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  Civiltà Ebraica

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Re: Civiltà Ebraica
#211
Dubito ormai di tutto
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Il muro d'Egitto

Mubarak ed Obama vogliono che l’assedio di Gaza diventi ancora più duro

In questi ultimi giorni diversi organi di informazione hanno iniziato a parlare della volontà egiziana di costruire un super-muro di acciaio lungo la frontiera con la Striscia di Gaza. Secondo diverse fonti arabe, riprese anche da alcuni giornali italiani, il muro sarebbe dunque lungo 10 Km e, quel che è più importante, profondo 30 metri.

Secondo la Bbc, che il 10 dicembre ha citato fonti non meglio precisate dell’intelligence del Cairo, la profondità sarebbe invece di 18 metri, mentre il completamento del muro sarebbe previsto entro un anno e mezzo.
Al di là dei dettagli, la notizia del muro d’Egitto sembra dunque confermata. Lo scopo è chiaramente quello di rendere ancora più duro l’assedio a Gaza, colpendo soprattutto i tunnel verso il territorio egiziano. Quei tunnel che hanno finora impedito lo sterminio del milione e mezzo di persone rinchiuse in quella prigione a cielo aperto che è la Striscia.

http://www.campoantimperialista.it/index.php?option=com_content&view=article&id=796:il-muro-degitto&catid=22:egitto-cat&Itemid=34
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la religione è indispensabile
soltanto a un’umanità rescissa dal mondo divino-spirituale.
Inviato il: 4/1/2010 9:12
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Re: Civiltà Ebraica
#212
Sono certo di non sapere
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Inviato il: 7/1/2010 14:28
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Re: Civiltà Ebraica
#213
Sono certo di non sapere
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la consapevolezza avanza agli israeliani ora non rimane che allungare l'anno a 400 giorni, così avranno 35 giorni in più per propagandare il giorno della memoria... utilissimo a far ricordare il passato, ma ancora più utile a far dimenticare il presente.
Inviato il: 21/1/2010 9:20
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Re: Civiltà Ebraica
#214
Sono certo di non sapere
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Un capitano svela la strategia della Marina contro i pescatori palestinesi

Nelle acque di Gaza, la sopravvivenza dei palestinesi dipende dalla discrezionalità della Marina israeliana, che arresta i pescatori e cerca di farne delle spie. Un militare di Tel Aviv «rompe il silenzio»

È un'atmosfera davvero insolita per parlare del dramma che i pescatori palestinesi vivono ogni giorno nelle acque davanti alla costa di Gaza. Siamo in un caffè di Tel Aviv, all'angolo tra via Mazarik e Piazza Rabin, e ritmi brasiliani allietano la serata dei tanti che affollano il locale. Eppure l'ha scelto apposta, il capitano della Marina israeliana Ido M., 29 anni, che ci ha chiesto di non rivelare la sua identità perché è ancora un riservista. «Con questa confusione nessuno presterà attenzione alla nostra conversazione, per me sarà più semplice non essere identificato», spiega il capitano guardando negli occhi il rappresentante dell'associazione di soldati e ufficiali israeliani «Breaking the silence» («Rompere il silenzio») che ha organizzato l'intervista. Da tempo Ido M., che fino al dicembre 2007 ha avuto il comando di una motovedetta della classe «Dabur», voleva «rompere il silenzio» sul comportamento delle navi da guerra israeliane contro i pescatori di Gaza. Ma è riuscito a farlo solo dopo aver lasciato la carriera militare. «Continuo ad essere richiamato ogni anno per tre settimane ma nel mare di Gaza non vado più, mi rifiuto di farlo e il comando della Marina mi ha assegnato un incarico a terra, in un ufficio», aggiunge il capitano preparandosi a rispondere alle nostre domande.
Per quanto tempo hai avuto il comando di una delle motovedette israeliane che entrano nelle acque di Gaza.
Per quasi tre anni, prima e dopo il 2005, ma avevo partecipato a missioni in quella zona durante la formazione all'accademia navale.

Perché fai riferimento al 2005, l'anno del ritiro di coloni e soldati israeliani da Gaza?

Il comportamento e le regole di ingaggio della Marina sono cambiate dopo il ritiro, nel 2005. Prima, le violazioni (israeliane, ndr) delle acque territoriali di Gaza erano occasionali perché i pescatori palestinesi avevano la possibilità di spingersi al largo per una dozzina di miglia e gettare le reti in acque pescose. Dopo il 2005 la Marina, per ordine del governo, ha cominciato a restringere il limite di pesca portandolo a una misura minima dopo il giugno 2007, quando Hamas ha preso il potere a Gaza. Allo stesso tempo le regole di ingaggio si sono allentate, nel senso che se nel 2002 ogni intervento contro i pescatori doveva essere coordinato in ogni momento con il comando centrale, dopo il 2005 e soprattutto il 2007, ai comandanti delle unità «Dabur» è stata lasciata ampia libertà. Inoltre, se in passato ad ogni operazione (contro i pescatori, ndr) seguiva un'analisi dettagliata dell'accaduto una volta rientrati alla base, oggi questo non accade quasi più.

Quali sono le regole?

