Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  nessuno il 11/9/2007 11:32:20
Arturo scrive:

Citazione:
Posso sbagliarmi ma non mi pare che qualcuno – nel corso della discussione – abbia mai sostenuto l’idea di “far tornare indietro le lancette dell’orologio”
Inoltre che la nostra sia “una società d’individui” penso non possa essere messo in dubbio : la nostra …. e quelle antecedenti l’attuale


Può essere che io abbia male interpretato il contenuto dei messaggi di Prealbe. Ma:

Messaggio n° 139 Citazione:
Per ora dico solo che mi sembra tu assegni alla comunità una serie di caratteristiche che valuti come positive, in contrasto con la forma attuale dello status quo contemporaneo
Citazione:
Secondo te cosa mai vado sostenendo dall’inizio della discussione ad ora? C’è bisogno di conferme?


Citazione:
La comunità, o meglio le sue caratteristiche, rappresenta semmai ciò che nello status quo che ci circonda manca ed è causa del profondissimo e capillare malessere contemporaneo.


Ora, quando qualcuno mi dice che un tempo esisteva una cosa del genere, dotata di caratteristiche che lui ritiene desiderabili, che adesso quella cosa non c'è più e che il fatto di non esserci è causa di tanti guai, io penso che quella persona voglia ritornare a quel modello di organizzazione sociale. Altrimenti perché dovrebbe qualificare in modo positivo una cosa e in modo negativo un'altra? Così per sport?

Ma proporre come soluzione per il futuro l'adozione di ricette che vengono dal passato, dal mio punto di vista, è proprio "riportare indietro le lancette dell'orologio".

Inoltre, Arturo carissimo, la società è una società di individui. La comunità del passato no. La differenza appare chiarissima quando si consideri il diritto comunitario e lo si confronti con il diritto moderno. Nele organizzazioni comunitarie del passato non esisteva il concetto di diritto individuale, né quello di dovere individuale. Diritti e doveri erano del collettivo, non dell'individuo. Un individuo aveva determinati diritti e doveri se e in quanto apparteneva ad una determinato collettivo o comunità. Così, in tutto il periodo dal 1200 al 1600 ritroviamo negli statuti delle comunità una serie di obblighi e diritti che sono della comunità, non dell'individuo. Quasi sempre vengono costruiti ed organizzati in modo tale da garantire una posizione di forza agli apparteneneti ad una comunità contro gli appartenenti ad altre (vedi, ad esempio, gli statuti delle arti e delle corporazioni nell'Italia medievale, il divieto di costruire molini o folli da panni a meno di 15 miglia dalla città).
Oggi i diritti, sociali o politici che siano, sono individuali, non collettivi. Abbiamo il diritto formale di partecipare alal vita pubblica ma anche il diritto di non farlo. Negli statuti delle comunità medievali, ad esempio, il diritto negativo non era riconosciuto e chi non si presentava alle assemblee di comunità poteva essere multato e penalizzato per questa sua decisione.

E quando sostengo che Citazione:
gli individui, una volta scoperto che sono tali e non massa indifferenziata, folla o comunità, siano notevolmente restii a ritornare tali
intendo ovviamente "folla, massa indifferenziata o comunità".
Peraltro, la prima spinta allo sviluppo dell'individualità la diede la Chiesa Cattolica, con l'introduzione, tra l'800 e il 1200, della cponfessione auricolare personale e della penitenza segreta. Fu un cambiamento enorme, perché si passava da un concetto di responsabilità collettiva ad uno di responsabilità personale (per una buona e divertente disamina della questione vedi: Gurevic, "Contadini e santi nell'Occidente Medievale", Laterza). Ma la responsabilità personale è alla base dell'idea di individuo e di individualità. Così, a me appare abbastanza divertente che l'organizzazione che più si adopera e si è adoperata contro la modernità e l'individualità sia stata quella che ne fu all'origine.

Citazione:
Forse che oggi “ date le condizioni tecnologiche, religiose, sanitarie” differenti i singoli individui avrebbero possibilità di scelta [“di far parte meno della massa” suppongo tu abbia voluto dire] maggiori di ieri ?


si, volevo dire esattamente questo. Tu sostieni che siamo in una società di massa, o di folla, nella quale l'individuo non ha né peso né valore, mi pare. In alcuni momenti, e per molte persone è così. Ma, contemporaneamente, è anche sempre presente la possibilità per l'individuo di essere tale, e il diritto di essere tale. Cosa che non si può affermare per l'individuo inserito in una comunità.

Inoltre, mi è piaciuto molto l'accenno alla "società aperta" di Popper, quantunque non ami molto le sue posizioni politiche. Ma, se non altro, Popper ha il merito di sottolineare la presenza di appartenenze plurime. Ora, butto lì un'idea, che mi viene dal tentativo di riflettere su quello che ha scritto Franco8 nel suo ultimo messaggio: che la possibilità di costruire appartenenze multiple su base volontaria ed individuale sia un fattore di stabilità sociale altrettanto importante della coesione comunitaria, ma che funziona meglio. Mi spiego (o, perlomeno, ci provo). Dato che una delle necessità degli esseri umani, assieme al senso di appartenenza, è il senso di distinzione, la possibilità di appartenenze multiple diminuisce l'intensità dei conflitti, mentre la presenza di appartenenze "forti" l'aumenta. Questo perché, nel caso di appartenenze forti l'"altro" è davvero "estraneo", "straniero". Nel caso di appartenenze multiple, l'altro ha sempre (o può avere) qualche punto o elemento "in comune" con me. E questo può ridurre il rischio di scontro.

Buona vita

Guglielmo

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