso tempo su «barelle di legno» («auf Holztragen») alle fosse comuni, dove Gerstein vede dei lavoratori ebrei impegnati a spogliare dei cadaveri che vi erano stati gettati vestiti: ciò avviene a Belzec e in pari tempo a Treblinka. Il numero totale dei gasati dei due soli campi di Belzec e di Treblinka è di 25 milioni di persone!
È importante sottolineare che tutte le affermazioni di Gerstein devono essere prese alla lettera, come egli dichiara sotto giuramento:
«TUTTE (alle) le mie affermazioni sono VERE ALLA LETTERA (wörtlich wahr) Sono pienamente consapevole davanti a Dio e all'umanità della straordinaria portata di queste mie annotazioni e giuro che nulla di tutto ciò che ho registrato è immaginario o inventato (erdichtet oder erfunden), ma che tutto è ESATTAMENTE COSÌ (genau so)».

8) Il problema delle testimonianze scomode
Ma c’è anche il problema delle testimonianze scomode.
Nel mio studio ho riportato le “testimonianze oculari” sull'IMPIANTO DI FOLGORAZIONE di Belzec, costituito da «una baracca dove c'è una lastra elettrificata in cui vengono effettuate le esecuzioni»; oppure da «una piattaforma metallica che funzionava come un elevatore idraulico che li calava in una enorme vasca piena d'acqua fino al collo delle vittime. [...]. Essi venivano folgorati con la corrente elettrica attraverso l'acqua. L'elevatore poi sollevava i corpi fino a un crematorio che si trovava sopra»; oppure da «una baracca, che contiene una stufa (o un forno: Ofen) elettrica. In questa baracca si svolgono le esecuzioni». Ho inoltre riportato le testimonianze sui treni della morte, che, attraverso un “tunnel”, scendevano nei locali di sterminio “sotterranei”: «Questi locali non avevano finestre, erano tutti di metallo e avevano un pavimento che poteva essere calato giù. Per mezzo di un meccanismo ingegnoso il pavimento, con tutte le migliaia di Ebrei, veniva calato in una cisterna che si trovava al di sotto del pavimento - ma solo finché l'acqua non arrivava ai loro fianchi. Allora attraverso l'acqua veniva fatta passare la corrente ad alta tensione e in pochi istanti tutte le migliaia di Ebrei erano stati uccisi. Poi il pavimento, con tutti i cadaveri, veniva tirato fuori dall'acqua. Si inseriva un'altra linea elettrica e queste grandi sale diventavano ora roventi come un forno crematorio fino a quando tutti i cadaveri non erano inceneriti. Potenti gru ribaltavano il pavimento ed evacuavano le ceneri. Il fumo veniva espulso attraverso grandi camini da fabbrica».
Oppure gli Ebrei venivano asfissiati in «un baraccamento sotterraneo»; oppure in una baracca mediante «gas e corrente elettrica ad alta tensione»; oppure «il pavimento della camera a gas, dopo l'uccisione degli Ebrei si apriva facendo cadere i cadaveri giù, da dove venivano portati ad una fossa
comune con vagoncini»; oppure «i Tedeschi facevano passare nei muri dei fili elettrici che non erano isolati. Gli stessi fili passavano a terra. Quando la sala era piena di persone nude, i Tedeschi attaccavano la corrente. Era una gigantesca sedia elettrica»; oppure «il pavimento del “bagno” era metallico e al soffitto erano appesi dei pomi di doccia. Quando il locale era pieno, le SS inserivano la corrente ad alta tensione a 5000 volt nella piastra metallica. Nello stesso tempo i pomi delle docce sputavano acqua. Un breve grido e l'esecuzione era terminata»; oppure a Belzec non c'era alcun impianto di sterminio, ma, secondo la “testimonianza oculare” di Jan Karski, gli Ebrei venivano ammassati su un treno cosparso di calce viva, portati a circa 80 miglia di Belzec e lasciati morire nel treno immobile. Per non parlare della immancabile «fabbrica di sapone umano», che ovviamente utilizzava «le persone più grassottelle».
Tuttavia Tregenza ha appurato quanto segue: «Fin dall'inizio nel villaggio [di Belzec] ognuno sapeva che cosa accadeva al campo. Ciò risultava dall'amicizia stretta tra il personale del campo e gli abitanti ucraini del villaggio, che ospitarono nelle loro case molti membri della guarnigione SS e “uomini di Trawniki” e furono a loro volta ben ricompensati per la loro “ospitalità”. Ciò includeva anche la prostituzione. Alcune ragazze - stando alle dichiarazioni di abitanti del villaggio – si sarebbero prostituite agli uomini di Trawniki in cambio di gioielli e altri oggetti di valore. Inoltre delle prostitute andarono a Belzec anche da altre cittadine. Negli atti delle indagini della polizia popolare polacca ci sono riferimenti ad abitanti del villaggio che erano impiegati nelle più svariate
installazioni del campo delle SS. In particolare, le tre sorelle della famiglia J. lavoravano nella cucina del comando SS e nella lavanderia SS, che apparteneva alla famiglia B. Il panificio del villaggio, che era di proprietà della famiglia ucraina N., era incaricata della cottura di alcune centinaia di pagnotte per la guarnigione SS, per gli “uomini di Trawniki” e per il migliaio di Ebrei che erano impiegati al campo. Il pane veniva consegnato con un carretto contadino da vari abitanti del villaggio al cancello del campo. Uno di essi era il già menzionato ebreo Mojzesz Hellman, che viveva in incognito a Belzec col nome di Ligowski. Veniva pagato con oggetti preziosi o cognac. Quattro uomini operarono all'interno dell'area del campo, tra cui Dmitri N., che controllava o riparava docce e bagni degli “uomini di Trawniki”. Mieczyslaw K. e Waclaw O. lavoravano come meccanici nel garage o come elettricisti del campo. L'elettricista Michal K. Installò cavi e luce nel secondo edificio di sterminio, la cosiddetta “Fondazione Hackenholt” e avrebbe assistito occasionalmente a gasazioni. A conoscenza dell'autore, questo è l'unico caso conosciuto in Polonia di un Polacco che abbia partecipato direttamente - volontariamente e dietro compenso – allo sterminio ebraico in un campo di sterminio. Non meno sorprendente è il fatto che gli abitanti del villaggio Eustachy U. e Wojciech I. non solo furono autorizzati a tenere una macchina fotografica, ma fu persino permesso loro di fotografare il personale del campo di sterminio, anzi, furono addirittura esortati a farlo. Alcune fotografie furono da loro scattate addirittura all'interno del campo. I soldati SS e gli “uomini di Trawniki” si fotografarono anch'essi reciprocamente e inviarono i rullini a sviluppare e a fare copie da Wojciech I.».
Ma se «ognuno sapeva che cosa accadeva al campo» come si spiega la nascita di quelle macabre fantasie? Perché non fu divulgata subito la “verità”? Perché il rapporto ufficiale del Governo polacco presentato a Norimberga dai Sovietici, ammesso come documento URSS-93 e letto all’ udienza del 19 febbraio 1946 dall'accusatore sovietico L.N. Smirnow, riguardo a Belzec conosceva soltanto «impianti elettrici speciali per lo sterminio in massa di uomini»? Perché “verità” delle camere a gas si impose faticosamente soltanto nel 1947? Fatto a dir poco strano, con tutti questi “testimoni oculari” che circolavano liberamente per il “campo di sterminio” come se stessero a casa propria e si potevano permettere persino di scattare fotografie! L'unica conclusione che si può trarre da ciò è che nel 1942 non c'era alcuna “verità” da rivelare.
Inversamente, tornando all’obiezione iniziale(se gli Ebrei deportati a Belzec, Sobibor e Treblinka non sono stati gasati in questi campi, dove sono finiti?), anche se, secondo la prospettiva minimalista che ho esposto sopra, si accetta l’ipotesi dell’assassinio in massa che essa sottintende, perché i deportati non sarebbero stati assassinati in impianti di folgorazione o in camere a vapore piuttosto che in a camere a gas?
Ammesso che i deportati siano stati uccisi, che prove ci sono che furono uccisi in camere a gas?
E non si può obiettare che, comunque, sarebbero stati uccisi, perché qui si tratta di un problema epistemologico, che riguarda la questione della conoscibilità e della dimostrabilità dell’ assunto delle camere a gas (o dell’impianto di folgorazione, o delle camere a vapore) e solo grazie all’acquisizione di una tale conoscenza e dimostrazione si potrebbe ritenere reale l’assunto dell’uccisione.

