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  Il rifiuto della comunità.

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  •  franco8
      franco8
Re: Il rifiuto della comunità.
#151
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 6/12/2005
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Citazione:

Carissimo Francotto,

purtroppo non posso risponderti perché non ho capito un’accidente di quello che hai scritto (in generale) né di quali bestialità mi sarei macchiato (in particolare)
Si vede che – come hai ben sottolineato – siamo assai diversi…: io, sono un fesso e tu sei un intelligente.
Ciò non toglie che hai lo stesso tutta la mia… empatia !

Nessuna "bestialità", arturo...
Faccio finta di prenderti alla lettera... così dovrebbe esser chiaro a cosa mi riferisco:
Ti ricordo l'invito posto in maniera chiara e comprensibile da nessuno/Guglielmo al numero 128 (può darsi che ti sia sfuggito)
Citazione:

Tuttavia, se possibile, la inviterei a spiegare per quali motivi:
a) ritiene si tratti di una "sviolinata" e non di un'argomentazione
b) ritiene si tratti di una sviolinata "patetica"
c) ritiene si tratti di un FT
d) ritiene si tratti di un luogocomune (nel vero senso della parola)
e) ritiene che siamo (siamo? e che? simbionti siamo ora, io e Franco8?) " a corto di argomenti"
f) ritiene di tratti di "digressioni"
g) qualifica tali "digressioni" come "retoriche"
....


E tI ripropongo già che ci sono poi anche la mia domanda:
- Cosa intendi per
"..e riconducendola [la discussione] correttamente nei termini da cui cui era partita"
?

Il non capire un accidente di quel che ho scritto io, sarebbe un buon punto di partenza e un punto di merito per te...
Siccome, però, trovo poco credibile che tu non sia in grado di capire le domande di cui sopra che (se non mi sbaglio) hai bellamente ignorato, non posso non interpretare in senso ironico la tua risposta/non-risposta...
In termini terra-terra: mi stai prendendo per i fondelli.
(lo devo mettere in grassetto? o ti è chiaro lo stesso...)

Personalmente... credo che più che l'intelligenza in sè stessa, quel che conta è come e per quali fini la si usa...

------------------------
nessuno
Citazione:
...Io so che gli esseri umani hanno bisogno gli uni degli altri, per vivere decentemente. Ma so anche che un'altra delle condizioni per vivere decentemente è che ogni singolo essere umano possa decidere in proprio della sua vita...

Non posso che essere d'accordo.
_________________
.... ....io non mi definisco affatto volentieri ateo, non più di quanto io sia a-MickeyMouse.
..
(detto, fatto)
Inviato il: 6/9/2007 12:25
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  •  franco8
      franco8
Re: Il rifiuto della comunità.
#152
Dubito ormai di tutto
Iscritto il: 6/12/2005
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Scusate se torno su un particolare
del numero 139 di prealbe
Citazione:

.....
No. In realtà laddove una comunità esprime sostanzialmente una cultura, una società (come la nostra, di questo si sta parlando) esprime più culture concorrenti e spesso radicalmente contraddittorie, e quindi non sintetizzabili. Per questo, in un certo senso, si può dire che la società contemporanea non esprime, in definitiva, nessuna cultura. E infatti impera il concetto di “relativismo culturale”.


Mi chiedevo:
- In quale senso ( e in quale logica) "più culture" può equivalere a "nessuna cultura"?
(Nel senso che in una società ci deve essere un'unica cultura o nessuna?)
... O non piuttosto ciò non può dipende dal "grado di tolleranza" di una data cultura (ovvero di quanto sia capace di convivere con culture anche non-strettamente-compatibili)?
...
_________________
.... ....io non mi definisco affatto volentieri ateo, non più di quanto io sia a-MickeyMouse.
..
(detto, fatto)
Inviato il: 6/9/2007 12:41
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Re: Il rifiuto della comunità.
#153
Mi sento vacillare
Iscritto il: 14/11/2005
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"La società aperta è aperta a più valori, a più visioni del mondo filosofiche e a più fedi religiose, ad una molteplicità di proposte per la soluzione di problemi concreti e alla maggior quantità di critica. La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee e ideali differenti, e magari contrastanti. Ma, pena la sua autodissoluzione, non di tutti: la società aperta è chiusa solo agli intolleranti."

(Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Vol. I, Platone totalitario)
_________________
"Il vero Big Bang è la nascita di una coscienza"

"Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem"
Inviato il: 6/9/2007 13:40
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  •  prealbe
      prealbe
Re: Il rifiuto della comunità.
#154
Mi sento vacillare
Iscritto il: 10/1/2007
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Guglielmo
Citazione:
Ringrazio vivamente! Ottima canzone: "Gli anarchici li han sempre bastonati/e il libertario è sempre controllato/dal Clero o dallo Stato./Non scampa, tra chi veste da parata/chi veste una risata".

Veramente la mia era la prima “Canzone di notte” (Ore confuse della notte/la malinconia non è uno stato d'animo/Le vite altrui si sono rotte/e sembra non esista più il tuo prossimo...) che preferisco, ma va bene lo stesso anche la n° 2.


Citazione:
Dunque, Prealbe sostiene che il "malessere contemporaneo" può ben essere rappresentato daCitazione:
Il tasso di disagio psichico e di suicidi, come elementi concreti possono andare bene? E’ sufficiente?
Sì, può quasi andare bene.
Quasi. Perché il "disagio psichico" rimane un'entità altrettanto astratta del "malessere contemporaneo". Non penso ti riferisca alla schizofrenia o al disturbo bipolare, perché si tratta di due forme di disagio psichico che sono sempre esistite e che mostrano una prevalenza compresa tra l'1% e il 2% della popolazione, in qualunque cultura, società e luogo del pianeta.

Mah! in effetti mi riferivo a una cosa che senza dubbio è, nella sua essenza, sfuggente (d’altra parte ogni dinamica interiore dell’uomo non può che essere tale) ma genera lo stesso effetti assai concreti, misurabili; ed è tramite questi effetti che si può induttivamente riconoscerne la presenza. Ad esempio, il tasso di consumo di psicofarmaci, già molto elevato e in perenne crescita nelle società del nostro tipo, è esattamente un indicatore del genere suddetto.

Leggevo anche, tanto per parlare di una “etichetta” specifica di disagio psicologico, che in Italia il 10% dei cittadini è affetto da depressione diagnosticata, mentre c’è un altro 15% che lo è in maniera “sommersa”. A significare che una persona su quattro (25%) soffre profondamente il vivere nella realtà attuale. Già di suo questo dato costituisce una conclamazione assoluta della concretezza e dell’ampiezza della questione “disagio psichico” (altro che “entità astratta”...).

Aggiungiamo poi che una tale estensione del problema comporta che praticamente ognuno di noi avrà a che fare direttamente almeno con una (ma assai facilmente anche con più d’una) persona toccata da questa patologia, con una inevitabile ricaduta negativa sulla nostra serenità d’animo.

E per non farci mancare niente, riporto pure la previsione dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) in base alla quale nel giro di dieci-quindici anni la depressione sarà la malattia più diffusa del mondo.

Non c’è male, eh? Un successone, direi.

Citazione:
La sensazione di "spaesamento", di "non appartenenza a nulla", di "difficoltà esistenziale" (tutti termini alquanto astratti, ma credo comprensibili) è, in effetti molto diffusa. E' un prodotto della scomparsa della comunità? Può essere. E' risolvibile con il ripristino della comunità? Anche questo può essere. Com'era la situazione quando la comunità esisteva? Questo non lo sappiamo.

Non sappiamo un cazzo, praticamente!

Non è proprio così, naturalmente. Anche in questo caso ci sono molti fattori che, sempre induttivamente, ci fanno da spia sulla presenza di certe problematiche e sul loro peso nell’ambito sociale. Il periodo storico indicato non è un “buco nero”, e le informazioni in nostro possesso non ci raccontano affatto di un “mal di vivere” paragonabile all’attuale, neanche lontanamente.

Quindi fra l'abbandono della formula comunitaria e l'insorgere di un certo pesante malessere un nesso pare proprio esserci. E, se tanto mi da tanto, il ripristino di tale formula é facile che ripristini anche una maggiore salute psichica degli individui. Se l'esperienza insegna qualcosa.

Citazione:
Tuttavia, mi riesce difficile credere che, a differenza degli individuiCitazione:
(si levi dalla testa chi eventualmente ce l'avesse quest'idea che ciò che l'individuo produce spontaneamente sia, in quanto tale, sempre oro puro.)
le comunità abbiano sempre spontaneamente prodotto oro puro.

Le comunità non sono una formula magica per la soluzione certa dei problemi della convivenza:
per una cosa del genere c’è il Mago di Arcella.

Ovviamente anche una comunità può generare aberrazioni. Invece la società non ha questo problema: dai risultati che produce, si dimostra essere già un’aberrazione.

Citazione:
I roghi delle streghe non nascono dal nulla, né possono venire spiegati semplicemente contrapponendo un potere esterno malvagio ad una comunità buona.

E questo, sulla bontà o meno della formula comunitaria, dovrebbe dirci che…?

Citazione:
Le rivolte contadine dal 1000 al 1600 ci dicono di una struttura sociale intrisa di violenza in un grado oggi difficilmente immaginabile.

Liquidare 600 anni di storia con solo ventidue parole mi pare un po’ più che sbrigativo. Puoi articolare un po’ meglio la considerazione?

Citazione:
L'atteggiamento dei membri di una comunità nei confronti del "forestiero", dello "straniero", del "vicino", o - all'interno - delle donne, dei bambini, degli "eretici", degli "atei", non era certamente tenero o amorevole.

Un dato, un esempio, una fonte... insomma, qualcosa in più della semplice affermazione (specialmente sulle donne, i bambini e i vicini), puoi fornirla?

Citazione:
Quindi, assodato che gli individui non producono necessariamente oro, io sostengo che nemmeno le comunità l'hanno mai fatto. E che tra mali diversi occorra comunque scegliere.

Ineccepibile!

Citazione:
Il discorso del suicidio è più complesso. E' vero che il tasso di suicidi nelle società moderne è pari a circa dieci volte il tasso di suicidi nelle società di Ancièn Régime. Ma è anche vero che esistono differenze enormi nei tassi di suicidio in diverse società moderne (An international survey using representative community samples of adults (aged 18–64 years) reported lifetime prevalence of self reported deliberate self harm of 3.82% in Canada, 5.93% in Puerto Rico, 4.95% in France, 3.44% in West Germany, 0.72% in Lebanon, 0.75% in Taiwan, 3.2% in Korea, and 4.43% in New Zealand. [6] .
Inoltre, la prevalenza del suicidio è attorno allo 0.175% (o 17.5 persone che si suicidano ogni 100000), in Europa.

“Negli ultimi 45 anni il tasso di suicidio è cresciuto del 65% in tutto il mondo. Oggi il suicidio è considerato una delle tre principali cause di morte fra gli individui di età compresa tra i 15 e i 44 anni, in entrambi i sessi. Senza contare i tentati suicidi, fino a 20 volte più frequenti.”
“Nonostante il tasso di suicidi sia sempre stato più alto fra gli anziani di sesso maschile, le percentuali sono cresciute notevolmente fra i giovani, che oggi rappresentano il gruppo a maggior rischio in un terzo dei Paesi, indipendentemente dal reddito.”

Non voglio tra l’altro neanche sottolineare particolarmente che il rapporto di differenza di 10/1 che indichi tra le società moderne e quelle preindustriali è spaventoso. Unito ai dati sulla depressione secondo me dovrebbe chiudere la discussione.