La principale riguarda lo spazio entro il quale restringere la possibilità di pesca per i palestinesi di Gaza. Attualmente credo che un peschereccio palestinese non possa andare oltre le tre miglia dalla costa ma, in ogni caso, questo conta fino ad un certo punto. Quando andiamo in mare ci vengono comunicati gli ordini e quel limite varia per decisione delle autorità politiche.Spesso viene ulteriormente ridotto. Noi dobbiamo farlo rispettare. L'azione delle nostre unità diventa più intensa e repressiva in due corridoi, larghi 1,5 km, nelle acque palestinesi che determinano il limite orientale e occidentale dello spazio concesso ai pescatori. In questi due corridoi, dove nessuno può entrare e le acque sono tranquille, ovviamente i pesci abbondano, specie nel periodo primaverile. I pescatori quindi tentano di penetrarvi anche solo per lanciare una rete che torneranno a recuperare piena di pesci in un secondo momento. In quei casi la Marina interviene con durezza arrestando i pescatori, confiscando le imbarcazioni, distruggendo le reti e usando anche le armi.

Ma sono acque palestinesi non israeliane.

Certo, tutto avviene sempre nelle acque di Gaza non in quelle israeliane. Negli anni in cui sono rimasto in servizio attivo in quella zona non c'è stato alcun tentativo palestinese di infiltrazione nelle acque territoriali di Israele e negli ultimi anni la percentuale di azioni armate palestinesi via mare non supera lo 0,1%.
Ufficiali e marinai sanno di aver di fronte pescatori che dal mare traggono il sostentamento.
Naturalmente, lo sanno tutti.

Ne discutevate al ritorno alla base?

Pochissimo, quasi niente. Quando si è parte del sistema, raramente si mettono in discussione certe politiche. Ufficiali e marinai inoltre vogliono portare a casa risultati, far vedere ai superiori che la Marina sta facendo la sua parte, sta dando il suo contributo alla «lotta al terrorismo», come l'Esercito e l'Aviazione. Anche se i risultati sono l'arresto di qualche povero pescatore e il sequestro di qualche imbarcazione.

Parliamo degli arresti in mare. Come e per quale motivo avvengono.

Anche in questo caso le regole valgono fino a un certo punto. A volte quando fermiamo i pescatori in mare e controlliamo i loro documenti, dal comando ci viene detto di arrestarne uno o due, senza una motivazione precisa. Li portiamo alla base di Ashdod dove vengono presi in consegna dagli uomini dello Shin Bet (il servizio di sicurezza) che ha il compito di interrogarli ma anche di reclutare collaborazionisti.
Voi ne siete informati?

Il nostro compito termina nel momento in cui gli arrestati mettono piede a terra ma, naturalmente, sappiamo che lo Shin Bet cerca di avere informazioni su quel che accade a Gaza, specie da quando c'è Hamas al potere, e che prova a trasformare gli arrestati in spie, minacciandoli di tenerli in carcere per anni o, al contrario, promettendo soldi e permessi speciali.

Hai mai ordinato ai tuoi uomini di sparare in direzione delle imbarcazioni palestinesi?

Sì, l'ho fatto e in un caso il fuoco delle mitragliatrici ha ferito un pescatore. Il più delle volte non si spara direttamente sui pescherecci ma in mare, sul lato sinistro dell'imbarcazione. In questo modo i proiettili, rimbalzando sull'acqua cadono verso destra con effetti meno letali ma non per questo poco pericolosi. So di diversi pescatori di Gaza feriti dal fuoco delle nostre armi. Una notte i palestinesi erano usciti in mare con un'imbarcazione più grande e alcune piccole barche che poi hanno formato un cerchio. I pescatori avevano anche acceso delle lampade a gasolio per attirare i pesci. Si erano però spinti fino al limite di una fascia proibita di 1,5 km e dal comando, a un certo punto, mi hanno detto di aprire il fuoco e di affondare una delle barche più piccole a scopo punitivo. Dalla mia unità, un marinaio ha lanciato degli avvertimenti in ebraico ai palestinesi, poi la mitragliatrice leggera ha fatto fuoco. Uno dei pescatori è stato colpito alle gambe. Mentre ci allontanavamo abbiamo visto i suoi compagni che cercavano di aiutarlo.

Hai mai disobbedito a un ordine mentre eri nelle acque di Gaza?

Sì, o almeno non l'ho eseguito come avrebbero voluto al comando. Avevamo arrestato dei pescatori. Dal comando mi hanno detto di interrogarli, ma quelli si rifiutavano di rivelarci la loro identità. Da Ashdod hanno insistito per avere quelle informazioni, ho risposto che i palestinesi continuavano a rimanere muti. Quindi mi hanno detto di andare avanti, fino a farli parlare. A quel punto ho capito che mi stavano chiedendo di usare la forza. Ho replicato che non lo avrei fatto. I minuti successivi sono stati davvero difficili. Per uscire da quella situazione ho preso da parte uno dei palestinesi, quello che parlava un po' di ebraico, chiedendogli di dirmi almeno i loro nomi. Quel mio gesto conciliante invece lo ha impaurito, forse ha pensato che lo avrei picchiato, così ha cominciato a piangere nonostante le mie rassicurazioni. Una scena che non dimenticherò mai.