9) Gli argomenti contrari
Di più, contro l’esistenza delle “camere a gas” e del conseguente presunto sterminio in massa ci sono anche solidi argomenti.
IL PRIMO è il fatto che le indagini archeologiche polacche eseguite nell’area del campo di Belzec tra il 1997 e il 1999 da un gruppo di archeologi dell’università Nicola Copernico di Toruń, diretto dal prof. Andrzej Kola, fecero risultare una totale assenza di tracce materiali delle presunte installazioni di sterminio, la quale smentisce clamorosamente le relative dichiarazioni dei testimoni, che risultano dunque doppiamente inaffidabili.
IL SECONDO è il fatto che queste stesse indagini smentiscono categoricamente la possibilità materiale del seppellimento nell'area del campo di 600.000 o di 434.000 cadaveri e i reperti (cadaveri, ossa, ceneri) sono assolutamente inconciliabili con un tale immane massacro.
Un tale Roberto Muehlenkamp ha messo in dubbio la fondatezza di questa conclusione. Da parte mia, ho dimostrato l’infondatezza dei suoi procedimenti argomentativi e delle sue conclusioni nello scritto menzionato sopra “Bełżec e le Controversie olocaustiche di Roberto Muehlenkamp”.
IL TERZO è l'inconsistenza dell'intera storia dei campi di sterminio orientali e delle gasazioni con gas di scappamento di un motore Diesel, come ho dimostrato nello studio su Treblinka summenzionato, vale a dire, riassumendo:
1) Progettazione e costruzione dei “campi di sterminio” orientali: “campi di sterminio” costruiti senza una precisa progettazione e uno specifico bilancio;
3) Motore Diesel o motore a benzina?: inadeguatezza di un motore Diesel rispetto a uno a benzina per lo sterminio con i gas di scarico;
4) La “lotta” tra il gas di combustione e l’acido cianidrico: scelta del gas di scarico di un motore Diesel nonostante la consapevolezza che fosse inadeguato rispetto allo Zyklon B;
5) La “missione” di Kurt Gerstein: l’assurda vicenda di un ufficiale SS inviato a sostituire il sistema di sterminio dei campi orientali mediante gas di scarico di un motore Diesel, perché considerato inadeguato, con il sistema dell’acido cianidrico, e ritornato senza aver fatto nulla e senza render conto a nessuno del suo operato;
6) Motori russi o motori tedeschi?: l’insensato impiego di VECCHI motori Diesel RUSSI per attuare il presunto sterminio, che tra l’altro, avrebbe costretto i gasatori a catturare carri armati russi intatti o a chiedere i pezzi di ricambio a Stalin;
7) Camere a gas o camere di asfissia?: l’assurda costruzione di camere a gas dove le vittime sarebbero morte per gasazione in circa 30-40 minuti, per asfissia in circa 20-30 minuti;
8) Il problema della pressione nelle camere a gas: la sovrappressione generata dal motore Diesel (funzionante come un compressore) avrebbe fatto esplodere la camera a gas o equilibrato quella del motore, spegnendolo in pochi minuti.

10) Un problema secondario
In questa prospettiva di indagine, che verte in modo specifico sulle camere a gas, la DESTINAZIONE dei deportati diventa un problema secondario.
Faccio un esempio. Se Rossi invita a cena la famiglia Bianchi, che poi sparisce, sicché, essendo stata vista per l'ultima volta a casa sua, Rossi viene accusato di pluriomicidio; se poi un testimone giura che Rossi ha fatto a pezzi i Bianchi con la sua ascia nel giardino di casa, poi li ha bruciati nella sua stufa; se infine il difensore, premesso che a casa di Rossi non sono stati trovati né i cadaveri, né tracce del delitto, né l’arma del delitto, dimostra che l’imputato non ha mai posseduto un’ascia, non ha un giardino e neppure una stufa, per discolparlo dall’accusa di omicidio è ASSOLUTAMENTE NECESSARIO che si sappia dove sono finiti i Bianchi?
Questo può certo essere auspicabile, ma non è indispensabile.
Se inoltre il testimone dichiara di aver visto Rossi mentre massacrava i Bianchi da un’astronave aliena, è Rossi che deve dimostrare che Bianchi mente o è Bianchi che deve dimostrare di essersi effettivamente trovato sull’astronave aliena?