Citazione:
E' un fenomeno tragico ma, se facciamo riferimento agli anni nei quali tu collochi l'esistenza delle comunità, vediamo che le epidemie di peste spazzarono via fino al 50% (cioè 50000 persone ogni 100000) della popolazione europea. Che la mortalità perinatale (entro il primo mese di vita) era del 50% (e tale rimase fino a circa il 1880). Che la speranza media di vita era attorno ai 35 anni. (Giusto per capirci, la speranza di vita attuale nelle società industrializzate si aggira attorno ai 76 anni per gli uomini e agli 82 per le donne). Che gli omicidi si aggiravano attorno ai 20/100000 abitanti, mentre oggi, nelle tanto vituperate società moderne europee, individualiste e prive di legami, stiamo attorno al 1.4/100000

Sono sicuro che non stai assolutamente insinuando la tesi che sia l’organizzazione sociale comunitaria la causa della peste, della mortalità perinatale e della durata media della vita dell’uomo. Poiché ne sono certo, non ti chiedo né riferimenti alle fonti né puntualizzo alcunché sul dato assolutamente fuorviante della “speranza di vita di 35 anni”.

Invece il dato sugli omicidi mi interessa: mi puoi specificare la provenienza di tale informazione? Si riferisce proprio alle comunità preindustriali?


Prealbe


P.S. Poi aggiungerò qualche considerazione sui post 145 e 146. Scusate i tempi lunghi, ma sono un po’ indaffarato in questo periodo.
Inviato il: 7/9/2007 1:57
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  •  franco8
      franco8
Re: Il rifiuto della comunità.
#155
Dubito ormai di tutto
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Grazie Timor...
Citazione:

la società aperta è chiusa solo agli intolleranti

... che, anche se non l'avesse scritta Popper, sarebbe senz'altro anche questa di buon senso.
E voglio dire, anche... ci siamo arrivati da soli.
Anzi, ho come l'impressione di un cerchio che si chiude... perché mi ricorda un vecchio post a proposito del giudizio e sull'intransigenza che è giusto e lecito avere nei confronti di certe idee... ( che hanno in sè dei "pericolosi germi")
Ma non me lo ricordo neanche io... mi pare difficile che se ne ricordi qualcun altro...
----------------

prealbe (e nessuno).
La discussione può anche aver preso, per certi versi, degli spunti interessanti... (per me non tanto, a dire il vero... )
Ma non mi pare che aiuti granchè per la comprensione... (ovvero - come dire? - alla verifica (?) ) della frase "incriminata", ovvero:
prealbeCitazione:

La comunità, o meglio le sue caratteristiche, rappresenta semmai ciò che nello status quo che ci circonda manca ed è causa del profondissimo e capillare malessere contemporaneo.

...
Non so se mi spiego:
Mi pare, prealbe, che anche prendendo per buono quel che dici, Il fatto che la mancanza delle caratteristiche della comunità sia causa del malessere ecc ecc.. resterebbe comunque poco più che una "ipotesi di lavoro"... O no?
_________________
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..
(detto, fatto)
Inviato il: 7/9/2007 17:27
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  •  prealbe
      prealbe
Re: Il rifiuto della comunità.
#156
Mi sento vacillare
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Franco8
Citazione:
Mi chiedevo:
- In quale senso ( e in quale logica) "più culture" può equivalere a "nessuna cultura"?
(Nel senso che in una società ci deve essere un'unica cultura o nessuna?)
... O non piuttosto ciò non può dipende dal "grado di tolleranza" di una data cultura (ovvero di quanto sia capace di convivere con culture anche non-strettamente-compatibili)?
...

Visto che hai apprezzato le pagine linkate da Guglielmo, te ne riporto un passo:

“Ovviamente c'è un prezzo da pagare: chi operi da solo o con un ristretto gruppo di sodali molto coesi nelle idee e nei fini può sperare di essere efficiente negli obbiettivi che si assegna, mentre viceversa chi consulti molte persone con idee e conoscenze disparate impiegherà eventualmente molto tempo per sistemare l'analisi di un problema e magari si troverà con le idee molto confuse, apparentemente impossibilitato a scegliere.


C’è anche un simpatico racconto di Jean De La Fontaine che ci viene buono per l’occasione:

“Or non ricordo il libro, ma so d'averlo letto
che fuvvi già un mugnaio, padre d'un figlioletto
di mezz'età, sui quindici anni o su quell'intorno:
ma il padre era già vecchio. Andavan essi un giorno
a vendere al mercato un loro somarello,
e perché fosse fresco e a vendere più bello,
le quattro gambe in mazzo legate all'agnellino,
me lo portavan come si porta un palanchino.
La gente che incontravano, la cosa è naturale,
ridean di quella scena, di lor, dell'animale.
Gridando: Oh che burletta!... oh caso singolare!
Dei tre la più gran bestia non è quella che pare.
Il vecchio, persuaso dal dir di quei passanti,
drizza la bestia in piedi e se la caccia avanti,
per quanto se ne dolga l'asino in suo latino,
che preferia la parte fare dell'agnellino.
Monta il fanciul sull'asino e vanno oltre un pezzetto,
quand'ecco tre mercanti gridare con dispetto:
- È bello che tu vada sull'asino e che al passo
cammini un vecchierello? scendi, poltrone, abbasso.
- È giusto, - il buon mugnaio risponde a quei mercanti.
Scende il ragazzo, il vecchio monta al suo posto, e avanti.
Quand'ecco tre ragazze, volendo dir la loro,
- Guarda se c'è giustizia, - esclaman tutte in coro, -
se c'è pietà che zoppichi a piedi quel fanciullo,
e faccia invece l'asino sull'asino il citrullo,
superbo, trionfante in groppa all'animale,
come s'ei fosse il papa di Roma o un cardinale.
- Andate, altro che papa! Cogli anni miei, credete,
non c'è, care ragazze, nemmen da fare il prete, -
rispose il vecchio, e dette quattro facezie e rese,
credette avere il torto e in groppa il figlio prese.
Non fanno dieci passi, che sono al sicutera.
L'un dice: - E si può dare una peggior maniera?
Dov'è verso un fedele e vecchio servitore
la carità del prossimo, o gente senza cuore?
Se dura un po', dell'asino non resterà che il cuoio...
- Se dura un po', capisco che anch'io di rabbia muoio, -
ripicchia il vecchio. - Perdesi tempo, cervello e fiato
a contentar la gente, la serva ed il curato.
Vediamo tuttavia se c'è miglior consiglio -.
Così dicendo, saltano abbasso e padre e figlio
e lascian che la bestia, beata e trionfante,
da sola come un papa, cammini a lor davante.
- O cosa stravagante, che col buon senso cozza,
che l'uomo vada a piedi e l'asino in carrozza! -
Osserva un Tizio, e seguita: - Allor la più sicura,
amici, è d'impagliare la bestia addirittura,
se tanto a cuor vi sta d'un asino la pelle,
più che le scarpe... Ah! ah! sen vedono di belle...
"Se visita Brighella la Colombina cara,
va sulla mula", è vecchia la mia canzon, ma chiara.
O bel terzetto d'asini! -.
Allor disse il mugnaio: - Asino son ben io
ad ascoltar la gente. Ma giuro innanzi a Dio
che d'ora innanzi, voglia la gente oppur non voglia,
farò sempre benissimo a fare di mia voglia -.”


La saggezza popolare preindustriale ci propone sinteticamente lo stesso concetto col noto proverbio che recita:

“Quando sono troppi galli a cantare non si fa mai giorno.”


Prova a mettere in relazione quanto ho riportato con le tue domande: spero che esse vi trovino adeguata soddisfazione.


Prealbe
Inviato il: 7/9/2007 19:51
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  •  arturo
      arturo
Re: Il rifiuto della comunità.
#157
Ho qualche dubbio
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INIZIO PAUSA / OT

PREMESSA

Visto il reiterato invito a “farmi sotto” mi vedo obbligato ad accogliere l'autorevole richiesta a fornire ampie spiegazioni circa un mio "non gradito" pregresso intervento

Tuttavia vorrei far notare che ritengo tale pressante sollecitazione del tutto *fuori luogo* e completamente inutilizzabile ai fini della discussione poiché – come è facile intuire - rientra nell’ambito della *sterile e banale polemica *

Pregherei pertanto / lorsignori/ di evitare di accusarmi - DOPO aver letto quanto segue - di essere andato OT.

Detto ciò, passo senza indugio a “compilare” diligentemente il test che mi è stato sottoposto sperando che questa mia forzata digressione non stimoli in alcun modo la tentazione a controbattere /cambiando così discorso/ e producendo danno al buon proseguimento della discussione

In breve : date una veloce scorsa al mio scritto e poi… ignoratelo !
--------
ctz .utente NESSUNO ( mi sembra ...non ho ri-controllato )

Tuttavia, se possibile, la inviterei a spiegare...

R - Pronti ! ( nel caso ci si azzecchi, si vince qualcosa ?)

ctz

per quali motivi:

a) ritiene si tratti di una "sviolinata" e non di un'argomentazione

R - La domanda è impropria : io non ho mai affermato NON trattarsi di un’argomentazione

b) ritiene si tratti di una sviolinata "patetica"
R - Perché contiene molto “patos”. E' / toccante/ nel senso che “tocca i precordi”, classica del / genere/ “Famiglia Cristiana”.

c) ritiene si tratti di un FT
R - Perché non si stava parlando di rapporti tra genitori e figli ma di interazioni umane di ben più ampia natura

f) ritiene si tratti di un luogocomune (nel vero senso della parola)
R - Perché è quello che – pateticamente - dicono TUTTI i genitori in pubblico anche, ma *soprattutto ! *, se hanno allevato figli che sono una/ fetenzìa/

e) ritiene che siamo (siamo? e che? simbionti siamo ora, io e Franco8?) " a corto di argomenti"
R - Perché altrimenti non avreste avuto bisogno di ricorrere a scontate dissertazioni “ad effetto”

f) ritiene di tratti di "digressioni"
R - Vedi risposta punto c)

g) qualifica tali "digressioni" come "retoriche"
R - Vedi risposta punto b)

h)Cosa intendi per
"..e riconducendola [la discussione] correttamente nei termini da cui cui era partita"

R – manifestavo entusiasmo per esserci finalmente stato concesso di alzarci dal lettino dello psicoterapeuta - che tra l’altro *nessuno* aveva avuto intenzione di interpellare - perché mi stavo addormentando…… zzzzZZZzzzzz...

FINE PAUSA/OT
Inviato il: 7/9/2007 23:36
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  •  prealbe
      prealbe
Re: Il rifiuto della comunità.
#158
Mi sento vacillare
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Guglielmo
Citazione:
Citazione:
“… il tratto distintivo di una comunità è, a quanto pare, l'esistenza tra i suoi membri di elementi significativi in comune e, sulla base di questi, di vincoli reciproci. Nonché, questo lo aggiungo io, di interferenza continua tra di essi , trattandosi di un contesto di interazione.[…]

E, fin qui, nulla da dire. Ma non ritengo che sia una prerogativa della comunità. Anche l'uso delle automobili, nelle società contemporanee, rappresenta un "elemento significativo in comune" tra i cittadini. Per giunta, è un elemento che costruisce "vincoli reciproci" (di mercato, di legislazione, ecc.). E non mi dirai che non esiste, tra questo e altri elementi della "modernità" (ad esempio, i poliziotti), una "interferenza continua".

