Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 21/8/2007 20:00:56
Ciao, Guglielmo.

Sulle tue considerazioni che le modalità in cui i più vivono la propria vita attualmente non sia riconducibile ad una comunità mi trova assolutamente concorde.

Ci sarebbe poi da stabilire quali siano i livelli minimi per cui un insieme di individui possa essere definito “comunità” e, nel mio piccolo , cercherò di arrivarci. La mia impressione è che attualmente si sia generalmente (almeno nella cultura che conosciamo noi) piuttosto al di sotto di tali livelli, per cui parlare di comunità in relazione alle situazioni che hai descritto è, secondo me, improprio. E mi pare che quando dici:
Citazione:
Quando sono nato io, dove sono nato io, la comunità esisteva, eccome.

anche tu, implicitamente, lo riconosca.
(Ma non sto cercando di attribuirti alcunché; se mi sbaglio, come non detto.)

Sull’ipotesi che tale “sradicamento continuo” porti più vantaggi che svantaggi dissento talmente che mi riesce difficile immaginare un disaccordo maggiore. Non è affatto ciò che mi racconta la mia esperienza. E se alla categoria degli operatori in campo psicologico il lavoro non manca davvero, una delle cause principali è proprio lo sradicamento citato ( Se però tu rientri, come mi pare di avere capito, nella suddetta categoria, posso capire meglio il tuo apprezzamento per la cosa. ).

Per quanto riguarda le ultime due affermazioni del mio post precedente, so di essere stato sbrigativo e svilupperò in seguito.

Prendendo poi spunto da quanto hai risposto ad Arturo, osservo che va benissimo il riconoscimento - ci mancherebbe! - della diversità dell’altro, ma permane la necessità, ai fini della sussistenza di un rapporto, di condividere comunque una rete di significati e codici comunicativi, in assenza della quale l’altro risulta non semplicemente “diverso” ma del tutto alieno. Io credo che in mancanza della percezione di un’affinità tra noi stessi e l’altro, ben difficilmente possa avere luogo una interazione appagante.

Un’altra cosa voglio dire (non riferita a nessuno in particolare e tantomeno ai presenti): essere consci del fatto della propria individualità e specificità è cosa, naturalmente, buona e giusta ; diversa cosa è essere concentrati e assorti sul pensiero della propria individualità e specificità, facendone più una “preoccupazione” e, spesso, un argomento di conflitto che semplicemente esprimendola. E la seconda opzione è quella che mi sembra più “di moda”.

Ciao.


Prealbe

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