Re: Se poteste fare un viaggio per il mondo...

Inviato da  shm il 6/4/2010 15:54:54
@ Dr-Jackal

Shm, come hai fatto a sopravvivere 6 mesi in Africa senza un soldo? Ti sei fatto una lancia con un ramo??

Shm:

…giorno per giorno!
Anzi momento per momento…
Ero partito da Roma con un milione di lire, ma a Marsiglia dei marocchini mi rubarono circa 600.000 lire, un Barbour, dove avevo messo questi soldi, e uno zaino. Ero rimasto in maglietta, a dicembre… Era quasi Natale!
Andando verso sud, non avrei più avuto ovviamente il problema del freddo! Quindi, mi diressi verso il Marocco.
A Casablanca andai al Consolato d’Italia per farmi fare un prestito d’onore giustificandone la richiesta con una denuncia alla Polizia locale, dopo che mi rubarono ancora () i soldi…

Ho ripetuto l’operazione 7 volte: Abidjan, Accra, Lagos, Youndeé, Ndjamena e 2 volte a Tunisi…

La seconda volta a Tunisi mi rubarono veramente tutto quanto, passaporto compreso alla spiaggia di Sidibussaid, il giorno stesso che sarei dovuto rientrare in Italia a Trapani con il traghetto da Tunisi.

Quando riuscivo, mi facevo inviare dei soldi da un amico a cui li avevo prestati quand’ero in Italia, via-Western Union…

In tutto ho speso circa, tra soldi inviatimi, prestiti accordati e altri soldi trovati in giro circa 5.000.000 di lire…
Per gli spostamenti il metodo privilegiato era l’auto-stop… Per ritornare indietro da BamaKo a Dakar, dal confine tra Mali e Senegal, una volta salii su un treno merci che aveva trasportato polli… Con una puzza indescrivibile. Ero rimasto senza soldi e non potevo permettermi il treno passeggeri che mi ero potuto permettere all’andata… In auto-stop trovavo spazio sui cassoni dei furgoni o sulle cabine dei camion mezzi scassati…

Tra Arlit(Niger) e Thamarrasset(Algeria), attraverso il deserto del Sahara, ero seduto tra dei longheroni posti sulle sponde di un camion, sotto di me c’erano pecore e cammelli…

Restituii tutti i soldi quando l'anno successivo richiesi il passaporto nuovo...

Dr-Jackal:

(Non ti devi fare un sacco di iniezioni e/o vaccini per andare in posti come l'Africa?
Non trasformiamola in una discussione sui vaccini, però.)

Shm:

…in teoria credo siano soltanto consigliati i vaccini: mi sembra che ci sia una specie di carnet dove Paese per Paese alle frontiere controllano se tu abbia fatto le vaccinazioni che ritengo siano soltanto facoltative. Io comunque non li ho mai fatti. Quindi nessuna discussione sui vaccini…
Ho preso la malaria a Ouagadougou, in Burkina Faso e in un giorno ero guarito con delle pasticche bianche che immagino fossero di chinino…
Ma so per certo che anche chi si fa l’antimalarica si becca lo stesso la malaria. Per lo meno un conoscente che va spesso in Burkina Faso e fa questa vaccinazione l’ha presa anche lui varie volte…

Consiglio solo, a chi va in Africa, di portarsi una buona scorta di preservativi, a me si sono spaccati il 90% delle volte…

…al pari dei rasoi usa e getta! A chi mi avesse visto dopo essermi fatto la barba, gli sarebbe venuto da domandarmi se avessi lottato con un leone. ...in 6 mesi credo che in Africa Nera me la sarò fatto una o due volte al massimo, la barba.

L’Africa è il mercato della seconda e terza scelta delle produzioni industriali di largo consumo, quindi…

Tutti gli scarti vengono commercializzati in Africa.

Dr-Jackal:

…racconta!

Shm:

…ci sto provando scrivendo un romanzo, ho buttato giù qualche capitolo di traccia!

Un conciso riassunto l’ho messo qui:

http://turistipercaso.it/algeria/5756/viaggio-in-africa.html

…ma non so come mai ora non funziona.

