Re: La scomparsa del volo Malaysian 370

Inviato da  part_time il 25/3/2014 0:42:16
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Lunedì a Panama, i piloti di tutto il mondo che fanno parte dell’Ifalpa discuteranno le misure da intraprendere di fronte alle reticenze che avvolgono il mistero del volo MH370 della Malaysian Airlines, scomparso l’8 marzo scorso. C’è irritazione per lo stillicidio di informazioni che i paesi coinvolti stanno centellinando col contagocce. Soprattutto a livello militare. Nessuno crede che satelliti e radar non abbiano visto, e si fa strada invece il sospetto che siano ormai in molti a sapere cosa è successo ma si rifiutino di condividere i dati per non scoprire le carte dei loro sistemi di difesa.

La Tailandia ha rivelato solo ieri, dopo dodici giorni, che aveva il Boeing 777 sui radar militari. L’Australia non ha deciso se rendere trasparenti le informazioni raccolte dalle installazioni di Jindalee, in condizioni di monitorare tutto a 3mila miglia di distanza, persino di vedere un jet che decolla dall’aeroporto di Singapore. Ci sono di mezzo segreti e frizioni tra i 26 paesi coinvolti nelle ricerche. “E tutto questo lascia sconcertati”, dice Danilo Recine, pilota di Boeing 777, ex pilota di caccia intercettori, e Direttore esecutivo dell’Anpac, una delle associazioni italiane dei piloti civili.

Recine, possibile che in un’area militarizzata come quella nessuna difesa aerea, dall’India all’Australia, si sia mobilitata per identificare un jet che ha volato per quasi sette ore con tutti i sistemi di identificazione spenti?
“Possibile ma davvero poco probabile. Io credo che tutti l’abbiano visto, e lo stiamo scoprendo un poco alla volta. L’India, per fare un esempio, ha un sistema di difesa pazzesco che va dai caccia di ultima generazione ai radar ai satelliti. In questa storia il livello delle informazioni non dipende dagli strumenti, che ci sono e sono sofisticatissimi, ma dalla non cooperazione tra i paesi. Detto questo, cominciamo a dire ciò che è impossibile”.

Cosa è impossibile?
“Che possa sparire un aeroplano. Ma soprattutto di quelle dimensioni. Che sul radar primario, cioè militare, dà un ritorno immenso. Sui loro schermi i controllori militari vedono una traccia piccola o grande proprio a seconda delle dimensioni di un aereo. E il Boeing 777 è praticamente un campo di calcio che vola”.

Mettiamo che i controllori militari fossero distratti.
“Tutti? In tutti i paesi? Comunque, mettiamo pure che quella sera i radaristi tailandesi stessero brindando per festeggiare non so cosa. Ma il giorno dopo? Possibile che non abbiano esaminato tutte le tracce registrate dai radar? Ma certo che l’hanno fatto, solo che le hanno consegnate l’altro ieri, con dodici giorni di ritardo”.

Perché, cosa avrebbero dovuto coprire?
“Non mi piace immaginare scenari. Ma mi viene da pensare che ciò che è successo, e di cui certamente qualcuno è a conoscenza, sia così scomodo e grave per la Malesia che è stata fatta la scelta di non rendere pubbliche tutte le informazioni”.

Allora dobbiamo fare delle ipotesi.
“Io non mi sento ancora di escluderne nessuna, a cominciare dall’incidente. Il primo punto da considerare è che non c’è stata alcuna segnalazione di allarme. Ma anche nel caso dell’incidente dell’Air France oggi sappiamo che l’emergenza fu così immediata e traumatica da lasciare i piloti come imbambolati, e poi così impegnati a cercare di risolvere il problema che non ebbero tempo di lanciare l’allarme”.

Vero, ma in questo caso parliamo di un aereo che non è precipitato dopo pochi minuti ma avrebbe continuato a volare per quasi sette ore.
“Non lo sappiamo. L’unica certezza è che si è perso il contatto col radar secondario civile, quello che dice chi sono, da dove vengo e dove sto andando. E potrei averlo perché ho spento deliberatamente i sistemi radar o perché ho avuto un’emergenza molto grave, anche se molto poco probabile, ad esempio ai circuiti elettrici”.

Che avrebbe causato un incendio a bordo.
“Accadde a un aereo della Swissair che non ebbe il tempo di atterrare ad Halifax”.

