Re: Mistero sulla morte di Francesco Mastrogiovanni

Inviato da  natale il 26/7/2010 15:17:49
Per Francesco Mastrogiovanni, un compagno mai incontrato

Era quasi la metà di agosto del 2009 quando ho appreso della tragica morte di Francesco Mastrogiovanni, definito dai suoi alunni “il maestro più alto del mondo”. Ne ho dato notizia, ma senza fare commenti e notazioni e senza scrivere nulla di mio. Ciò perché, oltre ad essere scioccato per quello che avevo letto, volevo principalmente evitare due cose. La prima è quella che non mi andava di “farmi bello” e di essere visto come qualcuno che ci specula sopra. È anche fin troppo vero, purtroppo, che ci si disinteressa totalmente di tante questioni e poi si è tutti bravi a cavalcare l'onda della notizia del giorno, per poi scordarsi e disinteressarsi della specifica vicenda ed inseguire via via le altre notizie quotidiane per cavalcarle e per far vedere che diciamo la nostra, per far vedere che siamo “indignati”, che noi siamo “diversi”, che noi siamo “contro” le ingiustizie. La seconda cosa che mi son voluto evitare, era il risvegliarsi e il rinnovarsi dell'atroce e terribile sofferenza che mai potrà scomparire dal mio animo. Già era abbastanza, troppo, leggere ciò che avevano fatto a Francesco Mastrogiovanni. E scriverci qualcosa su, sarebbe stato scavare nel dolore acuto della ferita sempre aperta e che mai si rimarginerà. Evitavo quindi di scrivere e rimandavo sempre. Ora però, anche perché fra una decina di giorni, il 4 agosto, sarà passato un anno dalla morte di Franco, voglio dire qualcosa. E ci scrivo parlando della cosa più dolorosa, sconvolgente e devastante che mi sia mai capitata. Mi riferisco all'essere legato al letto, alla contenzione. Ho deciso di parlare della contenzione, della mia contenzione, perché soltanto chi l'ha subita sulla propria persona e sulla propria pelle può descrivere bene quale supplizio comporta l'essere legati ad un letto. Ho deciso di parlare della mia contenzione per far capire bene il supplizio subito da Francesco Mastrogiovanni.

“Mi portarono al pronto soccorso e qui decisero per il t.s.o., il trattamento sanitario obbligatorio, e cioè coatto. Mi piantonarono per qualche ora al pronto soccorso, e mentre mi trovavo lì provai a scappare uscendo dalla finestra del bagno, ma mi presero e mi riportarono dentro. Dopo mi condussero al reparto psichiatrico, e qui continuavo a dire che volevo andarmene e mi rifiutavo di prendere gli psicofarmaci e di fare la flebo. Psichiatri e infermieri andarono per le spicce (è la prassi abituale poiché quando una persona viene ricoverata deve essere riempita di psicofarmaci, se no non avrebbe “senso”, per loro, ricoverarla; il sequestrato deve essere riempito di psicofarmaci e qualsiasi maniera va “bene”) e aggreditomi mi legarono al letto. Legato, cominciai a sentirmi dilaniare dentro. E il pensiero degli effetti deleteri e sconquassanti degli psicofarmaci mi fecero (per provare a liberarmi) scuotere furiosamente; così furiosamente che il letto sobbalzando lasciò dei vistosi segni sul pavimento. Poi mi imbottirono di psicofarmaci, e cominciai a sentire quei veleni che agendo dentro di me mi rintronavano e mi scombussolavano integralmente. Vedevo la stanza girarmi attorno, e anche gli occhi iniziarono a roteare, come quando ci si trova in uno stato di fortissimo choc (era quella in effetti la mia condizione). Non capii più nulla e la mente mi si ottenebrò e mi si offuscò completamente; e fra il dormiveglia e il sonno, in una specie di stato comatoso, vedevo le immagini del film “Fuga di mezzanotte” e nella mia mente risuonava angosciante la frase “Ergastolo per cosa?????”. Infine mi addormentai. Fu come essere pestato a sangue come il protagonista di “Revenge”, e quando mi risvegliai ero BOCCHEGGIANTE e totalmente stordito. (Portare un Essere Umano al punto di essere boccheggiante, MORENTE, non è un tentato omicidio?). Svegliatomi nuovamente, venni slegato e mi alzai. Ero spossatissimo, imbambolato, senza forze, con la mente obnubilata e docile in un modo che al mio confronto una pecora era più di una tigre feroce. Trascorsi tutta la giornata in quello stato, e la sera, mentre stavo per andare a letto, due infermieri, sfondando non una porta aperta ma una porta inesistente poiché in quel momento anche un bebè di un mese avrebbe avuto la meglio su di me, piombarono alle mie spalle e mi sbatterono a faccia in giù sul letto, e mi dicevano (con la voce di chi si vuole sbranare il nemico e strappargli il cuore dal petto, con la tipica cadenza lenta e che prolunga le vocali): “Fermo, non ti muovere, hai capito che devi stare fermo? Non ti muovere”. Poi, scuotendomi e strattonandomi con forza, mi legarono nuovamente al letto. Dopo qualche minuto sentii il bisogno impellente e indifferibile di urinare e chiesi agli infermieri di slegarmi per poter andare in bagno. “Pisciati addosso!” mi gridarono con ferocia gli infermieri. Resistei finché potei, e poi dovetti urinarmi addosso, provando una profonda umiliazione. Nuovamente, per il fatto di essere legato, mi sentii dilaniare e dilacerare dentro; e quando mi somministrarono altri psicofarmaci, il tutto si ingigantì. Provai, nell’illusione di poter mitigare i danni, ad estraniarmi da me e a fare finta che quello che provavo non stesse succedendo a me, ma è perfettamente inutile chiudere gli occhi e girarsi dall'altra parte quando un camion che viaggia alla folle velocità di mille chilometri orari ti investe in pieno e ti fracassa tutte le ossa, e l’unica cosa di cui si rimane coscienti, in mezzo a quel frastuono di dolore, è il sentire che la vita, GOCCIA DOPO GOCCIA DI SANGUE, abbandona il tuo corpo”.

