Esempi di formattazione di alcune aree mnemoiniche

Inviato da  autore il 10/12/2009 18:11:01
Esempi di formattazione di alcune aree mnemoiniche

E- mail inviate da un allievo medico
Primo caso trattato
Caro professor Elia Tropeano, ti presento il mio primo caso.
Domenica 5 novembre 2006, ero di turno in pronto soccorso. Giunge alla mia osservazione la sig.ra C.M. (1967 in Venezuela). Entra in ambulatorio seduta in carrozzina, con un atteggiamento molto sofferente, occhi lucidi, sguardo perso. Riferisce di essersi svegliata regolarmente, ma appena alzata dal letto avverte la comparsa di violente vertigini seguite da nausea e vomito. Non riuscendo a stare in piedi è costretta a rimettersi a letto. Passa circa un’ora e riprovando ad alzarsi compaiono capogiri più violenti di prima, sempre accompagnati da nausea e vomito. A questo punto la faccio sdraiare sul lettino, le metto la mia mano dx sul suo torace e cerco di entrare in sintonia con la sua respirazione. Aspetto un paio di minuti e mi faccio raccontare meglio cosa è successo e il motivo per cui viene in pronto soccorso. Non appena mi accorgo che è perfettamente rilassata, le chiedo di identificare la causa del problema. La donna comincia a rivelare di essere stata aggredita sul lavoro da un collega, con cui stava litigando furiosamente e, singhiozzando, afferma di non andare mai più a prestare servizio in quell’azienda. Mentre racconta l’accaduto, le tocco ripetutamente il braccio dx con la mia mano sinistra e si rilassa ulteriormente. Noto che i movimenti degli occhi sono essenzialmente rivolti in alto a destra. Entro nei particolari della vicenda e mi faccio dire cosa esattamente ricorda e cosa le da fastidio. Scopro che la crisi vertiginosa è scatenata dall’immagine ingigantita del suo aggressore che la terrorizzarla fino a farla scoppiare in un pianto sommesso. La invito a rimpicciolire l’immagine dell’assalitore. Ci riesce, e dice di stare meglio.
Non contento, gliela faccio rimpicciolire ancora di più. Comincia a sentirsi bene, ma i suoi occhi guardano ancora in alto a dx. A questo punto le chiedo di immaginarsi seduta al cinema e di rivedere proiettato sullo schermo tutto l’evento, dall’inizio alla fine, e di riavvolgere velocemente la pellicola all’indietro. Le chiedo di rammentare l’episodio, sostiene di avere delle difficoltà a pensarlo (i suoi occhi questa volta sono rivolti in alto a sinistra) e afferma di stare bene e in assenza di sintomatologia. Si mette seduta e ribadisce, stupita, di stare benissimo. Il suo volto appare sereno, allora domando, quando va a lavorare e lei, sicura di se, afferma: “Domani mattina, dottore!”.
L’infermiera, che ha assistito a tutta la scena, è esterrefatta e incredula, io ho la pelle d’oca dappertutto, ma sono entusiasta. Alla prossima! Un abbraccio.

“Complimenti! Non avrei saputo far di meglio. A proposito, come avresti affrontato una simile situazione senza l’ausilio delle metodiche descritte?”.
A presto da Elia

Non avrei fatto altro che inviarla in consulenza otorinolaringoiatrica. Lo specialista avrebbe consigliato un farmaco che si chiama Torecan, da prendere al bisogno, perché aiuta a togliere le vertigini. Ovviamente, a un primo esame obiettivo, non trovando la causa del problema, le avrebbe richiesto una marea di esami specialistici. Esami che sarebbero stati tutti negativi, per cui la sig.ra era condannata a vita a prendere supposte di Torecan, senza mai conoscere la causa delle crisi.


