Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 27/8/2007 14:10:22
Guglielmo
Citazione:
Prealbe, io non ha mai affermato che questo stato di cose produca solo bellezza e gioia per tutti.

E sì, i punti di riferimento tradizionali sono saltati. Ma non riesco proprio a considerarlo un male.

E, certo, posso morire d'infarto perché il vicino non mi soccorre. Ma non devo nemmeno sopportare un vicino che se mi vede mettere un fiocco rosso alla vacca va dal prete a denunciarmi come stregone comunista.

Devo essere drastico: la libertà, ogni libertà, in ogni forma, comporta rischi. Maggiore la libertà, maggiori i rischi. Tra questi vi sono anche quelli di cui parli tu.

Ma la soluzione (se mai c'è), a mio parere non consiste nel ritornare ad una comunità (comunque - a mio modo di vedere - impossibile) ma, semmai, nell'accrescere le libertà individuali.

Proviamo a vedere che cosa succede portando all'interno dell'economia, della produzione, della politica, le conseguenze dei cambiamenti avvenuti all'interno della sfera affettiva negli ultimi cent'anni, ad esempio?

Sinceramente, Guglielmo: quello che hai scritto mi suona anche bene. Gli ultimi tre periodi, emotivamente li trovo attraenti: se avessi visto meno di quello che ho visto e ci avessi riflettuto meno di quanto invece ho fatto, se insomma avessi un po’ meno anni ed esperienza, potrei anche aderirvi e sottoscriverli.

Purtroppo (per fortuna, in realtà) non è così, e non posso fare a meno di cogliere in essi una sostanziale inconsistenza, una fondamentale assenza di concretezza. Mi riportano alla mente i molti slogan che ho sentito scandire con totale convinzione da tanti che poi, alla prova della vita, dall’altissima quota di certi voli astrattamente idealistici sono ripiombati assai dolorosamente al suolo, trascinati dal peso delle proprie - troppo precocemente e ingenuamente rinnegate - umanissime caratteristiche. E che si sono poi spesso fatti carico di ciò come un proprio completo fallimento esistenziale, anziché come la dimostrazione dell’insensatezza di certe teorie politico-sociali fondate su una immagine dell’uomo puramente ideologica e mai - mai! - verificata sul campo.

E’ abbastanza bello baloccarsi col pensiero di Cristoforo Colombo e il suo straordinario – straordinario: teniamolo a mente – destino. E identificarcisi. Perché, naturalmente, è con lui che ci identifichiamo. Che ci costa? E’ gratis ed appagante. Quindi, buttiamo a mare bussole e carte nautiche, con le loro rotte collaudate così noiose e oppressive, e via! vele al vento e libertà, verso l’orizzonte immenso e l’Avventura. E’ implicito in questo approccio che, naturalmente, possiamo essere tutti dei Cristoforo Colombo, ognuno con la sua America lì, bella pronta da scoprire in esclusiva.

Ma sono frottole. Per un Cristoforo Colombo e la sua clamorosa botta di culo (già; di questo si è trattato, nel caso specifico. ), abbiamo un’infinità di navigatori semplici che invece non sono mai approdati da nessuna parte: si sono semplicemente smarriti, e finiti a morire chissà dove, probabilmente in un modo poco allegro. E per cui anche una bussoluccia di seconda mano o una cartina magari un po’ imprecisa avrebbero fatto precisamente la differenza tra la vita e la morte.

Per quanto mi riguarda, porre come modello sociale standard la modalità “Cristoforo Colombo” è una idea assolutamente devastante, spietata e, in ultima analisi, criminale. Con il massimo dispiacere per qualche Raro e Pregiato Individuo che vedrà forse sfumare il suo ipotetico destino straordinario, preferisco che si applichino schemi che garantiscano a quante più persone (1) possibili una navigazione ragionevolmente affidabile e una buona probabilità di approdare in qualche porto. Sono certo che la maggior parte dei naviganti saprà trovare un certo porco fascino anche in approdi meno esotici e gloriosi di quelli transoceanici.

Tra l’altro trovo davvero assurda l’equazione per cui l’interiorizzazione di un solido sistema di punti di riferimento debba corrispondere ad un grigiore esistenziale, come se la sua condivisione andasse ad abbattere chissà quali fantastiche risorse di unicità individuale. Mi dispiace disilludere qualcuno, ma i margini di originalità assoluta dell’essere umano sono generalmente, appunto, “margini”. Questo a dire che ciò che ci accomuna gli uni agli altri è un territorio enormemente più vasto delle piccole e secondarie zone che eventualmente ci possono dividere, e che nella strutturazione dell’ambito sociale è naturalmente assai più sensato - e umano - tenere conto del primo che delle seconde.


Prealbe


1 – Cioè “individui”, a cui sembrerebbe che alcuni tengano di più o di meno in relazione alla loro propensione a scoprire nuovi continenti.

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