11) Treblinka: “camere a vapore“ o “camere a gas”?
L’ultima ipotesi si attaglia bene a ciò che scrissi nel 1985 sulla testimonianza di Yankel Wiernik. Dopo aver citato un rapporto polacco del 15 novembre 1942, che descriveva con dovizia di particolari le famose “camere a vapore” di Treblinka, rilevai:
«Successivamente si è imposto il mito delle “camere a gas” a monossido di carbonio, che vale tuttora come verità ufficiale sui “campi di sterminio” orientali. La cosa è stata semplice: è bastato trasformare in “camere a gas” le “camere a vapore” del rapporto del 15 novembre 1942!
Così il “testimone oculare” Yankel Wiernik scrisse già nel 1944 che a Treblinka gli Ebrei venivano uccisi in due costruzioni, una grande, con dieci “camere a gas”, l’altra piccola, con tre “camere a gas”, esattamente come le due “case della morte” del rapporto summenzionato avevano dieci e tre “camere a vapore”. Anche la disposizione dei locali della nuova costruzione è tratta di sana pianta dal rapporto del 15 novembre 1942: dieci camere disposte ai due lati di un corridoio che attraversava tutta la costruzione.
Quanto sia attendibile questo “testimone oculare”, si può arguire già da questa sua affermazione: in ogni “camera a gas”, che misurava “circa 150 piedi quadrati” (about 150 square feet), cioè meno di 14 metri quadrati, potevano essere stipate 1.000-1.200 persone, con una densità di 71-85 persone per metro quadrato!»[22].
Roba da far rabbrividire persino Gerstein, con le sue misere 32 persone per metro quadrato!
Premesso, appunto, che non esiste alcuna prova che Wiernik sia stato deportato a Treblinka, tranne le sue dichiarazioni, che cosa dimostrano queste descrizioni concordanti?
O che Wiernik ha inventato la storia delle “camere a gas” ispirandosi al racconto del rapporto sulle “camere a vapore”.
O che Wiernik ha visto realmente delle “camere a vapore”, ma ha riferito, mentendo, di “camere a gas”.
O che l’autore del rapporto sulle “camere a vapore” ha visto delle vere “camere a vapore”.
O che l’autore del rapporto sulle “camere a vapore” ha visto delle “camere a gas”, ma ha riferito, mentendo, di “camere a vapore”.
O che l’autore del rapporto sulle “camere a vapore” ha visto impianti diversi, che ha descritto come “camere a vapore”.
Ognuno scelga l’opzione che preferisce.
L’ultima possibilità, che fu proposta da Jean-Claude Pressac, è quella che quadra meglio col contesto storico-documentario. Riflettendo sull’impianto per la produzione di vapore acqueo di Treblinka e sulle stufe di 250 kg, con rivestimento refrattario ma senza griglia, e sui «tubi per l'acqua» che nel novembre 1941 furono installati, a detta del testimone Stanisław Kozak[23], nelle tre “camere a gas” del primo impianto di gasazione di Belzec, egli suggerì:
«Al posto di una installazione omicida, bisognerebbe accettare l'ipotesi di TRE STAZIONI DI DISINFESTAZIONE INSTALLATE a Belzec, Sobibor et Treblinka»
il cui scopo era l'igiene profilattica e la lotta contro il tifo[24], che avrebbero avuto molto senso per CAMPI DI TRANSITO nel quadro del Generalplan Ost.
Del resto, la lettera di Himmler a Pohl del 5 luglio 1943 e la risposta di Pohl del 15 luglio attribuiscono esplicitamente a Sobibor la qualifica di CAMPO DI TRANSITO (Durchgangslager)[25].

12) Il personale dell’eutanasia
Il personale dell’Aktion Reinhardt proveniva in gran parte dall’operazione “T4”, il programma di eutanasia. Ciò non dimostra che i relativi campi furono campi di sterminio? – si eccepisce.
Di questa obiezione mi sono occupato nell’Introduzione del mio libro su Belzec. In breve:
Quand’anche il programma eutanasia fosse stato eseguito nell’estensione e nelle modalità addotte dalla storiografia olocaustica, ciò non dimostrerebbe necessariamente l'attuazione di uno sterminio in massa a Belzec, Sobibor e a Treblinka, come la presenza di un pregiudicato sulla scena di un crimine non dimostra necessariamente che sia il colpevole del crimine.
In realtà, il collegamento tra l'eutanasia e i presunti campi di sterminio suddetti - l’uccisione in camere a gas -, è insussistente, perché NON ESISTE ALCUNA PROVA DOCUMENTALE O MATERIALE sulla GASAZIONE dei malati di mente, esattamente come avviene per i campi summenzionati[26].
Inoltre, dopo la fine del programma di eutanasia, questo personale fu inviato in gran parte sul fronte orientale a prendersi cura dei soldati tedeschi feriti, compito che non si addice troppo a una banda di assassini.

13) Chi fu seppelito a Belzec?
Le indagini archeologiche polacche accertarono, mediante sondaggi nel terreno, la presenza nell’area del campo di fosse comuni, di numero, superficie e volume oltremodo contestabili, come ho spiegato dettagliatamente nell’articolo “Bełżec e le Controversie olocaustiche di Roberto Muehlenkamp”, che comunque hanno un ordine di grandezza enormemente inferiore a quello richiesto dall’immane sterminio in massa che viene attribuito al campo. Sta di fatto, però, che un numero indeterminabile di cadaveri vi furono seppelliti e/o bruciati. A chi appartenevano?
Nel mio studio ho chiarito che:
- Nel 1940 Belzec fu usato come campo zingari e vi si diffusero varie malattie, tra cui il tifo petecchiale, sul quale, se si vuole, si può anche ironizzare, ma la fonte è polacca: E. Dziadosz, J. Marszałek, Więzienia i obozy w dystrykcie lunelskim w latach 1939-1944 (Prigioni e campi nel distretto di Lublino negli anni 1939-1944), in: “Zeszyty Majdanka”, 3, 1969, p. 61.
- Poi Belzec divenne il campo principale (Hauptlager) cui facevano capo una rete di dieci campi di lavoro forzato in cui erano detenuti circa 15.000 Ebrei, di cui, inizialmente, circa 2.500 in tale campo, che lavoravano in un “Kommando SS di costruzione per la protezione dei confini” (“SS-Grenzsicherungs-Baukommando”). Si sa che le condizioni di vita dei detenuti di questi campi erano molto dure. Si deve presumere che ci fu un certo tasso di mortalità, anche se al riguardo non ci sono dati.
- Nel 1942 a volte giunsero a Belzec trasporti catastrofici in cui molti detenuti arrivarono morti.
Perciò un certo numero di vittime reali non mancò mai.