----- Original Message -----

Ecco il mio secondo pz trattato.
Martedì 7 novembre, ero di turno in pronto soccorso, quando giunge alla mia osservazione la sig.ra M. Anna Maria (1973). Entra in ambulatorio seduta in carrozzina, indossa un collare cervicale morbido sagomato, atteggiamento molto sofferente, sguardo perso. Riferisce circa l’incidente stradale di ieri. Già vista in pronto soccorso e indagata con rx e visite specialistiche risultate negative.
Lamenta parestesie agli arti superiori e dolori diffusi al rachide dorso-lombare. Mostra, inoltre, difficoltà a mantenere l'equilibrio in stazione eretta. Mentre racconta la storia, osservo con molta attenzione i movimenti dei suoi occhi che si muovono essenzialmente in alto e a livello a dx. A questo punto la faccio sdraiare sul lettino e metto la mia mano dx sul suo torace e cerco di entrare in sintonia con la respirazione. Questa volta non aspetto tanto e mi faccio subito raccontare cosa ricorda dell'incidente. Mentre inizia la storia, le tocco ripetutamente il braccio dx con la mia mano sinistra e lei si rilassata all'istante. Entro nei particolari e mi faccio dire cosa esattamente le dia fastidio. Riporta che mentre si trovava in auto da sola, ferma ad un semaforo, una vettura la tampona in modo così violento da spingerla fuori strada e farla urtare contro un palo della luce.
Ecco, è proprio l'immagine del palo della luce a causarle fastidio. Questo, man mano si avvicina, appare sempre più enorme e minaccioso, fino a scatenarle una crisi d’ansia.
Le suggerisco di rimpicciolire l'immagine del lampione e di allontanarlo in modo graduale. Ci riesce e dice di essere più tranquilla. Non contento, glielo faccio rimpicciolire e allontanare ancora di più. Sta meglio. Per finire, le chiedo di rendere il palo trasparente, quasi invisibile. Il benessere aumenta. Ora nel ricordare la scena, sta decisamente meglio, ma nel dirmelo, per qualche istante gli occhi guardano ancora a livello a dx, quindi, c'è ancora qualcosa che non va. Le chiedo di rivivere la scena, ma strizza gli occhi dalla paura ed emette un urlo di disperazione: “ Il rumore, il rumore! I miei bambini, i miei bambini!”. Cerco di calmare la paziente. Ci riesco.
La signora spiega di aver rivissuto la scena dello scontro e di aver sentito il rumore delle lamiere dell'auto e, credendo di morire, ha pensato ai suoi bambini che urlavano e piangevano dalla disperazione per aver perso la mamma.
Le chiedo di rivedere la scena, ma sostituire il suono delle lamiere con quello di un tintinnio di campane a festa. Timorosa, ci prova, poi afferma di stare nettamente meglio. Smette di piangere e inizia a rasserenarsi. Le infermiere presenti impallidiscono. A questo punto le chiedo di fare un ultimo sforzo e di immaginarsi seduta al cinema e di rivedere proiettata sullo schermo tutta la scena dall'inizio alla fine e di riavvolgere la pellicola all'indietro il più veloce possibile. La invito a riguardare la scena, questa volta, però gli occhi si rivolgono a sin.
Il suo volto è sereno, non ha più paura, non piange più. Riferisce di stare bene e in assenza di sintomatologia. Si mette seduta sul lettino, mi guarda incredula e riferisce di stare benissimo. Faccio entrare il marito che vedendo la moglie in piedi e senza lamenti mi chiede, stupito, cosa sia successo. Spiego che per farla calmare e passare il tutto è bastato far raccontare la storia dell'incidente, comunque, deve continuare a prendere le medicine già prescritte il giorno prima. Le infermiere che hanno assistito alla scena sono incredule; io ho brividi un po' dappertutto, ma sono entusiasta. Alla prossima.