Comunque, per la gioia dei luogo comunardi, pubblico qui in anteprima mondiale un pezzo della bozza:

“Ci sono due giorni, in ogni settimana dell’anno, in cui da da Daklah parte un convoglio di macchine diretto a Nouadhibou…
Questi giorni sono il martedì e il venerdì, e la partenza è prevista per la mattina alle dieci circa. A fare da apripista e da retroguardia del convoglio, alcune jeep militari proteggono dagli assalti dei predoni il percorso dei civili, attraverso il tratto di pista nel deserto, indicando la pista da seguire, soccorrendo le eventuali panne delle vetture e i numerosi loro costanti insabbiamenti.
Ero esterrefatto! Ed esaltato allo stesso tempo, tuttavia non avevo una macchina… L’oste disse che potevo tranquillamente fare l’autostop senza problemi.
Mi disse che l’unica cosa che dovevo fare era aspettare, macchina per macchina, quella con il posto libero a cui chiedere il passaggio. Più facile di così!
Da Ceuta fino a Dakhla avevo percorso duemilacento chilometri. Per arrivare al confine con la Mauritania in direzione sud, verso Nouadibou, avrei dovuto percorrere altri trecentocinquanta chilometri nel deserto.
Il pomeriggio lo passai bighellonando per le strade della cittadina, ero d’accordo con l’oste che la mattina dopo mi avrebbe accompagnato lui stesso al punto di raccolta del convoglio in partenza, dal momento che fortunatamente mi trovavo lì il giorno prima di uno dei due giorni in cui sarebbe partita la carovana di macchine…
Pensai che ero stato oltremodo fortunato: coincidendo il giorno dopo l’arrivo a Daklah, con la partenza del convoglio per Nouadibou in Mauritania, avevo risparmiato la spesa degli eventuali giorni d’attesa da trascorrere nell’economica pensione.
La sera sorseggiai qualche birra, guardando una partita di calcio alla televisione. L’ultimo dell’anno l’avevo passato in pullman, ma tutto sommato ne era valsa la pena…
Mancavano pochi chilometri per lasciarmi alle spalle anche il Marocco, ed ero curioso di vedere come sarebbe stato il viaggio in convoglio nel deserto.
La mattina, mi alzai dal letto riposatissimo. Lavatami la faccia scesi di corsa a fare colazione con la solita baguette imburrata e il consueto caffè. Aspettato l’oste che arrivò puntuale, salimmo nella sua macchina e ci avviammo verso il punto di raccolta istituito dai militari. Mi aveva lasciato verso la testa del convoglio così che ebbi subito la situazione sotto controllo! Lo ringraziai abbracciandolo e ci salutammo.
Uno spettacolo rasentava l’assurdo! Ero meravigliato e compiaciuto! Il tutto si svolgeva con naturalezza con quelle che apparivano noiose operazioni di routine da parte dei militari intenti a trascrivere le targhe delle macchine che si sarebbero apprestate ad effettuare il viaggio. Il cielo era azzurro il mare era scomparso dietro le case bianche alte due piani. Davanti a noi si paravano le propaggini del deserto del Sahara. Il sole cominciava a picchiare insistentemente. A tratti la brezza spariva lasciando una sensazione di immobilità totale.
Una staccionata in legno semi-distrutta da una parte e dall’altra di due pali verticali indicava l’inizio della pista che si inoltrava subito tra le dune nel deserto. Tra questi due pali era parcheggiata una jeep di colore verde e degli uomini in divisa in piedi scrutavano seriamente la situazione.
A terra uno di loro teneva in mano uno schedario e una penna, spuntando i numeri delle targhe delle macchine che dietro la jeep formavano in fila indiana il convoglio. La fila era interminabile. Nonostante la sera prima e il giorno stesso la città sembrava vuota, non immaginavo da dove fossero venute fuori di colpo tutte quelle macchine.
Quando il giorno prima l’oste mi parlò di questo convoglio io immaginai delle vetture come quelle che tante volte chiunque poteva aver visto su un documentario alla televisione tipo “camel trophy”… Invece non c’erano jeep super accessoriate con miliardari avventurieri ma macchine che, semmai, potevano dimostrare, a prima vista, l’impossibilità, da parte loro, del compimento di una traversata simile!
