Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Paxtibi il 18/8/2007 16:56:02
Mah, guarda Pax, mi pare che due o tre studi di sociologia ("sociologia", Pax, non "religione" né "uncertonumerodiesseriumanilogia") siano stati prodotti.

Tali studi, se ti riferisci a quelli di Canetti e Le Bon, si occupano delle dinamiche della massa, che è cosa ben diversa dalla comunità, come gli stessi studi confermano. Se ti riferisci ad altri studi, così come ce ne sono alcuni che confermano le tue tesi, ce ne sono altrettanti se non di più che le confutano, e in questo stesso thread Nessuno ha postato alcune cose a riguardo.

Non saprei dirti sulle verifiche sperimentali (Anche perché non sei preciso nella tua richiesta: dovresti specificare la tipologia di esperimento che vorresti. Spero, per la stima che ho della tua intelligenza, che non pensi alla verifica in laboratorio delle dinamiche sociali: no, vero?)

Basterebbe un esempio concreto di ciò che affermi, ovvero un esempio di "un'entità sovraindividuale con caratteristiche sue proprie" che agisce in un certo modo nonostante il diverso volere degli individui che la compongono.

E, scusami se te lo faccio notare, ma riportare, a proposito delle caratteristiche della comunità, "che non rispecchiano quelle degli individui che la compongono" quando io ho scritto "non specchia esattamente le loro caratteristiche individuali" mi suona di leggerissima dison… leggerissima scorr... leggerissima parac…

Suvvia, non farti trascinare come al solito dalla tua emotività, e cerca di ricordare ciò che tu stesso hai scritto:

Ognuna di queste entità (che esistono! oh, se esistono!) esprime volontà collettive (giacché decide, agisce e consegue obiettivi) che manco per niente rispecchiano le singole volontà dei propri membri. Né la somma (né la sottrazione né la moltiplicazione né la divisione; evidentemente in questo caso l'aritmetica non ci può proprio aiutare) di tali volontà.

Se hai cambiato idea, benissimo, hai tutto il mio appoggio, ma evita di darmi del paraculo e del disonesto. E magari mangia più spesso il pesce.

Oppure, hai visto mai, si finisce al cinema come desiderato, ma non a vedere esattamente il film che ogni membro del gruppo sarebbe andato a vedere se avesse scelto per conto proprio. E non è affatto escluso che il film scelto non rappresenti la "prima scelta" per nessuno degli astanti. E che dunque la "volontà collettiva", come dicevo, non rispecchi "le singole volontà dei propri membri".

Certamente arriveranno ad un compromesso: ma il compromesso implica l'accettazione da parte di tutti componenti il gruppo di amici. Non si è espressa e imposta alcuna volontà a loro superiore, semplicemente tutti hanno modificato la loro volontà iniziale, rinunciando volontariamente alla soddisfazione piena della loro preferenza, evidentemente perché hanno valutato più importante lo stare in compagnia rispetto all'assistere ad uno spettacolo piuttosto che ad un altro. In conclusione, la decisione finale si può considerare collettiva proprio perché tutti alla fine l'hanno approvata, nessuno è stato trascinato al cinema contro la sua volontà.

Intanto le esigenze elementari che citi sono a livello individuale e si esprimerebbero anche in assenza di comunità.

Non mi pare di aver detto il contrario. La comunità dovrebbe infatti servire a facilitare tali esigenze.

Dopodichè, è assolutamente evidente che qualunque gruppo superiore ala “coppia” possa comprendere in sé ulteriori gruppi (i quali tra l’altro possono anche intersecarsi in molti modi); ma non vuole dire per niente che essi abbiano volontà sostanzialmente alternative a (anche se non perfettamente coincidenti con) la volontà collettiva della comunità.

In una qualsiasi città italiana troverai chi è a favore della guerra e chi contro (tra l'altro senza che questa contrapposizione di idee minacci il normale svolgimento della vita della comunità): in questo caso qual è la volontà collettiva della città?

Alla fine dei conti, stante che la comunità è chiamata ad agire

Da chi, e perché? E in che senso la comunità agisce, se non lo fanno coloro che la compongono?

