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  Il rifiuto della comunità.

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Re: Il rifiuto della comunità.
#61
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 3/4/2005
Da Atene
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Vedo purtroppo che il concetto di relazione tra significato e contesto continua ad essere uno scoglio troppo ostico per te.

La digressione sulla "valenza emotiva" delle parole, poi, è da incorniciare: vorresti dire che la logica di un ragionamento può essere inficiata dall'emotività del suo autore?

Quindi la storia non è che una ininterrotta sequenza di eventi casuali, provocato dagli infiniti fraintendimenti tra gli individui, che schiavi della loro emotività non sono in grado di comprendersi.

Ma nonostante questo, riescono comunque a dar vita ad un organismo sovraindividuale, la cui volontà non rispecchia però quella dei membri che la compongono (manco per niente...).

E non basta: questa volontà è immediatamente riconoscibile e senza possibilità di fraintendimento!

Religione, pura religione.
Inviato il: 17/8/2007 19:51
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  •  arturo
      arturo
Re: Il rifiuto della comunità.
#62
Ho qualche dubbio
Iscritto il: 1/3/2007
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La digressione sulla "valenza emotiva" delle parole, poi, è da incorniciare: vorresti dire che la logica di un ragionamento può essere inficiata dall'emotività del suo autore?


ESATTO !!!

dopodichè... mi taccio !

.
Inviato il: 17/8/2007 23:23
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Re: Il rifiuto della comunità.
#63
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 3/4/2005
Da Atene
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ESATTO !!!

Quindi se io affermo che i fiumi scorrono verso il basso, ma lo dico da incazzato, la proposizione non è più logica.

dopodichè... mi taccio !

Sarà meglio, magari per due o tre anni, da passare sui libri però.

Oppure puoi continuare a fare la claque per il tuo campione.
Inviato il: 17/8/2007 23:38
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  •  arturo
      arturo
Re: Il rifiuto della comunità.
#64
Ho qualche dubbio
Iscritto il: 1/3/2007
Da
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Quindi se io affermo che i fiumi scorrono verso il basso, ma lo dico da incazzato, la proposizione non è più logica

In questo caso non "affermi" , non "confermi" nè tantomeno esprimi alcun ragionamento logico.

Ti limiti ad osservare e constatare "un fatto" ( peraltro con linguaggio poco scientifico ed impreciso)
Se poi sei pure incazzato , mi spiace per te

Vedi di trovare un altro esempio più calzante e cerca - se ci riesci - di evitare di essere sempre così sgradevolmente aggressivo...in ottemperanza al relativo e notoriamente innato principio di " non aggressione" a cui fai costante riferimento..."a parole" ! (smentendoti poi con le medesime )


.
Inviato il: 18/8/2007 0:41
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  •  SENTIERO
      SENTIERO
Re: Il rifiuto della comunità.
#65
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 24/4/2006
Da ROMA
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Citazione:

Paxtibi ha scritto:
ESATTO !!!

Quindi se io affermo che i fiumi scorrono verso il basso, ma lo dico da incazzato, la proposizione non è più logica.

dopodichè... mi taccio !

Sarà meglio, magari per due o tre anni, da passare sui libri però.

Oppure puoi continuare a fare la claque per il tuo campione.


Concordo con te, quando hai detto che il linguaggio scientifico cerca di limitare i limiti della comunicazione, cercando di essere il piu' oggettivo possibile. Magari potessimo applicarlo, ma sai meglio di me che e' impossibile in un forum come questo. Quindi non potendo praticare questa via, ci si espone a tutte le trappole possibili ed immaginabili, ivi compresa quella emotiva. Tanto e' vero che lo stesso Prealbe, preoccupato di non portare il discorso verso altri lidi, e' caduto nella trappola della emotivita'che lo ha portato a risponderti soprattutto su alcuni aspetti delle tue osservazioni, piuttosto che su altri, magari maggiormente attinenti al discorso.
La carne e' debole...
Per superare le difficolta' di comunicazione, sarebbe opportuno fare degli esempi molto semplici,o dei paragoni. E' un metodo gia' collaudato da millenni (vedi Parabole).

Percio' se rispondessi emotivamente al tuo penultimo post, forse mi lascerei trascinare piu' dalle tue ultime parole Religione, pura religione, piuttosto che dal senso logico della tua risposta.
Poi, emotivita', attira emotivita' e si finisce in un ping pong infinito quanto infruttuoso.

Per non arenarci, sarebbe opportuno che Prealbe ci facesse un esempio pratico di comunita' e di come riesce a conciliare il fatto che una comunita' non uniforme possa avere una visione condivisa, sempre attraverso degli esempi. Io ci ho provato nel mio ultimo intervento, ma non so se viene condiviso da tutti voi (vinto premio no-cagatur). Sarebbe opportuno, in quanto spesso le persone facenti parte di una comunita' (NOI) non si rendono conto di quanto siano influenzati dalla comunita' stessa. Viaggiare, fa molto bene per conoscersi meglio.

Salute a tutti.
Roberto
_________________
La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un fedele
servo. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha
dimenticato il dono

A.Einstein
Inviato il: 18/8/2007 1:14
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  •  SENTIERO
      SENTIERO
Re: Il rifiuto della comunità.
#66
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 24/4/2006
Da ROMA
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Citazione:

arturo ha scritto:

dopodichè... mi taccio !

.




La carne e' debole....

Ciao Arturo
_________________
La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un fedele
servo. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha
dimenticato il dono

A.Einstein
Inviato il: 18/8/2007 1:32
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Re: Il rifiuto della comunità.
#67
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 3/4/2005
Da Atene
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In questo caso non "affermi" , non "confermi" nè tantomeno esprimi alcun ragionamento logico.

Sì, buonanotte.

Ti limiti ad osservare e constatare "un fatto" ( peraltro con linguaggio poco scientifico ed impreciso)

L'osservazione e la constatazione precedono l'affermazione.

Vedi di trovare un altro esempio più calzante e cerca - se ci riesci - di evitare di essere sempre così sgradevolmente aggressivo.

E tu cerca di mantenere quello che prometti.
_____________________


Per non arenarci, sarebbe opportuno che Prealbe ci facesse un esempio pratico di comunita' e di come riesce a conciliare il fatto che una comunita' non uniforme possa avere una visione condivisa, sempre attraverso degli esempi.

Non sarebbe male.
Inviato il: 18/8/2007 1:45
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  •  arturo
      arturo
Re: Il rifiuto della comunità.
#68
Ho qualche dubbio
Iscritto il: 1/3/2007
Da
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La carne e' debole....

…ma lo spirito è forte !


( per rimanere IT - nell’estemporaneo FT - lascio l’interpretazione della “battuta” alla fantasia dei presenti….nella speranza che se ne colga il senso… lato malgrado l'assenza degli indispensabili elementi espressivi, vocali e gestuali a corredo )


ciao, SENTIERO !


.
Inviato il: 18/8/2007 10:54
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  •  prealbe
      prealbe
Re: Il rifiuto della comunità.
#69
Mi sento vacillare
Iscritto il: 10/1/2007
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Seconda parte.

Paxtibi
Citazione:
Quindi questa "entità sovraindividuale" (qui dalla letteratura stiamo passando alla religione) - che è bene ricordarlo, nel mondo fisico altro non è che un certo numero di essere umani - possiede caratteristiche sue proprie, che non rispecchiano quelle degli individui che la compongono: hai qualcosa, possibilmente verificabile sperimentalmente, a sostegno di questa teoria, o possiamo relegarlo nel campo metafisico e dimenticarcene?

Mah, guarda Pax, mi pare che due o tre studi di sociologia ("sociologia", Pax, non "religione" né "uncertonumerodiesseriumanilogia") siano stati prodotti. Tali studi sono anche stati probabilmente di qualche utilità a quei regimi che ti piace tanto citare quando devi contraddirmi. Non saprei dirti sulle verifiche sperimentali (Anche perché non sei preciso nella tua richiesta: dovresti specificare la tipologia di esperimento che vorresti. Spero, per la stima che ho della tua intelligenza, che non pensi alla verifica in laboratorio delle dinamiche sociali: no, vero?), ma dai risultati ho come l'impressione che qualche fondamento ce lo possano anche avere.

E, scusami se te lo faccio notare, ma riportare, a proposito delle caratteristiche della comunità, "che non rispecchiano quelle degli individui che la compongono" quando io ho scritto "non specchia esattamente le loro caratteristiche individuali" mi suona di leggerissima dison… leggerissima scorr... leggerissima parac…

Vabbé, non mi viene la parola. Lasciamola cercare a chi leggerà. Sono certo che la troveranno.

Citazione:
Per esempio, una "famiglia" decide di avere un figlio indipendentemente dalla volontà dei suoi componenti, oppure un gruppo di amici finisce al cinema anche se i suoi componenti volevano andare al pub o al night. Poveri noi!

Oppure, hai visto mai, si finisce al cinema come desiderato, ma non a vedere esattamente il film che ogni membro del gruppo sarebbe andato a vedere se avesse scelto per conto proprio. E non è affatto escluso che il film scelto non rappresenti la "prima scelta" per nessuno degli astanti. E che dunque la "volontà collettiva", come dicevo, non rispecchi "le singole volontà dei propri membri".

Citazione:
Ma quel tipo di comunità non esprime mai volontà collettive condivise da tutti che non siano la soddisfazione di esigenze elementari: vitto, alloggio, sicurezza. Esigenze che nessuno ovviamente rifiuta e che non è necessario quindi imporre. Per il resto, esprime molteplici volontà collettive espressione di molteplici gruppi di persone al suo interno. E non si vede un motivo logico per cui una di queste volontà particolari dovrebbe essere scelta come volontà collettiva di tutta la comunità. Lo potrebbe essere se nei fatti fosse condivisa da tutti i suoi membri. Per esempio, possiamo pensare alla costruzione delle cattedrali medievali, a cui partecipava tutto il villaggio, ma non è un caso se c'era la religione di mezzo, cioè un sistema di accettazione acritica di norme comportamentali basate su dogmi indimostrabili.

Pax, ti prego! Ma che dici? Intanto le esigenze elementari che citi sono a livello individuale e si esprimerebbero anche in assenza di comunità. Dopodichè, è assolutamente evidente che qualunque gruppo superiore ala “coppia” possa comprendere in sé ulteriori gruppi (i quali tra l’altro possono anche intersecarsi in molti modi); ma non vuole dire per niente che essi abbiano volontà sostanzialmente alternative a (anche se non perfettamente coincidenti con) la volontà collettiva della comunità.

Alla fine dei conti, stante che la comunità è chiamata ad agire (quindi precedentemente a decidere in quale modo farlo) è comunque scontato che qualche volontà, non coincidente con ogni singola volontà dei membri, dovrà di fatto prevalere; in caso contrario sarebbero semplicemente la paralisi e il disgregamento. Alla fin fine la questione è puramente funzionale, operativa, assai più pratica che teorica. Se si approccia viceversa dal lato della perfetta aderenza di ogni decisione della comunità ad ogni singola individualità, la partita è persa in partenza e la comunità non può sussistere e basta. Però, una volta che c’è, è il caso, per l’incommensurabile investimento di vita che i suoi membri hanno fatto nei suoi confronti, che la si faccia andare avanti; e se qualche membro troppo originale si mette ad ostacolare più di tanto il corso delle cose, i “calci in culo” sono perfettamente pertinenti e praticabili.

Citazione:
Certo che sono aberrazioni, ma la tua non è una risposta: io ti ho indicato dove sta la radice di questa aberrazione, per la precisione proprio nel tipo di ragionamento da te proposto. Rispondere che queste sono aberrazioni non è una confutazione: tu certo non hai proposto apertamente, ad esempio, la deportazione dei dissidenti, ma questa è una delle conseguenze logiche dello stabilire che il pensiero di alcuni è valido universalmente indipendentemente dalla verità o meno di tale enunciato e dalla sua effettiva universale accettazione.

Qualunque, qualunque cosa può subire un utilizzo aberrante; il quale non è una “conseguenza logica” manco per niente: è un utilizzo “aberrante” (“aberrante” -> deviante, anomalo) e tale rimane. Se si dovesse eliminare qualunque cosa si presti anche ad un uso aberrante, non ci rimarrebbe praticamente nulla (compreso quasi ogni parte del nostro corpo).