Questi non sono tratti distintivi di una comunità. Sono tratti distintivi di qualunque forma di collettività organizzata, in qualunque modo, in qualunque punto del pianeta. Come tali, appartengono anche al presente, non solo al passato. Si formano, peraltro, in modo del tutto spontaneo, e basta leggere qualcosa di psicologia sociale dei gruppi per rendersene conto.

Qui, mi viene un po’ da piangere. Sbaglierò io a non usare un linguaggio “oggettivo”, a non precisare sempre fino ai minimi termini, vabbé: però, secondo me, pure certe osservazioni...

Dal punto di vista oggettivo (e impersonale) gli elementi che ci accomunano sono virtualmente infiniti: usiamo la macchina, guardiamo la televisione, andiamo al cinema, beviamo bibite confezionate, possediamo il telefonino, tifiamo la stessa squadra, condividiamo un’ideale politico, seguiamo la stessa religione, ecc. ecc.

Ma la significatività individuale, soggettiva di tutti questi fattori come “elemento in comune” sussiste? Neanche per sogno. Non solo: è addirittura certo che molti di tali elementi non siano neanche colti dall’individuo come proprie caratteristiche specifiche (non fanno parte dell’immagine del sé che l’individuo si rappresenta). E anche fra quelle che percepirà, alcune saranno considerate effettiva espressione di sé (e quindi coinvolgenti, “calde”, oggetto di attenzione, elemento di identificazione – o di divergenza più o meno sostanziale - col proprio prossimo), altre saranno considerate puramente accidentali (e quindi non coinvolgenti, “fredde”, sostanzialmente ignorate, inutili ai fini dell’investimento emotivo nei confronti dell’altro da sé).

Per tornare all’uso della macchina: io personalmente non mi sento minimamente affratellato agli altri automobilisti d’Italia e del mondo per la condivisione dello stesso tipo di mezzo di trasporto. Non lo considero affatto un elemento qualificante a livello personale. Non mi dice sostanzialmente nulla sull’individuo che, come me, viaggia in automobile. Qualcuno qui invece la pensa diversamente? Si sente significativamente rappresentato dal temine “automobilista”?

Spero che adesso sia più chiaro cosa intendo per “elemento significativo in comune”: “soggettivamente riconosciuto come significativo”.

Discorso analogo sui vincoli reciproci e sull’interferenza continua. Non si parla dell’aspetto oggettivo della questione ma del suo aspetto interiore, del coinvolgimento soggettivo e profondo dell’individuo in tali questioni. Ecco, la discriminante tra la realtà attuale e quella comunitaria risiede precisamente in questo diverso coinvolgimento, oggi quasi assente e un tempo profondissimo, nel proprio contesto sociale.

Mi stupisce anche un po’ che, da psicologo, tu non abbia colto questo senso in quanto ho scritto.

Citazione:
Quand'è che una "folla" diventa una "comunità"? In cosa si sostanzia il substrato comune di cui sopra?Citazione:
“… Esso sarà, naturalmente, di ordine sia pratico sia, soprattutto - dato che il contesto è umano - emotivo (1), e tale da consentire ai propri membri lo specchiamento reciproco, di riconoscere cioè sé stessi negli altri; in caso contrario l'individuo si troverebbe circondato da entità che, facendo riferimento a sistemi di significato ignoti, sarebbero per lui semplicemente incomprensibili e con cui un'interazione articolata sarebbe quindi impossibile.
Ora, questa proposizione contiene una contraddizione, a mio modo di vedere. Se l'ordine è "soprattutto emotivo", il rispecchiamento reciproco è già presente. Le emozioni sono sisteni complessi di espressione e dir egolazione reciproca, filogeneticamente determinati e invarianti ripetto alla cultura. Le cinque emozioni di base (gioia, rabbia paura, sorpresa e tristezza) sono presenti in qualunque essere umano, non sono apprese (come dimostrato dal fatto che vengono esibite anche da bambini nati ciechi e sordi) e servono egregiamente a segnalare lo stato emotivo dell'interlocutore.
Appartenendo tutti alla stessa specie, che lo vogliamo o no, facciamo riferimento solo a significati noti, e comuni.
Già m'immagino la spietata critica che mi colpirà: "...ma io facevo riferimento a sistemi di significato, non a sistemi biologici o psicologici". Io sostengo che sarebbe bene fare un passo indietro, prendere quel che di effettivamente comune esiste tra gli esseri umani e utilizzarlo per costruire, invece di partire da connotazioni astratte altamente formalizzate e costringere gli esseri umani ad entrarci dentro.

Aaaahhhh, ce rifai?!? Allora insisti!!!

Guglielmo, la “spietata critica” non c’è bisogno che te la faccia io: te la fa la realtà. Se l’uomo fosse così intrinsecamente indipendente dai sistemi culturali, se essi fossero così sostanzialmente ininfluenti su di lui, se sussistesse l’automatica e straordinaria concordia di interpretazione della realtà che professi (nomen omen ) non avremmo la variegatissima serie di visioni (interpretazioni) del mondo - le più diverse - che hanno accompagnato e tuttora accompagnano i differenti gruppi umani.

Di più. Se tu sostieni “che bisognerebbe fare un passo indietro, prendere quel che di effettivamente comune… ecc. ecc.” ciò significa che evidentemente altri (io di sicuro, ma anche molti altri e in modi molto disparati) la pensano diversamente, invalidando automaticamente la tua tesi del “facciamo riferimento solo a significati noti e comuni” (che infatti, consentimi, non sta né in cielo né in terra!).

Citazione:
Ti dirò di più. Lo "specchiamento reciproco" non mi importa affatto. Continuare a vedere negli altri null'altro che parti di se stesso alla lunga annoia mortalmente. Non è solo il nostro apparato percettivo a nutrirsi di differenze. Anche la nostra mente, privata di differenze, scompare.

Guglielmo!!! Basta!!! Ti metto una nota!!!

Possiamo smetterla di incespicare nel “senso letterale” delle espressioni? Per favore.

"Specchiamento reciproco" non significa che nell’altro riconosco precisamente me stesso come se si trattasse di un mio ologramma, non annulla la specificità individuale e non è assolutamente “vedere negli altri null'altro che parti di se stesso”. E’, semmai, riconoscere nell’altro da sé tratti di affinità sostanziale, base per la possibilità di un interesse reciproco e di uno scambio. Naturalmente tale riconoscimento è favorito dalla condivisione di schemi espressivi e comportamentali ed ostacolato - fino all’impedimento pratico - dalla discordanza degli stessi.

Citazione:
Citazione:
“… Viceversa, quanto più si pone l'accento sulla distinzione (3) tra sé stessi e la propria comunità, cioè gli altri suoi membri, tanto più si diluisce l'intensità - e quindi la profondità - del rapporto, con tutte le conseguenze del caso. Chi sostiene la prevalenza della "libertà del singolo" rispetto alla comunità e definisce quest'ultima come "feticcio", sta solo dichiarando la propria profonda incapacità di pensare un rapporto di identificazione forte con l'altro da sé. ...


E qui sono obbligato a ricorrere al dizionario della lingua italiana...

………………………..(Definizioni varie – NdR)…………………

Se le parole non sono un'opinione, ne deduco che, attuando un processo di "identificazione forte" con l'altro esiste almeno il rischio (che per me è una certezza, ma voglio essere disponibile) di diventare identico all'altro, perfettamente uguale.
La cosa non è né possibile, né desiderabile, e penso che nemmeno il più convinto comunitarista sia disposto a rinunciare alla propria individualità.
Ma allora, questo rifiuto di identificazione forte con l'altro da sé, non - per caso - più una benedizione che una maledizione?

“Diventare identico all'altro, perfettamente uguale” è, semplicemente, al di fuori delle nostre facoltà e non mi pare affatto che anche le comunità più coese non abbiano ospitato al loro interno una assai variegata tipologia di membri, tutt’altro che cloni l’uno dell’altro, come la letteratura di ogni tempo mi sembra testimoni inequivocabilmente, descrivendoci personalità presenti nella stesso ambito e per nulla tra loro confondibili. Per cui cerchiamo di superare finalmente questo spauracchio e andare oltre nella discussione, va bene?


Prealbe
Inviato il: 8/9/2007 11:35
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  •  prealbe
      prealbe
Re: Il rifiuto della comunità.
#159
Mi sento vacillare
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Guglielmo
Citazione:
Inoltre, spesso si èp citato il "pensiero comune". Non so di preciso cosa sia, ma conosco abbastanza bene il "pensiero di gruppo". Ecco alcune conseguenze (a mio parere tragiche) di questo modo di pensare:

BUSH, BLAIR E LA GUERRA I disastri della buona fede

What is Groupthink?

Io ragiono solo in gruppo

SPIONAGGIO. Come la politica usa l`intelligence

BUONI SCONSIGLI

Ora, dato che una "comunità" è piùà ampia di un "gruppo", mi chiedo:

a) come è possibile impedire effetti di questo genere in una comunità?
b) se non si riesce ad impedirli, i danni saranno maggiori o minori di quelli del pensiero di gruppo?
c) non è meglio un errore individuale, a questo punto?


a) Nello stesso identico modo in cui è possibile tentare di evitare aberrazioni in qualunque impresa umana: facendo attenzione e esercitando la consapevolezza e la volontà. (1)

b) Se non si riesce ad impedirli, se ne subiranno le conseguenze e sarà quello che Dio vorrà. Ma questo è valido a qualunque livello: individuale, di coppia, famigliare, di gruppo, comunitario, societario, internazionale e planetario (e fra un po’, probabilmente, anche interplanetario). In effetti, l’uomo è fallibile e di conseguenza lo sono anche le strutture da lui realizzate. Comunque, siamo qui a parlarne: se ne deduce che l’errore definitivo non è stato ancora compiuto.

c) “Meglio” rispetto a quali parametri? Il punto è che certe cose ne implicano altre: disporre di mezzi di trasporto più veloci delle nostre gambe, ad esempio, ci espone a dei rischi maggiori ma ci procura anche dei vantaggi. Come tutte le alternative, comporta implicitamente una scelta basata sulla valutazione del rapporto costi/benefici. Vivere in gruppo non è cosa diversa. Include vantaggi e include rischi. Ma una volta scelto di vivere in gruppo, la pretesa di mantenere il predominio di ognuna e tutte le singole opinioni individuali è, funzionalmente, tecnicamente, un assurdo pratico (come emerge con chiarezza dalla mia ultima risposta a Franco8).


Prealbe


1 - Negli articoli che hai linkato è molto significativa, a questo proposito, la parte sull’avvocato del diavolo, figura pensata ed espressa da un’entità che - a quell’epoca senza ombra di dubbio - quanto a dogmatismo e chiusura alla messa in discussione delle proprie idee non era certo seconda a nessuno. Ciononostante, a quanto pare, perfettamente conscia delle implicazioni negative del groupthink. Credo sia questo un elemento da tenere presente nel seguito della discussione.


P.S. Per il momento ho finito. Rimango in attesa di qualche replica.
Inviato il: 9/9/2007 14:47
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  •  nessuno
      nessuno
Re: Il rifiuto della comunità.
#160
Mi sento vacillare
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Citazione:
Ma non mi pare che aiuti granchè per la comprensione... (ovvero - come dire? - alla verifica (?) ) della frase "incriminata", ovvero:
prealbe-citazione-

La comunità, o meglio le sue caratteristiche, rappresenta semmai ciò che nello status quo che ci circonda manca ed è causa del profondissimo e capillare malessere contemporaneo.


...
Non so se mi spiego:
Mi pare, prealbe, che anche prendendo per buono quel che dici, Il fatto che la mancanza delle caratteristiche della comunità sia causa del malessere ecc ecc.. resterebbe comunque poco più che una "ipotesi di lavoro"... O no?


