Re: IL LATO OSCURO DI ROBERTO SAVIANO

Inviato da  Makk il 22/12/2010 1:26:07
Non capisco perché citare ampi stralci di un mio intervento per poi non entrare nel merito di quello che dico e partire con un "ma dell'esistenza dell'olocausto ne vogliamo parlare?"

No. E' parecchio off-topic, come bacicco correttamente riconosce, ma questo non è un gran problema. Il punto è che la faccenda non è determinante per me.
Che l'olocausto ci sia stato o meno non incide su quella che era la mia tesi, e cioè:
l'olocausto e tutta la storia pregressa di persecuzioni a danni degli ebrei sono un formidabile shcermo deformante per tutti gli ebrei, difficilissimo da neutralizzare, che gli inibisce una corretta e limpida visione di quello che riguarda israele.

Che l'olocausto sia o non sia esistito è "irrilevante" in tale prospettiva, perché quello che conta è che gli ebrei (e i gentili) siano convinti che sia esistito.


Invece, in topic e a proposito di Saviano.

Come ho detto, è un borghesotto. Coraggioso ma di sicuro non rivoluzionario.
Come ho detto social-confuso e, nel caso di Israele, direttamente chiuso di mente e di occhi.
Che sia un servo del sionismo non ci piove, che sia un servo consapevole continuo a non avere prove e a dubitarne.
Che sia un qualunquista politico l'ho anche detto. Un "signor mezze-misure".

Ed ecco che lo dimostra con la sua Lettera Aperta agli studenti in piazza in questi giorni.
Don Abbondio e Pilato lo applaudirebbero in standing ovation. Non riporto la lettera per non fargli pubblicità che non merita. Dico solo che in sostanza dice ai ragazzi "fatevi massacrare altrimenti fate il gioco di berlusca".

Preferisco citare la risposta (la quoto al 100%) che gli danno altri campani D.O.C.G.
i 99posse:

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Siamo fra i tanti che hanno letto Gomorra. Ci sembrava una lettura delle
mafie capace di cogliere il fenomeno nel suo intreccio con la
globalizzazione e la struttura capitalistica della società. Il vestito
prodotto dal lavoro nero in una piccola fabbrica dell'hinterland napoletano
e indossato da Angelina Jolie ci sembrava l'esempio perfetto per
cortocircuitare la categoria della legalità, la distanza fra un dickensiano
mondo di sotto e lo sfarzo dei vip in mondovisione. Veri o falsi che
fossero, a quello e altri episodi descritti nel libro abbiamo attribuito una
forte capacità evocativa, una critica esplicita al sistema, lo svelamento di
un dispositivo nel quale criminalità organizzata e multinazionali sono dalla
stessa parte della barricata.

Per questo non ci siamo mai appassionati alle polemiche sulla novità delle
rivelazioni di Saviano, sul loro carattere inedito. E nemmeno alla querelle
legata all'autenticità. Quello che ci sembrava interessante era la
ricontestualizzazion-e di fatti anche noti dentro una cornice letteraria
nuova, capace di esprimere dissenso e critica. Non ci siamo fatti
invischiare nelle polemiche nemmeno di fronte alle palesi omissioni di
Gomorra o all'assenza di un'analisi storica del rapporto fra unità d'Italia
e istituzionalizzazion-e delle mafie. Secondo noi in Italia non ha senso
parlare di queste ultime senza evidenziare l'intreccio ora palese ora
occulto con pezzi dello Stato. Noi pensiamo due cose. Innanzitutto che i
vari Riina, Schiavone e gli altri presunti boss, altro non siano che i
vertici di quello che è solo il livello più evidente dell'intreccio
politico-affaristico-criminale. E poi, che se anche si arrestassero tutti i
mafiosi e i camorristi, senza intervenire sulle cause che danno a questi
fenomeni un ampio consenso in alcuni settori della società, non si sarebbe
fatto nemmeno un piccolo passo avanti. Arriverebbero altri a prenderne il
posto e il gioco ricomincerebbe da capo.

Nel corso del tempo abbiamo comunque continuato a tenerci a distanza dalle
polemiche, anche quando abbiamo sentito un Saviano sempre più normalizzato
tessere le lodi dei "valori antimafia di Almirante", repubblichino a Salò e
fucilatore di partigiani. E lo stesso quando l'abbiamo visto allinearsi alle
posizioni dei falchi filoisraeliani convinti "che libertà dell'Occidente si
difende sotto le mura di Gerusalemme". Noi, che in Palestina ci siamo andati
e abbiamo potuto toccare con mano la condizione di un popolo che vive sotto
una feroce occupazione militare.

