Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  nessuno il 20/8/2007 13:12:13
Mi sono stampata la discussione e la sto leggendo. Butto lì solo qualche appunto che mi è saltato in mente scorrendo le varie pagine.

Una buona discussione di cosa possa essere una "comunità" l'ho trovata in un articolo di Arnaldo Bagnasco: "Comunità: definizione" Versione modificata della voce "Comunità" in: Enciclopedia delle Scienze Sociali, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1992.

E' un articolo lungo e complesso, in formato word. Ne riporto solo la conclusione, che mi pare significativa:

"Il percorso che abbiamo fatto attraverso l'uso classico del concetto, le sue trasformazioni, le riemergenze in problematiche parziali, la vicenda stessa degli studi empirici di comunità, rivelano che il concetto di comunità, come tale, mostra debolezze analitiche, ma che i problemi che evoca continuano a essere importanti e difficili da abbandonare. Nessuna delle parole che emergono nelle nuove problematiche lo sostituisce completamente, mentre il suo uso oggi non è in grado di coprire con precisione i campi analitici che ne sono derivati. L'abitudine consolidata può spiegare in parte la persistenza dell'uso, male interpretazioni frizionali sono in genere spiegazioni deboli.
Forse, bisogna porsi la questione ai confini delle scienze sociali, ricordando che comunità è stata, anche e più, una parola di utopisti e filosofi, che in sociologia è entrata per contrastare all'esterno le semplificazioni degli approcci utilitaristici, e per misurarsi con la diffusione nel mondo moderno della ragione strumentale fine a se stessa. Questi continuano a essere interessi vitali per le scienze sociali. Costruito sul passato, il concetto scientifico di comunità non è in grado di sostenere un'analisi corretta, orientata da tali interessi. Con la sua invadenza, continua però a riproporli, con la stessa utile ambiguità del linguaggio comune, che nasconde mentre indica una possibilità.
Per cui è una facile previsione che, in futuro, esso continuerà a essere, insieme, criticato e usato."

Per come la vedo io, il concetto di comunità mi pare irrimediabilmente datato. Nella mia esperienza, vedo che gli unici a continuare ad utilizzarlo sono gli appartenenti alla Chiesa Cattolica. Almeno nelle zone dove vivo io, non si scrive più (da tempo, peraltro) "Oratorio", ma "Casa della Comunità". E i comunicati del parroco o del vescovo iniziano con la formula "La comunità cristiana che vive in...". Ora, spero di non offendere nessuno, ma mi pare che chi utilizza il termine "Comunità", oggi come oggi, compia un'operazione piuttosto "ideologica" (nel senso marxiano del termine). La parola "comunità", rimandando ad un ambiente comune, ad un comunità di intenti, ad una comunanza di prospettive, nasconde le differenze (sociali, religiose, di apparternenza, di classe, vedete voi).

Peraltro, mi sento di dire che l'opposizione comunità/individualità non ci porta molto lontano. Sul fatto che gli esseri umani siano interdipendenti credo non ci piova. Né da bimbi, né da adulti possiamo fare a meno degli "altri"; l'autosufficienza è una chimera, e lo è sempre stata. Tuttavia, che i singoli esseri umani siano "determinati" dalla "comunità" mi pare un'estremizzazione inutile e poco produttiva. Piuttosto, io direi che nasciamo in un mondo che è già "dato" e che ci influenza. Ma che possiamo scegliere se aderire acriticamente ad esso oppure no.

A me pare che questa, come altre, sia una delle tante espressioni di una posizione dualistica (in psicopatologia si potrebbe definire come schizoparanoide [attenzione! Il termine, in psicologia, non ha una connotazione negativa, indica semplicemente un modo di vedere le cose in bianco-e-nero]) che mi pare essere una delle attività di base di ogni essere umano. Per comprendere il mondo occorrono categorie e minore è il loro numero, minore è lo sforzo cognitivo necessario. Questo fa sì che le prospettive dualistiche (amico/nemico, socialisti/capitalisti, credenti/atei, VU/complottisti, individui/comunità...) siano le più semplici da utilizzare per chiunque abbia un qualche interesse nel governare una moltitudine di persone disparate. Ma anche le meno adatte a comprendere la complessità dell'esistenza e dell'agire umano. Che è un agire individuale, ma che non può fare altro che tenere conto dell'ambiente nel quale l'individuo si trova a crescere.

Buona vita

Guglielmo

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