14) Irving e i campi dell’ “azione Reinhardt”
Francesca Paci riferisce che Irving, nel corso di un recente colloquio col vescovo Williamson nella sua villa nella campagna del Bershire, ha dichiarato:
«“Gli ho spiegato che la cosa migliore è ammettere che ci sono stati omicidi di massa organizzati dal 1942 al 1943 nei tre campi controllati da Himmler, Treblinka, Sobibor e Belzec. La cifra è da verificare ma sua Eccellenza non può discutere che sia accaduto”.
Non lo mette in dubbio neppure lui che è stato a Treblinka un anno fa[27]: «Mi sono convinto che lì potrebbero essere stati uccisi due o tre milioni di persone. C’è un documento tedesco del 1943 desecretato dagli inglesi che, sebbene con qualche discrepanza, parla di un milione e duecentomila MORTI nel 1942. Ma poiché i campi funzionarono fino all’ottobre del 1943 il numero potrebbe essere il doppio». Su Auschwitz invece, il vescovo lefevriano può star tranquillo, i suoi dati coincidono con quelli di Irving: “Ad Auschwitz sono morte circa 300 mila[28] persone di paesi diversi. Il resto è leggenda costruita per i turisti che vanno lì come a Disneyland”»[29](corsivo mio).
In seguito ad una singolare conversione, maturata, a quanto pare, nel carcere austriaco, Irving ora crede alle “camere a gas” di Belzec, Sobibor e Treblinka, riguardo alle quali non esistono né documenti, né reperti materiali, ma non crede a quelle di Auschwitz, che invece sarebbero attestate da documenti (gli “indizi criminali” di Pressac) e da reperti materiali (la “camera a gas” del crematorio I e le rovine dei crematori di Birkenau). E questa credenza non si basa neppure su un documento tedesco, ma su una decodificazione britannica di un messaggio radio tedesco affiorata solo nel 2001. Il messaggio originale, datato 11 gennaio 1943, proveniva dall’SS-Hauptsturmführer Hans Höfle ed era diretto all’ SS-Obersturmbannführer Heim, plenipotenziario della Polizia di Sicurezza a Cracovia, e all’SS-Oberstumbannführer Eichmann, dell’Ufficio centrale di Sicurezza del Reich. Si tratta di una comunicazione che indica la “Zugang” (“ingresso”), cioè i nuovi arrivati fino al 31 dicembre 1941 nei campi dell’azione Reinhardt come segue:
Lublino: 24.733
Belzec: 434.508
Sobibor: 101.370
Treblinka: 713.555 (per errore è indicata la cifra 71355)
Totale: 1.274.166[30].

Questo totale è identico alla cifra che appare nel rapporto Korherr del 28 aprile 1943, in cui si dice:
«Transportierung von Juden aus den Ostprovinzen nach dem russischen Osten:
Es wurden durchgeschleust durch die Lager im Generalgouvernement: 1.274.166 Juden »,
«Trasporto di Ebrei dalle province orientali all’Est russo:
furono convogliati attraverso i campi del Governatorato generale: 1.274.166 Ebrei»[31].
C’è allora da chiedersi perché Irving sia rimasto indifferente al documento tedesco, noto da decenni, e si sia invece convertito di fronte ad una decodificazione britannica. Ma questo è affar suo.
Ciò che importa rilevare, fermo restando che nessuno dei due documenti menzionati parla di “morti”, è il fatto che il rapporto Korherr smentisce quantomeno che questi deportati siano stati tutti assassinati nelle “camere a gas” dei campi suddetti.
Nel paragrafo VII, Gli Ebrei nei campi di concentramento, Korherr precisa infatti:
«Nicht enthalten sind die im Zuge der Evakuierungsaktion in den Konzentrationslagern Auschwitz und Lublin untergebrachten Juden»,
«Non sono inclusi gli ebrei alloggiati nei campi di concentramento di Auschwitz e Lublino nel quadro dell’azione di evacuazione»[32].
Questa espressione rimanda ad Ebrei deportati in questi due campi, non conteggiati, ma che erano vivi. L’analisi dei dati forniti dallo statistico delle SS conferma questo fatto. Per il campo di Auschwitz egli registra, complessivamente, 5.849 ebrei ed ebree internati, 1 rilasciato e 4.436 deceduti[33]. Tuttavia soltanto nel 1942, «nel quadro dell’azione di evacuazione» ad Auschwitz (identica alla «migrazione all’Est» - Ostwanderung menzionata sopra) furono immatricolati circa 58.300 ebrei ed ebree[34], il che significa che da questi trasporti (oltre 140) furono regolarmente immatricolati dei detenuti. Analogamente, una parte dei 24.733 Ebrei menzionati nella comunicazione di Höfle erano vivi pur non essendo menzionati nel rapporto Korherr.

15) L’opinione di Friedrich Paul Berg su Padre Patrick Desbois[35]
Ho conosciuto di persona Friedrich Berg e posso dare ampie rassicurazioni a chi dubita della sua intelligenza e della sua buona fede.
Nel caso specifico, Berg non sostiene che NON CI SIA LA “PROVA” che neanche una persona sia stata uccisa dai nazisti nel corso delle rappresaglie antipartigiane sul fronte dell'Est, come è stato detto, bensì che IL LIBRO DI PADRE DESBOIS NON FORNISCE NESSUNA “PROVA FORENSE” IN TAL SENSO:
«Ho il libro The Holocaust by Bullets [L’Olocausto mediante pallottole] di Padre Patrick Desbois. È sbalorditivo per la sua totale mancanza di qualsiasi prova forense che anche una sola persona sia stata uccisa dai nazisti [nel corso delle rappresaglie antipartigiane sul fronte dell'Est]».
Per quanto riguarda i “campi di sterminio” orientali, le SS non potevano trarre alcuna lezione dalle fosse comuni staliniane, perché, quando le scoprirono, nell’aprile 1943 (Katyn), la presunta cremazione delle presunte vittime di Belzec era già conclusa.
Ciò comunque non ha nulla a che vedere con il tema della recensione di Berg, che riguarda invece le vittime degli Einsatzgruppen. Si tratterebbe dunque dell’ “Azione 1005”, un preteso «criptonimo di un'operazione con la quale si dovevano cancellare le tracce dell'assassinio di milioni di persone nell'Europa occupata», come recita l’Enciclopedia dell’Olocausto (edizione tedesca).
In realtà, come ho documentato nel mio studio “Azione Reinhard” e “Azione 1005”[36], su questa immane esumazione-arsione di milioni di cadaveri non esiste alcuna prova, né documentaria né materiale.