Vecchie Fiat 131, Citroen due cavalli, vecchi “maggioloni”, Mercedes 180, camper di fortuna, macchine con roulotte al seguito, addirittura un camion dei pompieri degli anni settanta ristrutturato…
Sembrava di esser piombato all’improvviso nel cartone animato che vedevo da bambino: “la corsa più pazza d’America”!
Mi trovavo vicino ai militari e cercavo d’individuare la macchina che mi andasse più a genio. La fila era interminabile, anche salendo sulla staccionata non vedevo dove questa terminasse. Il susseguirsi dei colori disordinati delle macchine del convoglio si distingueva dal drastico color giallo scuro della sabbia del deserto. Nell’aria si cominciava a sentire una tensione scaturita dall’impazienza collettiva dell’avvio della partenza da parte dei militari. La gente sudata sulle macchine imprecava. Alcuni volti erano diventati di un color rosso fuoco… C’erano una quarantina di gradi se non di più e il sole stava cominciando a fare il suo effetto. Una brezza di vento fresca e secca asciugava la pelle di tanto in tanto. Ogni tanto un po’ di sabbia sollevata dal vento si appiccicava alla pelle…
Ero sceso dalla staccionata traballante e fissai a lungo la scena che per la novità m’impediva qualsiasi associazione ad altre mie esperienze passate. Qualsiasi collegamento mi riconduceva soltanto a quel cartone animato che vedevo quand’ero piccolo! Non avevo fretta, non ero teso, ero desideroso di sfidare il destino per vedere fin dove sarei potuto arrivare.
Un fischio, seguito da un suono di clacson della jeep diede il via al convoglio che per ridondanza fece scattare in un’esaltazione generale gli altri clacson all’unisono.
Io ero ancora in piedi a fianco ai due pali, quando la carovana si mise in movimento lentamente. Cominciarono a passare le macchine una per una. I conducenti, per lo più turisti, non si curavano di me. Tutti erano assorti nell’inizio di questa traversata che sembrava allucinante. Qualcuno buttava lo sguardo su di me salvo poi distoglierlo immediatamente dopo… Vidi, dietro qualche macchina che si apprestava a passare tra i due pali, una Mercedes berlina di color grigio scuro. Dentro scorsi soltanto il conducente. I finestrini erano abbassati. Mi affacciai verso il conducente e gli domandai:
- Puis-je avoir un passaje jusqu’a Nouadibou s’il vous plait?
Chiesi lui se poteva darmi un passaggio fino a Nouadibou…
Non so come, ma il mio accento italiano mi tradì immediatamente!
- Dai Sali!
Non me lo feci ripetere due volte, salii e ci presentammo. Lui si chiamava Mohammed, il più classico dei nomi arabi, era marocchino ma viveva e lavorava in Italia da diversi anni. Che coincidenza!
Ci lasciammo alle spalle la staccionata e i due pali e ci aggregammo in fila alla testa del convoglio.
Mi disse che questo per lui era un periodo di vacanza, ma che ne approfittava vendendo macchine di terza mano in Mauritania per arrotondare. Nel caso della Mercedes questa sarebbe diventata un taxi a Nouakchott la capitale del Paese islamico che stavo per raggiungere.
Comprava a 3-4 milioni di lire vecchie Mercedes 180, 200 e le rivendeva a 12-13 milioni di lire. Aveva già il biglietto di ritorno da Nouadibou per Tangeri in aereo. Da Tangeri sarebbe rientrato in Spagna ad Algeciras e li avrebbe preso la seconda macchina e ricompiuto lo stesso tragitto fino a Nouadibou.
Un suo amico lo aveva aiutato a portare la seconda macchina dall’Italia fino ad Algeciras e poi era ritornato indietro.
Tolte le spese del suo amico, della benzina delle macchine, dei biglietti aerei, delle assicurazioni e delle tasse, aveva un guadagno di tutto rispetto in considerazione del mese di lavoro che avrebbe investito…
Mentre mi raccontava di queste faccende, alcune macchine davanti a noi cominciavano ad insabbiarsi. Le ruote giravano a vuoto, mentre scavavano buche nella sabbia in cui sprofondavano sempre di più. Anche Mohammed certe volte rallentava per effetto dell’insabbiamento, ma riducendo la velocità della macchina si districava rapidamente e andava avanti spedito.