è comunque scontato che qualche volontà, non coincidente con ogni singola volontà dei membri, dovrà di fatto prevalere

Quindi alla fine confermi quello che ho sostenuto fino ad ora: la cosiddetta volontà collettiva della comunità non è altro che la volontà di una parte di essa, che prevale su tutte le altre volontà da essa espresse. Purtroppo, non indichi alcuna ragione logica per cui questa volontà dovrebbe prevalere: se implichi che, semplicemente, quella che in qualche modo ha prevalso è da considerarsi legittimamente la volontà collettiva di tutta la comunità, ecco che si ritorna al totalitarismo.

Se si approccia viceversa dal lato della perfetta aderenza di ogni decisione della comunità ad ogni singola individualità, la partita è persa in partenza e la comunità non può sussistere e basta.

Quindi le comunità Amish, per dirne una, non esistono? Ovviamente, in quel caso, sono gli individui che, per motivi di fede, aderiscono perfettamente a delle norme preesistenti e immutabili, oppure se ne vanno. Certo, se tutti fossimo fedeli dello Stato Laico, il sistema potrebbe funzionare anche da noi, infatti funzionava benissimo quando il potere temporale e potere religioso coincidevano. Certo, ogni tanto c'era da bruciare qualche eretico, ma se dio era d'accordo dov'è il problema?

Però, una volta che c’è, è il caso, per l’incommensurabile investimento di vita che i suoi membri hanno fatto nei suoi confronti, che la si faccia andare avanti;

Avanti dove? Non è mica un pullman.

e se qualche membro troppo originale si mette ad ostacolare più di tanto il corso delle cose, i “calci in culo” sono perfettamente pertinenti e praticabili.

Quale corso delle cose, quello deciso da una parte della società la cui volontà ha prevalso su quelle di tutti gli altri?

Qualunque, qualunque cosa può subire un utilizzo aberrante; il quale non è una “conseguenza logica” manco per niente: è un utilizzo “aberrante” (“aberrante” -> deviante, anomalo) e tale rimane.

Visti i precedenti, ti consiglierei di andarci piano con i "manco per niente", per di più in neretto...
Anche perché, di nuovo, non hai confutato nulla: la deviazione, nel nostro caso, è proprio l'utilizzo della comunità (strumento positivo) come scusa per imporre come collettive volontà del tutto particolari. Del resto, se una volontà dev'essere imposta, tanto "collettiva" non deve proprio essere.

Io preferivo che le persone non si portassero ordinariamente al seguito né machete né kalashnikov; tu invece eri assolutamente favorevole.
E che si trattasse della strada maestra per “risolvere il problema del crimine” lo pensavi tu della tua posizione, non io della mia, se non ricordo male.


Ricordi male (del resto, hai già dimenticato quello che hai scritto tre commenti fa...): io sostenevo proprio il contrario, e cioè che qualcuno deciso ad aggredire si troverà sempre, e che quindi sarebbe buona cosa che a ciascuno fosse lasciata la possibilità di difendersi. La tua idea invece era il divieto assoluto di portare armi. Io ti risposi che questo non avrebbe impedito ad un aspirante criminale di perseguire i suoi scopi, ed ecco che magicamente ora mi dai ragione: E comunque il buon Jack si sarebbe inventato qualcosa anche in assenza di coltelli.

No, Pax, il “coltello” non è il linguaggio: il “coltello” è la comunità.

Siamo sempre lì: se l'idea di comunità la utilizzi per imporre volontà che non sono affatto collettive, ne fai un uso scorretto, aggressivo, che non risponde più alle esigenze dei suoi membri, negando la sua stessa ragion d'essere.

Seguendo l’evoluzione della comunità, non dei singoli individui. Non è affatto la stessa cosa.

Ti ricordo che ancora devi dimostrare che la comunità è una creatura separata da quelli che sono i suoi membri, premessa indispensabile per arrivare ad affermare che essa si possa evolvere indipendentemente dagli individui che la compongono.

se inglobi la conclusione nelle premesse, è proprio così. Se cioè dici che l’unica cosa in comune è la “posizione geografica”, l’unica cosa in comune sarà proprio quella.

Bene. Ti faccio notare, però, che se parliamo di comunità come, per esempio, l'Italia, o una città a caso (La "comunità" di cui si tratta in questa discussione... è la comunità in cui si vive la propria vita), il comune denominatore è proprio solo la posizione geografica dei suoi membri: infatti, sono sempre di più gli italiani che osservano tradizioni completamente diverse tra loro e spesso anche linguaggi.