16) Auschwitz: gli “indizi criminali” di Pressac
Faurisson aveva chiesto «una prova...una sola prova», Pressac rispose con 39 “indizi criminali”, escludendo esplicitamente l’esistenza «di QUALUNQUE PROVA “diretta”, cioè palpabile, indiscutibile ed evidente», perciò non ha senso rispondere alla richiesta di una “PROVA” adducendo semplici “INDIZI”.
Pressac li aveva tratti in massima parte dalla relazione redatta dal perito ing. Roman Dawidowski, che aveva collaborato alle indagini svolte dal giudice Jan Sehn tra il 10 maggio 1945 e il 26 settembre 1946, e pubblicati nel libro Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers[37], opera di recente riesumata e opposta alla richiesta di Faurisson: «Ecco le prove!», si afferma.
Ma gli “indizi” restano sempre tali e 39 “indizi” non costituiscono una “prova”.
Per quanto riguarda il loro numero, eliminando quelli falsi (ad es. il n. 33 e 34) e raggruppando nelle singole voci le numerose ripetizioni, le parti del medesimo congegno e i medesimi indizi citati da fonti diverse, gli “indizi criminali” si riducono a 9.
Dopo la sua visita agli archivi di Mosca, Pressac aggiunse a questo quadro altri 6 indizi (“bavures”). Il contributo di van Pelt a questo quadro indiziario è stato estremamente esiguo: egli vi ha apportato un solo nuovo “indizio criminale”.
La determinazione cronologica degli “indizi” è particolarmente istruttiva:
nessun indizio relativo al crematorio II è posteriore alla data della deliberazione di consegna dell'impianto da parte della Zentralbauleitung all'amministrazione del campo (31 marzo 1943). Secondo Pressac, questo crematorio avrebbe funzionato
«come camera a gas omicida e impianto di cremazione dal 15 marzo 1943, prima della sua entrata in servizio ufficiale il 31 marzo, al 27 novembre 1944, annientando un totale di circa 400.000 persone, in massima parte donne, vecchi e bambini ebrei».
È vero che egli in seguito ha drasticamente ridimensionato questa cifra, ma è anche vero che van Pelt attribuisce a questo impianto ben 500.000 vittime.
La presunta camera a gas omicida del crematorio II avrebbe dunque funzionato per oltre 20 mesi, sterminando 500.000 persone, senza lasciare neppure un misero «indizio criminale»!
Per il crematorio III, nessun indizio è posteriore alla data della deliberazione di consegna dell'impianto (24 giugno 1943). In questo crematorio, a detta di Pressac, furono gasate e cremate 350.000 persone. Per i crematori IV e V l'indizio più tardo risale ad appena un paio di settimane dopo la deliberazione di consegna dell'impianto (4 aprile 1943). In questi due crematori, per Pressac furono gasate e cremate 21.000 persone.
Dunque nei quattro crematori sarebbero state gasate 771.000 persone in oltre 20 mesi senza che al riguardo nell'archivio della Zentralbauleitung sia rimasto UN SOLO “INDIZIO CRIMINALE”, mentre invece numerosi documenti attestano i guasti frequenti che si verificarono agli impianti di cremazione.
A ciò si aggiunge anche il fatto che per le presunte gasazioni omicide preliminari - non solo per la prima gasazione nello scantinato del Block 11 e per quelle sperimentali nel crematorio I - ma anche per le gasazioni in massa presuntamente effettuate per circa quindici mesi nei cosiddetti Bunker di Birkenau, che, secondo van Pelt, costarono la vita a «più di 200.000 Ebrei», NON ESISTE ASSOLUTAMENTE IL MINIMO “INDIZIO CRIMINALE”.
Gli “indizi criminali” sono dunque COMPLETAMENTE INESISTENTI PER TUTTE LE FASI PRELIMINARI E PRINCIPALI DELLA PRESUNTA ATTIVITÀ DI GASAZIONE IN MASSA, essendo limitati esclusivamente AI CREMATORI DI BIRKENAU ed esclusivamente AL PERIODO DI COSTRUZIONE DEGLI IMPIANTI: essi potrebbero eventualmente riguardare LA PROGETTAZIONE E LA COSTRUZIONE di camere a gas omicide, ma non certo IL LORO USO EFFETTIVO per gasazioni omicide Su ciò non esiste alcun “indizio criminale”. E non esiste alcun indizio neppure sul fatto che tali camere a gas dovessero per forza essere OMICIDE. Anzi, il contesto storico-documentario in cui si trovano gli “indizi criminali” lo esclude apertamente.

Per quanto riguarda il significato e il valore di tutti gli “indizi criminali” su Auschwitz rimando al mio studio di prossima pubblicazione Le camere a gas di Auschwitz. Studio storico-tecnico sugli «indizi criminali» di Jean-Claude Pressac e sulla «convergenza di prove» di Robert Jan van Pelt, in cui espongo una confutazione totale e radicale delle tesi di questi due autori.
Qui anticipo soltanto che gli “indizi criminali” si riferivano a normali progetti senza nulla di sospetto, spesso non realizzati, legati alle esigenze contingenti del momento. Proprio per questo essi scompaiono completamente dalla documentazione dall'inizio di maggio del 1943, quando fu varato il nuovo progetto delle «Misure speciali per il miglioramento delle installazioni igieniche» (Sondermassnahmen für die Verbesserung der hygienischen Einrichtungen) a Birkenau, che riguardarono anche i crematori. Il principale “indizio criminale” per il crematorio III, difatti, non solo non ha un significato criminale, ma rientra proprio in queste misure ed assume un significato esattamente contrario, di salvaguardia della salute dei detenuti: l’installazione di «docce nello spogliatoio del crematorio 3»(Brausen im Auskleideraum des Krematoriums III), per la precisione, di 100 docce, funzionanti con acqua riscaldata in serpenti o boiler da montare nel forno per la combustione dei rifiuti, progetto esteso poi anche al crematorio II.
Le misure summenzionate includevano inoltre un enorme ospedale dei detenuti (Häftlingslazarett), progettato e in parte realizzato nel settore BIII di Birkenau, che prevedeva tra l’altro la costruzione di «114 baracche per malati»(114 Krankenbaracken) e «12 baracche per MALATI GRAVI» (12 Baracken für SCHWERKRANKE).
Come affermò Pressac stesso (che sull’ Häftlingslazarett prese un grosso abbaglio) discutendo la prospettiva revisionistica,
«c’è INCOMPATIBILITÀ nella la creazione di un campo sanitario a qualche centinaio di metri dai crematori dove, secondo la storia ufficiale, delle persone venivano sterminate su vasta scala…
Il progetto di costruzione di un ampio ospedale nel settore BIII mostra così che i crematori furono costruiti semplicemente per la cremazione, senza camere a gas omicide, perché le SS volevano “mantenere” la loro forza lavoro nel campo di concentramento».

17) L’ing. Deana e la possibilità delle gasazioni omicide
Su Auschwitz c’è da chiarire un altro punto. Nel suo saggio Studi revisionistici[38] l’ing. Franco Deana scrisse:
«Riteniamo anche POSSIBILE, ma non probabile, che dei condannati a morte siano stati gasati nelle autoclavi o nei locali destinati alla disinfestazione degli abiti, che qualche malato sia stato introdotto nei forni ancora vivo, magari per opera della direzione clandestina dei campi o dei prominenti che, come ha detto Levi, e come Rassinier conferma, mandavano a morte chi volevano»(corsivo nell’originale).
Si afferma che la semplice accettazione di questa possibilità equivale a demolire la struttura argomentativa revisionistica, che si baserebbe sulla impossibilità, per ragioni chimico-fisiche, delle gasazioni omicide.
Ciò denota a dir poco una visione limitata del revisionismo, che viene fatto coincidere con le vedute di Faurisson. Proprio perché il revisionismo non è una dogmatica, ognuno può esprimere liberamente il proprio punto di vista, che ovviamente impegna soltanto lui.
L’annosa diatriba tra Berg e Faurisson su questo punto specifico è già una smentita di tale assunto, perché Berg non solo riteneva POSSIBILE la gasazione in massa di persone negli impianti di disinfestazione a Zyklon B con sistema DEGESCH a ricircolazione d’aria (Kreislauf) per i treni (come quello di Budapest), ma la considerava la soluzione OTTIMALE, per le SS, nel caso che avessero realmente voluto gasare gli Ebrei con Zyklon B[39].
Concordo pienamente. Aggiungo anzi che ad Auschwitz le gasazioni omicide avrebbero potuto essere effettuate nelle due VERE camere a gas di disinfestazione a Zyklon B (quelle dei BW 5a e 5b) progettate e costruite come tali, piuttosto che nelle PRESUNTE camere a gas omicide dei crematori, progettate e costruite come camere mortuarie e poi pretesamente adattate a camere a gas omicide.


