Quindi questa "entità sovraindividuale" (qui dalla letteratura stiamo passando alla religione) - che è bene ricordarlo, nel mondo fisico altro non è che un certo numero di essere umani - possiede caratteristiche sue proprie, che non rispecchiano quelle degli individui che la compongono: hai qualcosa, possibilmente verificabile sperimentalmente, a sostegno di questa teoria, o possiamo relegarlo nel campo metafisico e dimenticarcene?
Per esempio, una "famiglia" decide di avere un figlio indipendentemente dalla volontà dei suoi componenti, oppure un gruppo di amici finisce al cinema anche se i suoi componenti volevano andare al pub o al night. Poveri noi!
Ma quel tipo di comunità non esprime mai volontà collettive condivise da tutti che non siano la soddisfazione di esigenze elementari: vitto, alloggio, sicurezza. Esigenze che nessuno ovviamente rifiuta e che non è necessario quindi imporre. Per il resto, esprime molteplici volontà collettive espressione di molteplici gruppi di persone al suo interno. E non si vede un motivo logico per cui una di queste volontà particolari dovrebbe essere scelta come volontà collettiva di tutta la comunità. Lo potrebbe essere se nei fatti fosse condivisa da tutti i suoi membri. Per esempio, possiamo pensare alla costruzione delle cattedrali medievali, a cui partecipava tutto il villaggio, ma non è un caso se c'era la religione di mezzo, cioè un sistema di accettazione acritica di norme comportamentali basate su dogmi indimostrabili.
Certo che sono aberrazioni, ma la tua non è una risposta: io ti ho indicato dove sta la radice di questa aberrazione, per la precisione proprio nel tipo di ragionamento da te proposto. Rispondere che queste sono aberrazioni non è una confutazione: tu certo non hai proposto apertamente, ad esempio, la deportazione dei dissidenti, ma questa è una delle conseguenze logiche dello stabilire che il pensiero di alcuni è valido universalmente indipendentemente dalla verità o meno di tale enunciato e dalla sua effettiva universale accettazione.
Curiosamente, in altro forum questo lo scrissi io mentre tu sostenevi il contrario, volevi "vietare tutte le armi" per risolvere il problema del crimine...
In questo contesto, però, la metafora è fuori luogo: se il coltello è il linguaggio, tu lo stai già usando aggressivamente, utilizzandolo per imporre arbitrariamente agli individui volontà che non hanno espresso.
Infatti, proprio perché le regole che ordinano una comunità, per essere efficaci, devono essere condivise dai suoi componenti, e perché gli individui e le loro valutazioni non sono immutabili, queste regole cambiano, da sempre, in ogni tipo di comunità, seguendo l'evoluzione degli individui che ne fanno parte.
Non solo: essendo il cambio delle regole scritte necessariamente successivo alla variazione delle valutazioni eventualmente intervenuta nella società, possiamo osservare diverse situazioni in cui una legge che non risponde più al sentire comune, semplicemente non viene osservata nonostante sia ancora in vigore, senza che questo provochi alcuno scandalo nei più; vedi, ad esempio, la proibizione delle droghe leggere. Ancora, come dicevo sopra, le uniche esigenze universalmente condivise se il comune denominatore è la posizione geografica sono quelle essenziali: qualsiasi norma riferita ad altre esigenze non potrà mai essere universalmente riconosciuta, proprio perché su tutto il resto gli uomini hanno opinioni diverse.
Sei proprio fuori strada: mischi tradizioni, morale, linguaggio con i codici e le leggi. Tradizioni e linguaggio non sono espressioni della volontà collettiva quanto il risultato di esperienze comuni protratte nel tempo, e il "rifiutarli" non comporta alcun danno alla comunità ma solo a chi le rifiutasse (ma non stiamo parlando di chi da un giorno all'altro decide che è sbagliato parlare in italiano e che dobbiamo passare al suomi...). Codici e leggi derivano ovviamente anch'esse dall'uso e dalla consuetudine, ma come detto appena sopra, essendo scritte rispondono con un ritardo più o meno lungo alle mutazioni di questa volontà. Quando questo ritardo è eccessivo, la norma decade de facto.
(Traspare tra l'altro una certa tua insofferenza per l'individuo e per le sue caratteristiche, come la possibilità di pensare in maniera assolutamente originale, che mi fa sospettare una certa asocialità da parte tua, o almeno un certo livello di misantropia. Ma andiamo oltre.)
Guarda che la differenza tra comunità fondata sulla base di uno scopo condiviso e comunità definita geograficamente l'avevo già specificata. Comunque, in senso assoluto, non puoi affermare che la società preesiste all'individuo come hai appena fatto.
Nessuno lo nega. Immagina però se tale comunità non fosse stata costituita sulla base di un ideale o scopo coscientemente condiviso, ma solo sulla coincidenza spazio-temporale...
Ma il cambiamento è sempre conseguenza delle alzate d'ingegno di questo o quell'altro suo membro, alzate d'ingegno che, seppur provocando inizialmente reazioni di rifiuto da parte di chi vede messo in pericolo qualche suo vantaggio o privilegio (pensiamo alle resistenze del clero alle "alzate d'ingegno" di Galileo, o alla rabbiosa opposizione dei politici di fronte a qualsiasi ipotesi anarchica), una volta diffuse e largamente accettate cambiano inevitabilmente il sentire comune.
Parli di buon funzionamento della comunità: ebbene, questo sta proprio nella soddisfazione delle esigenze dei suoi membri, se non sono soddisfatti, se le norme della comunità rendono loro la vita difficile e non più facile, la comunità non sta funzionando e necessita di un cambiamento.
Non c'è motivo per cui il non riconoscere valido per sé un sistema di regole debba implicare uno spostamento fisico. Certo, se le norme che non si accettano mettono in pericolo la propria o l'altrui incolumità, è certamente buona cosa andarsene al più presto. Viceversa, se io non riconosco valide alcune regole, ma questo non provoca agli altri membri della comunità alcun danno, non si vede perché dovrei essere allontanato. Potrei andarmene, certo, se trovassi la situazione intollerabile, ma è un problema mio.
Anche questa è una conclusione del tutto gratuita e priva di senso. Non si capisce perché qualcuno se ne dovrebbe andare visto e considerato che la comunità non è altro che la risultante dell'interazione dei suoi membri e del confronto continuo delle idee più diverse.
Questa molteplicità di aspirazioni e di spinte di diverso tipo e la forma che ne deriva è esattamente la sostanza della comunità, che come l'uomo stesso è in continuo cambiamento per adattarsi alle variazioni delle esigenze in essa espresse.
E gli eventuali codici scritti di cui si è dotata devono rispecchiare tali variazioni, in caso contrario sarebbero gli stessi codici ad ostacolare il buon funzionamento della comunità, non rappresentando più l'espressione di esigenze collettive ma più probabilmente un ostacolo alla loro soddisfazione. Per esempio, le tasse per ottenere servizi sono certamente l'espressione di una volontà collettiva, ovvero la larga maggioranza delle persone giudica positivo pagare un sovrapprezzo sui servizi di cui ha bisogno per assicurarli anche ai meno fortunati. Ma nel momento in cui queste stesse persone giudicassero inique le tasse e insufficienti i servizi, è evidente che l'imposizione della tassa non sarebbe più un valore condiviso, che risponde alle esigenze dei membri della comunità, e tale imposizione non sarebbe altro che l'espressione di una comunità di persone più ristretta, all'interno della prima ma con volontà con essa contrastanti.
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