Solo che, ancora una volta, stai parlando non di comunità ma di folla: le definizioni (almeno di questi due termini ci sono) stanno nel primo post del 3D.

No, la folla è un'altra cosa, e ti riporto le definizioni (quelle pertinenti) che tu stesso hai postato:

1 grande quantità di persone riunite in un luogo: strade piene di f., una f. di bagnanti sulla spiaggia, mescolarsi alla f., farsi strada tra la f.| spreg., volgo, popolino: demagogia buona per le folle, ottenere l'apprezzamento della f.
2 estens., iperb., gruppo numeroso di persone: essere circondato da una f. di amici, di ammiratori, di adulatori


Dove la coincidenza è più precisamente topografica che non geografica.

Le tradizioni non sono espressione della volontà collettiva? Hai ragione, sono semplicemente espressione dell’identità collettiva. Ora, che la volontà abbia qualche rapporto con l’identità? Che magari spesso ne discenda?

Semmai sarà l'identità che discende dalla volontà collettiva, intesa come risultante di tutte le volontà espresse, nel tempo, all'interno della comunità.

Oh perbacco! Abbiamo, oltre alle lezioni di “linguistica bizzarra”, anche la psicanalisi omaggio partecipando a questo 3D?

Guarda che mi hai appena dato del paraculo e del disonesto, a torto, tra l'altro. Vedi di abbassare la cresta, quindi.

Cos’è che ho appena fatto, esattamente?

Hai affermato che la comunità preesiste all'individuo:
le comunità, come tante altre cose della vita, "accadono" (anzi, generalmente "sono già accadute" quando arriviamo noi)

Peccato che, se i membri di una comunità cessassero di riprodursi, la comunità cesserebbe di esistere.

E ti rivelo un segreto: la coincidenza spazio-temporale è misteriosamente in grado di generare comunità piuttosto coese e con identità piuttosto precise

E chi lo nega? La discussione, mi pare, trattava della volontà collettiva delle comunità, e di quando la si può considerare tale. Ora, capisco la tua difficoltà nel cercare di dimostrare l'indimostrabile, come il fatto che la volontà collettiva sia indipendente da quella dei suoi membri (manco per niente...), ma cerca di non confondere identità con volontà. Tanto più che, come abbiamo appena visto, la comunità di cui vuoi parlare è "la comunità in cui si vive la propria vita", nel nostro caso, generalmente, una qualsiasi città europea, città che con tutta la buona volontà non credo si possano considerare esempi di comunità piuttosto coese e con identità piuttosto precise.

Neanche per sogno. Il cambiamento non origina affatto necessariamente da alzate d’ingegno individuali. Può essere - e, anzi, con assai maggiore probabilità e frequenza - una risposta della comunità ad un qualsiasi mutamento ambientale.

Continui a parlare ingiustificatamente di comunità come di un qualcosa indipendente dagli individui. Non sono forse gli individui che rispondono ai mutamenti ambientali? Se la città si allaga, non sono forse gli individui che lasciano le loro case e si trasferiscono in zone più elevate? Mi pare che nessuno attenda una decisione di quella creatura mitologica che tu chiami comunità per aprire l'ombrello. Comunque, prendo nota del fatto che secondo te le idee di Galileo (o di Marx, o di tanti altri individui) non avrebbero cambiato la società.

O sommo apologeta del “linguaggio scientifico”, devi definire “incolumità” e “danno” perché ti si possa rispondere. Messa cosi è troppo generica. Io spero solo, nell’attesa, che tu non voglia contemplare soltanto la sfera fisica.

L'unico danno "non fisico" non può che riguardare il pensiero e la sua espressione, ne consegue che qualsiasi atto rivolto contro di esso si debba considerare un danno. La tua versione di volontà collettiva, ad esempio, è decisamente dannosa in quanto tende a limitare la libera espressione del pensiero, ed è quindi da rifiutare decisamente. In contrasto, qualsiasi pensiero espresso dal singolo non si può certo considerare "dannoso" per gli altri, a meno che si tratti di un qualche sanguinoso insulto: ma in questo caso parliamo di danno piuttosto limitato, che in genere in tribunale viene sanzionato con una semplice ammenda, e questo neanche sempre.

Io invece dico che, al contrario, la comunità si regge su idee piuttosto omogenee; sicuramente sui fondamentali, e anche su molti altri aspetti.