Carlo Mattogno

10 marzo 2009
Inviato il: 11/3/2009 14:31
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  •  sitchinite
      sitchinite
Re: Io mi rendo conto...
#246
Sono certo di non sapere
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Il lavoro di Mattogno, come quello di Galante, sono dei 'must' per la ricerca della verità. Senza fede ideologica, senza colore politico. Solo la verità.
Ma é sempre più triste constatare che chiunque ne riporti anche un solo estratto, o chi ne parli, venga sempre costantemente tacciato di essere razzista e antisemita.
E ancor più triste, anche se questo fosse vero, sembra che la gente ormai ragioni in questa maniera: "siccome a dire queste cose é un antisemita le cose che dice per forza devono essere sbagliate."

Ho amici che son stati presi e portati via dalla digos solo per aver fatto, in un c.s. di destra, delle letture del materiale di Galante.

Che schifo.
Inviato il: 11/3/2009 15:27
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  •  Skabrego
      Skabrego
Re: Io mi rendo conto...
#247
Ho qualche dubbio
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Citazione:
Ho amici che son stati presi e portati via dalla digos solo per aver fatto, in un c.s. di destra, delle letture del materiale di Galante.


Ma sai che proprio non ci credo, in quale centro?
Inviato il: 11/3/2009 17:44
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  •  sitchinite
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Re: Io mi rendo conto...
#248
Sono certo di non sapere
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Citazione:

Skabrego ha scritto:
Citazione:
Ho amici che son stati presi e portati via dalla digos solo per aver fatto, in un c.s. di destra, delle letture del materiale di Galante.


Ma sai che proprio non ci credo, in quale centro?


gruppo alternativa nazional popolare in via galilei a sassari... durato poco.. stavano mettendo apposto il parco di monserrato, un vasto parco covo di tossici, per farne una sede definitiva come centro sociale. Ci svolgevano attività di letture (io stesso vi feci due lezioni di occultismo) e soft air, ma non fu permesso a causa dei continui 'disturbi' del gruppo 'spazio rosso' e improvisamente della digos. Mio fratello da allora, inquanto caporedattore per la regione marche di comunità politica di avanguardia, quando si é trasferito per lavoro ha dovuto prendere contatto con il gruppo digos locale per denunciare la sua presenza.
Questo è il trattamento che 'di norma' viene riservato a chi si spinge troppo avanti nella 'ricerca'

Più o meno la stessa cosa successe a 'comunità giovanile busto arsizio'.
Inviato il: 11/3/2009 20:13
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Re: Io mi rendo conto...
#249
Ho qualche dubbio
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Non te la prendere Sitchinite, ma..."odiati e fieri" no?
Inviato il: 11/3/2009 20:21
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  •  sitchinite
      sitchinite
Re: Io mi rendo conto...
#250
Sono certo di non sapere
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Citazione:

Skabrego ha scritto:
Non te la prendere Sitchinite, ma..."odiati e fieri" no?


un paio di palle.
Quando devi presentarti per un posto di lavoro e il tuo datore riceve la telefonata dalla digos che gli dice 'guardi che quella persona é sotto costante controllo da noi' sai cosa vuol dire?

In questo paese puoi dire 'se vedi un fascista spara a vista', ma se dici 'forse, guardate, probabilmente... dicono che... non erano 6milioni di ebrei ma 400mila...' ti rovinano.
Inviato il: 11/3/2009 20:30
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  •  Skabrego
      Skabrego
Re: Io mi rendo conto...
#251
Ho qualche dubbio
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Sitchinite a me la cosa interessa, ma forse andiamo un po' OT, forse è meglio aprire un thread nuovo.
Tra l'altro credo che interesserebbe a moltissimi: non sono poche le persone vicine alle tue idee che frequentano questo sito.
Apri tu o apro io?
Inviato il: 11/3/2009 21:01
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  •  Ribelle
      Ribelle
Re: Io mi rendo conto...
#252
Ho qualche dubbio
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Che meraviglia questi due interventi in rapida successione di Skabrego.

Skabrego
Citazione:
sitchiniteCitazione:
Ho amici che son stati presi e portati via dalla digos solo per aver fatto, in un c.s. di destra, delle letture del materiale di Galante.

Ma sai che proprio non ci credo, in quale centro?


E, dopo le precisazioni di sitchinite:

Skabrego
Citazione:
Non te la prendere Sitchinite, ma..."odiati e fieri" no?


Non sono splendidi? Io li trovo straordinari (ma, soprattutto, molto molto qualificanti).
Inviato il: 11/3/2009 21:11
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  •  redna
      redna
Re: Io mi rendo conto...
#253
Sono certo di non sapere
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Citazione:
In questo paese puoi dire 'se vedi un fascista spara a vista', ma se dici 'forse, guardate, probabilmente... dicono che... non erano 6milioni di ebrei ma 400mila...' ti rovinano.


http://tv.repubblica.it/copertinaa/camere-a-gas-mai-esistite/28677?video
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C’è al mondo una sola cosa peggiore del far parlare di sé: il non far parlare di se (Oscar Wilde)
Inviato il: 11/3/2009 23:50
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  •  Skabrego
      Skabrego
Re: Io mi rendo conto...
#254
Ho qualche dubbio
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Ciao Ribelle.
Ti chiedo di non far partire un altro, inutile litigio.
Sitchinite, a cui ho rivolto le parole che sottolinei, non si è incazzato quanto te, mi avrà ignorato, quello che vuoi, ma non è stato a, perdonami il termine, rompere il cazzo.
Almeno finora.
Non iniziare tu.
Ho vecchi amici che si considerano "ariani", non facciamo i moralisti, si può tranquillamente affermare le proprie posizioni, non possono che essere forti per questi argomenti, senza bisticciare, credo che tu sia in grado di sapere ciò che è giusto per te.
E non sarà di certo Skabrego a farti indignare su?
Siamo pur sempre su Luogocomune, si parla di negazionismo e non si perdona una battuta?
In Italia la gente è morta per la politica, da tutte le parti, per un fascista segnalato ci sono ragazzi accoltellati. Dax è morto e non l'hanno ammazzato degli attivisti.
Il vittimismo non mi piace, secondo me neanche a te.
A quanto pare c'è chi ci si è costruito un piccolo impero.
In "Fascismo male assoluto" (grande successo al botteghino) non si era partiti così incazzosi.
Inviato il: 12/3/2009 2:38
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  •  Ribelle
      Ribelle
Re: Io mi rendo conto...
#255
Ho qualche dubbio
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Citazione:
Ciao Ribelle.
Ti chiedo di non far partire un altro, inutile litigio.