Le case di Daklah, voltandomi indietro verso il lunotto posteriore, non si vedevano oramai più. Proseguendo aggiravamo le dune di sabbia alla loro base. Tuttavia, sebbene questi accorgimenti, la macchina cominciava a insabbiarsi più spesso e la parte del convoglio sia dietro a noi, che davanti, non si scorgeva già più. Il sole batteva a picco sulla testa e il suo risultato era formidabile! Non sentivo una goccia di sudore, non faceva in tempo a colare che subito si asciugava. Ci levammo la maglietta e restammo a torso nudo nel tentativo di carpire la sensazione di sollievo derivata dal minimo spostamento d’aria. Per qualche ora continuammo a procedere tranquillamente sulla pista. Come punti di riferimento tenevamo d’occhio la macchina davanti a noi a qualche centinaio di metri di distanza, e quella immediatamente dietro… Le altre facevano la stessa cosa.
Più tardi la nostra macchina s’insabbiò del tutto. Le ruote non si vedevano più, erano sprofondate dentro a voragini gialle di sabbia finissima e il paraurti anteriore poggiava sul manto sabbioso della duna. Mohammed cominciò (mi disse poi) a bestemmiare in arabo… Spense il motore, scese dalla macchina e lo assecondai. Nel baule erano riposte delle tavole di legno lunghe ognuna un metro e mezzo circa e larghe una trentina di centimetri. Ci saremmo avvalsi di quelle per districare la macchina dall’insabbiamento. Dalla parte delle ruote motrici della macchina dovevamo scavare davanti ad ogni ruota per levarle dalla sabbia. Bisognava che incastrassimo le tavole tra la ruota e la sabbia il più a contatto possibile… Una volta posizionate le tavole saremmo comodamente usciti dalla sabbia e ci saremmo rimessi in movimento.
Ripetemmo l’operazione parecchie volte e ogni volta dovevo prendere la macchina al volo perché come si ripartiva per recuperare le tavole bisognava comunque evitare di fermarsi ed evitare che le ruote s’infossassero nella sabbia di nuovo…
Ero d’aiuto e tanto mi faceva piacere restare a camminare sulla sabbia del deserto con le tavole sotto le braccia a fianco alla macchina che procedeva lentamente. Raggiungemmo una vettura anch’essa insabbiata e, mentre Mohammed la sorpassava al lato, io aiutai il conducente a disinsabbiarla, sollevandola, dal momento che aveva fatto girare troppo a vuoto le ruote e per tale effetto era sprofondata del tutto.
Procedevamo abbastanza rapidamente tanto che vedemmo in lontananza il vecchio camion rosso dei pompieri bloccato di traverso sulla pista.
C’erano quattro ragazzi tedeschi intenti a scavare con le mani sotto le ruote e dato che queste erano ruote gemellate l’impresa era lunga e faticosa. Considerando che le ruote motrici erano quelle anteriori bisognava liberarle totalmente dal momento che sotto di esse dovevano inserirsi delle gigantesche griglie di acciaio per farle girare e far muovere il pesante mezzo.
Restammo a scavare sabbia per circa una decina di minuti mentre Mohammed si allontanava lentamente procedendo sulla pista. Una volta messe le tavole, il camion venne avanti e si scrollò la sabbia dalle ruote posteriori. Salutai i ragazzi e ritornai di corsa a prendere l’auto al volo.
Proseguimmo fino al tramonto così, finché arrivammo ad una radura di sterpi e arbusti intorno al rudere di quello che doveva essere un vecchio fortino abbandonato. Parcheggiammo tutti lì le vetture. Cominciammo a predisporre fuochi e radure di persone intorno a questi. Qualcuno con la chitarra cantava qualche canzone, mentre altri si davano da fare ad arrotolare qualche canna… Girò qualche bevanda alcolica ma verso una certa ora tutti ci stendemmo per dormire poiché saremmo ripartiti alle prime luci dell’alba.
Non si sentiva un rumore, sotto il cielo stellato, nel chiarore della notte, si vedevano le ombre delle dune a perdita d’occhio… Le sterpaglie nere di giorno e nere di notte parevano fantasmi curiosi intorno a noi… Mi chiedevo a chi fosse appartenuto quel rudere in passato e quale fosse la sua storia… Nel frattempo mi addormentai sul soffice manto sabbioso.
Si vedevano le prime luci dell’alba illuminare le dune di un colore bianco, un via vai di persone che si alzavano e si muovevano per lavarsi i denti con l’acqua delle borracce si preparava a partire per continuare la traversata. Quel giorno avremmo superato la frontiera e saremmo entrati in Mauritania.