Citazione:
Curiosamente, in altro forum questo lo scrissi io mentre tu sostenevi il contrario, volevi "vietare tutte le armi" per risolvere il problema del crimine...

Io preferivo che le persone non si portassero ordinariamente al seguito né machete né kalashnikov; tu invece eri assolutamente favorevole.
E che si trattasse della strada maestra per “risolvere il problema del crimine” lo pensavi tu della tua posizione, non io della mia, se non ricordo male.

Adesso, ritorniamo in questa discussione?

(Comunque, per chi proprio fosse interessato, la discussione era “La libertà” e la questione era trattata nella seconda metà della stessa - da pagina 6 in poi, mi pare.)

Citazione:
In questo contesto, però, la metafora è fuori luogo: se il coltello è il linguaggio, tu lo stai già usando aggressivamente, utilizzandolo per imporre arbitrariamente agli individui volontà che non hanno espresso.

No, Pax, il “coltello” non è il linguaggio: il “coltello” è la comunità.

Citazione:
Infatti, proprio perché le regole che ordinano una comunità, per essere efficaci, devono essere condivise dai suoi componenti, e perché gli individui e le loro valutazioni non sono immutabili, queste regole cambiano, da sempre, in ogni tipo di comunità, seguendo l'evoluzione degli individui che ne fanno parte.

Seguendo l’evoluzione della comunità, non dei singoli individui. Non è affatto la stessa cosa.

Citazione:
Non solo: essendo il cambio delle regole scritte necessariamente successivo alla variazione delle valutazioni eventualmente intervenuta nella società, possiamo osservare diverse situazioni in cui una legge che non risponde più al sentire comune, semplicemente non viene osservata nonostante sia ancora in vigore, senza che questo provochi alcuno scandalo nei più; vedi, ad esempio, la proibizione delle droghe leggere. Ancora, come dicevo sopra, le uniche esigenze universalmente condivise se il comune denominatore è la posizione geografica sono quelle essenziali: qualsiasi norma riferita ad altre esigenze non potrà mai essere universalmente riconosciuta, proprio perché su tutto il resto gli uomini hanno opinioni diverse.

Si, Pax: se inglobi la conclusione nelle premesse, è proprio così. Se cioè dici che l’unica cosa in comune è la “posizione geografica”, l’unica cosa in comune sarà proprio quella. Chapeau! Solo che, ancora una volta, stai parlando non di comunità ma di folla: le definizioni (almeno di questi due termini ci sono) stanno nel primo post del 3D.

Citazione:
Sei proprio fuori strada: mischi tradizioni, morale, linguaggio con i codici e le leggi. Tradizioni e linguaggio non sono espressioni della volontà collettiva quanto il risultato di esperienze comuni protratte nel tempo, e il "rifiutarli" non comporta alcun danno alla comunità ma solo a chi le rifiutasse (ma non stiamo parlando di chi da un giorno all'altro decide che è sbagliato parlare in italiano e che dobbiamo passare al suomi...). Codici e leggi derivano ovviamente anch'esse dall'uso e dalla consuetudine, ma come detto appena sopra, essendo scritte rispondono con un ritardo più o meno lungo alle mutazioni di questa volontà. Quando questo ritardo è eccessivo, la norma decade de facto.

Buonanotte, Pax! Le tradizioni non sono espressione della volontà collettiva? Hai ragione, sono semplicemente espressione dell’identità collettiva. Ora, che la volontà abbia qualche rapporto con l’identità? Che magari spesso ne discenda? Chissà!

Citazione:
(Traspare tra l'altro una certa tua insofferenza per l'individuo e per le sue caratteristiche, come la possibilità di pensare in maniera assolutamente originale, che mi fa sospettare una certa asocialità da parte tua, o almeno un certo livello di misantropia. Ma andiamo oltre.)

Oh perbacco! Abbiamo, oltre alle lezioni di “linguistica bizzarra”, anche la psicanalisi omaggio partecipando a questo 3D? Ma allora è un vero affarone!

Citazione:
Guarda che la differenza tra comunità fondata sulla base di uno scopo condiviso e comunità definita geograficamente l'avevo già specificata. Comunque, in senso assoluto, non puoi affermare che la società preesiste all'individuo come hai appena fatto.

Cos’è che ho appena fatto, esattamente? (Tu saresti poi il promotore del “linguaggio scientifico”, nevvero?)

Citazione:
Nessuno lo nega. Immagina però se tale comunità non fosse stata costituita sulla base di un ideale o scopo coscientemente condiviso, ma solo sulla coincidenza spazio-temporale...

Immaginare non è minimamente necessario: la stragrande maggioranza (al limite della totalità) delle comunità esistite ed esistenti si sono costituite esattamente così. Se fosse un metodo così sballato dubito che sarebbe stato praticato tanto.

E ti rivelo un segreto: la coincidenza spazio-temporale è misteriosamente in grado di generare comunità piuttosto coese e con identità piuttosto precise; forse perché scaturiscono assai meglio dalla pratica che dalla teoria? Eh! grande e misterioso è questo mondo!

Citazione:
Ma il cambiamento è sempre conseguenza delle alzate d'ingegno di questo o quell'altro suo membro, alzate d'ingegno che, seppur provocando inizialmente reazioni di rifiuto da parte di chi vede messo in pericolo qualche suo vantaggio o privilegio (pensiamo alle resistenze del clero alle "alzate d'ingegno" di Galileo, o alla rabbiosa opposizione dei politici di fronte a qualsiasi ipotesi anarchica), una volta diffuse e largamente accettate cambiano inevitabilmente il sentire comune.

Neanche per sogno. Il cambiamento non origina affatto necessariamente da alzate d’ingegno individuali. Può essere - e, anzi, con assai maggiore probabilità e frequenza - una risposta della comunità ad un qualsiasi mutamento ambientale.

Citazione:
Parli di buon funzionamento della comunità: ebbene, questo sta proprio nella soddisfazione delle esigenze dei suoi membri, se non sono soddisfatti, se le norme della comunità rendono loro la vita difficile e non più facile, la comunità non sta funzionando e necessita di un cambiamento.

Ma no?!? Definito il “buon funzionamento della comunità” come “soddisfazione delle esigenze dei suoi membri”, se queste non vengono più “soddisfatte” non si ha più il “buon funzionamento”. Ah, però!

Citazione:
Non c'è motivo per cui il non riconoscere valido per sé un sistema di regole debba implicare uno spostamento fisico. Certo, se le norme che non si accettano mettono in pericolo la propria o l'altrui incolumità, è certamente buona cosa andarsene al più presto. Viceversa, se io non riconosco valide alcune regole, ma questo non provoca agli altri membri della comunità alcun danno, non si vede perché dovrei essere allontanato. Potrei andarmene, certo, se trovassi la situazione intollerabile, ma è un problema mio.

O sommo apologeta del “linguaggio scientifico”, devi definire “incolumità” e “danno” perché ti si possa rispondere. Messa cosi è troppo generica. Io spero solo, nell’attesa, che tu non voglia contemplare soltanto la sfera fisica.

Citazione:
Anche questa è una conclusione del tutto gratuita e priva di senso. Non si capisce perché qualcuno se ne dovrebbe andare visto e considerato che la comunità non è altro che la risultante dell'interazione dei suoi membri e del confronto continuo delle idee più diverse.

Ma guarda un po'! Le idee più diverse, eh?

Io invece dico che, al contrario, la comunità si regge su idee piuttosto omogenee; sicuramente sui fondamentali, e anche su molti altri aspetti. Altrimenti si rompe. E si torna alla folla.

Citazione:
Questa molteplicità di aspirazioni e di spinte di diverso tipo e la forma che ne deriva è esattamente la sostanza della comunità, che come l'uomo stesso è in continuo cambiamento per adattarsi alle variazioni delle esigenze in essa espresse.

L'uomo stesso è "in continuo cambiamento" una sega. L'uomo tende semmai alla stabilità (che naturalmente non è immutabilità) e al consolidamento di sé stesso, con tutti gli annessi e connessi. I mutamenti sociali e culturali, per essere metabolizzati adeguatamente e non creare semplicemente uno sradicamento, devono avvenire con tempi la cui misura si esprime più adeguatamente in generazioni che non in anni.

Questa idea dell'uomo "fluido", continuamente mutevole, è una sonora stupidaggine che può sussistere solo in questi tempi di spaesamento esistenziale, di uomo-massa, di folle.

Citazione:
E gli eventuali codici scritti di cui si è dotata devono rispecchiare tali variazioni, in caso contrario sarebbero gli stessi codici ad ostacolare il buon funzionamento della comunità, non rappresentando più l'espressione di esigenze collettive ma più probabilmente un ostacolo alla loro soddisfazione. Per esempio, le tasse per ottenere servizi sono certamente l'espressione di una volontà collettiva, ovvero la larga maggioranza delle persone giudica positivo pagare un sovrapprezzo sui servizi di cui ha bisogno per assicurarli anche ai meno fortunati. Ma nel momento in cui queste stesse persone giudicassero inique le tasse e insufficienti i servizi, è evidente che l'imposizione della tassa non sarebbe più un valore condiviso, che risponde alle esigenze dei membri della comunità, e tale imposizione non sarebbe altro che l'espressione di una comunità di persone più ristretta, all'interno della prima ma con volontà con essa contrastanti.

Si, le comunità cambiano. L’ho già detto io. Succede quando viene raggiunta una certa “massa critica”. Nel frattempo la comunità tende alla stabilità, rigettando giustamente (con più o meno “calci in culo”) le “alzate d’ingegno” che viceversa la destabilizzino.


Prealbe


P.S. SENTIERO... uomo di poca fede... Prealbe caduto nella trappola... Tsé!

P.P.S. E, Pax, siccome tu mi fai pubblicamente psicanalisi, mi concedo una considerazione personale: talvolta, a riconoscere di avere scritto una caxxata ci faresti migliore figura; quella che “i fiumi scorrono verso il basso” sarebbe un “ragionamento” è semplicemente indifendibile. Lascia perdere, ché puoi solo peggiorare la questione.
Inviato il: 18/8/2007 13:11
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Re: Il rifiuto della comunità.
#70
Sono certo di non sapere
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Mah, guarda Pax, mi pare che due o tre studi di sociologia ("sociologia", Pax, non "religione" né "uncertonumerodiesseriumanilogia") siano stati prodotti.

Tali studi, se ti riferisci a quelli di Canetti e Le Bon, si occupano delle dinamiche della massa, che è cosa ben diversa dalla comunità, come gli stessi studi confermano. Se ti riferisci ad altri studi, così come ce ne sono alcuni che confermano le tue tesi, ce ne sono altrettanti se non di più che le confutano, e in questo stesso thread Nessuno ha postato alcune cose a riguardo.

Non saprei dirti sulle verifiche sperimentali (Anche perché non sei preciso nella tua richiesta: dovresti specificare la tipologia di esperimento che vorresti. Spero, per la stima che ho della tua intelligenza, che non pensi alla verifica in laboratorio delle dinamiche sociali: no, vero?)

Basterebbe un esempio concreto di ciò che affermi, ovvero un esempio di "un'entità sovraindividuale con caratteristiche sue proprie" che agisce in un certo modo nonostante il diverso volere degli individui che la compongono.

E, scusami se te lo faccio notare, ma riportare, a proposito delle caratteristiche della comunità, "che non rispecchiano quelle degli individui che la compongono" quando io ho scritto "non specchia esattamente le loro caratteristiche individuali" mi suona di leggerissima dison… leggerissima scorr... leggerissima parac…

Suvvia, non farti trascinare come al solito dalla tua emotività, e cerca di ricordare ciò che tu stesso hai scritto:

Ognuna di queste entità (che esistono! oh, se esistono!) esprime volontà collettive (giacché decide, agisce e consegue obiettivi) che manco per niente rispecchiano le singole volontà dei propri membri. Né la somma (né la sottrazione né la moltiplicazione né la divisione; evidentemente in questo caso l'aritmetica non ci può proprio aiutare) di tali volontà.

Se hai cambiato idea, benissimo, hai tutto il mio appoggio, ma evita di darmi del paraculo e del disonesto. E magari mangia più spesso il pesce.

Oppure, hai visto mai, si finisce al cinema come desiderato, ma non a vedere esattamente il film che ogni membro del gruppo sarebbe andato a vedere se avesse scelto per conto proprio. E non è affatto escluso che il film scelto non rappresenti la "prima scelta" per nessuno degli astanti. E che dunque la "volontà collettiva", come dicevo, non rispecchi "le singole volontà dei propri membri".