Evitare di leggere certe cose potrebbe essere di molto aiuto.

Citazione:
Sitchinite, a cui ho rivolto le parole che sottolinei, non si è incazzato quanto te, mi avrà ignorato, quello che vuoi, ma non è stato a, perdonami il termine, rompere il cazzo.
Almeno finora.
Non iniziare tu.

PM. Per rivolgere le proprie parole esclusivamente a qualcun altro hanno inventato i PM. Quando si ha invece la bontà di metterle in un post pubblico diventano, come dire, un po’ di tutti. Ed ognuno può farci le proprie considerazioni, anche quelle che... quelle che... non trovo le parole... ecco, si: anche quelle che, perdonami il termine, rompono il cazzo.

Citazione:
Ho vecchi amici che si considerano "ariani", non facciamo i moralisti, si può tranquillamente affermare le proprie posizioni, non possono che essere forti per questi argomenti, senza bisticciare, credo che tu sia in grado di sapere ciò che è giusto per te.

Aridàtece la sintassi!!!

Citazione:
E non sarà di certo Skabrego a farti indignare su?
Siamo pur sempre su Luogocomune, si parla di negazionismo e non si perdona una battuta?

Si prega di notare la logica sottintesa: “Si parla di negazionismo, quindi siamo già oltre. Possiamo dunque scrivere qualunque altra cosa del tutto legittimamente.”.

Citazione:
In Italia la gente è morta per la politica, da tutte le parti, per un fascista segnalato ci sono ragazzi accoltellati. Dax è morto e non l'hanno ammazzato degli attivisti.
Il vittimismo non mi piace, secondo me neanche a te.
A quanto pare c'è chi ci si è costruito un piccolo impero.
In "Fascismo male assoluto" (grande successo al botteghino) non si era partiti così incazzosi.

Immagino (non posso fare altro...) che quanto precede contenga, a modo suo, un senso logico. Io non lo trovo, ma ci sarà pure, dai.
Inviato il: 12/3/2009 6:38
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  •  Skabrego
      Skabrego
Re: Io mi rendo conto...
#256
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Buona giornata anche a te Ribelle.
Tanti nemici tanto onore no?
Inviato il: 12/3/2009 14:42
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  •  Ribelle
      Ribelle
Re: Io mi rendo conto...
#257
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Citazione:
Tanti nemici tanto onore no?

No, non sempre: dipende anche dalla qualità dei “nemici”, oltre che dalla quantità. Nel caso specifico, per esempio, io non mi sento affatto onorato.
Inviato il: 12/3/2009 17:07
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  •  Ribelle
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Re: Io mi rendo conto...
#258
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Rendiamoci conto, va.

«Venerdì scorso il ministro della Giustizia tedesco, Brigitte Zypries, ha annunciato che la Germania emetterà un mandato di cattura europeo contro (il vescovo Richard) Williamson dal momento che la intervista alla TV svedese è stata condotta in Germania. La procura di Regensburg ha aperto un’inchiesta preliminare sull’ipotesi che Williamson abbia infranto le leggi germaniche contro la negazione dell’olocausto».
Inviato il: 7/6/2009 9:36
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  •  Ribelle
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Re: Io mi rendo conto...
#259
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Nel numero del 29 gennaio 2010 La Repubblica di Milano ha pubblicato un articolo di un tale Davide Romano intitolato “Quasi sconfitti i teppisti della storia”. L’articolo è stato ripreso dall’autore nel suo blog [1] e, data la sua brevità, vale la pena di riproporlo integralmente:

«Quest’anno il Giorno della Memoria lo vivrò con serenità. Se non rappresentasse la celebrazione di un avvenimento così grave, avrei addirittura scritto che sto per affrontarlo con il sorriso. Spero sarete in tanti a fare come me. Personalmente infatti, credo che la battaglia culturale per affermare la verità sulla Shoah sia arrivata ad un punto soddisfacente. Sì, lo so, bisogna sempre dire – ed è giusto farlo – che c’è ancora tanto da fare, che c’è ancora molta ignoranza, e che i gruppi negazionisti sono ancora combattivi. Tutto vero, ma mi pare anche giusto riconoscere che stiamo vincendo.
Almeno in occidente – poiché da alcune dittature mediorientali spira una pessima aria – il cinema, la televisione e la carta stampata sono tutti schierati dalla parte della verità storica. E’ insomma lecito, anzi doveroso, dire che i teppisti della storia stanno perdendo il confronto. I loro tentativi pseudostorici di cancellare l’uccisione di sei milioni di ebrei sono stati vani. Si erano illusi, dopo la sconfitta militare del nazi-fascismo, di potersi giocare una rivincita nel dibattito storico provando nelle maniere più assurde ad imbrogliare le carte. Anche questo tentativo è gli andato male. A parte singoli personaggi palesemente squilibrati, non esiste storico che prenda in considerazione le loro deliranti bugie. Non esiste testo scolastico che riporti le loro tesi, peraltro unanimemente condannate nel dibattito pubblico, tanto da fare notizia solo per la loro insensatezza.
In questi giorni in tutta Italia vengono organizzate manifestazioni per ricordare la Shoah, e a Milano in particolare, le numerose e commoventi iniziative della società civile testimoniano una città che ha memoria e attenzione; non solo per la comunità ebraica, ma soprattutto per se stessa, per la propria storia, per quello che è stato e non deve più accadere. So che di fronte a quanto ho appena scritto qualcuno storcerà il naso, temendo un effetto di “rilassamento”. Credo invece sia vero il contrario, la vittoria ci deve caricare: affermare che stiamo vincendo la guerra culturale contro il negazionismo nazistoide vuole dire che tutto il lavoro fatto sino ad ora sta funzionando. Significa dire che i molti sforzi e le tante fatiche fatte per perpetrare (neretto mio. R.) la memoria non sono state inutili. Solo se riconosciamo di aver vinto questa battaglia – che non è la guerra – possiamo onorare l’impegno di tante personalità della politica, della cultura e del mondo del lavoro. Dichiarare che stiamo vincendo la guerra al negazionismo significa anche rendere merito ai tanti sconosciuti che nel completo anonimato – senza l’ambito premio dell’intervista televisiva o comunque della celebrità – si muovono da decenni sul territorio, nel loro piccolo, come formiche operaie della memoria. Soprattutto a costoro va tutta la nostra riconoscenza, e sempre a loro dedichiamo questa vittoria della verità contro la menzogna».