La sera prima avevo fatto amicizia con un gruppo di italiani che venivano da Torino. Loro sarebbero andati in Mauritania e poi a Dakar, in Senegal.
Gli avevo raccontato delle peripezie e della fortuna che avevo avuto a trovarmi lì con loro, ma il loro “capo” non aveva dimostrato di gradire per nulla il modo con cui mi fossi approfittato delle situazioni a mio vantaggio… tuttavia facemmo una lunga chiacchierata degli altri viaggi che ognuno di noi aveva fatto nella sua vita e passammo così la serata.
Cominciammo ad avviarci e a metterci in fila per permettere al convoglio di riformarsi. Muammed stava facendo gli ultimi preparativi controllando la macchina.
Verso mezzogiorno, nel bel mezzo del tratto desertico compreso tra Mauritania e Sahara occidentale, raggiungemmo la frontiera.
Qualche tenda tirata su disordinatamente, dei contenitori-frigo trasandati, qualche casseruola sparpagliata su cui sedersi, tavolini di fortuna e uomini in uniforme militare costituivano il posto di blocco di confine di Bir-Gendouz.
Il controllo dei passaporti con relativi timbri d’uscita era molto rapido.
Io e Mohammed passammo il controllo e ci apposero il timbro d’uscita dal Marocco sul passaporto.
Mentre Mohammed si allontanava verso la macchina, la guardia mi fece presente che sebbene potessi uscire dal Marocco non avevo le carte in regola per entrare in Mauritania: non avevo il visto!
L’Ambasciata Mauritana era a Casablanca, ma quando ero a Casablanca non avevo in mente ne pensavo di arrivare in Mauritania.
Tanto vale! Ero uscito dal Marocco, ero nel bel mezzo del deserto, e mi avvicinavo a piedi alla frontiera Mauritana. Feci presente il problema a Mohammed, ma anziché trovare un appoggio morale, mi spiegò che non poteva aspettarmi perché a sua volta lo stavano aspettando a Nouadibou per la consegna della macchina e lui era già in ritardo.
Presi il mio sacco dalla sua macchina e lo salutai: non potevo farci niente!
Mi avvicinai lentamente alle guardie mauritane con il passaporto in mano, facendo finta di nulla.
Uno di loro mi disse che non trovava il visto per la Mauritania apposto. Io gli dissi che non c’era. Mi lasciarono lì in disparte mentre ad una ad una le macchine del convoglio passavano il confine per entrare in Mauritania.
Mi stavo cominciando a chiedere che sarebbe successo: avrei proseguito, sarei ritornato indietro in Marocco o che altro?
A un certo punto volli tagliare la testa al toro, chiamai una guardia e gli chiesi:
- Est ce qu’il est possible acheter une visa?
Lui si allontana pensieroso, parla sottovoce all’orecchio di una guardia e ritorna verso di me, un po’ simulando vagamente disinteresse:
- Oui, c’est possible!
Avevo ancora trecentomila lire circa in tasca e se l’avessi previsto prima probabilmente il visto in Ambasciata l’avrei pagato intorno alle trentamila lire.
Qui la situazione era diversa: non avevo il visto, volevo proseguire ed ero nel bel mezzo del deserto.
Un gruppo di guardie venne verso di me. Iniziò una lunga contrattazione, alla fine il visto mi costò centomila lire. Gli diedi la banconota italiana e mi feci mettere il visto sul passaporto con il relativo timbro d’ingresso. Gli dissi che a causa di questo ritardo avevo perso il mio passaggio per Nouadibou e che se mi avessero aiutato a trovarne un altro gli sarei stato grato… Uno di loro mi disse di non preoccuparmi perché la sera sarebbero ritornati a Nouadibou per il cambio. Ma io non volevo aspettare lì fino a sera.
Vidi stagliarsi all’orizzonte la sagoma del mio “passaggio” in lontananza: il vecchio camion dei pompieri che avevo aiutato a disinsabbiarsi durante la prima parte della traversata stava arrivando lentamente verso la frontiera.
Poiché mancava mezza giornata di tragitto a Nouadibou pensai che non avrebbero avuto problemi a darmi uno strappo fino a destinazione.
Da Ceuta a Bir Gendouz avevo percorso duemilacinquecento chilometri. Durante il tragitto intorno a me tutto era cambiato. Il paesaggio da erboso e brullo era diventato desertico. La temperatura da mite e umida al Nord era diventata arida e ventilata secca al sud. Il colore della pelle degli abitanti da olivastro era diventato scuro…"


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