Perché hai deciso di raccontare tutto questo ai giornalisti?

Perché bisogna rompere il silenzio, non si può tacere di fronte a ciò che accade nelle acque di Gaza.

Michele Giorgio
Fonte: www.ilmanifesto.it
Inviato il: 28/1/2010 19:35
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Re: Civiltà Ebraica
#215
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Re: Civiltà Ebraica
#216
Mi sento vacillare
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Re: Civiltà Ebraica
#217
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la missione ultima d'israele: fare bene la sua propaganda.

israele "deplora" l'AIEA... ma come si permette l'AIEA di chiederci l'adesione al trattato di non proliferazione nucleare? Noi il nucleare (ufficialmente) non l'abbiamo, e se anche l'avessimo siamo il "popolino eletto"... da un dio coglione... lavoriamo per lui. Per un coglione.

IL MARE RACCONTATO DAI PALESTINESI: video.

TESTIMONIANZE DEI SOLDATI SU "PIOMBO FUSO"

Per vincere la noia al ceck-point non c'è niente di meglio che comportarsi da nazisti
Inviato il: 6/2/2010 9:04
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Re: Civiltà Ebraica
#218
Dubito ormai di tutto
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estratto:

Nel suo scritto, Il muro di ferro, Jabotinsky era brutalmente esplicito su quale doveva essere l’Etica Sionista. Scrisse questo:

“Il Sionismo è un’Impresa Coloniale e quindi “cade o sta in piedi” per mezzo della forza militare - altra etica non c’è. E’ importante saper parlare l’ebraico, ma purtroppo è più importante saper sparare – altrimenti rinuncio al gioco della colonizzazione. E ai tediosi rimproveri che il mio punto di vista è anti-etico, rispondo: assolutamente falso. Fino a quando agli Arabi verrà concesso anche il più minuscolo barlume di speranza di poterci ostacolare, loro non rinunceranno a tale speranza, non in cambio di un “piatto di lenticchie”, perché questa gente non è marmaglia, ma un Popolo, un popolo vero, e nessun popolo fa concessioni tanto enormi su questioni tanto vitali, a meno ché non ci sia più alcuna speranza, perché noi non avremo chiuso ogni spiraglio nel Muro di Ferro”.

estratto 2:

Al suo diario Herzl confidò anche la propria visione in merito a cosa doveva succedere agli arabi palestinesi:

“Dovremo creare condizioni di impoverimento e attirare le popolazioni impoverite oltre i confini, procurando occupazione lavorativa nei Paesi di “transito”, e negando loro il lavoro nel ‘nostro’ Paese … Sia il processo di esproprio (di terre arabe) che la rimozione della popolazione impoverita deve essere effettuato con discrezione e circospezione.”

Herzl deve essersi invaghito di quel plagio che è "I protocolli"...!

http://civiumlibertas.blogspot.com/2010/02/alan-hart-lineamenti-di-storia-del.html
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“Se un ebreo ortodosso mi considera "immondo" o mi saluta per primo per non dover essere costretto a rispondere al mio saluto, la cosa non preoccupa più di tanto.” (John)
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Re: Civiltà Ebraica
#219
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Re: Civiltà Ebraica
#220
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Re: Civiltà Ebraica
#221
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Edo, l'articolo che hai postato mi ha fatto stare male

Lo farei vedere a Travaglio come fecero in Arancia meccanica, obbligando lui e tutti quelli che giustificano questi criminali a confrontarsi con la realta'

Scritta da ebrei, oltretutto
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Per chi desidera informarsi sulla piu' grande menzogna dell'era moderna
FAQ 11 settembre 2001
Inviato il: 19/2/2010 17:57
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Re: Civiltà Ebraica
#222
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Scritta da ebrei, oltretutto


certe verità, se le scrive un non ebreo, lo trasformano istantaneamente in ""antisemita""
Inviato il: 19/2/2010 21:44
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Re: Civiltà Ebraica
#223
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Re: Civiltà Ebraica
#224
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Proposta per limitare la natalità palestinese:

A seguito, "Martin Kramer per la Palestina: una modesta proposta genocidaria" (Alessandra Colla, alessandracolla.net);

Kramer ha proposto che il numero di bambini palestinesi nati nella Striscia di Gaza venga deliberatamente limitato, e ha ipotizzato che ciò “avverrebbe più rapidamente se l'occidente smettesse di fornire sussidi pro-natalità ai palestinesi con lo status di rifugiati”.

A causa dell'embrago da parte di Israele, la stragrande maggioranza dei palestinesi a Gaza dpiendono oggi dagli aiuti alimentari ONU. Né l'ONU, né alcun altra agenzia, fornisce ai palestinesi specifici “sussidi pro-natalità”. Kramer sembra equiparare qualunque assistenza umanitaria a un incitamento ai palestinesi perchè si riproducano.