Settembre 2007

Ero di turno in pronto soccorso e giunge alla mia osservazione la sig.ra M. Elisa (1979). Entra in ambulatorio seduta in carrozzina, con un atteggiamento molto sofferente, pallida, occhi socchiusi, sguardo assente. Parla a fatica e si regge il capo con le mani. Riferisce di soffrire abitualmente di cefalea e di aver consultato diversi “Centri” ma senza mai aver trovato i motivi né la soluzione al suo problema. Racconta che da tre giorni soffre di un forte mal di testa e che la solita terapia non ha sortito alcun effetto. Essendo sfinita da un dolore ingravescente si presentava in pronto soccorso in cerca di aiuto. Mentre racconta la storia, non posso osservare i movimenti dei suoi occhi in quanto li tiene chiusi, infatti è disturbata dalla luce dell’ambulatorio.
Decido quindi, con l’aiuto di un’infermiera, di farla sdraiare sul lettino. Le metto la mia mano dx sul torace e cerco di entrare in sintonia con la sua respirazione. Allo stesso tempo, tocco con la mia mano sin il suo braccio destro ed in pochi istanti si rilassa totalmente. L’infermiera di turno con me, comprendendo l’imminente “spettacolo”, esce a chiamare un’altra collega che voleva assistere al trattamento.
Nel frattempo, chiedo alla paziente di immaginarsi vicino alla porta dell’ambulatorio e di vedersi sdraiata sul lettino. Ci riesce.
Le chiedo di rimpicciolire e allontanare dolcemente l’immagine e riferire l’effetto che fa sulla cefalea. Dice di stare meglio. Non contento, gliela faccio rimpicciolire e allontanare ancora di più. Sta ancora meglio, e nel dirmelo, appare stupita di quello che le stia capitando. Insisto e le chiedo di rimpicciolire e allontanare l’immagine sempre di più fino a farla svanire in un lampo di luce calda e colorata. Ci riesce e improvvisamente apre gli occhi, si mette seduta sul lettino guardandosi stupita intorno. Afferma di stare bene e continua a dirlo felice a se stessa. Si alza, sorride ed è felice. Continua a ripetere: “Sto bene dottore, sto bene. Non ho più nulla!”. In quel momento entrano le infermiere, non credono ai loro occhi: quella povera ragazza era entrata in ambulatorio sofferente, ora esce raggiante.



Ancora un caso trattato

Questo è il mio primo caso che affronto e risolvo tra le mura di casa. L’altro giorno, mio figlio più grande, Luca, appena sveglio, riferisce un dolore violento all’inguine dx. Il dolore è forte e fastidioso al punto da farlo zoppicare, inoltre è fonte di dispiacere per lui, non sarebbe stato in grado di giocare la partita di pallacanestro valida per il campionato di serie, prevista nel pomeriggio. Su mia richiesta racconta che durante l’allenamento di ieri sera, si è stirato l’inserzione prossimale del m. adduttore della coscia dx, ma a “caldo” il dolore era sopportabile e non gli aveva dato tanta importanza. Dopo avergli fatto assumere una compressa di paracetamolo, per mandarlo a scuola, prometto di risolvergli il problema dopo pranzo. Giunto il momento, svanito l”effetto del paracetamolo, con un po’ di fatica faccio sdraiare mio figlio sul divano. Eseguo una serie di test per valutare la motilità consentita alla coscia e ribadisce che il dolore all’inguine è insopportabile, soprattutto nei movimenti controresistenza e in adduzione: abbiamo a che fare con uno dei nemici peggiori di un atleta, la pubalgia. Non mi perdo d’animo e chiedo a mio figlio di non preoccuparsi e di rilassarsi delicatamente. Metto subito la mia mano dx sul suo torace e cerco di entrare in sintonia con la sua respirazione. Attendo qualche minuto e gli tocco con la mia mano sin, prima il braccio destro e poi la fronte: in pochi istanti mi rendo conto che è perfettamente rilassato. Gli suggerisco di provare ad immaginarsi vicino alla porta della cucina e di vedersi sdraiato sul divano. Ci riesce, ma dice di fare fatica. Gli chiedo di rimpicciolire l’immagine e di allontanarla dolcemente e riferire l’effetto che fa sul dolore. Replica di far fatica ad immaginarsi da quella posizione e che preferisce guardarsi dall’alto. Confermo che va bene e di proseguire l’esercizio, rimpicciolire e allontanare l’immagine di se, steso disteso sul divano. Ci riesce senza difficoltà e dice di stare decisamente meglio, e nel dirmelo, il suo sguardo sembra stupito e incredulo. Insisto e chiedo di rimpicciolire e allontanare l”immagine sempre di più fino a farla svanire in una bolla di sapone profumata e colorata. In poco tempo si mette seduto, si guarda intorno e non osa chiedere cosa e come sia potuto succedere, ma è felice perché non ha più dolore. Eseguo di nuovo il test di valutazione muscolare, compreso quello di adduzione in contro resistenza, ma non avverte alcun dolore. Nella serata riesce a giocare la partita e non ha mai avuto alcun problema. Che soddisfazione!