Certamente arriveranno ad un compromesso: ma il compromesso implica l'accettazione da parte di tutti componenti il gruppo di amici. Non si è espressa e imposta alcuna volontà a loro superiore, semplicemente tutti hanno modificato la loro volontà iniziale, rinunciando volontariamente alla soddisfazione piena della loro preferenza, evidentemente perché hanno valutato più importante lo stare in compagnia rispetto all'assistere ad uno spettacolo piuttosto che ad un altro. In conclusione, la decisione finale si può considerare collettiva proprio perché tutti alla fine l'hanno approvata, nessuno è stato trascinato al cinema contro la sua volontà.

Intanto le esigenze elementari che citi sono a livello individuale e si esprimerebbero anche in assenza di comunità.

Non mi pare di aver detto il contrario. La comunità dovrebbe infatti servire a facilitare tali esigenze.

Dopodichè, è assolutamente evidente che qualunque gruppo superiore ala “coppia” possa comprendere in sé ulteriori gruppi (i quali tra l’altro possono anche intersecarsi in molti modi); ma non vuole dire per niente che essi abbiano volontà sostanzialmente alternative a (anche se non perfettamente coincidenti con) la volontà collettiva della comunità.

In una qualsiasi città italiana troverai chi è a favore della guerra e chi contro (tra l'altro senza che questa contrapposizione di idee minacci il normale svolgimento della vita della comunità): in questo caso qual è la volontà collettiva della città?

Alla fine dei conti, stante che la comunità è chiamata ad agire

Da chi, e perché? E in che senso la comunità agisce, se non lo fanno coloro che la compongono?

è comunque scontato che qualche volontà, non coincidente con ogni singola volontà dei membri, dovrà di fatto prevalere

Quindi alla fine confermi quello che ho sostenuto fino ad ora: la cosiddetta volontà collettiva della comunità non è altro che la volontà di una parte di essa, che prevale su tutte le altre volontà da essa espresse. Purtroppo, non indichi alcuna ragione logica per cui questa volontà dovrebbe prevalere: se implichi che, semplicemente, quella che in qualche modo ha prevalso è da considerarsi legittimamente la volontà collettiva di tutta la comunità, ecco che si ritorna al totalitarismo.

Se si approccia viceversa dal lato della perfetta aderenza di ogni decisione della comunità ad ogni singola individualità, la partita è persa in partenza e la comunità non può sussistere e basta.

Quindi le comunità Amish, per dirne una, non esistono? Ovviamente, in quel caso, sono gli individui che, per motivi di fede, aderiscono perfettamente a delle norme preesistenti e immutabili, oppure se ne vanno. Certo, se tutti fossimo fedeli dello Stato Laico, il sistema potrebbe funzionare anche da noi, infatti funzionava benissimo quando il potere temporale e potere religioso coincidevano. Certo, ogni tanto c'era da bruciare qualche eretico, ma se dio era d'accordo dov'è il problema?

Però, una volta che c’è, è il caso, per l’incommensurabile investimento di vita che i suoi membri hanno fatto nei suoi confronti, che la si faccia andare avanti;

Avanti dove? Non è mica un pullman.

e se qualche membro troppo originale si mette ad ostacolare più di tanto il corso delle cose, i “calci in culo” sono perfettamente pertinenti e praticabili.

Quale corso delle cose, quello deciso da una parte della società la cui volontà ha prevalso su quelle di tutti gli altri?

Qualunque, qualunque cosa può subire un utilizzo aberrante; il quale non è una “conseguenza logica” manco per niente: è un utilizzo “aberrante” (“aberrante” -> deviante, anomalo) e tale rimane.

Visti i precedenti, ti consiglierei di andarci piano con i "manco per niente", per di più in neretto...
Anche perché, di nuovo, non hai confutato nulla: la deviazione, nel nostro caso, è proprio l'utilizzo della comunità (strumento positivo) come scusa per imporre come collettive volontà del tutto particolari. Del resto, se una volontà dev'essere imposta, tanto "collettiva" non deve proprio essere.

Io preferivo che le persone non si portassero ordinariamente al seguito né machete né kalashnikov; tu invece eri assolutamente favorevole.
E che si trattasse della strada maestra per “risolvere il problema del crimine” lo pensavi tu della tua posizione, non io della mia, se non ricordo male.


Ricordi male (del resto, hai già dimenticato quello che hai scritto tre commenti fa...): io sostenevo proprio il contrario, e cioè che qualcuno deciso ad aggredire si troverà sempre, e che quindi sarebbe buona cosa che a ciascuno fosse lasciata la possibilità di difendersi. La tua idea invece era il divieto assoluto di portare armi. Io ti risposi che questo non avrebbe impedito ad un aspirante criminale di perseguire i suoi scopi, ed ecco che magicamente ora mi dai ragione: E comunque il buon Jack si sarebbe inventato qualcosa anche in assenza di coltelli.

No, Pax, il “coltello” non è il linguaggio: il “coltello” è la comunità.

Siamo sempre lì: se l'idea di comunità la utilizzi per imporre volontà che non sono affatto collettive, ne fai un uso scorretto, aggressivo, che non risponde più alle esigenze dei suoi membri, negando la sua stessa ragion d'essere.

Seguendo l’evoluzione della comunità, non dei singoli individui. Non è affatto la stessa cosa.

Ti ricordo che ancora devi dimostrare che la comunità è una creatura separata da quelli che sono i suoi membri, premessa indispensabile per arrivare ad affermare che essa si possa evolvere indipendentemente dagli individui che la compongono.

se inglobi la conclusione nelle premesse, è proprio così. Se cioè dici che l’unica cosa in comune è la “posizione geografica”, l’unica cosa in comune sarà proprio quella.

Bene. Ti faccio notare, però, che se parliamo di comunità come, per esempio, l'Italia, o una città a caso (La "comunità" di cui si tratta in questa discussione... è la comunità in cui si vive la propria vita), il comune denominatore è proprio solo la posizione geografica dei suoi membri: infatti, sono sempre di più gli italiani che osservano tradizioni completamente diverse tra loro e spesso anche linguaggi.

Solo che, ancora una volta, stai parlando non di comunità ma di folla: le definizioni (almeno di questi due termini ci sono) stanno nel primo post del 3D.

No, la folla è un'altra cosa, e ti riporto le definizioni (quelle pertinenti) che tu stesso hai postato:

1 grande quantità di persone riunite in un luogo: strade piene di f., una f. di bagnanti sulla spiaggia, mescolarsi alla f., farsi strada tra la f.| spreg., volgo, popolino: demagogia buona per le folle, ottenere l'apprezzamento della f.
2 estens., iperb., gruppo numeroso di persone: essere circondato da una f. di amici, di ammiratori, di adulatori


Dove la coincidenza è più precisamente topografica che non geografica.

Le tradizioni non sono espressione della volontà collettiva? Hai ragione, sono semplicemente espressione dell’identità collettiva. Ora, che la volontà abbia qualche rapporto con l’identità? Che magari spesso ne discenda?

Semmai sarà l'identità che discende dalla volontà collettiva, intesa come risultante di tutte le volontà espresse, nel tempo, all'interno della comunità.

Oh perbacco! Abbiamo, oltre alle lezioni di “linguistica bizzarra”, anche la psicanalisi omaggio partecipando a questo 3D?

Guarda che mi hai appena dato del paraculo e del disonesto, a torto, tra l'altro. Vedi di abbassare la cresta, quindi.

Cos’è che ho appena fatto, esattamente?

Hai affermato che la comunità preesiste all'individuo:
le comunità, come tante altre cose della vita, "accadono" (anzi, generalmente "sono già accadute" quando arriviamo noi)

Peccato che, se i membri di una comunità cessassero di riprodursi, la comunità cesserebbe di esistere.

E ti rivelo un segreto: la coincidenza spazio-temporale è misteriosamente in grado di generare comunità piuttosto coese e con identità piuttosto precise

E chi lo nega? La discussione, mi pare, trattava della volontà collettiva delle comunità, e di quando la si può considerare tale. Ora, capisco la tua difficoltà nel cercare di dimostrare l'indimostrabile, come il fatto che la volontà collettiva sia indipendente da quella dei suoi membri (manco per niente...), ma cerca di non confondere identità con volontà. Tanto più che, come abbiamo appena visto, la comunità di cui vuoi parlare è "la comunità in cui si vive la propria vita", nel nostro caso, generalmente, una qualsiasi città europea, città che con tutta la buona volontà non credo si possano considerare esempi di comunità piuttosto coese e con identità piuttosto precise.

Neanche per sogno. Il cambiamento non origina affatto necessariamente da alzate d’ingegno individuali. Può essere - e, anzi, con assai maggiore probabilità e frequenza - una risposta della comunità ad un qualsiasi mutamento ambientale.

Continui a parlare ingiustificatamente di comunità come di un qualcosa indipendente dagli individui. Non sono forse gli individui che rispondono ai mutamenti ambientali? Se la città si allaga, non sono forse gli individui che lasciano le loro case e si trasferiscono in zone più elevate? Mi pare che nessuno attenda una decisione di quella creatura mitologica che tu chiami comunità per aprire l'ombrello. Comunque, prendo nota del fatto che secondo te le idee di Galileo (o di Marx, o di tanti altri individui) non avrebbero cambiato la società.

O sommo apologeta del “linguaggio scientifico”, devi definire “incolumità” e “danno” perché ti si possa rispondere. Messa cosi è troppo generica. Io spero solo, nell’attesa, che tu non voglia contemplare soltanto la sfera fisica.

L'unico danno "non fisico" non può che riguardare il pensiero e la sua espressione, ne consegue che qualsiasi atto rivolto contro di esso si debba considerare un danno. La tua versione di volontà collettiva, ad esempio, è decisamente dannosa in quanto tende a limitare la libera espressione del pensiero, ed è quindi da rifiutare decisamente. In contrasto, qualsiasi pensiero espresso dal singolo non si può certo considerare "dannoso" per gli altri, a meno che si tratti di un qualche sanguinoso insulto: ma in questo caso parliamo di danno piuttosto limitato, che in genere in tribunale viene sanzionato con una semplice ammenda, e questo neanche sempre.

Io invece dico che, al contrario, la comunità si regge su idee piuttosto omogenee; sicuramente sui fondamentali, e anche su molti altri aspetti.

Una cosa non esclude l'altra: se infatti è ovvio che una comunità funziona nella misura in cui i suoi membri ne condividono le idee fondamentali – es. il principio di non aggressione – è altresì vero che la forma finale dipende dall'interazione di tutte le idee non fondamentali, che sono di fatto le più diverse: è sufficiente leggere questo sito per rendersene conto. È chiaro quindi che per funzionare efficacemente – ovvero per soddisfare al meglio tutti coloro che ne fanno parte, unica sua ragion d'essere – la comunità non può che affidarsi alle poche, fondamentali regole condivise da tutti, e lasciare la libertà ai suoi membri su tutto il resto. Sempre che non si tratti di una comunità religiosa, appunto, i cui membri accettano norme oltremodo limitanti in nome di un obiettivo ultraterreno da raggiungere.

L'uomo stesso è "in continuo cambiamento" una sega. L'uomo tende semmai alla stabilità (che naturalmente non è immutabilità) e al consolidamento di sé stesso, con tutti gli annessi e connessi.

Se l'uomo "tende alla stabilità", significa che la stabilità non l'ha ancora raggiunta, di conseguenza questa tensione si traduce in un costante cambiamento da una situazione (instabile) verso un'altra (stabile). Quindi la sega fattela tu che magari ti riesce meglio dei ragionamenti.

Questa idea dell'uomo "fluido", continuamente mutevole, è una sonora stupidaggine che può sussistere solo in questi tempi di spaesamento esistenziale, di uomo-massa, di folle.

Strano, era una delle poche cose su cui eravamo d'accordo. Ti cito:

Quand'anche quattro (o otto o sedici o financo trentadue) citrulli tizi si mettessero in testa di "fondare una comunità sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso", è fin troppo facile supporre che delle implicazioni effettive, reali di quel passo sulle loro vite ne saprebbero cogliere in quel momento poco più (o poco meno) di una parte infinitesima (con tanti saluti alla vagheggiata "scelta cosciente ed individuale").

