Re: messaggi subliminali sull

Inviato da  Makk il 12/3/2011 14:23:54
Citazione:

florizel ha scritto:
la necessità di continuare ad esprimere la propria arte, poiché sperimentarne gli effetti ha prodotto dei risultati, in termini di soddisfazione e di autostima… Cosa diversa da chi, spinto dalla necessità di lavorare e fare un lavoro per cui non si sente “tagliato”, non può fare… e finisce per atrofizzare un’eventuale predisposizione artistica… (opinione, anche questa solo mia)…

OK. Rispettabile e parziale.
Può essere che l'abbrutimento di un lavoro spersonalizzante inaridisca il "fuoco" dentro una persona. Non parliamo di arte, non ce n'è bisogno. C'è "qualcosa" di grande in moltissimi di noi e può manifestarsi in qualunque modo. Incluso un fare bene e con dedizione un lavoro che non gli fà né caldo né freddo.*

*Che non c'azzecca con la "etica del lavoro", funzionale a come la vogliono i padroni, e la cui esperessione massima è "arbeit macht frei".

Personalmente tendo a credere che le persone "spengono" il qualcosa dentro di loro, piccolo o grande che fosse questo qualcosa, perché era destino.
Infatti trovi quelli che lo fanno senza nessun bisogno di lavori mortificanti come causa. Gli autodistruttivi, ad esempio. I deboli.
Che però sono molti meno di quanto si crede, quando si guarda alle persone con occhio indulgente. Se li guarda severamente allora son tutti cadaveri di quello che avrebbero potuto essere.

O una via di mezzo: alle persone capita di sopprimere una parte di sé nello scontro con la vita. E continuano lo stesso ad essere "belle persone", quando ci parli, quando vedi sogni, aspirazioni, il rifugio (purché non ossessivo) in attività gratificanti, l'affetto che non aspettano altro che la minima "provocazione" per manifestare.

Oppure no. Niente avevano dentro, niente viene schiacciato dall'alienazione (in senso marxiano).

Citazione:
Vero, verissimo che chi ha quell’arte, quel fuoco sacro dentro, non può reprimerlo.
Ma deve averne coscienza.

Non ti posso dire "non è così", perché è vero: se hai la tua "cosa" e ne trai piacere difficilmente riusciranno a soffocartela. Ma, come detto sopra, si dà anche il contrario: per quanto grande sia la cosa che hai dentro, se sei un debole riuscirai a mandarla a puttane.

“ma l’essere umano FINISCE PER ESSERE ciò che FA, anche se non lo è?”.
Indendendo "l'attività lavorativa", forse sì forse no.
E' indubbio che l'applicazione quotidiana a una disciplina crea delle "gabbie" mentali.
Gli ingegneri dicono "ingegneria fà male al cervello". E' una facoltà durissima, che sottopone l'individuo a un addestramento a sezionare, analizzare, sminuzzare i problemi che si può ben definire "violento". E quest'addestramento si può trasferire anche all'atteggiamento generale fuori dalla professione.
Ma vivere circondato da ingegneri (a me è capitato) è divertente: sono pazzi e sconclusionati, pieni di "tic" pseudo-razionali, e nello stesso tempo sono (quasi tutti) consapevoli di esserlo, sono autoironici se li prendi fuori dall'ambiente di lavoro. Si lasciano sfottere proprio nella razionalità (trucchetto: perché è un campo dove si sentono al sicuro).
Sono bellissimi e indifesi, umanamente. Per questo (sempre fuori dalla professione) sono quasi sempre miti, o burberi (nel senso che le ciglia aggrottate non vanno prese sul serio) che è l'altra faccia della medaglia che chiamiamo "timidezza".

L'uomo esce sempre fuori, secondo me. Al di là delle "gabbie". E questo non mi consente di essere d'accordo con il tuo "finisce per essere ciò che fa".