Io la penso così. Che discutere dei pregi e difetti della "comunità" è una questione altamente "ideologica". Nel senso che abbiamo pochissime informazioni circa molti aspetti delle organizzazioni sociali pre-industriali. In particolare, non abbiamo resoconti diretti. Detto questo, a me pare che si può provare a fare delle ipotesi e si può tentare - in misura limitata - di verificarle sulla base dei dati disponibili.

Rispetto alla questione che poni tu, sono del parere che si possa trattare di un'ipotesi di lavoro. Ma ci possono essere altre risposte a quella domanda.
Per dirne una: nonostante lo scetticismo di Prealbe, i dati di cui disponiamo assegnano una speranza di vita alla nascita che, per il perido storico preso in esame da Prealbe, si aggirava attorno ai 35 anni. Tra il 30 ed il 50% dei bambini moriva prima dell'anno di età. La vita media era sostanzialmente più breve rispetto all'era moderna. Quindi, una spiegazione alternativa potrebbe essere data semplicemente dal fatto che, dal momento che oggi viviamo più a lungo e sopravvive un maggior niumero di bambini, esistono maggiori probabilità di soffrire di qualche forma di disagio psichico.
Anche perché i dati sulla depressione che Prealbe ha citato si riferiscono alla prevalenza nell'intero arco di vita. Il dato da prendere in considerazione sarebbe, più utilmente, quello dell'incidenza annuale. Cioè il numero di persone di una popolazione che sviluppano il disturbo nel corso di un dato anno. Perché è chiaro che, se prendiamo in considerazione una popolazione che vive in media 50 anni e una che ne vive in media 80, qualsiasi malattia o disturbo avrà una prevalenza media maggiore nella seconda che non nella prima.

Inoltre, al di là delle considerazioni statistiche, per quanto l'ipotesi possa essere suggestiva, non spiega assolutamente nulla. In che modo la scomparsa della comunità inciderebbe sulla depressione? I soggetti depressi, solitamente, si lamentano del non riuscire a fare più nulla, non della mancanza di amici o di sostegno sociale. Anzi, chiunque abbia provato a consigliare da un depresso di uscire e vedere gente, avrà sperimentato come questo consiglio non ottenga alcun risultato pratico.

Prealbe, sotto al dato che riguarda il numero di omicidi, c'era il link allo studio dal quale ho tratto i dati. Basta che te lo vai a rileggere.

Detto questo. Io ritengo che si fa in fretta a dire che il mondo presente non va. Ce l'abbiamo sotto gli occhi. Ne vediamo molto bene pregi e difetti. Quando ci si riferisce al passato, o quando si costruiscono utopie future, invece, possiamo immaginare quel che ci pare, tanto non ci può smentire nessuno (non io ). Quindi possiamo immaginare che nelle comunità si stesse meglio. Può essere che alcune cose andassero effettivamente meglio. Ma altre andavano decisamente peggio. E' anche legittimo decidere che si vorrebbe tornare a quel tipo di organizzazione sociale. Ma nulla impedisce a Prealbe di costruire la comunità che vorrebbe, o di associarsi ad una delle molte esistenti (da Nomadelfia, a Christiania, alle molteplici comuni anarchiche sparse per la penisola). Ce ne sono molte, basta scegliere quella dove si pensa di trovarsi meglio. Quel che non si può fare è far tornare indietro le lancette dell'orologio. Questa è una società di individui. E mi sembra che gli individui, una volta scoperto che sono tali e non massa indifferenziata, folla o comunità, siano notevolmente restii a ritornare tali. E, dato che gli esseri umani sono razionali, lo erano nell'epoca delle comunità e lo sono ancora. Allora, date le condizioni tecnologiche, religiose, sanitarie, probabilmente era una scelta buona. Oggi non lo sarebbe più.

Per ora. Poi proseguo.

Buona vita

Guglielmo
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Inviato il: 10/9/2007 11:22
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  •  arturo
      arturo
Re: Il rifiuto della comunità.
#161
Ho qualche dubbio
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Non mi è chiaro questo “passo”

ctz NESSUNO

"Quel che non si può fare è far tornare indietro le lancette dell'orologio. Questa è una società di individui. E mi sembra che gli individui, una volta scoperto che sono tali e non massa indifferenziata, folla o comunità, siano notevolmente restii a ritornare tali. E, dato che gli esseri umani sono razionali, lo erano nell'epoca delle comunità e lo sono ancora. Allora, date le condizioni tecnologiche, religiose, sanitarie, probabilmente era una scelta buona. Oggi non lo sarebbe più.

Per ora. Poi proseguo. "


Posso sbagliarmi ma non mi pare che qualcuno – nel corso della discussione – abbia mai sostenuto l’idea di “far tornare indietro le lancette dell’orologio”
Inoltre che la nostra sia “una società d’individui” penso non possa essere messo in dubbio : la nostra …. e quelle antecedenti l’attuale

Questo periodo invece mi è oscuro “ gli individui, una volta scoperto che sono tali e non massa indifferenziata, folla o comunità, siano notevolmente restii a ritornare tali

“a ritornare tali” in che senso : in quanto “ individui “ o in quanto “massa” ?

Forse che gli individui avrebbero solo ora scoperto la propria individualità ?

Forse che oggi non sono più massificati di ieri ? Il termine "mass-media" è - purtroppo ! - drammaticamente significativo a tal proposito

Forse che oggi “ date le condizioni tecnologiche, religiose, sanitarie” differenti i sngolo individui avrebbero possibilità di scelta [“di far parte meno della massa” suppongo tu abbia voluto dire] maggiori di ieri ?

A questo punto, visto che i professori hanno terminato ( per il momento) le loro lezioni, faccio la cartella e vado a casa a fare i compiti e prepararmi per la prossima interrogazione.


.
Inviato il: 10/9/2007 16:21
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  •  NERONE
      NERONE
Re: Il rifiuto della comunità.
#162
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Leggendo i vostri interventi e la risposta del prof.Andreoli ad una studentessa ho trovato che ci sia qualche corrispondenza su ciò che si è dibattuto qui e fin qui, perciò ve la posto.

domanda della studentessa :

Tornando al tema dell’"io e gli altri" e del bisogno che l’uomo ha di riconoscersi negli altri, io ritengo che entrambi derivino da un riscontro che l’individuo ha dei propri limiti e che, quindi, il bisogno degli altri svolga l'elementare ruolo di colmare l’insicurezza restante. Il Pirandello dei Sei personaggi in cerca di autore affronta il tema fondamentale dell’inconoscibilità del proprio essere. Vorrei chiederLe: è così importante che il mio essere sia completamente riconosciuto dagli altri o è sufficiente che l’altro comprenda che, se io gli comunico dolore, è un dolore proprio della relazione che ognuno stabilisce con gli altri?

Risposta :
ANDREOLI: La cosa più importante è che uno si senta capito. E aggiungo: almeno da qualcuno. Pensando a Pirandello ho portato in studio questo "specchio". Perché lo "specchio"? Pirandello insegna che ogni individuo è centomila individui per sé stesso, e che, guardandosi allo specchio, può vedere degli "io" completamente diversi a seconda dei propri stati d’animo. Lei stesso, per quel Lei che si vede rispecchiato nello specchio, é delle cose diverse, si percepisce in maniera differente. Il sentirci non capiti non ci deve impedire di fare uno sforzo per comunicare, affinché il destinatario apprenda l’aspetto che noi intendiamo mostrargli. La cosiddetta "comprensione oggettiva" è pressoché impossibile. Le relazioni sono varie, e così gli stati d’animo, per cui ogni individuo é Uno, nessuno, centomila, proprio perché mutano i suoi stati d’animo. È importante che l’individuo sappia di avere bisogno degli altri e che gli altri hanno bisogno di lui. Le comunicazioni, i linguaggi, devono fare in modo che questo sia possibile. Questa ricerca straordinaria fa l’esistenza. L’esistenza è l’insieme di tutti i tentativi che l’individuo ha posto in essere per costruire un contatto con gli altri. L’individuo non si deve limitare a stabilire relazioni con il proprio migliore amico, o con due o tre altri, ma deve estenderle all’intera società, o a quanti più individui sia possibile. Occorre comunicare con gli altri per assumere una dimensione di individuo fino a poter dare il proprio contributo all’intera società. Anche questo contributo è comunicazione. Attesta un "io" che si pone in contatto con gli altri. Successivamente all’Io freudiano si è a lungo parlato in psicologia del "sé". E’ bene precisare, al di là delle valenze storiche, che mentre l’io ha un significato strutturale, il sé ha un contenuto relazionale. Il "sé" è l’io in una funzione comunicativa o sociale. Credo di poter concludere dicendo che non bisogna essere degli "io" chiusi, ma dei "sé" comunicanti.
Inviato il: 10/9/2007 22:22
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  •  arturo
      arturo
Re: Il rifiuto della comunità.
#163
Ho qualche dubbio
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@ Nerone,


non ne ho ancora capito il motivo, fatto sta che ho sperimentato "sulla mia pelle" essere....no buono citare Pirandello....( vedi post #78 e #79 )

.
Inviato il: 10/9/2007 23:14
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  •  fiammifero
      fiammifero
Re: Il rifiuto della comunità.
#164
Sono certo di non sapere
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Citazione:
rappresenta semmai ciò che nello status quo che ci circonda manca ed è causa del profondissimo e capillare malessere contemporaneo.

Scusate l' OT ma il malessere contemporaneo non è la solita frase che ogni nuova generazione,anche nel passato, si sentiva rinfacciare dalla vecchia tipo : non ci sono più i valori di una volta ! ?
A mio modesto avviso,il malessere è dato dalla "scoperta " che i valori sono state mistificazioni della parola "obbedienza",ossia non porsi domande,accettare per oro colato tutto quello che calava dall'alto,non modificare l'ordine precostituito.
L'uomo ragionevole si adatta al mondo. L'uomo irragionevole pretende che il mondo si adatti a lui. Perciò il progresso è opera di uomini irragionevoli.
(George bernard Shaw)
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Citazione:
le cose di cui ci sentiamo assolutamente certi non sono mai vere (Oscar Wilde)
Inviato il: 11/9/2007 0:36
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  •  franco8
      franco8
Re: Il rifiuto della comunità.
#165
Dubito ormai di tutto
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... "Brevemente" (si fa per dire... il fatto è che non riesco se cerco di "stringere" mi pare che sorgano sempre più fraintendimenti...)
1)
prealbe.
Va benissimo la simpatica risposta... Ma non mi pare sia centrata, a dire il vero, con il punto che volevo sottolineare...
Intuivo anche prima il senso che poteva avere "più culture = nessuna cultura"...
Ma la mia era una domanda del tutto "aperta".. intendendo soffermarmi o evidenziare la contraddizione logica contenuta nella frase:
"più culture in una società, vuol dire nessuna società".
( Da "più"... diventano "nessuna"?!)

Il punto è l' intolleranza... che vedo evidente. Io lo vedo anche solo nell'espressione "relativismo culturale"... che (senza offesa) a me pare che "imperi" più che altro come "espressione" linguistica... (Magari, se hai tempo, mi interesserebbe capire tu che cosa intendi un po' più precisamente con quella espressione... e cosa c'è, in fondo, di diverso dal concetto di "convivenza di più culture" o , se vogliamo, di "pluralismo"... (?) )

I nessi con la favola che hai citato ci sono, ma
forse io ne traggo "insegnamenti" diversi da quello a cui tu vuoi riferirti.
Provo a render l'idea (sempre con riferimento alla favoletta):
E', come dici tu, a volte impossibile metter d'accordo diverse "teste"... (e questo, appunto, era chiaro...)
Ma il problema dei poverini non sta nel fatto che la gente ha opinioni inconciliabili, ma nel fatto che li vogliono accontentare tutti.
Infatti dice:
-"Asino son ben io ad ascoltar la gente"
Il problema non si sarebbe posto se avessero seguito quel che credevano più giusto e opportuno per loro in quel momento...