Ad oggi, ho subito 8 TSO (Trattamenti Sanitari Obbligatori), e tutte le volte sono stato legato al letto, anche per più di 24 ore. So bene quindi cosa vuol dire.

E so bene quanto di peggio ha provato Francesco Mastrogiovanni, che per più di 80 ore è rimasto legato ad un letto di contenzione di un reparto psichiatrico. Non potrò mai dimenticare la sua agonia mentre era inchiodato al letto, non potrò mai scordare la sua assurda morte.

Un Paese che vuol definirsi civile, non può permettere ciò, non può permettere che accada senza che poi prenda gli adeguati provvedimenti. E un Paese civile non può permettere che le persone vengano legate ad un letto. E quando parlo di Paese civile, non mi riferisco solamente alle istituzioni. Comodo questo paravento, no? Con Paese civile mi riferisco a tutte le persone che di una tal società fanno parte. Nel caso specifico, tutti gli italiani e tutte le italiane.

Perché finito il clamore di un momento, non finisce mica la contenzione e la sofferenza che questa causa a degli esseri umani.

Nei sit-in fatti per Francesco, campeggiava la scritta “E mai più”. Che mai più una persona debba morire in questo modo orrendo. Che mai più ci sia questa tortura, che mai più le persone vengano legate al letto. Tantissime persone, psichiatri e psichiatre in testa, dicono che la contenzione è terapeutica, che fa parte del piano terapeutico. Fa quindi bene, no? Dunque la tortura, qualcosa che sconvolge la mente e l'animo di una persona, farebbe bene, sarebbe terapeutica. Inevitabilmente sovviene quando Hitler disse che più è grande la menzogna e più facilmente verrà creduta, e difatti sono tanti, ma proprio tanti, i tromboni che parlano della contenzione come qualcosa di terapeutico.

È venuto il momento che tutte le persone del mondo dicano prima e concretizzino poi “E mai più”. Se questo ci fosse già stato, Francesco ed altre persone sarebbero ancora vive e molte altre non sarebbero mentalmente dilaniate per il resto dei loro giorni.

Ciao Francesco, compagno di sventura mai incontrato di persona. Ti assicuro che non avrei mai voluto conoscerti, che non avrei mai voluto sapere niente di te. E sai perché? Perché ho saputo di te e ti ho conosciuto attraverso la tua inaccettabile morte avvenuta dopo una lunghissima ed atroce agonia. Ecco perché avrei preferito non conoscerti, e magari, chissà, un giorno incontrarti.

Natale Adornetto – Psicologo antipsichiatra, membro del Comitato verità e giustizia per Francesco Mastrogiovanni, collaboratore e blogger del Telefono Viola.



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