Egli ha aggiunto: “le attuali sanzioni israeliane contro Gaza hanno uno scopo politico—minare il regime di Hamas—ma se spezzassero anche la crescita fuori controllo della popolazione di Gaza, e ci sono prove che ciò avvenga, potrebbero iniziare a spezzare la cultura del martirio che richiede una costante fornitura di giovani uomini superflui”. Ciò, afferma, minaccerebbe la questione della radicalizzazione islamica “alle radici”.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=6812
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Re: Civiltà Ebraica
#225
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Nooo...!

Non è Israele a non permettere il diritto al ritorno dei Palestinesi, ma l'ONU a voler mantenere Gaza per i finanziamenti che ne deriverebbero!!

(Pensare che Silverstein, con 400 milioni di dollari ha ricostruito mezzo 7WTC nuovo...)



(da informazione (s)corretta)
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Re: Civiltà Ebraica
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Citazione:
da shm il 4/3/2010 23:51:23

Nooo...!

Non è Israele a non permettere il diritto al ritorno dei Palestinesi, ma l'ONU a voler mantenere Gaza per i finanziamenti che ne deriverebbero!!
Ed allora hanno fatto bene a bombardare la sede dell'ONU durante l'operazione מבצע עופרת יצוקה...
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La storia, come un'idiota, meccanicamente si ripete. (Paul Morand)
Il problema, però, è che ci sono degli idioti che continuano a credere che la storia non si ripeta. (LoneWolf58)
Inviato il: 5/3/2010 0:06
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Re: Civiltà Ebraica
#227
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Re: Civiltà Ebraica
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Re: Civiltà Ebraica
#229
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Dunque ora anche la cupola degli ebrei è tornata a svettare sul cielo di Gerusalemme. E dal cassetto è spuntata fuori anche una profezia del Gaon di Vilna che infiamma gli animi nel quartiere ebraico. Perché il vecchio maestro, in Lituania, avrebbe scritto che quando l’Hurva sarà ricostruita la terza volta, sulla spianata (oggi delle moschee) potranno cominciare i lavori per la costruzione del terzo tempio (quello nuovo, dopo quelli di Salomone ed Erode, entrambi distrutti). Sono solo le parole di un cabalista. Ma nella città dove tutto è simbolo hanno indubbiamente il loro peso.

http://www.bibbiablog.com/2010/03/13/gerusalemme-la-cupola-che-divide/
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Re: Civiltà Ebraica
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Ominous signs plague Biden's Middle East visit
Fri Mar 12, 2010 4:03am IST

By Adam Entous

JERUSALEM (Reuters) - In the region where symbolism may matter most, the signs for U.S. Vice President Joe Biden's visit were inauspicious.

First Egyptian President Hosni Mubarak cancelled talks in Cairo and flew to hospital for gallbladder surgery. Then came an Israeli gift of broken glass and an eerie power outage in the "Hall of Remembrance".

By the time the lights flickered back on, Biden's Middle East fortunes were sealed with an Israeli announcement that it would build 1,600 new homes for Jewish settlers, ignoring U.S. and Palestinian objections.

It was an embarrassing setback that put a spotlight on the challenge the U.S. administration faces getting Israelis and Palestinians back to the negotiating table.

Biden's visit to Israel and the occupied West Bank was a largely scripted affair -- a reflection of the sensitive issues involved as well as what many see as the Obama administration's fixation with staying on message.

Biden is famous for blunt talk and sometimes embarrassing gaffes, and his office appeared to take precautions by allowing no questions at his public press appearances.

"He does have a history of mis-speaking," said Stephen Hess, an expert on presidency at the Brookings Institution. "He's aware of it, his people are aware of it. The president is aware of it. (And) given the sensitivities on this particular trip, it may be the better part of wisdom to keep quiet."

The first sign of trouble in Israel came when Prime Minister Benjamin Netanyahu presented Biden with a glass-framed gift honouring his mother.

"I have one thing to offer you right now and it's broken glass," Netanyahu said at discovering the shards he was holding. Biden cautioned: "Don't cut yourself."

The prime minister inadvertently shattered the glass when he put his elbows down on the podium, spokesman Mark Regev said.

In Judaism, broken glass is often thought to be a reminder of an imperfect world, and many say the Jewish wedding tradition of stomping on a glass is an expression of sadness at the destruction of the ancient Temple in Jerusalem.

At a later tour of Israel's Holocaust memorial museum, Yad Vashem, the lights in the "Hall of Remembrance" unexpectedly went out as a prayer for those killed was chanted, catching Biden's security detail by surprise.

One Biden aide described the moment as "off-putting" but others said it worked well given the mournful context. In the darkness, the only light in the cavernous room came eerily from the eternal flame reflecting off the ceiling.

"It's the Middle East," said an unfazed senior White House adviser, a veteran of Israeli-Palestinian negotiations. "It could mean anything."

An Israeli expert of Jewish mysticism, known as Kabballah, said Biden's visit came at a time "when there is tremendous energy" before the Passover holiday that starts later this month, marking the biblical escape of the Jews from Egypt.

"It could be something negative, like what is referred to as the 'evil eye'," said the expert, who declined to be named. "But in Kabballah, we also believe that sometimes before a great light is revealed, there have to be a series of disturbances."