La differenza fondamentale è che un conto è la cultura (i punti di riferimento ) di ciascun individuo (o gruppi di individi?) un conto sono le diverse culture che possono essere presenti in una società...
C'è da distinguere :
- il caso del singolo individuo che non può seguire indicazioni "contradditorie" di due culture inconciliaili
- il caso della presenza o della coesistenza di diverse culture (e quindi di persone di diverse culture) nella stessa società. (Se le culture sono "tolleranti" potrebbero convivere anche se contradditorie e inconciliabili su alcuni punti riguardanti scelte più o meno "private" e personali...) ( Non dico che ciò sia facile e automatico... ma mi pare necessario capire meglio di che stiamo parlando...)


2) comunità e cultura

Una considerazione "flash"... (Non so bene in che misura collegabile col resto del vostro discorso....
Ma.. in una società preindustriale era forse presente una unica "cultura"?
Non mi pare affatto... O no?
Anzi, (magari mi sbaglio) ho l'impressione che le differenze (in termini di "insiemi di saperi", di "punti di riferimento" di "codici di comportamento" ecc ecc) fossero maggiori nel passato che non adesso.
Mi riferisco al fatto che i "bagaglio" di un contadino o di un "cittadino" differivano più di oggi...


3) nessuno (e prealbe)
...Solo per chiarire meglio:
Quando ho scritto che la considerazione di prealbe resterebbe solamente una "ipotesi di lavoro", intendevo dire che non mi sembra che tutti gli argomenti portati fino a quel momento da prealbe valessero molto ad avvalorare l'ipotesi, e che, anche ammessi e non concessi i "dati" portati, restava comunque tutto da dimostrare quel "nesso casuale"


4)
arturoCitazione:

R - Pronti ! ( nel caso ci si azzecchi, si vince qualcosa ?)

Carissimo arturo
Avresti vinto veramente poco (o molto, dipende dai punti di vista)... al massimo qualche (patetica ?) espressione di sincera stima ....
Pazienza, sarà per un'altra volta... dovrai accontentarti del premio di consolazione...
Poi, dal momento che, a tuo dire, non capisci un accidente in generale di quel che scrivo, fattelo spiegare da prealbe o da chi preferisci.

5) individuo, comunità, e abberrazioni
prealbe.
Citazione:
Vivere in gruppo non è cosa diversa. Include vantaggi e include rischi. Ma una volta scelto di vivere in gruppo, la pretesa di mantenere il predominio di ognuna e tutte le singole opinioni individuali è, funzionalmente, tecnicamente, un assurdo pratico

Sì... son d'accordo, su un particolare: non si può avere il predomino di ognuna e tutte ecc...
Non mi pare in contraddizione, ad esempio con questa considerazione di nessuno:
Citazione:

...Io so che gli esseri umani hanno bisogno gli uni degli altri, per vivere decentemente. Ma so anche che un'altra delle condizioni per vivere decentemente è che ogni singolo essere umano possa decidere in proprio della sua vita.

... e anche il "decidere della propria vita" realisticamente non si fa da soli. (o non lo si può far da soli)... Ciò non vuol dire che quanto espresso non sia vero..
(si può anche dire, se preferisci, che:
1 - bisogna vedere cosa intendi per "vivere in gruppo". Perchè, appunto, siamo tutti d'accordo che il singolo non vive da solo. La scelta di vivere "in gruppo" è (in quale misura?) una scelta obbligata
2 - nessuno (niuno... nè io, nè nessuno/Guglielmo nè altri) ha avuto questa "pretesa" di cui parli... e che tu interpreti in termini così "assoluti" (e, forse... "abberranti")


Però... non sarà... il termine predominio... Che (forse.. forse?... senza retorica) dovrebbe dirci qualcosa?


Qualcuno forse ha parlato prima di "predominio" o di un concetto simile? Non mi pare. Abbiamo parlato di "libertà"... E io, francamente, non saprei bene che parentela c'è tra i due concetti.

Come dicevavmo (e mi riferisco ai discorsi vostri e allo scambio con nessuno) abbiamo due "mali"... e ce li dobbiamo tenere entrambi (...perché, come dicevamo anche tanto tempo fa negli scambi con te, prealbe, i "mali assoluti" non esistono...)
La mia impressione (spero di riuscire a comunicarla): è che... ci sia da parte tua a volte l'uso di due pesi e due misure...
nel senso che:
quando ti si fanno presenti alcuni "inconvenienti" (apparentemente?) intrinseci alla "comunità" (o, forse meglio dire: intinsecamente legati a certe sue "caratteristiche" che sembra tu voglia "esaltare"...) - come ad es. il discorso fatto da nessuno/Guglielmo sul "pensiero di gruppo" - ... tu ricorri all'argomento de.. "l'abberrazione";
...quando invece si tratta della libertà e responsabilità individuali ti guardi bene dall'accennare ad un discorso analogo.. ma sei netto, deciso... "poco equilibrato" (tipo: "la libertà non esiste" ecc ecc)...
_________________
.... ....io non mi definisco affatto volentieri ateo, non più di quanto io sia a-MickeyMouse.
..
(detto, fatto)
Inviato il: 11/9/2007 1:41
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  •  nessuno
      nessuno
Re: Il rifiuto della comunità.
#166
Mi sento vacillare
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Arturo scrive:

Citazione:
Posso sbagliarmi ma non mi pare che qualcuno – nel corso della discussione – abbia mai sostenuto l’idea di “far tornare indietro le lancette dell’orologio”
Inoltre che la nostra sia “una società d’individui” penso non possa essere messo in dubbio : la nostra …. e quelle antecedenti l’attuale


Può essere che io abbia male interpretato il contenuto dei messaggi di Prealbe. Ma:

Messaggio n° 139 Citazione:
Per ora dico solo che mi sembra tu assegni alla comunità una serie di caratteristiche che valuti come positive, in contrasto con la forma attuale dello status quo contemporaneo
Citazione:
Secondo te cosa mai vado sostenendo dall’inizio della discussione ad ora? C’è bisogno di conferme?


Citazione:
La comunità, o meglio le sue caratteristiche, rappresenta semmai ciò che nello status quo che ci circonda manca ed è causa del profondissimo e capillare malessere contemporaneo.


Ora, quando qualcuno mi dice che un tempo esisteva una cosa del genere, dotata di caratteristiche che lui ritiene desiderabili, che adesso quella cosa non c'è più e che il fatto di non esserci è causa di tanti guai, io penso che quella persona voglia ritornare a quel modello di organizzazione sociale. Altrimenti perché dovrebbe qualificare in modo positivo una cosa e in modo negativo un'altra? Così per sport?

Ma proporre come soluzione per il futuro l'adozione di ricette che vengono dal passato, dal mio punto di vista, è proprio "riportare indietro le lancette dell'orologio".

Inoltre, Arturo carissimo, la società è una società di individui. La comunità del passato no. La differenza appare chiarissima quando si consideri il diritto comunitario e lo si confronti con il diritto moderno. Nele organizzazioni comunitarie del passato non esisteva il concetto di diritto individuale, né quello di dovere individuale. Diritti e doveri erano del collettivo, non dell'individuo. Un individuo aveva determinati diritti e doveri se e in quanto apparteneva ad una determinato collettivo o comunità. Così, in tutto il periodo dal 1200 al 1600 ritroviamo negli statuti delle comunità una serie di obblighi e diritti che sono della comunità, non dell'individuo. Quasi sempre vengono costruiti ed organizzati in modo tale da garantire una posizione di forza agli apparteneneti ad una comunità contro gli appartenenti ad altre (vedi, ad esempio, gli statuti delle arti e delle corporazioni nell'Italia medievale, il divieto di costruire molini o folli da panni a meno di 15 miglia dalla città).
Oggi i diritti, sociali o politici che siano, sono individuali, non collettivi. Abbiamo il diritto formale di partecipare alal vita pubblica ma anche il diritto di non farlo. Negli statuti delle comunità medievali, ad esempio, il diritto negativo non era riconosciuto e chi non si presentava alle assemblee di comunità poteva essere multato e penalizzato per questa sua decisione.

E quando sostengo che Citazione:
gli individui, una volta scoperto che sono tali e non massa indifferenziata, folla o comunità, siano notevolmente restii a ritornare tali
intendo ovviamente "folla, massa indifferenziata o comunità".
Peraltro, la prima spinta allo sviluppo dell'individualità la diede la Chiesa Cattolica, con l'introduzione, tra l'800 e il 1200, della cponfessione auricolare personale e della penitenza segreta. Fu un cambiamento enorme, perché si passava da un concetto di responsabilità collettiva ad uno di responsabilità personale (per una buona e divertente disamina della questione vedi: Gurevic, "Contadini e santi nell'Occidente Medievale", Laterza). Ma la responsabilità personale è alla base dell'idea di individuo e di individualità. Così, a me appare abbastanza divertente che l'organizzazione che più si adopera e si è adoperata contro la modernità e l'individualità sia stata quella che ne fu all'origine.

Citazione:
Forse che oggi “ date le condizioni tecnologiche, religiose, sanitarie” differenti i singoli individui avrebbero possibilità di scelta [“di far parte meno della massa” suppongo tu abbia voluto dire] maggiori di ieri ?


si, volevo dire esattamente questo. Tu sostieni che siamo in una società di massa, o di folla, nella quale l'individuo non ha né peso né valore, mi pare. In alcuni momenti, e per molte persone è così. Ma, contemporaneamente, è anche sempre presente la possibilità per l'individuo di essere tale, e il diritto di essere tale. Cosa che non si può affermare per l'individuo inserito in una comunità.

Inoltre, mi è piaciuto molto l'accenno alla "società aperta" di Popper, quantunque non ami molto le sue posizioni politiche. Ma, se non altro, Popper ha il merito di sottolineare la presenza di appartenenze plurime. Ora, butto lì un'idea, che mi viene dal tentativo di riflettere su quello che ha scritto Franco8 nel suo ultimo messaggio: che la possibilità di costruire appartenenze multiple su base volontaria ed individuale sia un fattore di stabilità sociale altrettanto importante della coesione comunitaria, ma che funziona meglio. Mi spiego (o, perlomeno, ci provo). Dato che una delle necessità degli esseri umani, assieme al senso di appartenenza, è il senso di distinzione, la possibilità di appartenenze multiple diminuisce l'intensità dei conflitti, mentre la presenza di appartenenze "forti" l'aumenta. Questo perché, nel caso di appartenenze forti l'"altro" è davvero "estraneo", "straniero". Nel caso di appartenenze multiple, l'altro ha sempre (o può avere) qualche punto o elemento "in comune" con me. E questo può ridurre il rischio di scontro.

Buona vita

Guglielmo
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  •  arturo
      arturo
Re: Il rifiuto della comunità.
#167
Ho qualche dubbio
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NESSUNO

ho letto attentamente il tuo post :.ora, purtroppo ti tocca sorbirti il mio !