Citazione:
In primo luogo, non chiedevo se l’individuo E’ ciò che FA, ma se finisce per esserlo spinto dalle necessità. Questo è molto differente dall’ipotesi secondo cui FA ciò che E’, tesi da cui parte Makk.

Il bello è che Makk scrive pure che io avrei stravolto quello che LUI pensa…

... quando mi dici "allora spiega a Tuttle eccecc".
Io ho scritto che se si intende la cosa in assoluto, allora parliamo di "azione". L'uomo finisce per comportarsi (agire) secondo quello che ha dentro: ha poco, farà poco; ha tanto, farà tanto. Quanto "promette a chiacchere" è irrilevante.
Dunque
“ma l’essere umano FINISCE PER ESSERE ciò che FA, anche se non lo è?”.
La risposta è SI, ma non è vero che "non lo è". Finisce per essere ciò che fà perché è così che doveva andare.

Se parliamo di quanto l'attività che svolge condizioni il suo mostrarsi all'esterno, la risposta che ho dato era
D.: “ma l’essere umano FINISCE PER ESSERE ciò che FA, anche se non lo è?”.
R.: No. Se non vuole.
Si. Se è pigro.

Come ho argomentato (o forse solo "esemplificato"), può mantenere la sua essenza non ostante i tentativi della "macchina" lavorativa di appiattire la sua personalità. O può lasciarsi andare ai meccanismi della macchina.
Devi "agganciarlo" fuori dall'ambiente lavorativo per capire quanto abbia ceduto alla pressione normalizzatrice del lavoro (e devi avere voglia di agganciarli per rispondere a questa domanda).

Citazione:
Citazione:
Nel merito della TUA idea, è un'idea romantica ma non molto riscontrabile nella realtà.

Mah… ne conosco di persone che hanno finito per acquisire una determinata forma mentale in quanto costretti ad esercitare, per lavoro, una parte delle loro facoltà a discapito di altre.

Mi ricordo il papà di un mio amico. Sbirro. Una persona molto umana, quindi con una catasta di pregi e di difetti. Un giorno che gli chiedo qualche info su come rinnovare il passaporto, mi cambia faccia, smette di parlare vivacemente il dialetto di Torre del Greco (mediamente capivo si e no la metà di quello che diceva), e attacca con voce monotona "Lei deve recarsi, con una marca da 5.000, presso l'ufficio passaporti, sito al secondo piano..." del "lei"... a ME!!! Lui!

Io non ho dubbi su cosa significava avere a che fare col papà di Ciro in ufficio (il solito burocrate testa di cazzo), ma non neanche dubbi sul perché Ciro ha pianto come un vitello al suo funerale, e così molti dei presenti.


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Di certo* tu NON sei il tuo lavoro.

So che usi un “tu” generico

Eggrazzie: è una frase di fight club, dipinta sotto casa mia, con una A cerchiata come firma.

Citazione:
ma solo per portarti un esempio: il fatto che io non abbia mai avuto un lavoro stabile, e che abbia sempre dovuto cercarmene uno, ha consentito che io conservassi delle modalità diciamo… coerenti con la mia personalità. Se avessi fatto un lavoro di tipo esecutivo probabilmente avrei costretto in un angolo quelle mie particolari caratteristiche.
Oggi faccio un lavoro molto vicino a ciò che sono.
Mi piacerebbe molto che tutti potessero godere, di questa possibilità.

Romantico, appunto.
Chi ti dice che il Rag. Ugo Fantozzi non sia anche un vignaiuolo eccezionale e una persona squisita, coi suoi 400mq di terra poco fuori Roma?

Tu hai pagato dei prezzi per conquistarti un lavoro che ti si confà, lui ha pagato dei prezzi per conquistarsi il fazzoletto di terra più baracchetta non condonata e trovare la sua pace e ragione di vita.

Chi ti garantisce che le sue doti (di vignaiuolo) siano più "messe all'angolo" delle tue?

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