David Wilder, a spokesman for Jewish settlers in the West Bank city of Hebron, said he did not necessarily believe "all of this happened because of divine intervention" but he saw the mishaps as "very symbolic".

"When the United States doesn't play its cards right, it gets a gift of broken glass," he said, noting that "one of the plagues in Egypt was darkness.

After underlining U.S. opposition to the latest settlement plan, Biden flew to Amman for more talks, and a trip to the famed ruins at Petra -- that is provided a forecast sandstorm does not prevent him reaching there.
Inviato il: 17/3/2010 22:18
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Re: Civiltà Ebraica
#231
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ASCOLTATE GLI EROI DI ISRAELE
John Pilger

antizionism.jpg

2 marzo 2010

L’altro giorno ho fatto una telefonata a Rami Elhanan. Non parlavamo da sei anni e molte cose sono successe nel frattempo in Israele e in Palestina. Rami è un graphic designer che vive con la sua famiglia a Gerusalemme. Suo padre è un sopravvissuto di Auschwitz. I suoi nonni e 6 tra zii e zie sono morti nell’Olocausto. Quando mi si chiede a proposito di eroi, io parlo senza esitazioni di Rami e sua moglie Nurit.

Poco dopo aver fatto la sua conoscenza, Rami mi mostrò una registrazione amatoriale molto difficile da guardare. Ritraeva sua figlia Smadar, di 14 anni, mentre ballava, rideva e suonava il pianoforte. "Amava molto ballare", mi ha detto. Nel pomeriggio del 4 settembre 1997, Smadar e la sua migliore amica Sivane avevano un provino per l’ammissione alla scuola di danza. Quella mattina aveva litigato con sua madre, preoccupata del fatto che la figlia dovesse andare da sola al centro di Gerusalemme. "Non volevo ostacolarla", dice Nurit, "quindi la lasciai andare".

Rami era nella sua macchina quando accese la radio per sintonizzarsi sul notiziario delle 3 di pomeriggio. C’era stato un attacco suicida nel centro commerciale di Ben Yehida. Più di 200 persone erano rimaste ferite e c’erano numerosi morti. Pochi minuti dopo il suo telefono squillò. Era Nurit, e piangeva. Cercarono invano negli ospedali, poi all’obitorio; e così iniziò ciò che Rami descrive come la loro "discesa nell’oscurità".

Rami e Nurit sono tra i fondatori del Circolo dei Genitori, o Forum delle famiglie in lutto, che mette assieme israeliani e palestinesi che hanno perso i loro cari. "E’ doloroso riconoscerlo, ma non c’è alcuna differenza dal punto di vista morale tra il soldato israeliano che impedisce alla donna palestinese incinta di oltrepassare il checkpoint facendole perdere il bambino, e l’uomo che ha ucciso mia figlia. E così come mia figlia è stata una vittima [dell’occupazione], così era anche lui", ha detto. Rami descrive l’occupazione israeliana e l’espropriazione della terra palestinese come un "cancro nel nostro cuore". Nulla cambierà, dice, se non finisce l’occupazione.

In occasione di ogni "Jerusalem Day" – il giorno in cui Israele celebra la conquista militare della città – Rami va in strada con una fotografia di Smadar e le bandiere israeliana e palestinese incrociate. La gente gli sputa addosso e gli urla che è un peccato che anche lui non sia saltato in aria in qualche attentato. Eppure Rami e Nurit sono riusciti ad ottenere straordinari risultati. Rami va nelle scuole israeliane con un membro palestinese del gruppo e mostra le mappe di ciò che dovrebbe essere la Palestina, e abbraccia l’amico palestinese. "Questo è come un terremoto per i bambini che sono stati educati e manipolati per odiare", dice. "Ci dicono: ci avete aperto gli occhi".

Ad ottobre, Rami e Nurit sono stati all’Alta Corte di Israele mentre il consigliere di Stato, "impreparato, sciatto e senza parole", scrive Nurit, "è rimasto come un comandante di plotone al comando di nuove reclute e ha rifiutato di convalidare le accuse". Salwa e Bassam Aramin, genitori palestinesi, erano lì. Le lacrime solcavano il volto di Salwa. La loro figlia di 10 anni Abir Aramin è stata uccisa da un soldato israeliano che l’ha colpita a sangue freddo alla testa con una pallottola di gomma mentre si trovava nei pressi di un chiosco a comprare dolci con la sorella. I giudici apparivano annoiati e uno di loro ha fatto notare che i soldati israeliani sono raramente condannati e che quindi sarebbe stato meglio lasciar perdere. Il consigliere di Stato ha riso. Questo è normale.

"I nostri bambini", ha detto Nurit ad un incontro lo scorso dicembre per ricordare l’anniversario dell’attacco israeliano a Gaza, "quest’anno hanno imparato che tutte i disgustosi attributi che gli anti-semiti attribuiscono agli ebrei, sono invece evidenti tra i nostri leader: inganno, avidità, e assassinio di bambini… quali ideali di bellezza e bontà possiamo infilare in un apparato fatto di lavaggio del cervello e distorsione della realtà?"

Rami ora mi dice che l’Alta Corte ha deciso alla fine di investigare la morte di Abir Aramin. Questo non è normale: è una vittoria.