Posso DI NUOVO sbagliarmi , ma non credo che si stia dissertando sulle conquiste sociali, avvenute nel corso dei secoli, determinate sia dallo sviluppo della scienza e della tecnica ( a cominciare dalla ruota passando per il papiro, l’inchiostro, le vie di comunicazione, la stampa , la macchina a vapore, la penicillina.. fino a giungere alla radio alla bomba atomica alla TELEVISIONE e non si sa a cos’ ALTRO ancora, ..) sia, parallelamente, da quello del pensiero filosofico da Democrito ai giorni nostri

E’ evidente come un’analisi di questo genere porti necessariamente a concludere che IN ASSOLUTO – sotto l’aspetto civile, giuridico, sanitario, lavorativo, informativo ecc…- stiamo” meglio” ( forse !) oggi di quanto non staremmo se fossimo all’epoca – che so - di Tutmosi III

Non mi sembra sia questo il punto

Penso piuttosto che, in uno dei suoi vari aspetti, la discussione tenda a dimostrare come - al contrario di quello socio-tecnologico in progressiva e velocissima evoluzione - il percorso “umano interno all’individuo" stia percorrendo – in questi ultimi tempi - un cammino d segno opposto

Ne è prova l’ impoverimento della creatività, della fantasia, dell’originalità nelle arti e nei mestieri dove si riscontra l’abbandono del senso del “bello” e della spinta alla “ricerca autentica e vgorosa della comunicazione e della manifestazione di sé” oltrechè il degrado qualitativo di moltissime espressioni della vita sociale e di relazione di ciascuno scompaginate dal costante ed indefinibile turbinìo di stimoli mutevoli e contrastanti
.
Ciò si traduce in un sempre più accentuato senso di frustrazione, disillusione,,sconforto, pessimismo. insicurezza determinati da una diffusa mancanza di progettualità che spingono l’individuo a raggomitolarsi nel proprio IO e a ridurre fino a soffocarla “l’ apertura” verso l’altro da sé che è portato ad identificare come “alieno” o come “nemico” o comunque “estraneo a se stesso”

Questa paura a concedere il proprio SE’ e ad accogliere quello altrui è alla base della disperante INCOMUNICABILITA’ che caratterizza la nostra attuale società ( il cui aspetto peculiare – per grottesco paradosso – è costituito dall’ iper-sviluppo planetario della COMUNICAZIONE.) dove l’esigenza imprescindibile dell’individuo ” a relazionarsi” con ciò che è al di fuori del proprio IO è ostacolata dal timore sempre più crescente del rischio di “metterLO in discussione”

Per questo la comunicazione “virtuale”riscuote un formidabile successo di “pubblico”

Prova ne SIAMO NOI con questa discussione che pur consentendo l’approccio e, a volte, il confronto utile e costruttivo, spesso ne permette – in buona o in malafede - l’equivoco, lo stravolgimento, il nonsense ad esclusiva difesa del proprio IO in difficoltà offrendogli la possibilità di imboccare in ogni momento la miracolosa via di fuga “sotto falso nome”

Il “dialogo virtuale” si risolve così in un monologo fra il proprio IO e il proprio IO

Il proprio Sé è al sicuro in ogni istante protetto dal generoso schermo di un pc che ne elimina i segnali fisici emozionali gli unici” trasmettitori” validi in grado di metterci in sintonia con “l’altro”

“Sintonia” che non significa necessariamente condivisione dell’altrui pensiero ma disposizione a “comprenderlo”, elaborarlo, condannarlo, assolverlo,difenderlo sulla base di uno scambio fondato sull’inclusione e non sull’esclusione

Per “inclusione ed “esclusione” non mi riferisco alla *quantità* di un numero fisico di soggetti con i quali manteniamo rapporti.
Mi riferisco alla *qualità* con la quale vengono intrattenuti questi rapporti

Oggi con il “cellulare” si può mandare lo stesso messaggio di auguri di buon anno “a molti” contemporaneamente : un IO, spedisce a “tanti” un suo unico Sé uguale per tutti
Pratico, veloce, semplice. ma soprattutto assai poco impegnativo per il succitato IO e il corrispettivo Se’

“Una volta” era necessario prendere carta e penna.
E, a seconda della “persona”, si sceglieva un tipo di carta, un tipo di penna, un tipo di frase
Era un’ operazione faticosa, qualche volta seccante qualche volta volte piacevole…. in ogni caso sempre impegnativa.sotto l’aspetto emozionale perchè il proprio IO era costretto a fare i conti con il proprio SE’ *e quello altrui* REALI…

La comunicazione era sì più lenta….ma anche molto più “attenta”

Con questa osservazione piuttosto terra-terra ( spero non la prendiate “alla lettera” in ogni senso perché non ho intenzione di proseguire a discutere tramite Poste Italiane) !) non intendo dire che bisogna “mettere indietro le lancette dell’orologio”

Ma soffermarsi a riflettere quand’è che abbiamo perso il contatto , dove e perché si è creato un cortocircuito che ha spento la luce…e che spinge molti che brancolano nel buio ad aggrapparsi “a quelli che gli sono più vicini” senza preoccuparsi degli “altri”, questo, forse, sarebbe bene ci impegnassimo a farlo




,
Inviato il: 11/9/2007 21:11
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Re: Il rifiuto della comunità.
#168
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Fiammifero
Citazione:
Scusate l' OT ma il malessere contemporaneo non è la solita frase che ogni nuova generazione,anche nel passato, si sentiva rinfacciare dalla vecchia tipo : non ci sono più i valori di una volta ! ?

Fiammifero, cortesemente, non togliermi l’illusione di stare argomentando nel merito, vuoi? Grazie mille.

Citazione:
A mio modesto avviso,il malessere è dato dalla "scoperta " che i valori sono state mistificazioni della parola "obbedienza",ossia non porsi domande,accettare per oro colato tutto quello che calava dall'alto,non modificare l'ordine precostituito.

Per ricambiare la tua cortesia, prenderò atto di questo tuo “modesto avviso” senza attribuirlo ad un rifiuto psicologico a riconoscere le differenze qualitative tra il sistema attuale e altre forme di organizzazione delle relazioni sociali, finalizzato a evitarti di rimettere in discussione abitudini di vita meno personalmente impegnative e ormai consolidate, va bene?


Prealbe


P.S. Vale anche per chiunque altro: cerchiamo di non spostare la discussione dal merito degli argomenti alle motivazioni che - celatamente - muoverebbero chi quegli argomenti propone. E’ mossa piuttosto scorretta che ha molti esempi di applicazione nei confronti di chi propone tesi “fuori dal coro”, e che tende a neutralizzare inappellabilmente e preventivamente gli argomenti dell’interlocutore (gli utenti di Luogocomune che abbiano provato a trasmettere certe idee in contesti non disponibili a recepirle e che siano stati etichettati come “complottisti” capiranno molto bene il senso di questa mia osservazione. ).

(Del suddetto filone argomentativo fa parte anche il leit-motiv de “la nostalgia, o - in altri casi - l'utopia di un'età dell'oro, nella quale tutto va bene, non ci sono problemi, le persone sono tutte sagge, buone, brave.” che sarebbe sotterraneamente presente nel mio discutere; ecco, se si potesse evitare pure questo, ne sarei felice. Grazie di nuovo a tutti. Siete un pubblico meraviglioso. )
Inviato il: 11/9/2007 23:51
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      fiammifero
Re: Il rifiuto della comunità.
#169
Sono certo di non sapere
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Prealbe
?????????????
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Citazione:
le cose di cui ci sentiamo assolutamente certi non sono mai vere (Oscar Wilde)
Inviato il: 12/9/2007 0:12
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Re: Il rifiuto della comunità.
#170
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Arturo, ben lieto di "sorbirmi" post di questo genere!

Tu scrivi
Citazione:
Posso DI NUOVO sbagliarmi , ma non credo che si stia dissertando sulle conquiste sociali, avvenute nel corso dei secoli, determinate sia dallo sviluppo della scienza e della tecnica ( a cominciare dalla ruota passando per il papiro, l’inchiostro, le vie di comunicazione, la stampa , la macchina a vapore, la penicillina.. fino a giungere alla radio alla bomba atomica alla TELEVISIONE e non si sa a cos’ ALTRO ancora, ..) sia, parallelamente, da quello del pensiero filosofico da Democrito ai giorni nostri


Per come vedo io la questione, però, sviluppo della scienza, sviuppo della tecnica e sviluppo sociale non sono cose che si muovono indipendentemente l'una dall'altra. Gli antichi Romani il vapore lo conoscevano bene, e lo sapevano usare per molti scopi. Ma non hanno mai costruito una macchina a vapore. E nonn perché mancassero loro le conoscenze sientifiche o le possibilità tecniche. Semplicemente, in un'organizzazione sociale che comprende la possibilità di utilizzare il lavoro degli schiavi, non ha molto senso cercare di sostituire al lavoro umano quello delle macchine.
Spero di riuscire a farmi capire. Non sto parlando di "colpe" della struttura sociale comunitaria. Sto solo avanzando l'ipotesi che quel tipo di struttura sociale, assieme ad una serie di vantaggi, possedesse anche una serie di svantaggi. E che l'incapacità di adottare misure efficaci in termini sanitari, alimentari, produttivi, scientifici e tecnologici abbia avuto molto a che vedere con la struttura sociale allora predominante.


Citazione:
Penso piuttosto che, in uno dei suoi vari aspetti, la discussione tenda a dimostrare come - al contrario di quello socio-tecnologico in progressiva e velocissima evoluzione - il percorso “umano interno all’individuo" stia percorrendo – in questi ultimi tempi - un cammino d segno opposto


Tesi interessante. E legittima. Ma che andrebbe sostenuta non solo con argomentazioni sul "male di vivere", ma con dati, comparazioni, elementi concreti. E con un minimo di definizioni. Parlare di "percorso umano interno all'individuo" può significare molte cose. Può essere che per me abbia un significato e per te un altro. Nulla di male, anzi. Ma, se riesci a fare lo sforzo di rendere più espliciti i tuoi riferimenti, è più probabile che riusciamo a comprenderci a vicenda. Il che non significa essere necessariamente d'accordo. Né su una questione singola, né su altro.
Forse, sono differenti le modalità con le quali gli esseri umani percorrono le loro strade. E, percorrendo strade diverse, si arriva a destinazioni diverse. Che non è detto in partenza debbano essere peggiori.

Citazione:
Ne è prova l’ impoverimento della creatività, della fantasia, dell’originalità nelle arti e nei mestieri dove si riscontra l’abbandono del senso del “bello” e della spinta alla “ricerca autentica e vgorosa della comunicazione e della manifestazione di sé” oltrechè il degrado qualitativo di moltissime espressioni della vita sociale e di relazione di ciascuno scompaginate dal costante ed indefinibile turbinìo di stimoli mutevoli e contrastanti





http://www.italianarea.it/index.php/Gabriele_Di_Matteo/?idartista=1185547501#p

http://www.artemotore.com/scrittori.html

Ma il Pirandello che ami tanto citare, fa parte anch'egli di questo tuo giudizio così negativo? E Alda Merini? E Ozpetek? E Amartya Sen? Il mondo non è popolato solo da Mastella.



Io, sinceramente, non lo vedo questo "impoverimento" del quale parli. Mi pare che siano oggi decisamente più fruibili e disponibili occasioni di espressione di sé che, semplicemente, vengono declinate in forma diversa rispetto al passato.

Con i graffiti


il tatuaggio

L'abbigliamento


L'acconciatura


Ora, se tu ne dai una valutazione personale del tipo "a me non piace questa roba", è un conto. E' legittimo. Ma se mi dici, invece, che esiste meno creatività, poesia, espressione di sé oggi rispetto ad un tempo, mi pare che hai torto.