Prima l'uomo è mutevole, incapace di mantenere una decisione nel tempo, subito dopo è stabile, e cambia solo nell'arco di generazioni... Ma sei sempre lo stesso Prealbe o vi date il cambio? Nel caso, almeno mettetevi d'accordo tra di voi, se nemmeno da solo sei in grado di esprimere pensieri tra loro coerenti siamo messi male!

Si, le comunità cambiano. L’ho già detto io. Succede quando viene raggiunta una certa “massa critica”. Nel frattempo la comunità tende alla stabilità, rigettando giustamente (con più o meno “calci in culo”) le “alzate d’ingegno” che viceversa la destabilizzino.

Quindi, ancora una volta, confermi che i calci in culo a Galileo erano "giusti". Eppure è proprio a partire dalle sue alzate di ingegno che, ad un certo punto, è stata raggiunta la massa critica. E questo, al di là di tutte le tue risibili teorie, è la prova miglior che, nonostante qualsiasi pressione da parte dei gruppi che detengono il potere in una società e che quindi resistono al cambiamento, le idee del singolo sono ciò che, in ultima analisi e seppur con tempi lunghi, finiscono per determinare la forma finale delle comunità.

talvolta, a riconoscere di avere scritto una caxxata ci faresti migliore figura; quella che “i fiumi scorrono verso il basso” sarebbe un “ragionamento” è semplicemente indifendibile.

Primo, io non ho usato il termine ragionamento, ma affermazione, e "i fiumi scorrono verso il basso" è certamente un'affermazione logica, contrariamente, ad esempio, a "i fiumi scorrono verso l'alto", ed è semplicemente un esempio come un altro. Magari ce ne saranno di migliori, ma la sostanza del ragionamento non cambia. Piuttosto, chi dovrebbe riconoscere di aver scritto una grossa cazzata (si scrive così, con due zeta) sei tu: quella dell'emotività che inficia la logica di un'affermazione o di un ragionamento è una delle più grosse mai sentite, ovviamente sparata lì come verità incontrovertibile a dispetto della totale assenza di riscontri nella realtà. Infatti, se volessimo prenderla per buona, dovremmo far finta che la scienza, la comunicazione, la società stessa non esistano.

Ma sono abbastanza convinto che non lo ammetterai mai, hai dimostrato abbondantemente di non preoccuparti delle continue contraddizioni in cui incorri nei tuoi sermoni.
Inviato il: 18/8/2007 16:56
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Re: Il rifiuto della comunità.
#71
Dubito ormai di tutto
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«La prima cosa da dire è che esso [l'individualismo] è, innanzitutto, una teoria della società, un tentativo di capire le forze che determinano la vita sociale dell'uomo [...].

Ciò da solo dovrebbe essere sifficiente per respingere il più sciocco dei comuni equivoci: la convinzione che l'individualismo postuli (o basi i suoi ragionamenti sull'ipotesi del) l'esistenza di individui isolati o indipendenti, anziché partire da uomini la cui natura e carattere vengano complessivamente determinati dalla loro esistenza nella società. [...]

Ma la sua tesi fondamentale è ben diversa; è che non vi sia nessuna altra via per comprendere i fenomeni sociali se non quella della comprensione delle azioni individuali dirette verso altre persone e guidate dal comportamento che da esse ci si aspetta. Il che è un argomento diretto soprattutto contro le teorie sociali propriamente collettivistiche, che pretendono di poter comprendere direttamente gli interi sociali quali la società, ecc., come entità indipendenti dagl individui che le compongono.

Il passo successivo nell'analisi individualistica della società è, comunque, diretto contro lo pseudoindividualismo razionalistico, che pure conduce di fatto al collettivismo. C'è qui la tesi secondo cui, tracciando gli effetti delle azioni individuali, scopriamo che molte delle isituzioni su cui si basano le conquiste umane nascono e funzionano senza una mente che le progetti e le diriga; scopriamo che, per usare le parole di Adam Ferguson, ' le nazioni si reggono su isituzioni che certamente sono il risultato dell'azione umana, ma non il risultato di un progetto umano ', e che la collaborazione spontanea di uomini liberi crea spesso cose che sono più grandi di quanto le loro menti individuali avrebbero mai potuto pienamente comprendere. [...]

La Ragione umana, con la R maiuscola, non esiste nel singolo come data e immediatamente utilizzabile da una persona in particolare, come sembra presumere l'approccio razionalista [Cartesio e derivati], ma deve essere concepita come un processo impersonale in cui il contributo di tutti viene messo alla prova e corretto dagli altri.»

Friedrich A. von Hayek, Individualism: true and false, London 1949; tr. it. Individualismo: quello vero e quello falso, Rubbettino 1997; pp. 45-59

Carlo
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Inviato il: 18/8/2007 21:15
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Re: Il rifiuto della comunità.
#72
Mi sento vacillare
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Mi sono stampata la discussione e la sto leggendo. Butto lì solo qualche appunto che mi è saltato in mente scorrendo le varie pagine.

Una buona discussione di cosa possa essere una "comunità" l'ho trovata in un articolo di Arnaldo Bagnasco: "Comunità: definizione" Versione modificata della voce "Comunità" in: Enciclopedia delle Scienze Sociali, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1992.

E' un articolo lungo e complesso, in formato word. Ne riporto solo la conclusione, che mi pare significativa:

"Il percorso che abbiamo fatto attraverso l'uso classico del concetto, le sue trasformazioni, le riemergenze in problematiche parziali, la vicenda stessa degli studi empirici di comunità, rivelano che il concetto di comunità, come tale, mostra debolezze analitiche, ma che i problemi che evoca continuano a essere importanti e difficili da abbandonare. Nessuna delle parole che emergono nelle nuove problematiche lo sostituisce completamente, mentre il suo uso oggi non è in grado di coprire con precisione i campi analitici che ne sono derivati. L'abitudine consolidata può spiegare in parte la persistenza dell'uso, male interpretazioni frizionali sono in genere spiegazioni deboli.
Forse, bisogna porsi la questione ai confini delle scienze sociali, ricordando che comunità è stata, anche e più, una parola di utopisti e filosofi, che in sociologia è entrata per contrastare all'esterno le semplificazioni degli approcci utilitaristici, e per misurarsi con la diffusione nel mondo moderno della ragione strumentale fine a se stessa. Questi continuano a essere interessi vitali per le scienze sociali. Costruito sul passato, il concetto scientifico di comunità non è in grado di sostenere un'analisi corretta, orientata da tali interessi. Con la sua invadenza, continua però a riproporli, con la stessa utile ambiguità del linguaggio comune, che nasconde mentre indica una possibilità.
Per cui è una facile previsione che, in futuro, esso continuerà a essere, insieme, criticato e usato."

Per come la vedo io, il concetto di comunità mi pare irrimediabilmente datato. Nella mia esperienza, vedo che gli unici a continuare ad utilizzarlo sono gli appartenenti alla Chiesa Cattolica. Almeno nelle zone dove vivo io, non si scrive più (da tempo, peraltro) "Oratorio", ma "Casa della Comunità". E i comunicati del parroco o del vescovo iniziano con la formula "La comunità cristiana che vive in...". Ora, spero di non offendere nessuno, ma mi pare che chi utilizza il termine "Comunità", oggi come oggi, compia un'operazione piuttosto "ideologica" (nel senso marxiano del termine). La parola "comunità", rimandando ad un ambiente comune, ad un comunità di intenti, ad una comunanza di prospettive, nasconde le differenze (sociali, religiose, di apparternenza, di classe, vedete voi).

Peraltro, mi sento di dire che l'opposizione comunità/individualità non ci porta molto lontano. Sul fatto che gli esseri umani siano interdipendenti credo non ci piova. Né da bimbi, né da adulti possiamo fare a meno degli "altri"; l'autosufficienza è una chimera, e lo è sempre stata. Tuttavia, che i singoli esseri umani siano "determinati" dalla "comunità" mi pare un'estremizzazione inutile e poco produttiva. Piuttosto, io direi che nasciamo in un mondo che è già "dato" e che ci influenza. Ma che possiamo scegliere se aderire acriticamente ad esso oppure no.

A me pare che questa, come altre, sia una delle tante espressioni di una posizione dualistica (in psicopatologia si potrebbe definire come schizoparanoide [attenzione! Il termine, in psicologia, non ha una connotazione negativa, indica semplicemente un modo di vedere le cose in bianco-e-nero]) che mi pare essere una delle attività di base di ogni essere umano. Per comprendere il mondo occorrono categorie e minore è il loro numero, minore è lo sforzo cognitivo necessario. Questo fa sì che le prospettive dualistiche (amico/nemico, socialisti/capitalisti, credenti/atei, VU/complottisti, individui/comunità...) siano le più semplici da utilizzare per chiunque abbia un qualche interesse nel governare una moltitudine di persone disparate. Ma anche le meno adatte a comprendere la complessità dell'esistenza e dell'agire umano. Che è un agire individuale, ma che non può fare altro che tenere conto dell'ambiente nel quale l'individuo si trova a crescere.

Buona vita

Guglielmo
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Inviato il: 20/8/2007 13:12
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Re: Il rifiuto della comunità.
#73
Mi sento vacillare
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Per tornare alla questione iniziale, quando Prealbe scrive:

Citazione:
Viceversa, quanto più si pone l'accento sulla distinzione (3) tra sé stessi e la propria comunità, cioè gli altri suoi membri, tanto più si diluisce l'intensità - e quindi la profondità - del rapporto, con tutte le conseguenze del caso. Chi sostiene la prevalenza della "libertà del singolo" rispetto alla comunità e definisce quest'ultima come "feticcio", sta solo dichiarando la propria profonda incapacità di pensare un rapporto di identificazione forte con l'altro da sé.


mi trova in netto e totale disaccordo. Io ritengo che una forte distinzione tra sé e altro-da-sé sia essenziale per lo sviluppo di rapporti tra le persone. Peraltro, questa distinzione è fondamentale per la nascita psicologica delle persone; quelli che non riescono/possono compierla ricadono in una serie di categorizzazioni diagnostiche che spaziano dall'autismo alla schizofrenia.
Sostenere la prevalenza della libertà del singolo rispetto alla comunità non va contro la presenza di forti legami sociali,a mio modo di vedere. Ne è, piuttosto, la precondizione. E' solamente accettando la diversità che posso accettare la libertà (mia, ma anche altrui) di decidere della propria vita. Non vedo vantaggi nel subordinare la propria vita ad altri, né capisco bene cosa intenda Prealbe parlando di "pensiero comunitario".

Peraltro, nella mia esperienza, i legami più forti che ho sono proprio con quelle persone con le quali non mi identifico. Identificarsi con una persona significa rinunciare alla propria individualità. Quanto possa far male una cosa del genere lo si può vedere abbastanza agevolmente nelle famiglie "invischiate", nelle quali la confusione tra i generi e le generazioni è alta e nelle quali le patologie psichiatriche sono presenti in misura nettamente superiore alla media.

Peraltro, capisco come possa essere difficile navigare "a vista" invece di affidarsi al computer. Ma è anche bello e affascinante. Un po' come la differenza tra camminare in un bosco e sorvolarlo da un aereo, secondo me.

Buona vita

Guglielmo
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Inviato il: 20/8/2007 16:22
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  •  arturo
      arturo
Re: Il rifiuto della comunità.
#74
Ho qualche dubbio
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ctz

Chi sostiene la prevalenza della "libertà del singolo" rispetto alla comunità e definisce quest'ultima come "feticcio", sta solo dichiarando la propria profonda incapacità di pensare un rapporto di identificazione forte con l'altro da sé.


ctz

Io ritengo che una forte distinzione tra sé e altro-da-sé sia essenziale per lo sviluppo di rapporti tra le persone



Penso che per “incapacità di pensare un rapporto d’identificazione forte con l’altro da sé” si voglia intendere la difficoltà a riconoscere l’”altro”come proprio simile, come rappresentazione “esterna” di “sé stessi”

Ciò può comportare, quale conseguenza estrema, l’esaltazione abnorme della propria identità ( IO) meccanismo che spinge singoli individui o gruppi sociali ristretti e fortemente coesi a sviluppare forme di rifiuto della collettività caratterizzate da fenomeni di aggressività più o meno pronunciata verso chi – dal loro punto di vista - è ritenuto “un estraneo “

Non credo si riferisse al concetto di “personalità”

.
Inviato il: 20/8/2007 22:22
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  •  prealbe
      prealbe
Re: Il rifiuto della comunità.
#75
Mi sento vacillare
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Adesso riprendo un po’ le fila del discorso, perché mi sembra il caso.