"Dove sono le altre vittorie?", gli ho chiesto.

"L’anno scorso in America, un palestinese ed io abbiamo parlato 5 volte di fronte a migliaia di persone. C’è un grosso cambiamento nell’opinione pubblica americana, ed è li che risiede la speranza. E’ solo la pressione dall’esterno di Israele – soprattutto se proveniente da ebrei – che farà finire questo incubo. Gli occidentali devono capire che finchè c’è silenzio, questo guardare dall’altra parte, questo profano abuso dell’etichetta di anti-semita applicata ai critici di Israele, non sono diversi da quelli che hanno guardato dall’altra parte durante i giorni dell’Olocausto".

Dal massacro israeliano del Libano del 2006 e la devastazione di Gaza del 2008-9 e il più recente assassinio politico del Mossad a Dubai, la criminalità dello Stato di Israele è stata impossibile da nascondere. L’11 febbraio, l’importante Reut Institute di Tel Aviv ha consegnato un rapporto al governo israeliano, nel quale fa notare che la violenza non è riuscita a far ottenere gli obiettivi di Israele ed ha invece prodotto opposizione a livello internazionale. "Nelle operazioni dell’anno scorso a Gaza", afferma il rapporto, "la nostra superiorità militare è stata offuscata da un’offensiva sulla legittimità di Israele che ha portato ad un importante arretramento della nostra posizione internazionale e che pesa sulle future scelte e piani militari". In altre parole, la prova del razzismo e volontà omicida del Sionismo è stata una sveglia per molti; ottenere la giustizia per i palestinesi, ha scritto il musicista israeliano Gilad Altzmon, è ora "al centro della battaglia per un mondo migliore".

Tuttavia, gli altri ebrei nei paesi occidentali, in particolare in Gran Bretagna e in Australia, dove la loro influenza è critica, restano ancora in silenzio, guardano ancora dall’altra parte, continuando ad accettare, come dice Nurit, "il lavaggio del cervello e la distorsione della realtà". Eppure la responsabilità a parlare non potrebbe essere più chiara e le lezioni della storia – per molti la storia di famiglia – dimostra che chi persiste nel silenzio è colpevole. Per un po’ di ispirazione, io raccomando il coraggio morale di Rami e Nurit.

Titolo originale: "Listen to the Heroes of Israel"

Fonte: http://www.johnpilger.com
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25.02.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIOVANNI PICCIRILLO

:: Article nr. s10687 sent on 04-mar-2010 01:25 ECT

www.uruknet.info?p=s10687

Link: www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=6814

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Inviato il: 21/3/2010 18:06
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Re: Civiltà Ebraica
#232
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LE ACCUSE DELLE UNIVERSITÀ E IL BOICOTTAGGIO DI ISRAELE

Quarantacinque università
mondiali hanno deciso di boicottare Israele e le sue prestigiose università, per una settimana, perché «Israele è razzista». Vige l’apartheid.
Mi risulta che l’apartheid non sia una misura temporanea di sicurezza in tempo di guerra o guerriglia, ma un sistema sociale di segregazione o sottomissione permanente.
Vorrei fare degli esempi: le Leggi razziali italiane (1938) contro gli Ebrei, o dei Copti in Egitto, attualmente, da parte del governo e clero musulmano, o i Cristiani in generale nel mondo arabo (Libano e Maghreb escluse) senza tralasciare il Sudafrica dove è rimasto in vigore sino al 1991.

Donata Perosa, | donata_p54@yahoo.it


Cara Signora, Apartheid ebbe all’inizio,
paradossalmente, un significato neutrale, se non addirittura positivo. Nelle intenzioni dichiarate dal governo sud-africano era la formula politico-istituzionale che avrebbe permesso ai due popoli (quello degli eredi dei colonizzatori europei e quello degli aborigeni) di svilupparsi autonomamente, secondo i principi e i criteri propri delle loro rispettive tradizioni e culture. La parola cominciò ad avere un significato negativo quando scoprimmo che la popolazione indigena era soltanto fornitrice di manodopera per mestieri servili e non avrebbe goduto di alcun diritto.
Possiamo parlare di apartheid per lo Stato d’Israele?
Lei sostiene, se ho ben capito la sua lettera, che si tratterebbe di una apartheid provvisoria, dovuta a un temporaneo regime di occupazione e a un conflitto non ancora risolto.
Le restrizioni scompariranno, in altre parole, quando le circostanze e i negoziati consentiranno ai palestinesi di avere uno Stato. Benjamin Netanyahu, Primo ministro dopo la vittoria del partito Likud nelle ultime elezioni, è stato per molto tempo contrario a questa prospettiva, ma nel giugno dell’anno scorso ha modificato la sua posizione. Prima o dopo, quindi, l’occupazione dei territori occupati dovrebbe finire e le molte limitazioni imposte ai loro abitanti dovrebbero avere termine. Vi è tuttavia, nella politica di Netanyahu, un punto sottolineato da Janiki Cingoli nell’ultima Newsletter del Cipmo (Centro italiano per la pace in Medio Oriente), un istituto milanese sostenuto dal ministero degli Esteri e dalla Fondazione Cariplo. Cingoli ricorda che Netanyahu ha posto una condizione: i palestinesi, e più generalmente i Paesi arabi, devono anzitutto riconoscere il carattere ebraico dello Stato d’Israele. Tutti gli Stati della regione, quindi, dovrebbero riconoscere che Israele non è soltanto lo Stato dove tutti gli ebrei hanno diritto a una accoglienza privilegiata: è anche e soprattutto uno «Stato ebraico». A me è sempre parso che questa pretesa fosse in contraddizione con il concetto di Stato laico e democratico in cui i cittadini sono tali, senza distinzione di stirpe o credo religioso, se aderiscono alla sua costituzione.
Ma il problema è ulteriormente complicato dal fatto che il 20% della popolazione di Israele è costituito da arabi che non hanno mai abbandonato le loro case dopo le guerre degli ultimi sessant’anni, hanno un passaporto israeliano e hanno, incidentalmente, un tasso di accrescimento demografico superiore a quello della popolazione israeliana. In uno Stato che si definisce ebraico questi arabi non possono che essere cittadini «minori », che non giova all’immagine di Israele nel mondo.

