Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  nessuno il 21/9/2007 17:38:20
Sono rimasto in forse se continuare a discutere o meno, dato che mi sembra che te, Prealbe, te la prenda un po' troppo. Ma mi piacerebbe capirne qualcosa di più delle tue posizioni.

Intanto, per Arturo

Citazione:
Non mi è stato possibile fare una ricerca più significativa e ho preso le prime immagini che mi sono capitate a tiro ( si tratta di "particolari" di un capolavoro razionalista progettato da Eric Mendelsohn nel 1935) ma se si facesse una ricerca approfondita ci si accorgerebbe che “oggi” non c’è niente di nuovo sotto il sole da questo punto di vista


1935??? Mi sembrava che l'epoca nella quale si collocava l'esistenza della "comunità" stesse tra l'Alto Medioevo e il 1700. E tu mi vieni a portare immagini del 1935? Cioè di ieri, in termini storici. Interessante. Devo dedurne che la comunità e la vita comunitaria sono, secondo te, cose che nel 1935 esistevano... Sono un po' esterrefatto, ma potrebbe pure essere possibile, per quel che ne so. Attendo ulteriori informazioni in merito, se possibile.

Citazione:
Mi hai citato Pirandello, ma lui è un geniale drammaturgo DEL SECOLO SCORSO... citamene uno che oggi, a 37 anni sia capace di concepire qualcosa di paragonabile ( mutatis mutandis) al “ Il fu Mattia Pascal” !


Ma il tuo Pirandello non è per caso uno dei migliori interpreti di quel "male di vivere" del quale si denuncia l'esistenza, mettendolo in carico alla scomparsa della comunità? Non è lo scrittore "moderno" per eccellenza? Quello che ha saputo cogliere lo spaesamento e la frammentazione degli esseri umani nella società moderna? Del secolo scorso, dici bene. Ma è da due o tre secoli che non viviamo più in una società comunitaria (a mio parere, nei centri urbani, è più o meno dal 1500-1600, ma è una mia opinione personale).

In sostanza, grazie. Hai portato nuovi argomenti alla mia tesi secondo la quale la società industriale moderna consente una creatività ed una produzione e fruizione artistica maggiori rispetto alle forme di civiltà precedenti ad essa.

Torniamo a Prealbe

Una cosa che non comprendo bene, e che mi pare costituisca un paradosso, è la presenza di due argomentazioni (se capisco bene iil tuo discorso):

Da un lato, sostieni che a dare significato al singolo è la rete sociale, la comunità, e che il singolo si forma e cresce entro una struttura collettiva che lo determina, che è a lui preesistente e che è necessaria alla sua vita. Una struttura dotata di un suo pensiero, una sua intenzionalità, una sua capacità e volonta. Il che, per come lo intendo io, vuol dire che la comunità costituisce "l'orizzonte di senso" del singolo il quale non può pensarsi "al di fuori" di una comunità. E, quando ci prova - volontariamente o costretto a farlo dai mutamenti della struttura sociale e dalla scomparsa della comunità - le conseguenze sono pesantemente negative.

Però, nel momento in cui chiedi di "tornare alal comunità", di fatto, ti stai collocando "fuori" da questa forma di comunità che è la società moderna. Ma come puoi collocarti fuori da un contesto dato e a te preesistente, se questo contesto determina l'orizzonte di senso della tua esistenza? E, soprattutto, come puoi farlo se non agendo da individuo, animato da una sua volontà, contro l'intera società esistente?

E' questo il paradosso che vedo nella tua posizione. Per poter sostenere che l'individuo deve essere subordinato alla comunità, devi affermarlo tu, come individuo. Nel momento in cui, in una società che assume come valore costitutivo l'individualità, sostieni che sarebbe necessario tornare alla comunità, su che basi lo fai se non su quelle della tua volontà individuale?

Buona vita

Guglielmo

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