Ecco, allora, un altro caso

Lunedì 28 gennaio 2008 ero di turno in pronto soccorso. Giunge alla mia osservazione il sig. C. Emanuele (1988). Entra in ambulatorio, visibilmente turbato, sguardo basso, agitato, irrequieto e accompagnato dal padre.
Riferisce di aver avuto, mentre era sul lavoro, una crisi di ansia e di pianto disperato accompagnato da una sensazione di morte imminente per soffocamento.
Soffre frequentemente di questi attacchi che stanno diventando pressoché quotidiani. Racconta, con sofferenza, che tutto ebbe inizio tempo fa, quando si fumò una "canna” con un amico. Poco dopo ebbe un malore con conseguente svenimento e caduta della lingua all'indietro che lo soffocava. Grazie al tempestivo intervento del suo amico, che riuscì a liberargli le vie aeree, riprese a respirare normalmente. Mentre racconta l'accaduto si porta ripetutamente le mani al collo perché avverte la netta sensazione di soffocamento. Io, nel frattempo, gli chiedo se è destro o mancino e osservo con molta attenzione i movimenti dei suoi occhi. Riferisce di essere mancino e senza perdere altro tempo lo faccio sdraiare sul lettino, mi siedo accanto a lui, metto la mia mano sx sul suo torace e cerco di entrare in sintonia con la sua respirazione e gli chiedo di rilassarsi, e di stare tranquillo perché non gli avrei fatto male. Il padre, gli chiede se preferisce che esca dall'ambulatorio, ma io pretendo che rimanga in silenzio in un angolo ad osservare quello che avrei fatto. Non aspetto tanto tempo, anche perché il paziente si rilassa all'istante. Mi faccio raccontare subito cosa ricorda di quel giorno, ma precisando di voler sapere se ne ricorda una precisa sequenza o solo un'immagine fissa. Conferma di ricordare una sequenza precisa, per cui decido di applicare la tecnica della doppia dissociazione. Gli chiedo, quindi, di immaginarsi seduto al cinema e di rivedere proiettata sullo schermo tutta la scena, dall'inizio fino al momento del soffocamento e poi di riavvolgere la pellicola all'indietro il più velocemente possibile. Afferma di esserci riuscito e nel momento in cui riapre gli occhi, il suo volto è sereno, non ha più paura, non piange più. Riferisce di stare bene e in assenza di sintomatologia. Gli chiedo di provare a rivedere la scena, ma tra lo stupore generale afferma: "Dottore, dottore, non riesco più a vedere la scena, è scomparsa!". Mi volto verso il padre il cui sguardo incredulo mi pone mille domande in un millisecondo. Tranquillizzo tutti e cerco di spiegare quello che hanno visto e sentito ma non compreso. Un mio collega che ha assistito al trattamento è incredulo. Il ragazzo sereno e felice, sembra uscito da un'altra dimensione spazio-temporale e mentre esce dall'ambulatorio, mi ringrazia all'infinito. Io ho l’adrenalina un po' dappertutto, ma sono entusiasta, ringrazio il mio grande maestro Elia Tropeano.

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