Però lanciarono più di un allarme. Invece qui c’è da considerare una seconda certezza: Il Boeing 777 ha invertito la rotta e ha riattraversato tutto lo spazio aereo malese fino allo Stretto di Malacca. Almeno questo i militari l’hanno ammesso e confermato. E parliamo di almeno un’ora e mezza, due ore di volo.
“Forse cercavano un aeroporto dove atterrare in emergenza, magari con i sistemi di comunicazione fuori uso. Ma non andrei troppo sul tecnico, rischiamo di rendere plausibili tutte le ipotesi”.

A proposito di tecnicismi, se fosse stato un guasto, il fatto di non conoscerne la natura mette in potenziale pericolo tutti gli altri novecento e passa Boeing 777 che volano attualmente.
“A livello industriale credo che alla Boeing siano preoccupatissimi, perché gli è sparito senza motivo uno degli aerei considerati più sicuri al mondo. E la cosa che irrita di più è che qualunque radar, anche il più obsoleto, lo deve aver visto. Per tracciarne la rotta sul radar primario significa che lo hanno tenuto sotto controllo per parecchio tempo”.

Dicono che abbia raggiunto una quota di 45mila piedi e poi sia sceso a 5mila.
“Bah, io ci volo sul Boeing 777 e, fatti due calcoli, mi sembra molto strano. L’aereo vuoto pesa 150 tonnellate, aggiungiamoci 60 tonnellate di carburante e 40 tra passeggeri e bagagli. Arriviamo a circa 250 tonnellate. In quelle condizioni, 35mila piedi sono la quota giusta, magari arrivo a 39mila. Ma poi mi fermo perché di più non ce la faccio a salire. Quindi, se è vero, l’aereo c’è arrivato in un assetto non usuale, per poi riscendere repentinamente”.

Fino a 5mila piedi, cioè circa 1500 metri.
“Non so. Tutto può essere ma questi dati così non ci dicono niente che possa spiegare cosa è successo”.

Da pilota civile, oltre che da ex pilota di F-104, le sembra possibile che i militari non abbiano contattato l’aereo o addirittura non siano andati a vedere facendo alzare la caccia?
“No. Assolutamente. Ma il discorso inizia prima. Non è sempre vero che uscendo da uno spazio aereo civile, come in questo caso nella transizione tra il controllo malese e quello vietnamita, il radar non mi veda. Al contrario, mi vede anche se via radio io non sto comunicando. Quando noi andiamo a Tokio e sorvoliamo la Siberia per sette ore, è previsto che non siamo sotto controllo radar ma loro ci vedono lo stesso. Tanto è vero che quando passiamo sul punto X e non lo comunichiamo, loro ci contattano e ci dicono: hai passato il punto X, perché non hai chiamato?

E qui veniamo al quesito cruciale che riguarda lo spegnimento del transponder e del sistema Arcas, che invia a terra le informazioni tecniche sul funzionamento dei motori e degli apparati di bordo. E’ stato spento deliberatamente o può essere stato un guasto?
“Da pilota dico che è possibile ma poco probabile che si sia trattato di un guasto. Dovrebbe essere stata una emergenza elettrica che ha interrotto tutto”.

Che però impedirebbe di manovrare.
“Non del tutto, diciamo in modo banale che potrei ancora pilotare ma in modo molto più difficile. Stiamo parlando di un aereo dove la cloche non è collegata ai comandi via cavo come una volta, sul Boeing 777 è tutto computerizzato. Dovrebbe essere stata una avaria che ti mette nei guai grossi. Ma anche in quel caso, si sarebbe aperto un portellone sotto la pancia da cui esce un’elica che produce un minimo di pressione idraulica e corrente elettrica… prima di buttare giù un aereo del genere ce ne vuole”.

Ma se ha volato sette ore come dicono, allora che storia è?
“La storia di un aereo che vola in un mondo che non ci sta raccontando nulla. Perché, ripeto, è impossibile che un Boeing 777 voli per tutto quel tempo senza essere visto”.

E senza che venga intercettato.
“Certo. Perché già quando non rispondo al controllore civile, quello comincia a cercarmi. E se non mi trova, chiama la difesa aerea, che a sua volta si mobilita. Ma stiamo scherzando? Poi è chiaro che qualcuno deve prendere la decisione di far alzare gli intercettori, però dopo un po’ avviene. Non esiste che non sia successo in sette ore. Laggiù, poi. Dove anche uno spillo che vola è potenzialmente un pericolo. Forse la gente non si rende conto di quante cose siano cambiate dopo l’11 settembre”.

Negli Stati Uniti non sarebbe possibile.
“Negli Stati Uniti, oggi ti buttano giù. Lo dico chiaramente. E non dopo sette ore”.

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