QUI
Inviato il: 21/3/2010 18:27
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Re: Civiltà Ebraica
#233
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Haaretz, 21/03/2010
Netanyahu to ask Obama for weapons to strike Iran

Prime Minister Binyamin Netanyahu will use a visit to Washington this week to press the U.S. to release advanced weapons needed for a possible strike on Iran's nuclear sites, the Sunday Times reported.

Ahead of his departure Sunday night, Netanyahu bowed to U.S. demands and promised the administration of U.S President Barack Obama that Israel will make several goodwill gestures toward the Palestinians.

For the first time since Operation Cast Lead, Israel has agreed to ease the blockade on the Gaza Strip. Netanyahu has also agreed to discuss all core issues during the proximity talks, with the condition of reaching final conclusions only in direct talks with the PA.

But according to the London weekly, Netanyahu will also seek returns for the concessions, asking Israel's closest ally to provide the IAF with sophisticated 'bunker-buster' bombs needed to break through to Iran's nuclear enrichment installations, many of which are buried underground.


Articolo completo


arabmonitor - Tel Aviv, 21 marzo
Stando a Haaretz, che cita il The Sunday Times, Benjamin Netanyahu, il quale martedì sarà ricevuto da Barack Obama, si appresta a chiedere al presidente americano delle bombe in grado di penetrare in profondità per poter colpire le strutture nucleari iraniane. In cambio, Netanyahu, secondo Haaretz, offrirebbe di allentare l'assedio della striscia di Gaza, facilitare lo spostamento dei palestinesi sotto occupazione nella West Bank.
_________________
E dopo 10 anni, siamo a discutere se il Volo 77 è arrivato proprio lungo questa linea, o piuttosto è arrivato due metri più a sinistra, o due metri più a destra? (Perle complottiste)
Inviato il: 21/3/2010 23:19
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Re: Civiltà Ebraica
#234
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LE REPUBBLICHE ARABE E LO STATO EBRAICO
Lei sicuramente sa meglio di me che la contrapposizione ideologica tra «Stato degli ebrei» e «Stato ebraico» fu ampiamente dibattuta fra i sionisti fino dagli inizi del loro movimento. Oggi credo che 60 anni e più di conflitti, e la Shoah, abbiano radicalizzato posizioni che prima potevano essere discusse. Penso che uno Stato laico e democratico potrà diventare reale se e quando un lungo periodo di pace e di convivenza farà prevalere l’idea di cittadinanza (israeliana) su quella di etnia (araba o ebraica). Resta l’incongruenza di mettere sotto il microscopio della critica continua l’essenza «ebraica» di Israele, da cui l’accusa di apartheid, ma non fare mai la stessa cosa nei riguardi, ad esempio, della Siria (denominazione ufficiale: Repubblica araba di Siria), dell'Egitto (Repubblica araba d'Egitto), della Libia (Grande Jamahiriyya araba di Libia popolare e socialista) o, ancora, di Sudan, Iran, Afghanistan, Pakistan, Mauritania che sono tutte repubbliche islamiche. Vale la domanda: e chi non è arabo? E chi non è islamico?
Possiamo parlare di apartheid anche in questi casi? È evidente che Israele è uno Stato democratico di tipo europeo, ma ha una sua specificità derivante dalla storia complessa del popolo ebraico, sempre minoranza in casa d’altri negli ultimi venti secoli e, per questo, sempre duramente colpito.

Fabio Della Pergola, | f.dellapergola@gmail.com



Caro Della Pergola, aproposito delle repubbliche
islamiche non avrei difficoltà a ripetere ciò che ho scritto dello Stato ebraico.
È alquanto diverso, invece, il caso degli Stati che si definiscono arabi. Quando un gruppo di giovani colonnelli prese il potere al Cairo nel luglio del 1952 e costrinse re Faruk ad abdicare, il loro leader, Gamal Abdel Nasser, sognava un grande rinascimento arabo. Il suo obiettivo politico era una federazione che avrebbe riscattato gli arabi dall’umiliante ricordo della lunga cattività ottomana e li avrebbe definitivamente liberati dall’imperialismo europeo. Prese corpo così una ideologia panaraba che non era concettualmente diversa da certe forme di nazionalismo europeo fra l’Ottocento e il Novecento: panellenismo, pangermanesimo, panslavismo.
Non bastava quindi sbarazzare l’Egitto da una dinastia che aveva ascendenze ottomane e aveva lungamente collaborato con le potenze coloniali europee.
Occorreva farne il cuore di un movimento che avrebbe coinvolto gli Stati della costa meridionale del Mediterraneo.