L’argomento è davvero impressionante: la fulgida vittoria sul revisionismo è dimostrata dal fatto che tutti gli antirevisionisti ne parlano male! E non perché sappiano qualcosa di esso, ma perché questa è la parola d’ordine che hanno ricevuto. Ma crearsi un “nemico” e dipingerlo secondo i propri insani vagheggiamenti, a spregio della realtà, non è una “vittoria”, è delirio.
E, di grazia, in Italia chi avrebbe conseguito questa gloriosa “vittoria”? Valentina Pisanty? Francesco Rotondi? O altri polemisti usa-e-getta di tal fatta che, assolto il loro compito, sono scomparsi immediatamente dalla scena, ma non prima di aver ricevuto il giusto carico di legnate storico-critiche?[2]. Oppure Marcello Pezzetti, l’uomo che è stato “più di cento volte ad Auschwitz”? (Ma che c’è andato a fare? A cercare asparagi nel bosco di Birkenau?).
È veramente grottesco che, nel Paese in cui si sproloquia di più di Olocausto e di revisionismo, non esista un solo specialista degno di questo nome, che regga il confronto con i pur mediocri colleghi europei. Vuoto assoluto. Superficialità e ignoranza dilaganti. Unica eccezione: Valentina Pisanty, che, essendo esperta in favole (con specializzazione in Cappuccetto Rosso), di Olocausto se ne intende davvero!
Ciò che questi shammashim (chiedano il significato del termine ai loro padroni) stanno vincendo, non è la «battaglia culturale», ma quella giudiziaria, imprigionando e multando a destra e a manca per delitto di “leso Olocausto”. Questa vittoria giudiziaria si traduce però in una piena sconfitta culturale: essendo impotenti su questo piano, i ringhiosi apostoli dell’olocaustismo reclamano con tanta più foga l’intervento di leggi liberticide: bisogna proibire legalmente ciò che non si riesce a confutare storicamente. Davvero una bella vittoria.
Inviato il: 9/2/2010 11:44
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Re: Io mi rendo conto...
#260
Mi sento vacillare
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Citazione:

L’argomento è davvero impressionante: la fulgida vittoria sul revisionismo è dimostrata dal fatto che tutti gli antirevisionisti ne parlano male! E non perché sappiano qualcosa di esso, ma perché questa è la parola d’ordine che hanno ricevuto. Ma crearsi un “nemico” e dipingerlo secondo i propri insani vagheggiamenti, a spregio della realtà, non è una “vittoria”, è delirio.
E, di grazia, in Italia chi avrebbe conseguito questa gloriosa “vittoria”? Valentina Pisanty? Francesco Rotondi? O altri polemisti usa-e-getta di tal fatta che, assolto il loro compito, sono scomparsi immediatamente dalla scena, ma non prima di aver ricevuto il giusto carico di legnate storico-critiche?[2]. Oppure Marcello Pezzetti, l’uomo che è stato “più di cento volte ad Auschwitz”? (Ma che c’è andato a fare? A cercare asparagi nel bosco di Birkenau?).
È veramente grottesco che, nel Paese in cui si sproloquia di più di Olocausto e di revisionismo, non esista un solo specialista degno di questo nome, che regga il confronto con i pur mediocri colleghi europei. Vuoto assoluto. Superficialità e ignoranza dilaganti. Unica eccezione: Valentina Pisanty, che, essendo esperta in favole (con specializzazione in Cappuccetto Rosso), di Olocausto se ne intende davvero!
Ciò che questi shammashim (chiedano il significato del termine ai loro padroni) stanno vincendo, non è la «battaglia culturale», ma quella giudiziaria, imprigionando e multando a destra e a manca per delitto di “leso Olocausto”. Questa vittoria giudiziaria si traduce però in una piena sconfitta culturale: essendo impotenti su questo piano, i ringhiosi apostoli dell’olocaustismo reclamano con tanta più foga l’intervento di leggi liberticide: bisogna proibire legalmente ciò che non si riesce a confutare storicamente. Davvero una bella vittoria.


Per chiarezza occorre precisare che il soprariportato post è la rispota di Carlo Mattogno all'articolo di Romano.
Vorrei cogliere ora lo spunto per comunicare una sorprendente notizia che sottindenderebbe la resa al revisionismo storico da parte del più autorevole esperto mondiale per la questione Auschwitz- Van Pelt.http://www.thestar.com/printarticle/742965
Dal sito di Andrea Carancini riprendo testualmente un estratto della recente intervista a Van Pelt, nella quale suggerisce di lasciare Auschwitz al naturale degrado.
"BISOGNA LASCIARE CHE LA NATURA, AD AUSCHWITZ, RIPRENDA I SUOI DIRITTI
(…)
Domanda: Permettendo alla natura di impadronirsi del sito, non corriamo il rischio di permettere all’umanità di dimenticare quello che è accaduto e di porre le premesse per future contestazioni dell’Olocausto?

Risposta: Per il 99% di ciò che sappiamo non abbiamo in realtà le prove fisiche per dimostrarlo…È diventato parte della conoscenza che abbiamo ereditato. Non penso che l’Olocausto, in tal senso, sia un caso eccezionale. Noi, in futuro – ricordando l’Olocausto – ci regoleremo esattamente come ci regoliamo per la maggior parte degli avvenimenti del passato. Avremo conoscenza di esso dalla letteratura e dalle testimonianze oculari…Riusciamo molto bene a ricordare il passato in questo modo. Ecco come sappiamo che Cesare venne ucciso nelle Idi di Marzo. Mettere l’Olocausto in una categoria a parte e chiedere che rimanga lì – chiedere di avere più prove materiali – equivarrebbe da parte nostra a una sorta di cedimento nei confronti dei negazionisti fornendo delle prove speciali."

"AL NOVANTANOVE PER CENTO NON CI SONO PROVE DI QUELLO CHE "SAPPIAMO"! Questo viene affermato oggi dal più conosciuto specialista di Auschwitz.
Inviato il: 11/2/2010 7:17
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  •  NiHiLaNtH
      NiHiLaNtH
Re: Io mi rendo conto...
#261
Sono certo di non sapere
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eh già i sei milioni di ebrei

ma se già nel 31 Ottobre 1919 era uscito un articolo nel giornale "The American Hebrew" intitolato "The Crucifixion of Jews Must Stop!"
scritto da Martin H. Glynn che diceva:

"From across the sea six million men and women call to us for help, and eight hundred thousand little children cry for bread..."

"Within them reside the illimitable possibilities for the advancement of the human race as naturally would reside in six million human beings..."

"In this catastrophe, when six million human beings are being whirled toward the grave by a cruel and relentless fate, only the most idealistic promptings of human nature should sway the heart and move the hand..."

"Six million men and women are dying from lack of the necessaries of life; eight hundred thousand children cry for bread..."

"And so in the spirit that turned the poor widow's votive offering of copper into silver, and the silver into gold when placed upon God's altar, the people of this country are called upon to sanctify their money by giving $35,000,000 in the name of the humanity of Moses to six million famished men and women.
Six million men and women are dying -- eight hundred thousand little children are crying for bread..."

"Because of this war for Democracy six million Jewsh men and women are starving across the seas; eight hundred thousand Jewish babies are crying for bread..."

è ovvio che il sei ha un particolare significato esoterico e che non c'entra niente con il reale numero di morti
Inviato il: 11/2/2010 13:06
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