Citazione:
Ciò si traduce in un sempre più accentuato senso di frustrazione, disillusione,,sconforto, pessimismo. insicurezza determinati da una diffusa mancanza di progettualità che spingono l’individuo a raggomitolarsi nel proprio IO e a ridurre fino a soffocarla “l’ apertura” verso l’altro da sé che è portato ad identificare come “alieno” o come “nemico” o comunque “estraneo a se stesso”


Ma, se fosse vero quel che affermi, come lo spieghi il fenomeno del volontariato, delle cooperative sociali, delle ONLUS, della diffusione del Servizio Civile, della continua attività di costruzione di reti promossa a partire da singoli? Come si spiega "Luogo Comune"? Come si spiega che negli USA, tanto spesso additati come la patria dell'individualismo, le attività di volontariato raccolgono una grandissima adesione? Come si spiega che a costruire immagini dell'altro come nemico sono soprattutto persone come Borghezio, che spinge per un progetto politico localista/comunitario?


Poi continuo

Buona vita

Guglielmo
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Re: Il rifiuto della comunità.
#171
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Continuo....

A me non pare che siamo di fronte ad una "diffusa mancanza di progettualità". Mi pare che siamo di fronte alla difficoltà nel costruire le proprie autobiografie al di fuori degli schemi un tempo prevalenti. Difficoltà reale. Siamo obbligati a inventarci praticamente ogni giorno, a costruire di volta in volta modi di vita, espressioni di noi stessi, segnali, simboli, forme di comunicazione, stili di vita. E sono d'accordo sul fatto che non sia semplice. Né facile. E' il contrappeso della società attuale. Penso di averlo detto altre volte, e lo ribadisco. Non tutto l'esistente mi piace. Né lo considero come "il migliore dei mondi possibili". E' semplicemente quel che abbiamo a disposizione.

Citazione:
Questa paura a concedere il proprio SE’ e ad accogliere quello altrui è alla base della disperante INCOMUNICABILITA’ che caratterizza la nostra attuale società ( il cui aspetto peculiare – per grottesco paradosso – è costituito dall’ iper-sviluppo planetario della COMUNICAZIONE.) dove l’esigenza imprescindibile dell’individuo ” a relazionarsi” con ciò che è al di fuori del proprio IO è ostacolata dal timore sempre più crescente del rischio di “metterLO in discussione”


O, forse, è la difficoltà nell'assumersi le proprie responsabilità in quanto soggetti, in quanto esseri unici ed irripetibili? Essere soggetto agente, dotato di volontà, facoltà di giudizio, capacità di agency (perdonami l'inglese, ma non esiste in italiano un corrispettivo di questo termine), non è cosa semplice. Forse non è cosa che si può richiedere a tutti indistintamente.

Quanto alla comunicazione virtuale, se in quel che dici c'è del vero, è anche vero che attraverso internet, lo schermo, la parola scritta, è possibiloe inziare a costruire comunicazione anche emotiva. Né, peraltro, incomprensioen e stravolgimento sono prerogativa della comunicazione mediata da computer. Chiunque viva (o abbia vissuto) una relazione di coppia sa sulla sua pelle quanto sia facile stravolgere e non comprendere il pensiero dell'altro, pur in una situazione nella quale sono disponibili tutti quei segnali emotivi dei quali parli.
Inoltre (e, credimi, non la voglio mettere sul personale, solo farti notare cose che a me paiono contraddizioni nel discorso) il tuo profilo, ad esempio, non riporta alcuna informazione su di te, né il luogo nel quale vivi, né altro. Questo rende necessario mantenere una discussione su un piano estremamente "etereo", "mentale", "intellettivo". Io posso solo (in assenza di altre informazioni) risponderti basandomi su quel che scrivi e su come lo scrivi. Se vuoi che ci incontriamo, per discutere potendo utilizzare in pienezza i segnali del "linguaggio del corpo", no problem.

Citazione:
Ma soffermarsi a riflettere quand’è che abbiamo perso il contatto , dove e perché si è creato un cortocircuito che ha spento la luce…e che spinge molti che brancolano nel buio ad aggrapparsi “a quelli che gli sono più vicini” senza preoccuparsi degli “altri”, questo, forse, sarebbe bene ci impegnassimo a farlo


Non è proprio quel che stiamo facendo? O tentando di fare? E il fatto che lo stiamo facendo non ci dice anche che esistono "cose buone" nell'esistente, oltre che "persone buone"?

Per Prealbe:
Citazione:
cerchiamo di non spostare la discussione dal merito degli argomenti alle motivazioni che - celatamente - muoverebbero chi quegli argomenti propone. E’ mossa piuttosto scorretta che ha molti esempi di applicazione nei confronti di chi propone tesi “fuori dal coro”, e che tende a neutralizzare inappellabilmente e preventivamente gli argomenti dell’interlocutore (gli utenti di Luogocomune che abbiano provato a trasmettere certe idee in contesti non disponibili a recepirle e che siano stati etichettati come “complottisti” capiranno molto bene il senso di questa mia osservazione.


Pienamente d'accordo.
Ma quando hai affermato che

Citazione:
Chi sostiene la prevalenza della "libertà del singolo" rispetto alla comunità e definisce quest'ultima come "feticcio", sta solo dichiarando la propria profonda incapacità di pensare un rapporto di identificazione forte con l'altro da sé.


Mi pare che hai fatto esattamente quel che ad altri chiedi di non fare. Nessun problema ad accontentarti, ma rilevo la contraddizione.

Buona vita

Guglielmo
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Inviato il: 12/9/2007 11:45
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Re: Il rifiuto della comunità.
#172
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Guglielmo
Citazione:
Mi pare che hai fatto esattamente quel che ad altri chiedi di non fare. Nessun problema ad accontentarti, ma rilevo la contraddizione.

Guglielmo, siamo ben lontani dall'incipit della discussione. E il post di apertura, non essendosi per definizione ancora manifestati interlocutori, è necessariamente non diretto nei loro confronti. A questo punto della discussione, invece, in cui gli interlocutori ci sono e ben precisi e hanno espresso in maniera articolata ragionamenti e analisi, introdurre tesi del genere suona un po' di sviamento, come dicevo, dal contenuto delle tesi esposte.

Non è neanche gradevole che tu ti affretti a puntualizzare su questo passo, mentre molti altri punti dei miei tre post precedenti, assai più pertinenti all'argomento dibattuto, stanno aspettando risposta.

E infine anche la tua frase "Come si spiega che a costruire immagini dell'altro come nemico sono soprattutto persone come Borghezio, che spinge per un progetto politico localista/comunitario?" suona un pochino, riguardo la correttezza del dialogo, discutibile: stai cercando per caso di assimilare qualcuno dei presenti all'immagine del succitato?

Fai il bravo, allora: visto che condividi pienamente quanto ho osservato, mettilo anche in pratica.


Prealbe
Inviato il: 12/9/2007 19:45
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Re: Il rifiuto della comunità.
#173
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Citazione:
Guglielmo, siamo ben lontani dall'incipit della discussione. E il post di apertura, non essendosi per definizione ancora manifestati interlocutori, è necessariamente non diretto nei loro confronti. A questo punto della discussione, invece, in cui gli interlocutori ci sono e ben precisi e hanno espresso in maniera articolata ragionamenti e analisi, introdurre tesi del genere suona un po' di sviamento, come dicevo, dal contenuto delle tesi esposte.


Non meniamo il can per l'aia, Prealbe. Nel momento in cui si inizia un discorso ci si rivolge ad interlocutori. Il fatto che non siano (ancora) presentificati non è una scusante. Un po' come se dicessi: "Siete dei cretini". E, quando qualcuno risponde seccato, dici: "Ma io non mi rivolgevo a te".

Citazione:
Non è neanche gradevole che tu ti affretti a puntualizzare su questo passo, mentre molti altri punti dei miei tre post precedenti, assai più pertinenti all'argomento dibattuto, stanno aspettando risposta.


Non mi prefiggo l'obiettivo di essere "gradevole". Quanto ai punti, dammi tempo. Ho già detto che ho bisogno di tempo per pensare e cercare fonti. Io non sono un'esperto del settore "comunità". Sono solo un dilettante.

Citazione:
E infine anche la tua frase "Come si spiega che a costruire immagini dell'altro come nemico sono soprattutto persone come Borghezio, che spinge per un progetto politico localista/comunitario?" suona un pochino, riguardo la correttezza del dialogo, discutibile: stai cercando per caso di assimilare qualcuno dei presenti all'immagine del succitato?


Abbi di me un'opinione migliore, se puoi. Ho molti dubbi, ma sul fatto che né tu né arturo siate accomunabili a Borghezio non ne ho affatto! Comunque, dalle mie parti, questo si chiama "pensiero paranoico".

Citazione:
Fai il bravo, allora: visto che condividi pienamente quanto ho osservato, mettilo anche in pratica.


Ecco fatto

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Guglielmo
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Inviato il: 12/9/2007 20:26
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Re: Il rifiuto della comunità.
#174
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Guglielmo
Citazione:
Non meniamo il can per l'aia, Prealbe. Nel momento in cui si inizia un discorso ci si rivolge ad interlocutori. Il fatto che non siano (ancora) presentificati non è una scusante. Un po' come se dicessi: "Siete dei cretini". E, quando qualcuno risponde seccato, dici: "Ma io non mi rivolgevo a te".

Guglielmo, se hai qualcosa da eccepire - nel senso descritto - su come ho interloquito con te (e non con un ipotetico “qualcuno”), se cioè ritieni che nel dibattito io abbia spostato la discussione dai tuoi argomenti alle motivazioni recondite che ti porterebbero ad avanzarli, evidenziamelo pure. Vale naturalmente per chiunque altro dei partecipanti. In mancanza, invito te a non menare il can per l’aia con appunti fuori luogo, dopo decine di miei post in cui ho discusso solo e unicamente il contenuto delle tesi altrui e mai chi le avanzava.

Citazione:
Abbi di me un'opinione migliore, se puoi. Ho molti dubbi, ma sul fatto che né tu né arturo siate accomunabili a Borghezio non ne ho affatto! Comunque, dalle mie parti, questo si chiama "pensiero paranoico".

Certo, Guglielmo: "pensiero paranoico". Allora spiega, nell’economia del presente dibattito con i presenti interlocutori, la necessità di introdurre una frase che collega Borghezio al concetto di comunità: se non è quella di associare le connotazioni negative del primo al secondo (con le debite conseguenze traslative verso chi reputi positivamente quest'ultimo), a me sfugge l’ipotesi alternativa.


Prealbe
Inviato il: 12/9/2007 22:30
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Re: Il rifiuto della comunità.
#175
Sono certo di non sapere
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anno 1950: piccolo paese di 300/400 anime,una piccola comunità cattolica,contadina,patriarcale confinante con altre piccole comunità simili che alla fine degli anni 1960 si è spopolato perchè
la radio e la televisione hanno cominciato a far vedere che esistono altre realtà ed altri modi di vivere e di pensare alla faccia di quello che è sempre stata una legge non scritta ma tramandata e seguita per non essere chiacchierati, poi negli anni 90 il paesino si è ripopolato da quelli che se ne erano andati ,per nostalgia e pur essendo quasi tutte le stesse persone la comunità non è la stessa,perchè?
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le cose di cui ci sentiamo assolutamente certi non sono mai vere (Oscar Wilde)
Inviato il: 12/9/2007 23:18
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Re: Il rifiuto della comunità.
#176
Mi sento vacillare
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Certo, Guglielmo: "pensiero paranoico". Allora spiega, nell’economia del presente dibattito con i presenti interlocutori, la necessità di introdurre una frase che collega Borghezio al concetto di comunità: se non è quella di associare le connotazioni negative del primo al secondo (con le debite conseguenze traslative verso chi reputi positivamente quest'ultimo), a me sfugge l’ipotesi alternativa.