Il libro di Nasser, «La filosofia della rivoluzione», divenne il vangelo politico dei giovani nazionalisti che aspiravano alla conquista del potere. Per Gheddafi, in particolare, fu il manuale a cui ricorse per programmare le sue prime mosse politiche alla fine degli anni Cinquanta e il colpo di Stato con cui rovesciò il regno di Idris nel 1969.
Vi fu persino un momento in cui il panarabismo di Nasser sembrò prossimo a materializzarsi.

Il suo primo successo fu il matrimonio fra Egitto e Siria nell’ambito della Repubblica Araba Unita (1958). L’esperimento durò soltanto tre anni e Nasser ne annunciò la fine con un melanconico discorso in cui si dichiarò certo che quella prima esperienza della «nazione araba» non sarebbe stata l’ultima.
Ve ne furono altre effettivamente: una unione tripartita (Egitto-Libia-Siria) nel 1971, una unione fra Libia e Tunisia nel 1974, una unione fra Libia e Marocco nel 1984. Ma furono tentativi effimeri dovuti in gran parte alle improvvisazioni di Gheddafi. Il panarabismo era morto nel 1967 quando la vittoria israeliana nella guerra dei Sei giorni umiliò Nasser, vale a dire il solo uomo che potesse far valere, nell’ambito di un negoziato inter-arabo, il peso di una importante potenza regionale.

Ogni Stato arabo, da allora, tende anzitutto a rafforzare se stesso e a perseguire interessi che sono spesso alquanto diversi da quelli dei suoi vicini.
La parola «arabo» sopravvive nelle loro denominazioni come traccia storica di un esperimento fallito.

Sergio Romano
Fonte: www.corriere.it
Link: http://www.corriere.it/romano/10-03-24/01.spm
Inviato il: 26/3/2010 21:38
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Re: Civiltà Ebraica
#235
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Edo, tu definisci eroi Rami e sua moglie e hai perfettamente ragione.
E' molto più difficile mettersi contro quella che PARREBBE essere la propria gente che affrontare con le armi un nemico soverchiante.
Un altro esempio di eroe lo hai messo nella tua firma, lo storico israeliano Ilan Pappe.
Chi lo obbligava a scrivere quei libri, a parlare della Nakba?
Poteva tranquillamente perseverare nella sua brillante carriera accademica e nessuno lo avrebbe neanche mai potuto accusare di qualcosa di immorale.
Mica faceva il soldato lui, erano gli altri a macchiarsi le mani di sangue.
E invece no, ha fatto la cosa più rivoluzionaria del mondo.
HA DETTO LA VERITA'.
E per questo se n'è dovuto andare dal proprio paese.

P.S.: non dimenticherei Mordechai Vanunu. Ha pagato con 17 anni di carcere duro la scelta di non tacere sul programma nucleare israeliano.
Ovviamente nessuno ha pensato mai di chiedere conto ad Israele delle immani sofferenze inflitte a quest'uomo che, tra l'altro, fu rapito illegalmente indovinate dove?
Of course, sul suolo italico porto franco di tutti i killlers e le spie (soprattutto OCCIDENTALI).
Inviato il: 27/3/2010 11:44
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Re: Civiltà Ebraica
#236
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Inviato il: 27/3/2010 17:34
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Re: Civiltà Ebraica
#237
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Inviato il: 4/4/2010 10:16
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Re: Civiltà Ebraica
#238
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la religione è indispensabile
soltanto a un’umanità rescissa dal mondo divino-spirituale.
Inviato il: 9/4/2010 2:41
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Re: Civiltà Ebraica
#239
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Da perugia
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ORDINE 1650

Il PCHR condanna i nuovi ordini militari israeliani volti all'espulsione dei palestinesi della Cisgiordania.

http://www.infopal.it/leggi.php?id=14228

EDIT:

curiosa l'opinione di "informazione (s)corretta":

La notizia era già stata pubblicata sul Manifesto di ieri e criticata da IC, la riportiamo per dovere di cronaca. Il commento rimane lo stesso. L'immigrazione clandestina viene punita con l'espulsione ovunque. Non è ben chiaro per quale motivo dovrebbe essere diverso in Medio Oriente.

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=110&id=34243
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“Se un ebreo ortodosso mi considera "immondo" o mi saluta per primo per non dover essere costretto a rispondere al mio saluto, la cosa non preoccupa più di tanto.” (John)
9/11 anomalies
Inviato il: 14/4/2010 16:40
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Re: Civiltà Ebraica
#240
Mi sento vacillare
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ETERNAL SALVATION
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Inviato il: 16/4/2010 12:04
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