Il tema che stiamo dibattendo richiede, per essere costruttivamente affrontato, un approccio intellettuale che faccia uso di una logica non elementare e sappia cogliere la complessità che attiene all’uomo quando si esprime nelle relazioni con altre entità (individui e non).

Cominciamo a sgombrare il campo da alcune obiezioni che sono state impropriamente sollevate.

In tempi non sospetti (1° post) ho scritto:
Citazione:
La "comunità" come entità a sé stante effettivamente non esiste. Come non esiste la "famiglia". Come non esiste la "coppia". Come non esiste il "gruppo di amici". Come non esiste nessun raggruppamento di individui a qualunque livello... di per sé stesso (cioè a prescindere dai propri membri… che scoperta, eh? ).

Questo a significare, in una forma evidentemente non chiara per tutti, che qualunque gruppo di individui si sostanzia attraverso i propri membri. A me però il concetto sembra sufficientemente inequivocabile ed esplicito da impedire a qualunque interlocutore che lo abbia letto di attribuirmi in buona fede l’idea che la “comunità” goda di un’esistenza autonoma nel senso letterale.

Veniamo al concetto di “entità”. Visto che il “linguaggio scientifico” è gradito, ne prenderò l’accezione scientifica: “Oggetto che si suppone esistente concretamente o astrattamente”. Dunque un’entità può anche essere astratta.

Ora un paio di domande propedeutiche.

“L’individuo è in grado di relazionarsi con controparti astratte?”.
Assolutamente si.

Seconda domanda: “Può un’entità astratta influenzare concretamente la vita di un individuo?”.
Nuovamente si.

Ora, io immagino che alcuni sobbalzeranno sulla sedia a fronte delle due risposte appena fornite.

Per moderare l’impatto, riformulo condensando in una sola domanda: “Un individuo può ritenere reale un’entità astratta e modulare le proprie azioni nell’ottica del rapporto che sente di avere con essa?”.
La risposta rimane affermativa.

Spero che appaia evidente come il protagonista sia inevitabilmente l’individuo, ma anche che gli effetti dell’interazione - che è tecnicamente immaginaria - sono concreti, reali, tangibili, determinando emozioni, pensieri, decisioni e azioni.

E anche che è qualcosa che non riguarda affatto la patologia mentale ma è invece un approccio assolutamente naturale e ordinario per l’uomo.

Un’altra domanda allora sarebbe: “Ma chi glielo fa fare all’individuo di inventarsi controparti astratte?”.
E la risposta è: “È fatto così. Appartiene alla sua natura.”.

Teniamo quindi presente che l’individuo vive in una realtà fatta anche di controparti astratte, percepite come assolutamente reali e con cui si relaziona continuamente.

Nutre anche altre fantasie che, sempre perché così gli piace, gli fanno travalicare psicologicamente la sua oggettiva condizione di individuo separato da tutto il resto, portandolo incomprensibilmente a considerare altre entità come un’estensione di sé. E anche, sempre nella più totale illogicità, a cogliere come entità coerenti agglomerati di parti materialmente indipendenti, senza vincolo fisico tra loro.

E di alcune di queste riesce anche, mattacchione di un mattacchione, a sentirsi parte.

Poi, percependosi ancora un po’ troppo ordinario, quasi banale direi, non si accontenta di mangiare, bere e pararsi dai ghiribizzi della meteorologia, ma vuole anche comprendere, dare un senso al contesto in cui si trova e, per sovrappiù, anche a sé stesso. Assegna dei significati, anche morali, a ciò che fa. Valuta. Giudica. Si impiccia di mille cose le più diverse. Insomma, per essere un bipede qualunque, si da parecchio da fare.

Su queste basi, un tantinello contorte e confuse, mette in piedi, pensando magari di stare facendo tutt’altro, cose piuttosto complesse ed articolate; talmente complesse ed articolate che neanche lui capisce bene cosa siano e come funzionino esattamente. (1) E ci rimane preso in mezzo.

È pure interessante notare come il singolo, quando si sente parte di qualcosa, si presti spontaneamente ad azioni che trascendono la sua sfera individuale, nel senso che vengono si compiute inevitabilmente da un individuo - nessuno si faccia venire le palpitazioni - ma in quanto parte di un insieme, in nome della sua appartenenza ad esso, senza che si evidenzi, se non molto indirettamente, alcun concreto tornaconto personale, e anzi assai più spesso con un costo individuale anche non trascurabile (fino addirittura, in casi estremi, alla perdita della vita).

Che idea si fa l’individuo del contesto in cui si trova coinvolto? È un processo piuttosto articolato. Nascendoci in mezzo (capita a ben pochi di essere tra i fondatori dell’ambaradam), il nostro eroe si trova inserito in un ambito già consolidato, in cui il lavoro di comprensione del come e perché delle cose è già stato sostanzialmente compiuto e si è fissato in un complesso di “saperi” (intellettuali e non) che è assolutamente sovraindividuale, nel senso che é il prodotto della comunità nel suo complesso e che nessun singolo membro (né gruppo di membri), pur essendone partecipe, ne possiede la cognizione completa, la “proprietà”.

Ovviamente non interessa granché, per l’ovvia irraggiungibilità dell’obiettivo, formulare un giudizio sulla correttezza o meno dei suddetti “saperi”. Quello che è importante sottolineare è che essi non sono mere nozioni intellettuali ma sono un pilastro fondamentale dell’identità degli individui che ne partecipano, ne costituiscono l’orizzonte di senso cui inevitabilmente essi fanno riferimento (anche nel caso in cui vi si oppongano). Da questo punto di vista l’individuo, benché astrattamente indipendente da tutto e tutti e solo proprietario di sé stesso, “appartiene” invece alla propria comunità, nel bene e nel male, ed esiste - non in senso fisico, è chiaro, ma identitariamente - in relazione ad essa (Ok, ok: Coramina per tutti. Pago io.).

Anche i suoi rapporti con altri singoli individui, e anche con sé stesso, la sua sfera privatissima e liberissima, sono sostanzialmente influenzati dal contesto di appartenenza; negarne l’importanza per affermare a tutti i costi l’indipendenza ed originalità assolute dell’individuo è e rimane un vuoto vezzo intellettuale: la realtà non lo conferma.

E veniamo alla vexata quaestio, la volontà collettiva.

Anche se non tutti la pensano così (e in particolare uno ), cominciamo col dire che è assolutamente ovvio che le scelte che una comunità esprime discendono dai “saperi” in essa presenti, dalla sua “identità”; e che, come singolarmente o in gruppo nessuno è assoluto “proprietario” di tale identità, allo stesso modo non può essere assoluto “proprietario” (e responsabile) di ciò che nella comunità avviene, ne fosse anche il tiranno assoluto. Se la comunità è un’entità sovraindividuale, lo è sempre, non a singhiozzo. Punto primo.

Fissiamo poi un altro aspetto che può aiutare per la comprensione del ragionamento: la comunità non è un trastullo né un’accademia filosofica né un club del golf (né una squadra di calcio, soprattutto… ). La comunità è l’ambito dove gli individui plasmano e vivono la loro vita e l’importanza che riveste per essi è cruciale, drammatica. Investe, come detto, ogni aspetto dell’esistenza dei propri membri. Uno tsunami perenne, in pratica. E deve funzionare sempre, senza interruzione, esattamente come senza interruzione i suoi componenti vivono la loro vita; diciamo che è perennemente “in servizio”.

La comunità deve quindi “agire” continuamente; e di conseguenza continuamente deve decidere, esprimere una volontà, perché tale è l’aspettativa di tutti coloro che la riconoscono come entità, all’interno e anche all’esterno di essa. Come fare?

Tempestivamente. Pragmaticamente. Con sano e appropriato realismo. E necessariamente un po’ all’ingrosso, stante la più certa che probabile impossibilità di soddisfare allo stesso tempo le infinite e particolari istanze dei suoi membri.

Si, ma chi decide?

Anche questo è semplice. Decide chi nell’ambito della comunità ha tale ruolo in base alle regole in essa vigenti. (Aaaaaaaaaaaaaaaarrrrrrrggggggggggghhhhhhhhh!!!!!!!! Oh! Avete sentito anche voi un urlo? Mi è parso che venisse da sud-est. )

Fine prima puntata.


Prealbe



1 - Anche perché spesso agisce soprappensiero, d’impulso, e poi, anche sforzandosi, non è che si ricordi esattamente perché abbia fatto una cosa piuttosto che un’altra e perché in un modo piuttosto che un altro; anche se a volte si atteggia ad intellettuale, non è che perlopiù sia poi così acuto.

P.S. 100 punti ed un grazie ad Arturo per il suo incredibile intuito.
Inviato il: 21/8/2007 0:16
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Re: Il rifiuto della comunità.
#76
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Arturo sostiene: Citazione:
Penso che per “incapacità di pensare un rapporto d’identificazione forte con l’altro da sé” si voglia intendere la difficoltà a riconoscere l’”altro”come proprio simile, come rappresentazione “esterna” di “sé stessi”


Può essere, ma questo, a mio avviso, non fa che peggiorare la situazione. Il passo fondamentale è riconoscere non che l'altro è mio simile, ma che l'altro è diverso da me. Che non è me. Che non mi assomiglia. Altrimenti il rischio è che faccio a lui quel che vorrei fare io o, peggio, che - siccome una cosa piace a me - allora ordino che la faccia anche lui... e capirai che bello!

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Guglielmo
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Inviato il: 21/8/2007 8:25
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Re: Il rifiuto della comunità.
#77
Mi sento vacillare
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Prealbe carissimo

Nulla da eccepire su molte parti del tuo discorso. Che gli esseri umani siano capaci di immaginare cose che non esistono, e addirittura di farsi condizionare da quel che immaginano è pane quotidiano, per me. Che gli esseri umani non vivano nel vuoto, penso di averlo scritto più volte. E penso che nessuno lo metta in discussione.

Il problema, a mio modo di vedere, nasce quando trai le tue conclusioni da tutte le varie premesse e precisazioni.

Tu sostieni che: “… la comunità è l’ambito dove gli individui plasmano e vivono la loro vita e l’importanza che riveste per essi è cruciale, drammatica…”. Ora, questo è un discorso che poteva essere applicato ad una società preindustriale, ma che trovo difficile possa essere utile oggi come oggi. Quando sono nato io, dove sono nato io, la comunità esisteva, eccome. Le persone nascevano in un luogo e lì rimanevano. Nella maggior parte dei casi, proseguivano il lavoro dei loro genitori, costruivano la loro casa nello stesso paese, si sposavano con persone nate lì nei dintorni. E il peso, oltre che alcuni “vantaggi” dell’esistenza di questa comunità era notevole. Notevole, in particolare, nella difficoltà estrema di vivere la propria vita seguendo le proprie aspirazioni. In termini più “sociologici”, ho vissuto per alcuni anni in una situazione di “ruoli ascritti” e ho potuto toccare con mano la difficoltà che una situazione simile porta – inevitabilmente – con sé.
Oggi come oggi, io vedo che una persona nasce in un luogo, lavora in un altro – spesso anche molto distante – e vive (nel senso che ha una serie di relazioni, di contatti, di interazioni) in molti altri, che spesso contengono tradizioni culturali, religiose e sociali molto diverse tra di loro. Allora, un individuo “moderno”, a quale “comunità” appartiene? A quella del luogo dov’è nato? A quella del suo posto di lavoro? All’autostrada sulla quale passa il 10% del suo tempo? E il trasfertista, che viaggia da un posto all’altro del pianeta, a quale delle innumerevoli comunità si troverà ad appartenere? E lo studente che studia e vive lontano dalla sua città d’origine, appartiene alla comunità nella quale si trova a vivere? Non mi pare.
Peraltro, la cosa vale anche per i migranti. Chi arriva qui, di loro, si ritrova spesso a sentirsi vivere in una “terra di nessuno”. Non appartiene più alla comunità d’origine e – per molti almeno è così – non vorrebbe nemmeno più ritornarci. Ma non appartiene di certo alla comunità del luogo nel quale si trova a vivere.
Peraltro, in questo sradicamento continuo, io trovo più vantaggi che svantaggi.