Una cosa non esclude l'altra: se infatti è ovvio che una comunità funziona nella misura in cui i suoi membri ne condividono le idee fondamentali – es. il principio di non aggressione – è altresì vero che la forma finale dipende dall'interazione di tutte le idee non fondamentali, che sono di fatto le più diverse: è sufficiente leggere questo sito per rendersene conto. È chiaro quindi che per funzionare efficacemente – ovvero per soddisfare al meglio tutti coloro che ne fanno parte, unica sua ragion d'essere – la comunità non può che affidarsi alle poche, fondamentali regole condivise da tutti, e lasciare la libertà ai suoi membri su tutto il resto. Sempre che non si tratti di una comunità religiosa, appunto, i cui membri accettano norme oltremodo limitanti in nome di un obiettivo ultraterreno da raggiungere.

L'uomo stesso è "in continuo cambiamento" una sega. L'uomo tende semmai alla stabilità (che naturalmente non è immutabilità) e al consolidamento di sé stesso, con tutti gli annessi e connessi.

Se l'uomo "tende alla stabilità", significa che la stabilità non l'ha ancora raggiunta, di conseguenza questa tensione si traduce in un costante cambiamento da una situazione (instabile) verso un'altra (stabile). Quindi la sega fattela tu che magari ti riesce meglio dei ragionamenti.

Questa idea dell'uomo "fluido", continuamente mutevole, è una sonora stupidaggine che può sussistere solo in questi tempi di spaesamento esistenziale, di uomo-massa, di folle.

Strano, era una delle poche cose su cui eravamo d'accordo. Ti cito:

Quand'anche quattro (o otto o sedici o financo trentadue) citrulli tizi si mettessero in testa di "fondare una comunità sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso", è fin troppo facile supporre che delle implicazioni effettive, reali di quel passo sulle loro vite ne saprebbero cogliere in quel momento poco più (o poco meno) di una parte infinitesima (con tanti saluti alla vagheggiata "scelta cosciente ed individuale").

Prima l'uomo è mutevole, incapace di mantenere una decisione nel tempo, subito dopo è stabile, e cambia solo nell'arco di generazioni... Ma sei sempre lo stesso Prealbe o vi date il cambio? Nel caso, almeno mettetevi d'accordo tra di voi, se nemmeno da solo sei in grado di esprimere pensieri tra loro coerenti siamo messi male!

Si, le comunità cambiano. L’ho già detto io. Succede quando viene raggiunta una certa “massa critica”. Nel frattempo la comunità tende alla stabilità, rigettando giustamente (con più o meno “calci in culo”) le “alzate d’ingegno” che viceversa la destabilizzino.

Quindi, ancora una volta, confermi che i calci in culo a Galileo erano "giusti". Eppure è proprio a partire dalle sue alzate di ingegno che, ad un certo punto, è stata raggiunta la massa critica. E questo, al di là di tutte le tue risibili teorie, è la prova miglior che, nonostante qualsiasi pressione da parte dei gruppi che detengono il potere in una società e che quindi resistono al cambiamento, le idee del singolo sono ciò che, in ultima analisi e seppur con tempi lunghi, finiscono per determinare la forma finale delle comunità.

talvolta, a riconoscere di avere scritto una caxxata ci faresti migliore figura; quella che “i fiumi scorrono verso il basso” sarebbe un “ragionamento” è semplicemente indifendibile.

Primo, io non ho usato il termine ragionamento, ma affermazione, e "i fiumi scorrono verso il basso" è certamente un'affermazione logica, contrariamente, ad esempio, a "i fiumi scorrono verso l'alto", ed è semplicemente un esempio come un altro. Magari ce ne saranno di migliori, ma la sostanza del ragionamento non cambia. Piuttosto, chi dovrebbe riconoscere di aver scritto una grossa cazzata (si scrive così, con due zeta) sei tu: quella dell'emotività che inficia la logica di un'affermazione o di un ragionamento è una delle più grosse mai sentite, ovviamente sparata lì come verità incontrovertibile a dispetto della totale assenza di riscontri nella realtà. Infatti, se volessimo prenderla per buona, dovremmo far finta che la scienza, la comunicazione, la società stessa non esistano.

Ma sono abbastanza convinto che non lo ammetterai mai, hai dimostrato abbondantemente di non preoccuparti delle continue contraddizioni in cui incorri nei tuoi sermoni.

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