Lanecessità (o, più propriamente, la piccola provocazione) è data dal capire quale sia la tua "comunità di riferimento". E' diversa da quella preconizzata da Borghezio, stando a quel che mi rispondi (ricordi? non ho il dono di leggere nella mente). Quindi sono più tranquillo per la mia incolumità personale

Pensiero paranoico, dalle mie parti, non è né un insulto né una connotazione negativa. E' un tipo di pensiero che, in moti casi, risulta estremamente utile e funzionale alla sopravvivenza in ambienti ostili. Tutto lì.

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Inviato il: 13/9/2007 10:51
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Re: Il rifiuto della comunità.
#177
Ho qualche dubbio
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INIZIO OT
@ Nessuno

Hai segnalato alcune immagini che confermano la mia affermazione :
oggi viviamo in un epoca poverissima di fermenti creatvi e di ricerca innovativa.

L'”espressione artistica” è costantemente rivolta al passato, ne “ruba” le intuizioni e ne ricalca gli spunti aggrappandosi alle robuste radici dei movimenti culturali del secolo scorso : è “anchilosata”, disorientata ed incapace d’interpretare “il futuro”








Non mi è stato possibile fare una ricerca più significativa e ho preso le prime immagini che mi sono capitate a tiro ( si tratta di "particolari" di un capolavoro razionalista progettato da Eric Mendelsohn nel 1935) ma se si facesse una ricerca approfondita ci si accorgerebbe che “oggi” non c’è niente di nuovo sotto il sole da questo punto di vista

Forse il progresso tecnologico “aiuta” ma la “creatività interiore” è pressochè assopita

Mi hai citato Pirandello, ma lui è un geniale drammaturgo DEL SECOLO SCORSO... citamene uno che oggi, a 37 anni sia capace di concepire qualcosa di paragonabile ( mutatis mutandis) al “ Il fu Mattia Pascal” !

Mi hai citato un regista interessante, ma non mi hai citato un “movimento artistico” confrontabile - ad esempio - al neo-realismo di Visconti, De Sica, Rossellini registi, anzi maestri, che non sono *racchiusi* e non si sono "conclusi" nelle loro opere ma hanno “aperto una strada” agli altri…( “Il mio viaggio in Italia” di Scorsese è significativo rispetto a quanto intendo dire..)

Riguardo alla moda nell’abbigliamento… qui forse sarebbe bene non insistere troppo in quanto a “nuove idee”… e con Missoni, poi !

Al contrario una la riflessione sul linguaggio della moda come interpretazione della società sarebbe un argomento assai interessante da sviluppare

Il dscorso però si farebbe lungo e ci porterebbe fuori tema, quindi penso sia meglio metterlo da parte ed utilizzarlo per un altro forum, semmai

FINE OT
Inviato il: 13/9/2007 17:05
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  •  prealbe
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Re: Il rifiuto della comunità.
#178
Mi sento vacillare
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Citazione:
Lanecessità (o, più propriamente, la piccola provocazione) è data dal capire quale sia la tua "comunità di riferimento". E' diversa da quella preconizzata da Borghezio, stando a quel che mi rispondi (ricordi? non ho il dono di leggere nella mente). Quindi sono più tranquillo per la mia incolumità personale

Lasciando perdere la facezia - ormai un po' abusata, tra l'altro - della telepatia che non rientra nelle tue facoltà, perché non ti attieni semplicemente a quanto viene espresso dall'interlocutore, senza cercare di ricondurlo per forza a correnti di pensiero preconfezionate?

Stai tanto a battere sulla singolarità individuale e poi, quando si tratta di rapportarsi con un individuo e le sue personali e specifiche idee, senti invece il bisogno di inquadrarlo obbligatoriamente in qualche fazione a te nota, riducendolo a speaker di idee altrui?

Ah, però!!!

Citazione:
Pensiero paranoico, dalle mie parti, non è né un insulto né una connotazione negativa. E' un tipo di pensiero che, in moti casi, risulta estremamente utile e funzionale alla sopravvivenza in ambienti ostili. Tutto lì.

Ho capito. Un po' come, dalle mie parti,

"Ma va a cagare!"

rivolto a chi fornisce spiegazioni inverosimili delle proprie frasi, è espressione di profondo rispetto e di sincera stima per l'interlocutore. Una cosa del genere, no?

Certo che, a ben rifletterci, io e te abitiamo da certe parti un po' strane quanto al significato di alcune espressioni (che nella maggior parte delle altre parti sono percepite non proprio positivamente). Il che è davvero curioso, se si pensa che "facciamo riferimento solo a significati noti e comuni". Come diavolo sarà mai?


Prealbe


P.S. E, dopo questa più o meno simpatica parentesi, mi piacerebbe si potesse tornare seriamente al dibattito, senza tue ulteriori provocazioni (piccole e meno piccole). Thanks a lot.
Inviato il: 13/9/2007 22:39
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Re: Il rifiuto della comunità.
#179
Mi sento vacillare
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Sono rimasto in forse se continuare a discutere o meno, dato che mi sembra che te, Prealbe, te la prenda un po' troppo. Ma mi piacerebbe capirne qualcosa di più delle tue posizioni.

Intanto, per Arturo

Citazione:
Non mi è stato possibile fare una ricerca più significativa e ho preso le prime immagini che mi sono capitate a tiro ( si tratta di "particolari" di un capolavoro razionalista progettato da Eric Mendelsohn nel 1935) ma se si facesse una ricerca approfondita ci si accorgerebbe che “oggi” non c’è niente di nuovo sotto il sole da questo punto di vista


1935??? Mi sembrava che l'epoca nella quale si collocava l'esistenza della "comunità" stesse tra l'Alto Medioevo e il 1700. E tu mi vieni a portare immagini del 1935? Cioè di ieri, in termini storici. Interessante. Devo dedurne che la comunità e la vita comunitaria sono, secondo te, cose che nel 1935 esistevano... Sono un po' esterrefatto, ma potrebbe pure essere possibile, per quel che ne so. Attendo ulteriori informazioni in merito, se possibile.

Citazione:
Mi hai citato Pirandello, ma lui è un geniale drammaturgo DEL SECOLO SCORSO... citamene uno che oggi, a 37 anni sia capace di concepire qualcosa di paragonabile ( mutatis mutandis) al “ Il fu Mattia Pascal” !


Ma il tuo Pirandello non è per caso uno dei migliori interpreti di quel "male di vivere" del quale si denuncia l'esistenza, mettendolo in carico alla scomparsa della comunità? Non è lo scrittore "moderno" per eccellenza? Quello che ha saputo cogliere lo spaesamento e la frammentazione degli esseri umani nella società moderna? Del secolo scorso, dici bene. Ma è da due o tre secoli che non viviamo più in una società comunitaria (a mio parere, nei centri urbani, è più o meno dal 1500-1600, ma è una mia opinione personale).

In sostanza, grazie. Hai portato nuovi argomenti alla mia tesi secondo la quale la società industriale moderna consente una creatività ed una produzione e fruizione artistica maggiori rispetto alle forme di civiltà precedenti ad essa.

Torniamo a Prealbe

Una cosa che non comprendo bene, e che mi pare costituisca un paradosso, è la presenza di due argomentazioni (se capisco bene iil tuo discorso):

Da un lato, sostieni che a dare significato al singolo è la rete sociale, la comunità, e che il singolo si forma e cresce entro una struttura collettiva che lo determina, che è a lui preesistente e che è necessaria alla sua vita. Una struttura dotata di un suo pensiero, una sua intenzionalità, una sua capacità e volonta. Il che, per come lo intendo io, vuol dire che la comunità costituisce "l'orizzonte di senso" del singolo il quale non può pensarsi "al di fuori" di una comunità. E, quando ci prova - volontariamente o costretto a farlo dai mutamenti della struttura sociale e dalla scomparsa della comunità - le conseguenze sono pesantemente negative.

Però, nel momento in cui chiedi di "tornare alal comunità", di fatto, ti stai collocando "fuori" da questa forma di comunità che è la società moderna. Ma come puoi collocarti fuori da un contesto dato e a te preesistente, se questo contesto determina l'orizzonte di senso della tua esistenza? E, soprattutto, come puoi farlo se non agendo da individuo, animato da una sua volontà, contro l'intera società esistente?

E' questo il paradosso che vedo nella tua posizione. Per poter sostenere che l'individuo deve essere subordinato alla comunità, devi affermarlo tu, come individuo. Nel momento in cui, in una società che assume come valore costitutivo l'individualità, sostieni che sarebbe necessario tornare alla comunità, su che basi lo fai se non su quelle della tua volontà individuale?

Buona vita

Guglielmo
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Re: Il rifiuto della comunità.
#180
Mi sento vacillare
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Riprendo da una questione (per me) fondamentale:

Mooolto tempo fa, Prealbe scrisse:

"Da una parte abbiamo una comunità - che significa tante persone - la quale, giusto o sbagliato, ha trovato il suo equilibrio funzionale che comprende, giusti o sbagliati, tradizioni, usanze, codici etici, leggi, obblighi reciproci e quant'altro (i quali, per la maggior parte, si fondano su una interiorizzazione profonda di modelli di comportamento condivisi praticamente, piuttosto che su elucubrazioni attorno alle teorie morali).

Dall'altra abbiamo Messer l'Individuo che, non avendo sottoscritto alcun contratto dall'Illustrissimo Signor Notaro in presenza dei Messeri Testimoni (obbligatori per legge in numero di tre), ma essendosi limitato a nascere e crescere in quella comunità, ad un certo punto, tediato dall'esistenza di obblighi e limitazioni per lui incomprensibili, decide di fare come meglio gli pare, strafregandosene di tutto quel mare di fesserie su cui gli altri hanno semplicemente plasmato la loro esistenza: ché, è un problema suo? No, certamente no.

La comunità - cioè altri molti individui - é un attimo in dubbio tra due possibili reazioni:

1) Scusarsi collettivamente col Messere per avergli procurato involontariamente tanto fastidio con la propria esistenza e sciogliersi prontamente come comunità per non importunarlo ulteriormente.

2) Prenderlo a calci nel culo - in senso più o meno figurato - fino a che non la pianti di creare problemi al funzionamento della comunità - cioè alla vita di altri molti individui - con le sue individuali ed egocentriche pretese.

Quale delle due (giusta o sbagliata) sarà più sensata, nell'ottica della comunità, cioè degli altri molti, molti individui che non sono il Messere Recalcitrante ma con lui convivono? Io lo so, ma non lo dico.


A differenza della tua comunità, in questa società si può scegliere una "terza via" (no, Blair non c'azzecca nulla!): sei perfettamente libero di mandare tutti a quel paese, decidere che gli altri hanno torto marcio e vivere come cacchio ti pare (che credo sia poi quel che fai, concretamente, tutti i santi giorni) senza che alcuno ti pigli a calci in culo per questo

La differenza sta tutta lì. E non è una differenza da poco.

Inoltre, non ho capito perché ce l'hai tanto con questa orrida bestia chiamata "individualismo". Uno dei cardini dell'individualismo sta nella massima: "Ognuno ha il diritto di fare quello che vuole finché le sue azioni non danneggiano direttamente qualcun altro". Se ti pare poco...
Basterebbe questo, e puoi mandare a quel paese leggi, stati, poliziotti, entità collettive varie, ecc. ecc. ecc.

Buona vita

Guglielmo
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