Quando poi concludi chiedendo “chi prende le decisioni?”, fai un salto da un’accezione del termine comunità ad un altro, senza esplicitarlo. A mio parere, passi da una comunità intesa come “comunità sociale” o “comunità di pratiche” ad una comunità intesa come “comunità politica”. Ma i due ambiti non sono né sovrapponibili né utilizzabili in modo intercambiabile. Il personale, il sociale ed il politico sono ambiti diversi, che richiedono strumenti concettuali diversi. Se, a livello sociale e personale, la discriminazione è non solo possibile, ma desiderabile (scelgo io il mio compagno o la mia compagna, scegliamo noi con chi andare in vacanza o quali sono le regole del circolo di bridge…), a livello politico non lo è affatto. E le “regole in essa vigenti”, quando si tratti di comunità politica, e non sociale, non sono esattamente “neutre”.

Buona vita

Guglielmo
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Inviato il: 21/8/2007 9:27
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Re: Il rifiuto della comunità.
#78
Ho qualche dubbio
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ctz

l'altro è diverso da me

L’”altro” NON è diverso da te.
L’”altro” - nel senso di entità astratta umana - è come te

ctz
Che non è me…che non mi assomiglia

Pirandello non sarebbe d’accordo….( Il fu Mattia Pascal - Uno, Nessuno, Centomila )

Certo, dal punto di vista strettamente fisico, tu sei un’entità unica e irripetibile ma la percezione che hai di te, l’immagine che hai di te ti derivano dal “ritorno” delle percezioni e dalle immagini che gli “altri” hanno di te e che tu avverti come riflesse in uno specchio

Credo che tu ed io stiamo affrontando il discorso dell “ ’identificazione dell’altro da sé” partendo da riferimenti differenti

Io mi ricollego ad un concetto di” identificazione dell’altro da sè “ inteso come "appartenenza a….”, tu invece, mi par di capire, ti riferisci ad una “identificazione dell’altro da sé” intesa come “omologazione”

Forse è per questo che non c'intendiamo...


.
Inviato il: 21/8/2007 13:55
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Re: Il rifiuto della comunità.
#79
Mi sento vacillare
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Citazione:
L’”altro” NON è diverso da te.


Ignoravo di essere un clone. Grazie dell'informazione. Ignoravo anche che io e te fossimo la stessa persona. Ora ho le idee un po' più chiare, in proposito. Ma mi sento un poco diffuso sul territorio. A questo punto, quale sarà mai la mia comunità di appartenenza?

Citazione:
L’”altro” - nel senso di entità astratta umana - è come te


Non conosco "entità astratte umane". Gli esseri umani che conosco io hanno il vizio di essere estremamente concreti. Mangiano, bevono, fanno l'amore, vanno al cesso, ecc. A volte, quando hanno tempo e voglia, persino pensano. E i segni che lasciano quando picchiano mi fanno pensare che non siano molto astratti. Portami qui un'"entità astratta umana" e ti dò ragione.

Citazione:
Pirandello non sarebbe d’accordo….( Il fu Mattia Pascal - Uno, Nessuno, Centomila )


Mio nonno sì (e ti assicuro che, dal mio punto di vista, vale come Pirandello). Per dire che non mi piace quando si discute affermando che "il tale X ha detto che, quindi, siccome sono d'accordo con il tale X, io ho ragione".

Citazione:
Certo, dal punto di vista strettamente fisico, tu sei un’entità unica e irripetibile ma la percezione che hai di te, l’immagine che hai di te ti derivano dal “ritorno” delle percezioni e dalle immagini che gli “altri” hanno di te e che tu avverti come riflesse in uno specchio


Esistono altre prospettive, oltre a quella "puramente fisica"? Io, come te, siamo entità uniche ed irripetibili. La percezione che ho di me passa sì attraverso gli altri, ma non è determinata unicamente da quello che gli altri mi restituiscono. E, in ogni caso, posso sempre decidere che la percezione di me che gli altri hanno è falsa, e comportarmi di conseguenza.

Citazione:
Io mi ricollego ad un concetto di” identificazione dell’altro da sè “ inteso come "appartenenza a….”, tu invece, mi par di capire, ti riferisci ad una “identificazione dell’altro da sé” intesa come “omologazione”


Il Dizionario della Lingua Italiana sostiene che "appartenere" significa "essere di proprietà di qualcuno"



Capirai che, date le premesse, preferisco non appartenere...

Buona vita

Guglielmo
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Inviato il: 21/8/2007 15:18
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Re: Il rifiuto della comunità.
#80
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ctz
Ora ho le idee un po' più chiare

A me non sembra...hai solo un po' di sarcasmo represso da sprigionare visto che con altro interlocutore non hai il coraggio di farlo

ctz

Mio nonno sì (e ti assicuro che, dal mio punto di vista, vale come Pirandello). Per dire che non mi piace quando si discute affermando che "il tale X ha detto che, quindi, siccome sono d'accordo con il tale X, io ho ragione".


Hai senz'altro ragione… dato che lo afferma tuo nonno ma soprattutto visto che lo afferma Bagnasco del quale non hai esitato a riportare l'autorevole pensiero - come conferma la poderosa citazione inserita in un tuo precedente commento - per esporre un punto di vista...che evidentemente non eri in grado di proporre "a parole tue"

Mi spiace che tu abbia voluto dare alla discussione fra te e me un taglio ( in ogni senso !) così poco costruttivo disseminandola di contro-argomentazioni che non fanno onore alla tua capacità riflessiva.

Il mio intento era di tutt'altra natura


.
Inviato il: 21/8/2007 19:06
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  •  prealbe
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Re: Il rifiuto della comunità.
#81
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Ciao, Guglielmo.

Sulle tue considerazioni che le modalità in cui i più vivono la propria vita attualmente non sia riconducibile ad una comunità mi trova assolutamente concorde.

Ci sarebbe poi da stabilire quali siano i livelli minimi per cui un insieme di individui possa essere definito “comunità” e, nel mio piccolo , cercherò di arrivarci. La mia impressione è che attualmente si sia generalmente (almeno nella cultura che conosciamo noi) piuttosto al di sotto di tali livelli, per cui parlare di comunità in relazione alle situazioni che hai descritto è, secondo me, improprio. E mi pare che quando dici:
Citazione:
Quando sono nato io, dove sono nato io, la comunità esisteva, eccome.

anche tu, implicitamente, lo riconosca.
(Ma non sto cercando di attribuirti alcunché; se mi sbaglio, come non detto.)

Sull’ipotesi che tale “sradicamento continuo” porti più vantaggi che svantaggi dissento talmente che mi riesce difficile immaginare un disaccordo maggiore. Non è affatto ciò che mi racconta la mia esperienza. E se alla categoria degli operatori in campo psicologico il lavoro non manca davvero, una delle cause principali è proprio lo sradicamento citato ( Se però tu rientri, come mi pare di avere capito, nella suddetta categoria, posso capire meglio il tuo apprezzamento per la cosa. ).

Per quanto riguarda le ultime due affermazioni del mio post precedente, so di essere stato sbrigativo e svilupperò in seguito.

Prendendo poi spunto da quanto hai risposto ad Arturo, osservo che va benissimo il riconoscimento - ci mancherebbe! - della diversità dell’altro, ma permane la necessità, ai fini della sussistenza di un rapporto, di condividere comunque una rete di significati e codici comunicativi, in assenza della quale l’altro risulta non semplicemente “diverso” ma del tutto alieno. Io credo che in mancanza della percezione di un’affinità tra noi stessi e l’altro, ben difficilmente possa avere luogo una interazione appagante.

Un’altra cosa voglio dire (non riferita a nessuno in particolare e tantomeno ai presenti): essere consci del fatto della propria individualità e specificità è cosa, naturalmente, buona e giusta ; diversa cosa è essere concentrati e assorti sul pensiero della propria individualità e specificità, facendone più una “preoccupazione” e, spesso, un argomento di conflitto che semplicemente esprimendola. E la seconda opzione è quella che mi sembra più “di moda”.

Ciao.


Prealbe
Inviato il: 21/8/2007 20:00
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  •  franco8
      franco8
Re: Il rifiuto della comunità.
#82
Dubito ormai di tutto
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Saluti a tutti! .. e vi ringrazio per gli interventi interressanti, (anche se a tratti fine vi siete forsi lasciati prendere troppo dalla vena polemica fine a sè stessa..)

Non so possa stupire la cosa, ma sono d'accordo al 100% con il post iniziale di prealbe...

Anche se poi nei seguenti ci sono alcuni punti che criticherei volentieri...


Non so quanto debba preoccuparmi la cosa ( ovviamente scherzo!)
Per fortuna mi rincuora trovandomi perfettamente con certe considerazioni di nessuno/Guglielmo

nessuno Citazione:


...

Per comprendere il mondo occorrono categorie e minore è il loro numero, minore è lo sforzo cognitivo necessario. Questo fa sì che le prospettive dualistiche (amico/nemico, socialisti/capitalisti, credenti/atei, VU/complottisti, individui/comunità...) siano le più semplici da utilizzare per chiunque abbia un qualche interesse nel governare una moltitudine di persone disparate.



Mi pare azzeccatissimo. Grazie!


Se posso dare un contributo , anche se non mi pare il massimo:

La mia impressione è che parlare in termini "dialettici/dualisitici"... voler stabilire un "primato" tra individuo e comunità (o se uno "preesiste all'altro) è un po' come la famosa domanda "è nato prima l'uovo o la gallina?".

(qualcuno sembra cadere nell' errore... di porre - o solo esporre - la questione in termini non "adatti" alla descrizione e alla comprensione della realtà...)

Non c'è gallina senza uovo e non c'è uovo (di gallina per esser precisi) senza gallina. In pratica... gallina e uovo sono la stessa "cosa"....


arturoCitazione:

L’”altro” NON è diverso da te.
L’”altro” - nel senso di entità astratta umana - è come te

Anche qui.. è questione di "misura". E sì che il concetto di "misura" è stato ricordato spesso in passato .... ("quanto" diverso? "quanto" bisogna condividere per poter instaurare una proficua comunicazione? - Secondo me, molto poco, e queste nostre discussioni lo dimostrano...)
A me il discorso di nessuno/Gugliemo sembra più che chiaro...:
Citazione:

Il passo fondamentale è riconoscere non che l'altro è mio simile, ma che l'altro è diverso da me. Che non è me. Che non mi assomiglia...



------
nessunoCitazione:

...Se, a livello sociale e personale, la discriminazione è non solo possibile, ma desiderabile (scelgo io il mio compagno o la mia compagna, scegliamo noi con chi andare in vacanza o quali sono le regole del circolo di bridge…), a livello politico non lo è affatto. E le “regole in essa vigenti”, quando si tratti di comunità politica, e non sociale, non sono esattamente “neutre”.

Ribadendo che mi sento perfettamente d'accordo con quanto hai scritto...(post #77) Ma.. che intendevi esattamente con questo? (dell'ultima parte del post mi sfugge qualcosa).
_
Mi è piaciuta molto quella precisazione sul termine "appartenenza"... Che mi ha fatto venire in mente la canzone di Gaber, quella che faceva: "libertà.. è partecipazione"...
Pensa un po' come suonerebbe invece "libertà è appartenenza"!....
Non so a voi... ma a me evoca "Arbeit mach frei"... (scritto sapete dove) Mah!
Vabbè.. scusate se sono andato un po' a ruota libera...

-------

Comunque... sempre sul tema "uovo e gallina"... dopo la serie del "rifiuto dell'uovo"
ci vorrebbe una serie del "rifiuto della gallina"...
A bilanciare il "rifiuto dell'autorità" e il "rifiuto della comunità" ci vorrebbe il "rifiuto della libertà" e il "rifiuto della responsabilità individuale"....
Eh eh!
_________________
.... ....io non mi definisco affatto volentieri ateo, non più di quanto io sia a-MickeyMouse.
..
(detto, fatto)
Inviato il: 21/8/2007 23:19
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  •  prealbe
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Re: Il rifiuto della comunità.
#83
Mi sento vacillare
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Franco8
Citazione:
Non so possa stupire la cosa, ma sono d'accordo al 100% con il post iniziale di prealbe...

Non sono affatto stupito!!!




Ehm… già finite le ferie?...