Riteniamo perciò di non poter essere inclusi fra coloro che lo criticano per
principio, per partito preso. Tuttavia dopo la sua recente lettera agli
studenti pensiamo sia opportuno rompere gli indugi e prendere posizione.
Innanzitutto riteniamo inopportuna la sua pretesa di farsi tuttologo. Quali
trascorsi di militanza politica ha Roberto Saviano per potersi ergere a
giudice dell'operato degli studenti? Chi lo autorizza a parlare di "poche
centinaia di idioti" che egemonizzerebbero le proteste, pretendendo di
stabilire una divisione fra buoni e cattivi? Se con Gomorra gli abbiamo
riconosciuto il merito di una scrittura fresca ed efficace, non possiamo non
dire che quella lettera insiste invece su argomenti triti e ritriti che
erano già vecchi quando noi, non ancora 99 Posse, occupavamo come semplici
studenti le nostre facoltà durante la pantera nel 1990.

Quando Saviano invita a non mettersi il casco e sfilare a volto scoperto
ignora, non si sa se per scarsa conoscenza o per malafede, le centinaia di
manifestazioni pacifiche nelle quali su quelle stesse teste scoperte sono
calati pesantemente i manganelli della repressione. Non avevano i volti
coperti quelli massacrati alla Diaz e a Bolzaneto e nemmeno quelli che pochi
giorni fa sono stati caricati e arrestati mentre solidarizzavano a Brescia
con gli immigrati costretti a salire su una gru per rendere visibile al
mondo la propria condizione insostenibile. Perciò quando vediamo dei caschi
in un corteo non pensiamo a dei vigliacchi che hanno paura di mostrare il
volto, ma solo a una legittima forma di autodifesa dei movimenti di fronte
alla repressione. Se Saviano ha i suoi motivi per chiamare i carabinieri
della sua scorta "i miei ragazzi", non ne hanno altrettanti Carlo Giuliani o
Stefano Cucchi. È una questione di percorsi di vita e talvolta di morte.

Noi invece, a differenza di Saviano, i movimenti li conosciamo bene in virtù
di un paio di decenni di militanza. Eppure il 14 dicembre ci siamo sentiti
vecchi, probabilmente per la prima volta nella nostra vita. Immaginavamo
certo che quello che accade in Europa e la tensione che si sta accumulando
da mesi in Italia, potessero essere il detonatore di scontri e incidenti, ma
non che questi fossero così estesi da trasformarsi in tumulto. Siamo rimasti
disorientati e ancora di più quando il giorno dopo si è scoperto che tutti
gli arrestati non solo erano giovanissimi e senza precedenti, ma anche senza
particolari esperienze di militanza. Altro che i vecchi militanti, i vecchi
slogan e le vecchie canzoni di cui parla Saviano.

Quello che è accaduto a Roma è inedito e come tutti i fenomeni senza
precedenti va analizzato con umiltà e rispetto, soprattutto quando la sua
dinamica è straordinariamente simile alle rivolte di Londra e di Atene. C'è
un'Europa di persone senza diritti e senza prospettive, di cui i giovani
sono l'espressione più avanzata e combattiva, che sta realizzando di essere
con le spalle al muro. Privata in maniera progressiva di diritti elementari.
Undicimila euro all'anno per iscriversi all'università nel Regno Unito. I
costi insopportabili della crisi scaricati su quelli che non hanno
partecipato alla grande abbuffata degli anni scorsi in Grecia. La
precarietà, le prestazioni di lavoro camuffate da stage gratuiti, gli
stipendi da fame dei contratti a progetto, il tentativo di azzerare le
conquiste dei lavoratori in Italia. E' a tutto questo che i giovani europei
si stanno ribellando e non ci sorprende che la loro protesta esploda in
forme di insubordinazione violenta se la politica non offre più nessun tipo
di rappresentazione politica dei loro desideri e dei loro bisogni.

All'Asinara, isola sarda un tempo nota per la presenza del carcere speciale,
un gruppo di cassintegrati dorme da 296 giorni nelle celle della ex
prigione. La loro protesta è pacifica, eppure da quasi un anno restano lì in
attesa di risposte concrete che non arrivano. Ci farebbe piacere se Saviano,
invece di pontificare su questioni che non conosce e sulle quali nessuno gli
ha chiesto di ergersi a guru, sfruttasse il suo enorme potere mediatico per
portare all'attenzione dell'Italia queste storie e, soprattutto, ci dicesse
se le lotte devono porsi o meno il problema dell'efficacia. Un uovo sulla
porta del parlamento non muta le cose, ci dice il Roberto nazionale. Sarebbe
interessante che ci dicesse perché dovrebbero cambiarle le proteste che si
fermano dove le camionette impediscono l'accesso a quello stesso parlamento
nel quale, mentre gli studenti erano in piazza, si scriveva con la
compravendita dei deputati una delle pagine più miserabili della storia di
questo Paese.

Napoli 17/12/2010

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