Prealbe
Inviato il: 21/8/2007 23:38
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  •  arturo
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Re: Il rifiuto della comunità.
#84
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LETTERA APERTA

Caro Prealbe

mi sono fregato con le mano mia !…. direbbero a Roma

Nel tentativo ( maldestro forse ) di chiarire il concetto di ” identificazione dell’altro da sè “ ho usato temerariamente il termine “appartenenza” scatenando una reazione assai più devastante di quella prodotta dalle trecce d’aglio su dracula il vampiro

Probabilmente avrei dovuto precisare meglio il senso di tale "aberrante" e - da molti - aborrito vocabolo ma, poiché era inserito in un contesto già a mio avviso sufficientemente comprensibile, avevo – sciaguratamente !- ritenuto inutile sottolinearne l’accezione.

Mal me ne incolse !

Non vorrei dunque rigirare ulteriormente la lama prolungando questo doloroso harakiri tuttavia vorrei sommessamente specificare che il riconoscere se stessi come appartenenti ( ebbene SI ! ) alla collettività soi-disant “del genere umano” ( e non a quella degli gnu tanto per fare un esempio a caso) è una primordiale esigenza che permette all’uomo ( e anche alla donna ! è bene che lo specifichi.. non si sa mai..) di riconoscersi e definire l’identità del “’io” e del proprio “sé”.

Mi sembra superfluo aggiungere come la constatazione di tale “appartenenza” non impedisca lo sviluppo di un’’infinita gamma di “diversità” individuali. Tutt’altro !

Resta però da ribadire che se “ l’altro” ( o la collettività in generale ) viene percepto come “diverso” nel senso di de-umanizzato,di “non appartenente ” ( absit iniura verbis ! ) o comunque estraneo o alieno a se stessi, si rischia di operare un' inconsapevole e pericolosa frattura del rapporto empatico producendo l’inevitabile ricaduta dell’attenzione esclusivamente sul proprio “io” che in tal modo viene vissuto in maniera disarmonica e conflittuale ( qu non mi dilungo perchè vsta l'ora non mi sembra il caso )

Spero di non provocare ulteriori destabilizzazioni : mi spiacerebbe essere involontariamente causa di altre digressioni in-pertinenti

Rngraziando per la benevola attenzione, porgo i miei più fantozziani ossequi

Arturo



.
Inviato il: 22/8/2007 2:04
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  •  franco8
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Re: Il rifiuto della comunità.
#85
Dubito ormai di tutto
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prealbe
Citazione:

Non sono affatto stupito!!!

Hai ragione... (Anche... Come dire? me ne rallegro!)
Ma era una un battuta, naturalmente...mi rivolgevo a tutti e non solo a te in particolare, avrei scritto altrimenti "stupirti" e non "stupire"...
Citazione:

Ehm... già finite le ferie?...

Eh Eh... purtroppo sì!
Anche se non c'è ancora il "rifiuto delle ferie"... siamo più sul lato del "rifiuto del lavoro".. .
-------

Parlando invece seriamente, volevo ribadire che condivido il punto di guglielmo/nessuno:
nessunoCitazione:

Il problema, a mio modo di vedere, nasce quando trai le tue conclusioni da tutte le varie premesse e precisazioni.

E aggiungo che tale problema di "salti logici azzardati" (spero sia chiaro cosa intendo) si presenta spesso. Per esempio, la conclusione di attribuire alla comunità una "volontà" che sembra (a quel che ho capito) praticamente paragonabile o della stessa natura.. di quella di un "essere intelligente"

Ariquoto:
nessuno
Citazione:

Quando poi concludi chiedendo “chi prende le decisioni?”, fai un salto da un’accezione del termine comunità ad un altro, senza esplicitarlo. A mio parere, passi da una comunità intesa come “comunità sociale” o “comunità di pratiche” ad una comunità intesa come “comunità politica”.
...


@arturo
Molto simpatica la "lettera aperta"!... .

Se vogliamo rincarare la dose: non c'era solo l' "uso improprio del termine 'appartenza'", ma anche la difesa oltranzista di espressioni del tipo "identificazione forte"...
.
Comunque, se posso, ribadirei che non mi pare il caso di alimentare polemiche "competitive" fini a sè stesse..
(Non so se è chiaro)


Citazione:

Non vorrei dunque rigirare ulteriormente la lama prolungando questo doloroso harakiri tuttavia vorrei sommessamente specificare che il riconoscere se stessi come appartenenti ( ebbene SI ! ) alla collettività soi-disant “del genere umano” ( e non a quella degli gnu tanto per fare un esempio a caso) è una primordiale esigenza che permette all’uomo ( e anche alla donna ! è bene che lo specifichi.. non si sa mai..) di riconoscersi e definire l’identità del “’io” e del proprio “sé”...

Altrettanto sommessamente ti direi:
1. La "collettività del genere umano" non è assolutamente una "comunità". Almeno per come la vedo io e secondo quanto è stato detto finora ... e quale che sia il significato o la sfumatura che attribuiamo a "comunità"...

Citazione:

..Resta però da ribadire che se “ l’altro” ( o la collettività in generale ) viene percepto come “diverso” nel senso di de-umanizzato,di “non appartenente ” ( absit iniura verbis ! ) o comunque estraneo o alieno a se stessi, si rischia di operare un' inconsapevole e pericolosa frattura del rapporto empatico producendo l’inevitabile ricaduta dell’attenzione esclusivamente sul proprio “io” che in tal modo viene vissuto in maniera disarmonica e conflittuale ( qu non mi dilungo perchè vsta l'ora non mi sembra il caso )

D'accordo. Ma ti riferisci a qualcosa in particolare e specifico?
La collettività, la comunità, la folla sono entità "diverse" dall'individuo...
(Si potrebbe dire "diverse ma non aliene") (Mi sbaglio?)
Tanto per aggiungere un elemento al problema ... c'è da dire che in genere una "percezione" nasce da un qualche evento reale ...
E quindi.. ti riferisci ad una "percezione" o ad una "illusione"?...
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..
(detto, fatto)
Inviato il: 22/8/2007 6:48
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Re: Il rifiuto della comunità.
#86
Mi sento vacillare
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Ciao a tutti e grazie (post lungo, vi avverto) :)

Salterò un po' da uno all'altro, ma spero che il discorso sia comprensibile e cercherò di andare in ordine cronologico nelle risposte e nelle riflessioni.

Arturo, per cortesia, non prendertela così a male. A volte l'ironia (per quanto pungente) mi pare utile. E la tua lettera aperta mi è piaciuta molto.

Solo una precisazione: chi sia Bagnasco non lo so proprio. Ho citato e riportato il link a quell'articolo semplicemente perché è stato l'unico che ho trovato, in lingua italiana, che analizzasse i molteplici significati del termine "comunità" e ne tracciasse l'evoluzione nelle scienze sociologiche. Dopodiché, non mi interessa citare "autorità" a sostegno di quel che penso, perché so che, per quante autorità possa citare a mio favore, potrei sbagliarmi lo stesso su tutta la linea.

Prealbe scrive:

Citazione:
quando dici:
-citazione-
Quando sono nato io, dove sono nato io, la comunità esisteva, eccome.

anche tu, implicitamente, lo riconosca.
(Ma non sto cercando di attribuirti alcunché; se mi sbaglio, come non detto.)


Io non sostengo né che la comunità non esiste, né che non sia mai esistita. Mi pare, semplicemente, che questo termine sia poco utile nella situazione attuale. A mio modo di vedere, la comunità è una modalità di organizzazione sociale che è esistita, in molte aree del pianeta esiste tuttora, ma che non esiste nella società nella quale vivo (Europa, Italia, Lombardia, Provincia di Bergamo). E, sinceramente, ritengo sia meglio che non esista più.
E' una preferenza personale. Altri possono - legittimamente - non essere d'accordo. Inoltre, questa mia preferenza non implica che l'attuale modello di organizzazione sociale sia "più avanzato" o "più evoluto" di quello comunitario. Esistono altre zone del pianeta nelle quali il termine comunità mantiene tutto il suo senso e il suo peso, nel bene come nel male. Evidentemente, alle persone che lì abitano va bene così. Non mi piace chi cerca di "esportare la democrazia", figurati se mi piace chi cerca di "esportare la società" per sostituirla alla comunità.
Quali possono essere i vantaggi di questa modalità di esistenza? Sostanzialmente la possibilità di essere autonomi, di disporre di una maggiore ampiezza decisionale, di disporre di maggiori possibilità di evoluzione. Se vuoi, ne discutiamo più approfonditamente (ma dovremmo, a mio parere, aprire un altro thread, perché la discussione sarebbe piuttosto lunga).
Quanto al mio lavoro: il mio "apprezzamento per la cosa" ha molto poco a che vedere con la sofferenza. La sofferenza delle persone è difficile, pesante e faticosa da incontrare. Preferirei che di psicologi e psicoterapeuti non ce ne fosse bisogno e, di solito, preferisco lavorare in un'ottica preventiva piuttosto che curare chi sta male. Perché incontrare il dolore e la sofferenza dell'altro non è cosa che può lasciare indifferenti, né è materia di cui rallegrarsi. Anche quando è fonte di guadagno monetario.

Quando dici:

Citazione:
Prendendo poi spunto da quanto hai risposto ad Arturo, osservo che va benissimo il riconoscimento - ci mancherebbe! - della diversità dell’altro, ma permane la necessità, ai fini della sussistenza di un rapporto, di condividere comunque una rete di significati e codici comunicativi, in assenza della quale l’altro risulta non semplicemente “diverso” ma del tutto alieno. Io credo che in mancanza della percezione di un’affinità tra noi stessi e l’altro, ben difficilmente possa avere luogo una interazione appagante.


Cercherò di spiegare meglio perché ritengo che il riconoscimento della diversità sia prioritario, dato che mi pare il punto che risulta più oscuro a te e ad Arturo. Può essere che, semplicemente, i punti di partenza mio e vostro siano differenti. Non è detto che lo debbano essere anche le conclusioni.

Io penso che, quando nasce un essere umano, si ritrova dentro una rete di significati, codici linguistici, modelli di comunicazione, schemi di pensiero, esistenti prima di lui. In sostanza, gli “elementi comuni” sono già dati, non sono cosa da costruire. Della Citazione:
“collettività soi-disant del genere umano (e non a quella degli gnu)”
facciamo parte necessariamente fin dall’inizio. Non è un’esigenza. E’ un dato di fatto. Non è qualcosa da conquistare o da costruire. C’è già. E’ lo “sfondo” che consente alle figure di emergere e venire viste. Non ci fosse, non ci sarebbero nemmeno le figure.
Quel che è da costruire (e che viene costruito nel tempo e nello sviluppo dal bambino all’adulto) è l’individualità, non la collettività. Il come viene costruito non è di scarsa importanza. Se viene costruito male, allora si possono avere alcune conseguenze, tra le quali quella che tu citi:
Citazione:
“diversa cosa è essere concentrati e assorti sul pensiero della propria individualità e specificità, facendone più una preoccupazione e, spesso, un argomento di conflitto che semplicemente esprimendola. E la seconda opzione è quella che mi sembra più di moda”
, che è un’ottima descrizione di quelle che, nel mio lavoro, vengono chiamate personalità narcisistiche patologiche.
Quel che vedo io è che il percorso che porta dal feto all’essere umano adulto è un percorso di differenziazione, di costruzione di sé, non di identificazione e di costruzione della comunità. Il feto è parte del corpo della madre. Il bambino appena nato è separato dalla madre, ma non cosciente di esserlo. L’adulto è separato e cosciente di essere tale.
E penso che riconoscere in primo luogo la diversità dell’altro, non voglia dire trasformarlo in alieno. Significa, in primo luogo, riconoscere un dato di fatto: che, nonostante tutta la mia empatia, capacità di immedesimarmi, abilità professionale, io non saprò mai cosa significa essere un'altra persona. Le esperienze sono comunicabili, ma non trasferibili. Nonostante tutte le parole che possiamo scambiarci, io non saprò mai cosa provi quando pensi ad un colore “rosso vivo”, o quando lo vedi. Dal mio punto di vista, riconoscere questo, significa anche permettere all’altro di essere l’altro. Non confonderlo con me. Non caricarlo delle mie aspettative, delle mie ipotesi sul mondo, dei miei desideri, delle mie paure o delle mie gioie.
Questo aiuta ad essere umili (nel senso etimologico del termine, da humus, terreno; quindi “sfondo”, elemento di base che consente alle piante di crescere, terreno di coltura) e di non imporre ad altri il proprio sé, ma consentire che ognuno sviluppi il suo, come può, come crede.

Quante volte, piuttosto, l’esistenza della comunità, ha bloccato, impedito o distorto queste possibilità? Molte; soprattutto per questa ragione (che tu stesso hai citato): Citazione:
“…Investe, come ho detto, ogni aspetto dell’esistenza dei propri membri. Uno tsunami perenne, in pratica. E deve funzionare sempre…”
.
Questa mancanza di separazione tra sfere diverse dell’esistenza è esattamente il motivo per cui ritengo indesiderabile la comunità. Perché io penso che la sfera personale, la sfera sociale e la sfera politica appartengono a domini diversi dell’esistenza, e che non siano appropriati né il trasferimento di concetti dall’una all’altra, né la sovrapposizione tra di esse.
Anzi, per rispondere anche ad Arturo, la trasformazione del “diverso” in “alieno” può avvenire (e storicamente è avvenuta) proprio quando queste tre sfere di esistenza vengono sovrapposte indebitamente. Una bella analisi di questo processo, a mio parere, è contenuta nei testi di George Mosse e, in particolare, nel suo “La nazionalizzazione delle masse”, Bologna, Il Mulino, 1975.
Il rischio forte nell’utilizzo del concetto di comunità sta proprio nella sua pervasività, nel suo non lasciare spazio alla diversità. Se la comunità investe “ogni aspetto della vita dei propri membri”, allora nulla impedisce che regole relative ad un aspetto dell’esistenza vengano applicate ad altri. In particolare questo accade (è accaduto) nella commistione di scienza e religione, nel tentativo della sfera politica (in particolare di quell’espressione della sfera politica che è lo Stato) di appropriarsi di elementi propri di quella sociale e personale, nel trasferimento puro e semplice di etiche personali sul piano sociale o politico. In sostanza, in una confusione delle lingue che non mi pare abbia prodotto risultati positivi.
E provo a rispondere anche a Franco8, quando mi chiede di spiegarmi meglio. Quel che volevo dire con Citazione:
...Se, a livello sociale e personale, la discriminazione è non solo possibile, ma desiderabile (scelgo io il mio compagno o la mia compagna, scegliamo noi con chi andare in vacanza o quali sono le regole del circolo di bridge…), a livello politico non lo è affatto. E le “regole in essa vigenti”, quando si tratti di comunità politica, e non sociale, non sono esattamente “neutre”.
è che la separazione tra diverse sfere dell’esistenza umana, conseguenza della scomparsa della comunità, è positiva. In una comunità “che investe ogni aspetto della vita dei propri membri”, le opzioni relative alla sfera politica (alleanze, interessi, potere) influiscono su quella personale costringendo, ad esempio, le donne a sposare (quindi creare legami e appartenenze) determinate persone e non altre, indipendentemente dalla loro volontà. In una comunità, le opzioni relative alla sfera sociale (decido io con chi vado in vacanza, e posso legittimamente farlo, e non ci trovo nulla di strano che alcune persone decidano che nel circolo di bridge non sono ammesse le donne, o i bianchi, o gli omosessuali) possono venire trasferite alla sfera politica, con l’esclusione di determinate categorie di persone dalla possibilità di intervenire in essa.

Per ora basta, ché ho scritto anche troppo. Ma continuiamo a discuterne.

Buona vita

Guglielmo
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Inviato il: 22/8/2007 10:06
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  •  arturo
      arturo
Re: Il rifiuto della comunità.
#87
Ho qualche dubbio
Iscritto il: 1/3/2007
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( AVVISO AI NAVIGANTI : post "corto" )

Guglielmo ctz

A volte l'ironia (per quanto pungente) mi pare utile

Ironia ? Comicità? Sarcasmo? Umorismo ? Nonsense? Sfottò? Irrisione? Farsa? Scherzo? Motteggio ? ecc..ecc...

Queste forme espressive – molto, molto differenti fra di loro ! - non sono solo utili : sono “cose”estremamente serie perché offrono un formidabile strumento in più per cimentarsi, districarsi o incastrarsi nell’arte della “comunicazione”

Sia quando le si sa maneggiare con abilità sia quando lo si fa con un certo impaccio sia quando lo si fa involontariamente

ctz
non mi interessa citare "autorità" a sostegno di quel che penso, perché so che, per quante autorità possa citare a mio favore, potrei sbagliarmi lo stesso su tutta la linea

Questo è un pensiero che condivido e di cui apprezzo l’onestà intellettuale in quanto tu confermi il naturale bisogno di ricorrere ad un’ “autorità” di riferimento e nel contempo affermi l’altrettanto naturale esigenza di preservare la tua autonomia di critica ed autocritica

ciao...e stammi bene !

------------
FT

PS

Scusami Guglielmo per quest'aggiunta tardiva ma mi sono accorto solo ora di questa tua precisazione " è un’ottima descrizione di quelle che,nel mio lavoro, vengono chiamate personalità narcisistiche patologiche."

Intendi dire che sei uno psicanalista o psicoterapista o psicologo o psichiatra o sociologo ?

Naturalmente, se così fosse, non potrei che esserne liieto : argomentare con un "addetto ai lavori " è assai gratificante e istruttivo

Quello che però mi lascia perplesso è il fatto che tu abbia avvertito l'esigenza di specificare la tua qualifica ...

Chissà cosa ne direbbe il tuo psicanalista...

( naturalmente la mia è solo una "battuta" scherzosa...non te la prenderai a male, spero ?! )


.
Inviato il: 22/8/2007 14:33
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  •  prealbe
      prealbe
Re: Il rifiuto della comunità.
#88
Mi sento vacillare
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Guglielmo
Citazione:
E’ lo “sfondo” che consente alle figure di emergere e venire viste. Non ci fosse, non ci sarebbero nemmeno le figure.

Guglielmo, complimenti! Avrei voluta scriverla io, questa cosa. Me la vendi?

E’ perfetta. Dipinge precisamente la carenza fondamentale della situazione attuale. Oggi infatti non abbiamo nessuno “sfondo” preciso, ma uno così sfocato e continuamente mutevole che equivale quasi a non averne affatto. E in effetti sussiste l’impressione che questo ci dia (1)
Citazione:
la possibilità di essere autonomi, di disporre di una maggiore ampiezza decisionale, di disporre di maggiori possibilità di evoluzione.


Ma in realtà, soprattutto, ci ruba il senso di noi stessi, perché ci sottrae i punti di riferimento necessari per misurare noi stessi. Ho difficoltà ad immaginare una situazione peggiore di un tale limbo esistenziale: come ci si può “evolvere” in un sistema non direzionato, in cui tutto e il suo contrario hanno uguale senso e valore? Su cosa si può appoggiare la selezione di una caratteristica piuttosto che un’altra? A che pro? E’ indifferente. Senza importanza. E noi, di conseguenza, lo siamo altrettanto.

E se questo è vero - e a me lo sembra indubitabilmente - tutto il processo di costruzione ed espressione dell’identità individuale ne viene travolto e compromesso (e pure questo è uno “tsunami” mica da ridere ).


Per quanto riguarda la netta differenziazione che delinei tra la sfera personale, quella sociale e quella politica, devo in una certa misura (prendendo debita e nettissima distanza da slogan idioti come “Il pubblico è privato e il privato e pubblico.” ) dissentire, nel senso che ovviamente tali sfere hanno un’inevitabile zona di sovrapposizione nell’individuo stesso che le vive, e che dubito possa applicare ad ognuna delle tre schemi di percezione, valutazione e interazione del tutto diversi e autonomi. Quand’anche fosse possibile - e non lo credo - mi sembra che richiederebbe caratteristiche personali del tutto fuori dalla norma.


Prealbe


1 - Anzi, è uno degli argomenti forti che vengono generalmente utilizzati - ma non mi riferisco affatto a te - dai sacerdoti della contemporaneità proprio per dimostrarne la superiorità rispetto a forme sociali diverse dalla nostra attuale.


P.S. Quella sul lavoro era naturalmente una battuta e solo quello, e spero che tu l’abbia colta come tale. Fra le mie caratteristiche innate spicca, prepotente e incontenibile, la scherzosità, ma in genere, e certamente in questo caso, senza nessunissima intenzione offensiva.
Inviato il: 22/8/2007 19:09
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  •  prealbe
      prealbe
Re: Il rifiuto della comunità.
#89
Mi sento vacillare
Iscritto il: 10/1/2007
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Un paio di osservazioni sparse.


Paxtibi
Citazione:
È chiaro quindi che [la comunita - NdR] per funzionare efficacemente - ovvero per soddisfare al meglio tutti coloro che ne fanno parte, unica sua ragion d'essere - …

In quale puntata si sarebbe deciso che è proprio questa la sua “unica ragione d’essere”?
Poi in quel “al meglio” - che dovrebbe precisare quel “efficacemente” - c’è semplicemente un universo di indeterminatezza.

Citazione:
L'unico danno "non fisico" [in una comunita - NdR] non può che riguardare il pensiero e la sua espressione,...

Nessuna sfera psico-emotiva, certo…


Franco8
Citazione:
”quanto" bisogna condividere per poter instaurare una proficua comunicazione? - Secondo me, molto poco, e queste nostre discussioni lo dimostrano...

Finché si fa accademia, tutto va bene...


Prealbe
Inviato il: 22/8/2007 19:10
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  •  nessuno
      nessuno
Re: Il rifiuto della comunità.
#90
Mi sento vacillare
Iscritto il: 30/7/2005
Da Albino (BG) - Bassa Valle Seriana
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Citazione:
Guglielmo, complimenti! Avrei voluta scriverla io, questa cosa. Me la vendi?


te la regalo volentieri

Ma ti chiederei, se possibile, di continuare a discutere utilizzando l'intera proposizione nella quale ho inserito quella frase. Altrimenti il senso che le davo viene stravolto...

Tu la consideri una carenza. Ora, a me piacerebbe capire meglio in base a quali considerazioni affermi cheCitazione:
soprattutto, ci ruba il senso di noi stessi, perché ci sottrae i punti di riferimento necessari per misurare noi stessi. Ho difficoltà ad immaginare una situazione peggiore di un tale limbo esistenziale: come ci si può “evolvere” in un sistema non direzionato, in cui tutto e il suo contrario hanno uguale senso e valore? Su cosa si può appoggiare la selezione di una caratteristica piuttosto che un’altra? A che pro? E’ indifferente. Senza importanza. E noi, di conseguenza, lo siamo altrettanto.


Mi pare che abbiamo idee alquanto diverse su come nasce l'identità. Poco male, ma mi piacerebbe confrontarmi avendo qualche dato a disposizione, non semplicemente affermazioni.
Mi pare che tu assegni alla "società" o alla "comunità" un compito ed una funzione che non appartengono loro. Il senso di identità e di individualità si sviluppa nelle relazioni primarie, quelle del bambino con i suoi genitori, ed è fondamentalmente completo fin dai 6-7 anni. Quel che accade dopo sono, nella maggior parte dei casi, solo "aggiustamenti". Il "disorientamento" di cui parli (che mi pare possa essere riconducibile alle tematiche dell'alienazione) esiste negli adulti, non nei bambini.
Ora, il mio punto di osservazione sulla società è soprattutto quello di uno psicologo, quindi parziale. Ma quel che vedo è che la maggior parte delle persone che chiede aiuto presenta problematiche relative non all'alienazione, ma alla difficoltà di svincolo, alla dipendenza, all'autonomia. Mi pare che, se le tue conclusioni fossero corrette, i problemi dovrebbero essere molto diversi.

In un sistema non direzionato ci si evolve benissimo. Tant'è che siamo qui, su questo pianeta. E non mi pare che i meccanismi dell'evoluzione abbiano una direzione preferenziale, né un fine cui tendere.

Sul fatto che siamo senza importanza, che dire? Dipende dal punto di vista. Io, per me, sono abbastanza importante. Ma che vuoi che glie ne freghi di me a uno che vive a Palermo e che non mi conosce, o a un aborigeno australiano? O anche al mio vicino di casa? E che ci sarebbe di male in questo?

Buona vita

Guglielmo
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"Quieremos organizar lo entusiasmo, no la obediencia" - Buenaventura Durruti
Inviato il: 23/8/2007 16:54
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